La prima sezione della corte d'appello ha inflitto una pena di otto anni di carcere al capomafia di Villabate. Il pentito Stefano Lo verso ha parlato di rapporti tra lui e il ministro dell'agricoltura Saverio Romano
PALERMO. La prima sezione della corte d'appello di Palermo, ieri, ha confermato la condanna a 8 anni di carcere inflitta in primo grado al capomafia di Villabate Nino Mandalà. Il boss, precedentemente condannato per intestazione fittizia di beni, è libero per scadenza dei termini di custodia cautelare.
La sentenza di primo grado, infatti, fu emessa quando già il tempo massimo di carcerazione era decorso. La nuova condanna potrebbe riaprire le porte del carcere per il boss: dovrebbero essere la procura generale o la corte d'appello a disporre, eventualmente, la nuova misura.
Nel processo, conclusosi con la conferma della pena per il capomafia, era imputato, tra gli altri, il deputato di Forza Italia Gaspare Giudice, accusato di mafia e assolto in primo grado. Il parlamentare nel frattempo è deceduto, quindi la corte ha dichiarato a suo carico il non doversi procedere per morte dell'imputato confermando, per il reato, il verdetto del tribunale.
Il nome di Mandalà, boss vicinissimo a Bernardo Provenzano e autore di un blog su internet, è tornato d'attualità con le dichiarazioni del pentito Stefano Lo verso che ha parlato di rapporti tra il capomafia e il ministro dell'agricoltura Saverio Romano. Le accuse del pentito, che riferisce di aver saputo proprio da Mandalà i legami tra la cosca e il politico, sono finite nell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro. A seguito delle notizie sull'inchiesta è stata presentata in parlamento una mozione di sfiducia di Romano su cui la Camera si pronuncerà nel pomeriggio.
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