mercoledì 30 settembre 2009

Morti sul lavoro



basta con le morti sul lavoro



LISTA NON COMPETA DEI MORTI SUL LAVORO MESE settembre 2009 (fonte ..caduti sul lavoro.it)
01/ 09/ 2009 -E’ morto dopo due mesi Alfonso Curto, 52 anni, operaio edile, rimasto ferito dopo un incidente sul lavoro avvenuto in un cantiere nella zona tra Catania e Messina.

01/ 09/ 2009- Donato Trombetta, operaio di 50 anni, è morto cadendo da una tettoia a Serino, all’interno di un’azienda agricola per la produzione e il commercio di castagne, mentre era impegnato nella rimozione della copertura in lamiera di una tettoia per il ricovero degli attrezzi
01/ 09/ 2009- Michele Doria, 36 anni, è morto in una marmeria di Grottaglie, colpito alla testa da una lastra di marmo.

01 /09/ 2009- A Lunano un uomo di 79 anni, Aldo Carlotti, è morto colpito al torace dalla pala meccanica azionata dal figlio, mentre era impegnato in un lavoro di contenimento di un muro.

03/ 09/ 2009 -Un boscaiolo è morto travolto da un albero mentre tagliava il bosco nella zona di Aldino.
07/ 09/ 2009- C.G. di 72 anni è morto precipitando da un balcone del secondo piano mentre riparava la caldaia di un conoscente a Milano.
08 /09/ 2009- Gennaro Goglia, 55 anni, è morto nel piazzale di un’isola ecologica a Coriano di Forlì, schiacciato tra la motrice e il rimorchio del suo mezzo pesante

09/ 09/ 2009 -Mario Menis, di 80 anni, imprenditore, e Daniele Treppo, di 46 anni, artigiano imbianchino, sono morti ad Artegna per il cedimento di un tetto mentre lo stavano ispezionando
09 /09 /2009 -Luciano Runco, operaio verniciatore di 56 anni, è morto travolto da una trave in ferro mentre lavorava in una azienda metal meccanica a Martellago.
09/ 09/ 2009 Giovanni Natale, 43 anni, capo officina, è morto per essere precipitato da una piattaforma mobile in avaria in una azienda a Chieti.
10/ 09/ 2009- Paolo Romano, operaio di 31 anni, è morto schiacciato da una bobina mentre stava lavorando in una cartiera di Sora.
10 /09 /2009 -Celestino De Vincenzi, 44 anni, elettricista, è morto folgorato mentre stava lavorando sull’impianto elettrico di un’azienda agricola ad Isola di Scala.
14/ 09 /2009 -Fabrizio Boccato, operaio di 56 anni, è morto mentre lavorava in una azienda di produzione vetro, schiacciato da tredici quintali di lastre di vetro cadute da un carrello trasportatore.
15/09 /2009 -Simone Lazzarini, 35 anni, manutentore di ascensori è morto mentre stava lavorando alla manutenzione di un ascensore a Torre, quartiere di Padova, schiacciato dal movimento di un montacarichi
18/ 09/ 2009- Un uomo di 61 anni è morto mentre stava lavorando in un campo di sua proprietà, ribaltandosi con la motozappa
22/ 09/ 2009 -Agostino D’Azzo, di 50 anni, è morto precipitando da un’altezza di sei metri, mentre lavorava a alla costruzione del tetto in un’abitazione a Garlasco
22/ 09/ 2009- Emanuele Depar, 29 anni, operaio originario della Costa d’Avorio, è morto mentre lavorava al Quadrante Europa di Verona, colpito violentemente alla testa dal rimorchio di un Tir durante una manovra di retromarcia.
23/ 09/2009- Fabio D’Ambretta, operaio 26enne, è morto schiacciato da una pedana di legno staccatasi da un montacarichi, mentre lavorava nel settore dell’imballaggio in uno stabilimento di conserve di pomodoro a Gragnano
23 09 2009 -Alberto Simoncelli, 43 anni, è morto precipitando per 15 metri dentro un cestello mentre riparava un tetto con un collega presso un’azienda di Brescia
23/ 09/ 2009- Said Karroui, operaio marocchino di 37 anni, è morto decapitato dalla lama di una piccola ruspa, in un cantiere di Arco, sul lago di Garda, in Trentino, dopo essere caduto alla guida del mezzo lungo un pendio.
23/ 09/ 2009 Mario Cuccu, di 50 anni, è morto dopo essere precipitato per nove metri a causa di un cedimento del ponteggio su cui stava lavorando con un collega, in un cantiere ad Olbia.
23/ 09/ 2009 - Giancarlo Relitti, giardiniere 50enne dipendente del Comune di Salsomaggiore, è morto per uno shock anafilattico causato dalle punture di diversi vespe mentre lavorava nei pressi di Costa Guarda
24/ 09/ 2009 -L’operaio Valerio Messuti, di 21 anni, è morto mentre lavorava con altri due colleghi sul cestello elevatore all’interno di una galleria autostradale in costruzione a Tarsia sulla A3 Salerno – Reggio Calabria, colpito alla testa da un blocco di argila staccatosi dallo scavo

24 /09/ 2009- Un operaio di 34 anni, Walter Cabiddu è morto in un’azienda cartaria nella zona industriale di Macchiareddu, travolto da un macchinario mentre spostava delle bobine di carta.

25/ 09 /2009 -Gianluca Bonfini, operaio di 32 anni, è morto schiacciato da un muro prefabbricato di un edificio in costruzione, mentre stava scaricando dei pannelli di legno dal camion della ditta presso la quale lavorava: un colpo di vento avrebbe fatto cadere il muro della struttura schiacciando il giovane che è morto sul colpo

26/ 09 /2009 -Roberto Molon, operaio di 44 anni, è morto all’ospedale di Vigevano in seguito ad un grave incidente sul lavoro che si è verificato venerdì in tangenziale: l’uomo era stato travolto in retromarcia da una schiacciasassi mentre stava stendendo l’asfalto con un badile.
26/ 09/ 2009- Wen Gaobo, operaio di nazionalità cinese di 32 anni, è morto schiacciato da un portone in ferro di un magazzino di Sesto Fiorentino
27 09 2009 E’ morto all’ospedale di Brescia Giancarlo Galeri, 47 anni, caduto il 21 settembre a Manerbio da un’altezza di tre metri mentre sistemava serramenti per conto di una ditta
27/09/ 2009- Ugo Morcelli, operaio di 56 anni, è morto per le ferite riportate sabato cadendo da un muro mentre stava lavorando in un cantiere nei pressi degli impianti di risalita a Livigno.
29 /09 /2009- Domenico Di Giovannantonio, 70 anni, è morto schiacciato dal ponte elevatore della sua officina meccanica situata a Castelnuovo Vomano.

La storia di Michele Ciminnisi e di Vincenzo Romano

La storia di Michele Ciminnisi e di Vincenzo Romano

Per caso. Si può vivere, per caso, o si può morire; per qualcuno questo conta meno di una monetina di rame. I pagani lo chiamano «fato», è «volontà divina» per i credenti. Loro due per puro caso sono stati ammazzati. O meglio, come dirà un pentito, «quando si spara si spara», mica si può distinguere, esitare. Si spara e si ammazza un boss; se muore qualcun altro è solo piombo sprecato, un vero peccato. I due protagonisti della nostra storia povera e semi sconosciuta si chiamano Michele Ciminnisi e Vincenzo Romano. Si conoscono da una vita, loro due, «paesani» di un piccolo centro come San Giovanni Gemini, arroccato su per la provincia di Agrigento.


Ciminnisi e Romano quel giorno stanno per morire l’uno di fronte all’altro. E’ il 29settembre del 1981. A ricordare quei momenti è Giuseppe Ciminnisi, figlio di Michele, che quel giorno era a giocare con i suoi amici per le strade di San Giovanni. Era un ragazzino di 14 anni, all’epoca. Mentre lui correva, tirava calci ad un pallone, suo padre, dopo il lavoro da impiegato comunale, si rilassava giocando a carte seduto al tavolo del bar Reina;



Vicenzo Romano era lì a guardarlo. Erano le sette di sera e quel piccolo locale era pieno. Dopo qualche minuto entra e si unisce a giocare con loro Calogero «Gigino» Pizzuto, che secondo molti pentiti in quel momento è il numero «3» della cupola palermitana, dopo Bontate ed Inzerillo. Pizzuto il 29 settembre è lì di passaggio. Lui è originario di Villalba, nel nisseno, ma vive a Palermo; è sua moglie ad essere originaria di San Giovanni Gemini. A ruota però lo seguono due, forse tre persone armate che raggiungono il boss e gli sparano contro diversi colpi. I killer sparano pur essendo completamente circondati da persone; ne hanno davanti, dietro e di fianco. Non importa. Loro sono lì per uccidere Pizzuto. Tutto il resto è solo «contesto». Sparano, e pure tanto. Fino a quando Pizzuto si accascia sul tavolo senza vita. Poi, con calma, raggiungono l’auto in cui li attende un complice e si dileguano. Nel bar oltre alla puzza di polvere da sparo, rimangono due, tre feriti, chi dai proiettili di rimbalzo, chi dalle schegge. Due corpi però sono immobili. Uno è quello del boss. L’altro è quello di Vincenzo Romano, stroncato da un proiettile che gli si pianta dritto nel cuore. Anche Michele Ciminnisi viene colpito da un proiettile che ha attraversato il corpo del boss. Cerca di alzarsi, si dirige verso l’uscita del bar, forse riesce a vedere anche l’auto dei killer che si allontana. Non importa, perché dopo qualche metro si accascia a terra senza vita. «Stavo giocando per strada, quando alcune persone mi dissero che era successo qualcosa al bar Reina – ricorda Giuseppe Ciminnisi -. Corsi verso il locale ma quando arrivai mi bloccarono impedendomi di vedere cosa era successo. Mi portarono a casa e mi dissero solo che mio padre era in ospedale, per un incidente. Solo all’indomani – conclude Ciminnisi - seppi la verità». Suo padre lascia una vedova, Nazarena, e tre orfani, Massimo, Carmelo e lo stesso Giuseppe. Fu una strage quella del bar Reina, una strage in cui morirono tre «vittime innocenti», come recitavano le prime cronache dell’epoca. Tutti però sapevano che le uniche vittime innocenti erano Ciminnisi e Romano. Pizzuto no, Pizzuto non era come loro. Pizzuto era uno che quella fine l’aveva messa in conto. Lui era un mafioso e questo oggi è assodato: si dibattè molto nei processi se fosse effettivamente capomandamento, se fosse capofamiglia di Castronovo o quant’altro. Ma che fosse mafioso e che fosse stato ucciso perché appartenente all’ala dei futuri «perdenti» nella guerra di mafia, nessuno ne ha mai dubitato. Giuseppe Ciminnisi oggi ha 43 anni, e solo da poco tempo riesce a raccontare questa storia senza crollare emotivamente. Dopo l’omicidio lui e la sua famiglia si ritrovano a fare i conti con qualcosa che prima ignoravano e che piomba loro addosso senza alcun preavviso. «Dopo l’uccisione di mio padre rimasi disorientato, senza riferimenti –dice Giuseppe-. Pensare che a parlarmi dei nostri diritti come familiari di vittima di mafia, dei benefit economici, delle assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni fu un tenente dei carabinieri, Lino Serra, che mi portò in caserma e mi spiegò tutto. Prima di lui non avevo mai incontrato lo Stato. Nessuno si era mai preoccupato di me, di noi». Passano gli anni e nulla si muove. Nessun processo, nessuna audizione dei familiari delle due vittime. Tutto tace fino a quando, tra il 1984 e il 1988, Tommaso Buscetta, durante la sua collaborazione con la giustizia, riconosce il Pizzuto come il numero «3» di cosa nostra palermitana. Sapeva della strage Don Masino, ma non aveva idea di chi fossero stati i killer. Dopo di lui ben nove collaboratori di giustizia raccontarono di quell’agguato e di quel «piccolo» errore dei killer.



Giuseppe Ciminnisi in quegli anni legge i giornali, accumula ritagli, prepara dei memoriali e inizia ad inoltrarli alla magistratura, chiedendo, alla luce di quanto emergeva, di istruire un processo sulla morte di suo padre e di Vincenzo Romano. Nel 1990 inizia il primo processo a Palermo sull’omicidio di Pizzuto, ma delle vere vittime di quell’agguato non si parla. Tutti gli imputati saranno assolti per insufficienza di prove: i pentiti non concordavano sugli esecutori materiali degli omicidi ma solamente sull’obiettivo dell’agguato. La situazione si sblocca solo nel 2003, dopo le dichiarazioni del super pentito Nino Giuffrè che racconta altri particolari sulla caratura criminale del Pizzuto e su quell’errore che era costato la vita a due innocenti. Ancora luce sul delitto verrà dalle dichiarazioni di Ciro Vara, mafioso latitante fino al 1994, che nel 2000 si decide a collaborare. «Vara – racconta Ciminnisi – dichiarò che ebbe un ruolo nella strage, ma solo come autista dei killer. Li andò a prendere e poi li riportò al sicuro dopo l’agguato». E Vara è l’unico superstite tra gli assassini: Gigi Garofano, Calogero Sala, Rosario Corsi, e Lillo Lauria, presunti killer, sono tutti morti ammazzati. E sarà sempre lo stesso Vara, qualora ce ne fosse stato bisogno, a ribadire in sede processuale che in quell’occasione «erano stati ammazzati due innocenti, e questo aveva fatto infuriare i vertici di cosa nostra». L’11 giugno del 2008, dopo la chiusura delle indagini, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, Vittorio Anania, rinvia a giudizio come mandanti dell’agguato di San Giovanni Gemini costato la vita a Ciminnisi e Romano: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Pippò Calò; il gotha di cosa nostra. Oltre ai familiari delle due vittime, anche il Comune di San Giovanni Gemini è parte civile nel processo, con il patrocinio dell'avvocato Debora Di Caro; lo stesso comune che nel 1981 aveva pagato i funerali al boss Pizzuto, scatenando un vespaio di polemiche. Ciminnisi non perde un’udienza. E’ in aula anche quando, a turno, vengono ascoltati in videoconferenza i tre «capi dei capi». Sono ascoltati in realtà i loro avvocati, perché i boss non aprono bocca. Ciminnisi, che nel frattempo è diventato vicepresidente dell’Associazione nazionale delle vittime di mafia, fondata da Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe, ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1993, aspetta il 16 marzo, data dell’interrogatorio di Nino Giuffrè, che potrebbe rivelarsi fondamentale. «Sono fiducioso per quanto riguarda il processo – confida Ciminnisi - perché sento che si arriverà ad una condanna, grazie ai collaboratori di giustizia e alle indagini che sono state condotte egregiamente». La domanda che sorge spontanea, ingenua, è quale soddisfazione possa derivare da un condanna, da un ergastolo inflitto a chi ne ha già un paio sulle spalle e non ha mai chiesto scusa, non si è mai pentito. «A me non interessa quanti ergastoli hanno, se uno, due o tre. Ne a quanti anni li condanneranno –dice Giuseppe-. Il mio desiderio è che finalmente si arrivi alla identità dei mandanti; quel giorno io saprò chi ha causato la morte di mio padre e di Romano». In questa storia, che assurda e atroce lo è già di per sé, si sono aggiunte altre beffe, causate talvolta dalla cieca burocrazia, talvolta da molto peggio. Come il rifiuto dei benefici dei familiari di vittime innocenti della mafia a Salvatore Romano: la Regione ha deciso che prima di fare qualunque passo si dovrà attendere la fine del processo, quando emergerà l’assoluta estraneità ai fatti delle due vittime, nonostante il quadro sia ormai chiarissimo. «Quando abbiamo sentito queste parole ci è sembrato giusto ricordare ai dirigenti regionali che non siamo noi gli imputati nel processo, ma siamo le vittime». Ultimo tentativo di «revisione» della vicenda viene, paradossalmente, da un parroco, don Totò Traina. «Durante un'intervista ra­diofonica –racconta Ciminnisi- citando un suo vecchio articolo con dati e circostanze sbagliate, ha commesso l'errore di non tracciare la linea di demarcazione tra le vittime innocenti della mafia morte nella strage e chi invece è stato assas­sinato in virtù della propria organicità in cosa nostra». Quando Giuseppe va dal prete a chiedere spiegazioni e scuse, don Traina gli risponde: «quello che dico io è sentenza». Di quale processo, però, non si sa.

Benny Calasanzio

MAFIA NEWS NOTIZIE



MAFIA: FINOCCHIARO, GIUSEPPINA LIMPIDO ESEMPIO DI BATTAGLIA NAZIONALE

(ASCA) - Roma, 30 set - ''Voglio esprimere ai figli Franco e Filippo e alle loro famiglie il profondo cordoglio mio e di tutte le senatrici e i senatori del Pd per la scomparsa della loro madre Giuseppina La Torre, una donna di cui non dimenticheremo mai il coraggio, il suo impegno politico, le sue battaglie contro la mafia e per i diritti, cosi' importanti per la Sicilia, per il Sud e per l'Italia intera''. Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato.

''Giuseppina La Torre - sottolinea Anna Finocchiaro - ha proseguito per molti anni della sua vita l'impegno politico del marito Pio , ricoprendo tra l'altro la carica di deputata all'Assemblea della Regione Sicilia, senza lasciarsi intimorire dall'immenso dolore e dall'umana paura di averlo perso per mano della mafia. Oltre al ricordo e al cordoglio per la perdita, dunque, resta l'esempio limpido di chi ha consacrato la vita alla battaglia antimafia, ed e' quello che oggi vogliamo celebrare''.

Mafia/ Caruso: Criminalità al Sud fa male anche al Nord
"Relazione Pisanu indica 'antimafia possibile'"


La mafia "fa in realtà male all'intero Paese se è vero come è vero che il fenomeno criminale organizzato è sempre, dappertutto, causa e contemporaneamente effetto del mancato sviluppo. Il Rapporto del Censis conferma che c'è ancora molto da fare". Così Antonino Caruso, capogruppo del Popolo della Libertà nella commissione Antimafia, commenta la presentazione del Rapporto Censis in commissione. Per Caruso "il fatto che venga registrato un minor numero di omicidi, che le stragi sembrano archiviate, che sembri in flessione il traffico degli stupefacenti non ci autorizza a pensare che sia in atto un declino delle organizzazioni criminali. La realtà è che le mafie di casa nostra hanno in molti casi 'cambiato aria', spalmandosi intanto su tutto il territorio nazionale e poi in molti altri Stati della vecchia e della nuova Europa, saldandosi con organizzazioni criminali locali; hanno inoltre cambiato volto, 'normalizzandosi' all'interno della Società e creando fitte schiere di 'insospettabili', professionisti, imprenditori, eccetera, con il compito di curare la fase terminale dei processi di riciclaggio e di avviare con i ricavati affari leciti quantomeno nell'apparenza e nella definizione". "Ciò significa - prosegue la nota dell'esponente del Pdl - che la lotta deve proseguire con livello di attenzione sempre più alto e sempre più specialistico. Forze di polizia e magistratura hanno conseguito risultati d'eccezione, operando con puntigliosità, con intelligenza e con grande professionalità, utilizzando i fondamentali strumenti che sono le leggi e le misure che Parlamento e Governo non hanno esitato a varare. Occorre che il Governo continui ad assicurare manutenzione permanente agli strumenti legislativi tipicamente finalizzati al contrasto criminale, ma occorre anche non siano ulteriormente esitati gli interventi strutturali che sono gli unici a poter permettere che siano spezzato il legame 'chimico' di causa/effetto del mancato sviluppo". "Il meridione - dice ancora Caruso - deve comprendere che non potrà mai più aspirare a politiche di assistenza in proprio favore, ma che deve proporre progetto e nuova iniziativa, per poter conseguire sostegno, incentivo e investimento, che né il Nord, né il Governo centrale devono tuttavia esitare a consegnare, obbligatoriamente adeguandosi ai tempi che chiede l'economia e l'impresa, e rinunciando a quelli della burocrazia e della politica. Meglio correre un rischio in più 'facendo', anche in un terreno accidentato come quello a radicamento mafioso, che non 'prudentemente' realizzare mai nulla. La relazione del presidente Pisanu indica nella buona amministrazione e nella trasparenza della politica la vera 'antimafia possibile', per la salvezza del Mezzogiorno e per lo sviluppo dell'intero Paese". "Non è possibile - ammonisce il parlamentare - rimanere indifferenti o peggio trascurare il fatto che i cittadini di Sicilia, Calabria, Puglie e Campania abbiano un PIL pari al 75% rispetto alla media europea con un ridotto tasso di sviluppo anche nei confronti del resto d'Italia. Il Popolo della Libertà come forza di maggioranza, il Parlamento e il Governo - conclude Caruso - non sono indifferenti e non intendono trascurare ogni azione possibile, di giustizia e di legalità, di sicurezza e di incentivo, di formazione e di investimento per favorire lo sviluppo".

Mafia: Ciancimino jr, Parisi non si piegava

Per questo fu ucciso, rivelazioni sui mandanti

(ANSA) - PALERMO, 30 SET - Parisi fu ucciso perche' non si piegava a compromessi, riferisce Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco condannato per mafia, Vito. L'imprenditore fu assassinato il 23 febbraio 1985 a Palermo insieme al suo autista Giuseppe Mangano.Dopo le affermazioni di Massimo Ciancimino, verra' disposta dalla procura, scrive il Giornale di Sicilia, la riapertura del fascicolo. Secondo Ciancimino jr, i mandanti esterni sarebbero vivi e legati al mondo imprenditoriale.


Mafia: Censis, 13 mln di italiani costretti a convivere con le cosche

Roma, 30 set. (Adnkronos) - Il 22% della popolazione italiana vive in comuni dove si sente la presenza mafiosa. E' quanto emerge dal rapporto del Censis sul 'Condizionamento delle mafie sull'economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno'.

Sicilia/ Morta a Roma moglie Pio La Torre,ucciso da mafia nel 1982
Era stata deputata regionale. Il cordoglio di esponenti del Pd


E' deceduta a Roma ad 82 anni Giuseppina Zacco, la vedova di Pio La Torre,il segretario regionale del Pci, ucciso dalla mafia il 30 aprile del 1982 con Rosario Di Salvo. Giuseppina Zacco, in passato, era stata eletta deputata regionale nelle file del Pds. "Con la scomparsa di Giuseppina Zacco, se ne va un pezzo di storia dell'assemblea regionale siciliana. Con la sua militanza e il suo impegno politico e sociale nel Pci e nel Pds, per il quale fu deputata nell'XI Legislatura, ha contribuito alla democrazia dell'autonomia siciliana e ha trasmesso l'eredità di un grande uomo politico come lo fu Pio La Torre" ha detto il deputato regionale del Partito Democratico Giuseppe Lupo, che ha espresso il suo cordoglio alla famiglia La Torre per la scomparsa di Giuseppina Zacco. "Giuseppina non era 'solo' la moglie di Pio La Torre, era una compagna impegnata ogni giorno dentro e fuori il partito e nel movimento democratico per l'emancipazione delle donne. Anche grazie alle sue battaglie, in Sicilia, si è affermato il riscatto delle donne". Lo dice Antonello Cracolici, presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico all'Assemblea regionale siciliana. "Il suo impegno, anche fra i banchi del parlamento regionale - aggiunge Cracolici - ha contribuito a portare avanti molte battaglie per una Sicilia, e per un Paese, più giusto e libero dalla mafia".

MAFIA: PISANU, COSCHE SI SONO INSEDIATE ANCHE AL CENTRO-NORD

Roma, 30 set. (Adnkronos) - Le mafie hanno risalito la Penisola e occupato altre aree del Paese, internazionalizzando le proprie attvita' in Europa e nel mondo. E' l'analisi, tracciata dal presidente della Commissione Antimafia, Giuseppe Pisanu, illustrando oggi i risultati di un rapporto curato dal Censis sul "Condizionamento delle mafie sull'economia, sulla societa' e sulle istituzioni del Mezzogiorno".

martedì 29 settembre 2009

AKRAGAS CALCIO Caso Sferrazza

Caso Sferrazza, il questore firma il Daspo

Il questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio, ha firmato il Daspo nei confronti di Gioacchino Sferrazza, presidente della società Akragas Calcio. Il provvedimento inibitorio ha validità quinquennale. “Il Daspo - come scrive l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive - è una misura di prevenzione atipica ed è caratterizzata dall’applicabilità a categorie di persone che versino in situazioni sintomatiche della loro pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, ovvero a quelli, specificatamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni stesse”. Alla luce di questa novità, Sferrazza non potrà avere accesso agli impianti sportivi per i prossimi 5 anni.


Girolamo Di Fazio


Caso Sferrazza

Il Questore revoca la licenza
Il Questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio ha ritirato per problemi di ordine pubblico la licenza di polizia concessa al Presidente della societa’ di calcio Akragas, Gioacchino Sferrazza, per svolgere manifestazioni di pubblico spettacolo come le gare sportive. L’Akragas, quindi, non giochera’ piu’ le partite del torneo di Eccellenza in casa. Il Questore Di Fazio afferma: ‘’ le licenze di polizia sono rilasciate ad personam e la storia personale del presidente dell’Akragas e’ cambiata dopo le sue dichiarazioni, e quindi l’ho revocata ”.



Sferrazza si scusa e si dimette



Nicola Ribisi - Gioacchino Sferrazza




Si scusa pubblicamente Gioacchino Sferrazza, il presidente dell’Akragas che domenica scorsa aveva dedicato la vittoria al suo amico Nicola Ribisi, arrestato alcuni giorni addietro con l’accusa di essere il presunto boss mafioso di Palma di Montechiaro. E dopo le scuse l’annuncio delle dimissioni, decisione presa dopo la notifica del daspo da parte del Questore di Agrigento che gli impedirà l’accesso negli stadi italiani per i prossimi cinque anni.

Sferrazza ha detto di sentire ‘il bisogno di chiedere scusa a tutte le istituzioni, ai tifosi e alla citta’ intera’ per la dedica a Nicola Ribisi, da lui definito ‘amico fraterno’. ‘La mia – ha detto Sferrazza – non voleva essere una dedica alla mafia, ma all’amico’.
Il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, quasi in contemporanea con la conferenza stampa di Sferrazza, ha invocato la partecipazione di una cordata di imprenditori ‘affinche’ si facciano carico – ha detto – del futuro della squadra di calcio cittadina. Se cosi’ non fosse al danno enorme che e’ stato fatto alla citta’ si aggiungerebbe la beffa’.
Domani, Zambuto, il prefetto di Agrigento Umberto Postiglione, il questore Girolamo Di Fazio e i vertici dei carabinieri saranno presenti alla partita di coppa Italia Favara – Akragas. ‘E’ un segnale forte quello che vogliamo dare – ha concluso Zambuto – perche’ per le colpe di un singolo non possono pagare una squadra e la collettivita’ intera. Saremo li’ per ribadire l’importanza dello sport quando questo e’ sano.

Caso Akragas, giornalista minacciato e aggredito verbalmente

“Un altro collega del Giornale di Sicilia minacciato per avere svolto il suo compito con serieta’ e professionalita”. Dopo Jose’ Trovato, bersaglio di inequivocabili e pesanti minacce da parte della criminalita’ organizzata in provincia di Enna, oggi e’ toccato a Gerlando Cardinale, che ad Agrigento e’ stato aggredito verbalmente e intimidito da alcuni facinorosi dell’Akragas Calcio per avere riportato le gravi dichiarazioni del presidente Gioacchino Sferrazza che domenica aveva dedicato la vittoria della squadra ad un boss locale’. E’ quanto si legge in una nota del Cdr del Giornale di Sicilia.
‘Il Cdr manifesta le sue preoccupazioni per un’escalation di violenza che mette a rischio l’incolumita’ dei giornalisti in Sicilia – prosegue la nota – ed esprime la propria solidarieta’ e vicinanza al collega Gerlando Cardinale, cronista preciso e puntuale”.


Minacce a Gerlando Cardinale, intervento dell’UNCI

Il Gruppo siciliano dell’Unci, Unione nazionale cronisti italiani e la sezione agrigentina dell’Unci, esprimono solidarietà al cronista della redazione agrigentina del Giornale di Sicilia, Gerlando Cardinale, pesantemente minacciato e insultato, nel tardo pomeriggio, di oggi da sconosciuti, a margine della conferenza stampa che il presidente dell’Akragas Gioacchino Sferrazza, ha tenuto nei locali del centro sportivo “La Pinetina” di via Cavaleri Magazzeni di Agrigento. Cardinale, è il cronista che tre giorni addietro ha diffuso, per primo, la notizia relativa alla dedica della vittoria dell’Akragas Calcio al presunto boss di Palma di Montechiaro Nicolò Ribisi, arrestato per mafia dalla Dda di Palermo. “Ci auguriamo – ha detto il presidente dell’Unci Sicilia, Leone Zingales – che le forze dell’ordine facciano luce sullo sconcetante episodio di quest’oggi. I cronisti Siciliani si sono sempre distinti per il loro coraggio e la lorio serietà professionale con la quale ogni giorno descrivono fatti riguardanti cosche mafiose e crimini di ogni genere”.
“Chiediamo – ha dichiarato il fiduciario della sezione Unci di Agrigento Gero Tedesco – al questore, al comandante dei carabinieri, della Guardia di Finanza e alla Procura di Agrigento di fare luce sull’inquietante episodio di oggi e di tutelare il collega minacciato”.

Minacce a Gerlando Cardinale, solidarietà dell’Assostampa

La segreteria provinciale dell’ Assostampa esprime solidarietà e vicinanza al collega del Giornale di Sicilia Gerlando Cardinale, aggredito verbalmente e minacciato questa sera da alcuni facinorosi dell’ Akragas Calcio a conclusione della conferenza stampa tenuta dal Presidente dimissionario della società all’indomani delle sue dichiarazioni post partita, che gli sono costate un Daspo di 5 anni, emesso dal questore di Agrigento.

“Le dichiarazioni dell’ex presidente Gioacchino Sferrazza, riprese e rilanciate domenica scorsa soltanto dal cronista del Giornale di Sicilia, Gerlando Cardinale, presenti nell’occasione anche collaboratori di altre testate regionali, è un fatto sconcertante, grave, che pone problemi per la categoria dei giornalisti agrigentini”. Di fronte ad una dichiarazione clamorosa e inquietante, non si può girare la testa altrove, o fare finta di niente perchè l’unico risultato è stato quello di avere sovraesposto un collega serio e professionale, che fa correttamente il suo mestiere di cronista. L’Assostampa si dichiara preoccupata per il clima che si è venuto a creare e per questo chiede alla Forze dell’Ordine continuare a vigilare sulla situazione.

lunedì 28 settembre 2009

AKRAGAS CALCIO : 0 VERGOGNA INCIVILE : 5




L'Akragas vince, dedica al boss mafioso

Radiazione Immediata

L'Akragas vince, dedica al boss
E il questore gli toglie il campo

Gioacchino Sferrazza ha definito «amico fraterno» un uomo arrestato. Il questore: «Messaggio devastante»






AGRIGENTO - L'Akragas non potrà giocare più le partite del torneo di Eccellenza in casa: il questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio, ha ritirato per problemi di ordine pubblico la «licenza» di polizia che era stata concessa al presidente della società di calcio, Gioacchino Sferrazza, per potere svolgere «manifestazioni di pubblico spettacolo» come sono le gare sportive. «Le licenze di polizia - ha spiegato il questore Di Fazio - sono rilasciate "ad personam" e la storia personale del presidente dell'Akragas è cambiata dopo le sue dichiarazioni e quindi l'ho revocata».

LA VICENDA - Gioacchino Sferrazza domenica si era presentato ai giornalisti, dopo il successo per 5 a 0 contro lo Sporting Arenella (partita del campionato di Eccellenza) e, dallo stadio «Esseneto» di Agrigento, aveva lanciato il suo messaggio trasmesso in diretta da un'emittente radiofonica e cioè quello di dedicare la vittoria della sua squadra al presunto capo mafia di Palma di Montechiaro Nicola Ribisi, arrestato il 17 settembre scorso dalla polizia. I cronisti gli avevano fatto notare subito che si trattava di una «dedica fuori luogo», visto che era rivolta a un presunto boss mafioso. Per protesta, Sferrazza aveva imposto ai giocatori e all'allenatore il silenzio stampa.


LA DIFESA - Ma dopo che erano scoppiate le polemiche sul caso il presidente aveva fatto marcia indietro: «Ho dedicato la vittoria all' amico Nicola, non al boss mafioso». Queste dichiarazioni Sferrazza le aveva rilasciate al Tg5: «Io - ha puntualizzato il presidente - non entro nel merito se sia colpevole o innocente: fino a quando non ci si sarà una condanna Nicola per me resta un amico che fino a dieci giorni fa era con noi sempre allo stadio». Il presidente dell'Akragas aveva anche ricordato il «legame con la squadra dell'amico Nicola» sottolineando che la dedica «mi è stata chiesta da tutta la società, giocatore e tecnici».

IL QUESTORE - Sulla vicenda il questore di Agrigento Girolamo Di Fazio, prima di revocare la concessione dello stadio, aveva detto: «La dedica della vittoria dell'Akragas al presunto capo mafia di Palma di Montechiaro, Nicola Ribisi, ci lascia senza parole. Quanto è accaduto domenica a margine della partita di calcio giocatasi allo stadio Esseneto ci fa tornare indietro di 40 anni. I sentimenti che animano lo sport in generale e il calcio in particolare sono stati praticamente cancellati con un netto colpo di spugna». E poi aveva aggiunto: «Le parole di Sferrazza non passeranno inosservate - conclude il questore - e non è escluso che sulla vicenda possa venire aperta un'inchiesta della procura».

FIGC - Ora anche la Procura federale della Federazione italiana gioco calcio ha aperto un'istruttoria sulle dichiarazioni di Sferrazza. Il procuratore federale Stefano Palazzi ha acquisito i virgolettati riportati dagli organi di informazione e con ogni probabilità procederà al deferimento di Sferrazza per la violazione dell'articolo uno del codice di giustizia sportiva.

CHI E' - Ribisi, il presunto boss, 29 anni, titolare di un supermercato, è stato infatti arrestato il 17 settembre scorso. È accusato di associazione mafiosa. Secondo la polizia sarebbe il nuovo capo famiglia di Palma di Montechiaro. Il presidente dell'Akragas, 45 anni, invece, è titolare, insieme al fratello e ad altri familiari, di una catena di negozi che vendono dai giocattoli agli articoli da regalo.

Mafia: Agguato a Catania, Ucciso Pregiudicato


Mafia: Agguato a Catania, Ucciso Pregiudicato

Palermo, 28 set. - (Adnkronos) - Omicidio di stampo mafioso nella tarda serata di ieri a Catania, dove ignoti hanno ucciso un uomo di 46 anni, Francesco Palermo, ritenuto un ex affiliato alla cosca dei Cursoti, colpito da diversi proiettili. L'agguato e' avvenuto in via Caronda, dove la vittima si trovava sulla propria automobile, una Bmw, con la moglie e la figlia.

Due sicari a bordo di uno scooter hanno affiancato la vettura ed esploso dei colpi di pistola di grosso calibro, uccidendolo. Nella sparatoria sono rimaste illese la moglie e la figlia minorenne che sono sotto choc. L'indagine e' coordinata dalla Dda di Catania.

AGGUATO A CATANIA, UCCISO REGGENTE CLAN CURSOTI

CATANIA - Oltre dieci colpi di pistola di grosso calibro che lo hanno crivellato. E' stato ucciso come un boss Francesco Palermo, 46 anni, che gli investigatori indicano come un esponente di spicco della cosca dei Cursoti, assassinato a Catania nella centrale via Caronda. E il delitto potrebbe essere collegato a un omicidio 'eccellente': quello di Nicola Lo Faro, 45 anni, cognato del boss ergastolano Giuseppe Garozzo, ucciso in un agguato di mafia il 4 maggio scorso.

Secondo fonti giudiziarie qualificate, Palermo potrebbe sarebbe stato il 'successore' di Lo Faro alla guida del clan dei Cursori, svolgendo il ruolo di 'reggente'. L'ipotesi privilegiata è che l"omicidio possa essere da inquadrare nell' ambito di una faida tra cosche rivali a Catania. L'agguato della notte scorsa, che nelle modalità si rivela di chiaro stampo mafioso, è avvenuto vicino a una sala Bingo dove l'uomo era andato a prendere la moglie e la figlia minorenne, che non erano in auto con lui quando è avvenuta la sparatoria, contrariamente a quanto si era appreso da fonti investigative in un primo momento. Palermo aveva posteggiato in seconda fila la sua Bmw di grossa cilindrata e stava per scendere quando i sicari sono entrati in azione sparando: la violenza dei colpi lo ha devastato e ucciso sul colpo.

La stessa tecnica era stata adoperata per eliminare Lo Faro, marito della sorella del boss Garozzo: era in via Cardì, nel rione Nesima di Catania, alla guida in una Mercedes classe A quando due sicari su una moto di grossa cilindrata l'hanno affiancato sparando una decina di colpi di pistola. Sull'uccisione di Francesco Palermo indaga la squadra mobile della Questura di Catania, coordinata dal sostituto procuratore Francesco Testa della Direzione distrettuale antimafia etnea.

Riace, boss della 'ndrangheta crivellato tra la folla in festa


Riace, boss della 'ndrangheta crivellato tra la folla in festa

Un capo della criminalità organizzata calabrese è stato assassinato oggi in mezzo alla folla radunata per la festa patronale a Riace, paese celebre per gli omonimi bronzi gioiello dell'antichità. Continua a leggere questa notizia



Verso le 12.30, come ricostruito dai carabinieri, Damiano Vallelunga, capo dell'omonima famiglia di 'ndrangheta della zona di San Bruno in provincia di Vibo Valentia, è stato crivellato di colpi da uno o più sicari nella ressa della folla radunata per la festa di San Cosimo e Damiano, a poca distanza dall'omonio santuario.

Con il boss c'era anche un immigrato senegalese, che ferito a sua volta a colpi di pistola ora è in fin di vita all'ospedale di Locri.

"Siamo davanti ad un chiaro agguato di stampo mafioso", hanno detto i carabinieri di Reggio Calabria che stanno indagando sull'omicidio.


Mafia: Caselli, c'e' Rischio Che Lotta Diventi In Salita

(AGI) - Roma, 27 set. - "Per quanto riguarda la mafia quando l'attacco supera una certa asticella, allora lo Stato reagisce, e delega alle forze dell'ordine e alla magistratura interventi affinche' la violenza mafiosa sia riportata ben sotto l'asticella". L dice il procuratore di Torino, Gian Carlo caselli in una intervista a "I Giovani di Citta'"Insieme a Gian Carlo Caselli, in occasione della presentazione del suo nuovo libro "Le due Guerre". In quella fase, rileva Caselli, "forze dell'ordine e magistratura hanno il sostegno delle forze politiche, delle istituzioni, della societa' civile; ed e' un sostegno forte, robusto, che pero' dopo un biennio di solito tende a declinare. E' successo a Falcone e Borsellino, e' successo dopo le stragi del '92 e succede quando, dopo esserti occupato doverosamente dei mafiosi di strada, cominci ad occuparti altrettanto doverosamente delle cosiddette 'relazioni esterne'. Complicita' con pezzi - guai a generalizzare - della politica, delle istituzioni, della cultura, dell'informazione, dell'economia, della finanza, della stessa societa' civile. E allora ecco quel che stava andando bene subisce dei rallentamenti, addirittura delle interruzioni traumatiche, oppure una strada - come nel caso delle associazioni antimafia dopo le stragi del '92 - che da pianeggiante si fa in salita e quindi il traguardo si allontana".

venerdì 25 settembre 2009

Processo “Sicania 2″, chieste 6 condanne (3 all’ergastolo)


I miei FRATELLI Enzo e Salvatore Vaccaro Notte




delitti di mafia nell'entroterra agrigentino



dario broccio

E' durata circa 6 ore la requisitoria del pubblici ministeri Rita Fulantelli, della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, e Gemma Miliani, della Procura della Repubblica di Agrigento, al processo celebrato contro sette imputati della provincia agrigentina coinvolti nell'inchiesta sfociata, il 12 luglio del 2007, nell'operazione denominata «Sicania 2».


Cosca dei Pidocchi

I rappresentanti della pubblica accusa al termine dei loro articolati e circostanziati interventi hanno chiesto la condanna all'ergastolo per Stefano Fragapane, 30 anni, di Santa Elisabetta, Giuseppe Fanara, 52 anni, anch'egli di Santa Elisabetta, e Giovanni Aquilina, 60 anni, di Grotte. I tre sono ritenuti, a vario titolo, responsabili degli omicidi di Vincenzo Vaccaro Notte, Salvatore Vaccaro Notte,Filippo Cuffaro, Salvatore Oreto e Giuseppe Alongi.

I due Pm hanno inoltre chiesto la condanna a 18 anni di reclusione per Salvatore Fragapane, 52 anni, di Santa Elisabetta; a 15 anni di carcere per Giuseppe Brancato, 50 anni, di Canicattì; a 10 anni per Francesco Leto, 74 anni, di Sant'Angelo Muxaro. Costoro sono invece ritenuti responsabili, a vario titolo, dei tentati omicidi di Salvatore Grassonelli e Silvio Cuffato, nonché di associazione mafiosa.

Infine, i pubblici ministeri hanno chiesto il non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione dello stesso nei confronti di Carmelo Milioto, 29 anni, di Santa Elisabetta. L'imputato è accusato del solo reato di favoreggiamento.

Finita la requisitoria, hanno preso la parola gli avvocati Giuseppe Sciarrotta, Tiziana Cacciatore Pier Luigi Cappello e Nino Casalicchio che rappresentano la parti civili costituite in giudizio. I legali si sono associati alle richieste formulate dalla pubblica accusa, chiedendo la condanna degli imputati anche al risarcimento dei danni in favore dei loro clienti.

Il processo, che si celebra nell'aula bunker del carcere di contrada Petrusa dinanzi ai giudici della Corte d'Assise (presidente Franco Marino, a latere Lisa gatto), proseguirà il 6 e l'8 ottobre con le arringhe degli avvocati della difesa: Salvatore Collura, Giovanni Castronovo, Salvatore Pennica, Daniela Posante e Diego Galluzzo. Subito dopo, i giudici entreranno in camera di consiglio per la sentenza.

Altri quattro imputati coinvolti nella medesima operazione, Raffaele Fragapane, 31 anni, di Santa Elisabetta, Pasquale Vella, 45 anni, di Raffadali, Roberto Vito D'Alessandro, 40 anni, di Sant'Angelo Muxaro, e Vincenzo Licata, 53 anni, di Grotte, sono stati processati con l'abbreviato.

sabato 19 settembre 2009

Mafia: Arrestato Presunto Capo Mafia Dell'Agrigentino


Mafia: Arrestato Presunto Capo Mafia Dell'Agrigentino

Agrigento, 18 set - La polizia ha arrestato, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Palermo su richiesta della direzione distrettuale antimafia, Nicolo' Ribisi, 29 anni, di Palma di Montechiaro, ritenuto il nuovo capo della famiglia mafiosa palmese. Gli inquirenti sono arrivati al 29enne tramite i pizzini di Bernando Provenzano. In alcuni di questi biglietti, infatti, un cugino di Termini Imerese di Ribisi, Giuseppe Bisesi, presenta al ''capo dei capi'' il giovane palmese descrivendolo come ''uomo d'onore, persona di massima fiducia, facente parte di una famiglia tradizionalmente legata alla vecchia mafia, l'emergente capo per la famiglia''. Ad ''incastrare'' Ribisi sono state anche le rivelazioni dei collaboratori di giustizia Maurizio Di Gati e Giuseppe Sardino. Alle ricostruzioni dei ''pizzini'' e alle dichiarazioni dei pentiti, si e' anche aggiunta l'attivita' d'indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia.

Mafia "Scacco Matto" si pente Rizzuto


Mafia "Scacco Matto" si pente Rizzuto

Collabora con la Giustizia il capo di Cosa nostra di Sambuca di Sicilia, Calogero Rizzuto. La famiglia e’ gia’ stata trasferita in una localita’ segreta. (Angelo Ruoppolo)

La sua famiglia non abita piu’ a Sambuca di Sicilia. E’ stata trasferita, in una localita’ segreta. Cosi’ come lui, Calogero Rizzuto, 49 anni, di Sambuca di Sicilia, presunto capo della Cosa nostra del paese, adesso pentito. Lui, Rizzuto, e’ detenuto dal 4 luglio del 2008, il giorno del maxi blitz antimafia cosiddetto ‘’ Scacco matto ‘’. 34 arresti per mafia, estorsioni e appalti pilotati. Manette tra Ribera, Burgio, Montevago, Menfi, Sciacca, Sambuca di Sicilia, Santa Margherita Belice e Lucca Sicula. Sfugge alla cattura Giuseppe Falsone, il re di Cosa nostra agrigentina, e lo scacco e’ quasi matto perche’ tra gli arrestati vi sarebbero tanti cavalli, alfieri e torri del superlatitante di Campobello di Licata. Tra gli atti dell’inchiesta vi sono anche le registrazioni delle microspie nascoste dentro l' officina meccanica di Antonino Gulotta a Montevago, che Calogero Rizzuto, insieme a lui, Gino Guzzo, capo della famiglia di Montevago e del Mandamento del Belice, avrebbero adibito come quartiere generale delle loro presunte attivita’ illecite. Ad esempio, e’ stato intercettato il taglieggiamento di una impresa impegnata nei lavori di recupero della rete fognaria di Sciacca. Lo scorso 3 luglio, il Giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Palermo, Giangaspare Camerini, ha rinviato a giudizio 39 indagati. La prima udienza del processo abbreviato si e’ svolta ieri, giovedi’ 17 settembre, al Tribunale di Palermo. Lui, Calogero Rizzuto, gia’ operaio presso l’Ato rifiuti 1 Sogeir , non ha risposto presente all’appello del Giudice. Poi si e’ capito perche’.

Mafia: Si Pente Boss Belice, Famiglia Sotto Protezione

(AGI) - Agrigento, 17 set. - Calogero Rizzuto, 49 anni, di Sambuca di Sicilia (Agrigento), ritenuto dalla Dda di Palermo il capo mandamento nella zona del Belice di Cosa Nostra ha deciso di collaborare con la magistratura. L'uomo, arrestato lo scorso anno nell'ambito dell'operazione 'Scacco Matto' che ha permesso di sgominare le cosche della zona del Belice in provincia di Agrigento, da qualche giorno e' sottoposto a misure di protezione eccezionale. La sua famiglia, con l'eccezione di una figlia, ha gia' lasciato Sambuca di Sicilia e trasferita in un luogo sicuro. Proprio stamane a Palermo doveva prendere il via il processo con il rito abbreviato relativo all'inchiesta Scacco Matto. Calogero Rizzuto ha gia' cambiato avvocato. Secondo quanto si e' appreso, Rizzuto, legatissimo alla famiglia Capizzi di Ribera, a loro volta legatissimi ai Corleonesi di Toto' Riina, avrebbe gia' fatto importanti ammissioni.

mercoledì 16 settembre 2009

'Ndrangheta, colpite due cosche di Locri, 27 arresti


'Ndrangheta, colpite due cosche di Locri, 27 arresti

Due clan della 'ndrangheta che taglieggiava i commercianti di Locri sono stati colpiti oggi dai carabinieri, che hanno arrestato 26 persone e notificato un'ordinanza di custodia a un ergastolano già in carcere. Lo hanno riferito i militari della compagnia di Locri e del comando provinciale di Reggio Calabria. Continua a leggere questa notizia

L'operazione, che prende le mosse dalla denuncia dei commercianti di Locri di essere taglieggiati da parte della mafia nel 2006 -- era la prima volta che ciò accadeva --, ha portato i militari ad arrestare affiliati ai clan Cordì e Cataldo, entrambi con base nella cittadina in provincia di Reggio Calabria.

Tra gli altri è finito in manette Attilio Cordì, figlio del boss che è morto in carcere. Le accuse per i 27 sono di associazione a delinquere di stampo mafioso, usura e traffico d'armi.

Raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in prigione è stato Domenico Audino, condannato all'ergastolo per essere stato il fiancheggiatore del killer di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale calabrese, ucciso a Locri il 16 ottobre 2005.

L'operazione dei carabinieri coordinati dal colonnello Francesco Iacono della compagnia di Locri e dal colonnello Carlo Pieroni del comando provinciale di Reggio Calabria ha permesso il sequestro di un'agenzia immobiliare, il cui titolare, Rocco Iennaro è stato arrestato all'alba, di 30.000 euro in contanti e di 120.000 in assegni.

'Ndrangheta: Mantovano, Opera Bonifica Dello Stato Con Aiuto Cittadini

(ASCA) - Roma, 16 set - ''Non conosce sosta l'attivita' di bonifica dello Stato dei territori piu' esposti alla penetrazione delle organizzazioni mafiose. L'operazione effettuata in mattinata in Calabria potrebbe non far piu' notizia, ma proprio la quantita' degli arresti e la mole di beni sequestrati grazie alle norme piu' incisive sul punto contenute nella legge sulla sicurezza, costituiscono successi che meritano la piu' ampia attenzione mediatica''. Lo afferma il sottosegretario all'Interno, Alfredo Manbtovano, commentando l'operazione delle forze dell'ordine di oggi contro la cosca Cordi' nella Locride. ''Proprio in una terra come quella di Calabria - prosegue - il ripristino della legalita' e' la piu' importante premessa per la rivitalizzazione sociale ed economica dell'area. E' superfluo ribadire quanto la piena collaborazione dei cittadini con lo Stato sia il piu' potente moltiplicatore dell'efficacia dell'azione repressiva. Ringrazio le forze dell'ordine e l'autorita' giudiziaria, la cui attivita' ha consentito di assicurare alla giustizia i 25 elementi affiliati alla cosca Cordi', accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso, usura ed estorsioni''.


Camorra: Latitante Clan Gionta Arrestato Nel Napoletano

Napoli, 16 set. - (Adnkronos) - Vincenzo Ambrosino, di 32 anni e' stato arrestato a Torre Annunziata dopo un anno e mezzo di latitanza. Ambrosino, presunto appartenente al clan Gionta, attivo a Torre Annunziata, era ricercato in base a due ordinenze di custodia cautelare emesse dai tribunali di Ancona e di Napoli. Ambrosino era ricercato per traffico di droga e associazione mafiosa finalizzata al traffico internazionale di droga.


Sanità, 26 arresti tra farmacisti e medici per truffe a Napoli




I carabinieri del Nas di Napoli hanno eseguito oggi 26 ordinanze di custodia cautelare -- di cui tre in carcere -- nei confronti di medici e farmacisti ritenuti responsabili di truffe ai danni del Servizio sanitario nazionale. Continua a leggere questa notizia

Lo riferiscono i carabinieri in una nota, precisando che le ordinanze sono state emesse dal gip del Tribunale di Napoli Aldo Policastro, e che gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere, contraffazione di pubblici sigilli, falsità ideologica, ricettazione, corruzione e truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale per un ammontare di oltre due milioni di euro nel biennio 2006/2007.

Le indagini, riporta la nota, hanno fatto luce su un'organizzazione costituita da ricettatori, medici di famiglia, farmacisti e faccendieri vari che rubavano ricette in bianco da studi medici nelle province di Napoli e Caserta per poi compilarle con prescrizioni di medicinali costosi usando "dati anagrafici di ignari pazienti e firme di inconsapevoli medici".

I farmaci così procurati venivano poi "venduti sul mercato parallelo internazionale attraverso ditte inglesi", continua la nota, aggiungendo che è emerso anche "il coinvolgimento di alcuni medici di base, farmacisti compiacenti e un informatore medico-scentifico ... che provvedevano -- dietro pagamento -- ad emettere ricette mediche false per la successiva illecita acquisizione di farmaci, per lo più ad alto costo".

Nel corso delle indagini sono state sequestrate migliaia di confezioni di medicinali e di ricette.

domenica 13 settembre 2009

Arrestato il latitante Carmelo Barbaro



Arrestato il superlatitante Carmelo Barbaro
Deve scontare 22 anni di carcere


Ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altri reati, è stato bloccato in un appartamento all’interno di uno stabile sul centralissimo piazzale della libertà, a Reggio Calabria, dai carabinieri del comando provinciale reggino

Reggio Calabria, 12 settembre 2009 -
I carabinieri hanno messo fine alla latitanza di Carmelo Barbaro, di Platì, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altri reati.

Barbaro, che deve scontare oltre 22 anni di carcere, è stato tratto in arresto in un appartamento all’interno di uno stabile sul centralissimo piazzale della libertà, a Reggio Calabria, dai carabinieri del comando provinciale reggino.

I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno arrestato stasera il latitante Carmelo Barbaro, di 61 anni, considerato dagli investigatori un elemento di spicco della cosca De Stefano-Tegano di Reggio e killer per la stessa cosca. Barbaro era inserito nell'elenco dei 30 ricercati piu' pericolosi d'Italia. Barbaro era latitante dal 2001 dopo una condanna definitiva a 22 anni e cinque mesi di reclusione per associazione mafiosa, omicidio ed altro. Alcuni collaboratori di giustizia lo hanno indicato come l'esecutore materiale di alcuni omicidi accaduti nel corso della guerra di mafia a Reggio Calabria.

E' stato bloccato mentre si trovava nello studio di un chirurgo estetico per farsi togliere i tatuaggi che aveva sul petto. Gli investigatori stavano seguendo le sue mosse da oltre un anno, con pedinamenti di persone a lui vicine ed appostamenti in varie zone della citta'. Stasera, i carabinieri del reparto operativo del Comando provinciale di Reggio si sono resi conto che Barbaro si stava recando nello studio medico situato nella zona di Ponte della liberta', hanno atteso che l'uomo entrasse, quindi hanno fatto irruzione.



I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria che hanno arrestato Barbaro, hanno arrestato anche altre quattro persone per procurata inosservanza di pena, un reato piu' grave del favoreggiamento, contestato in quanto Barbaro era stato condannato con sentenza passata in giudicato. A finire in manette e' stato Francesco Pisano, di 61 anni, di Polistena; il chirurgo estetico presso il cui studio Barbaro si era recato per farsi cancellare dei tatuaggi, la sua infermiera, Maria Assunta Condello (40), di Varapodio, e due coniugi che hanno accompagnato Barbaro, Agostino Ceriola (65) e Anna Pellicone (58), di Reggio Calabria. Al momento dell'irruzione dei carabinieri nello studio medico, l'infermiera ha cercato di nascondere la cartella clinica di Barbaro, ma e' stata vista e bloccata. Sul documento c'era il vero nome del latitante. Da qui l'arresto per medico ed infermiera.

mercoledì 9 settembre 2009

Mafia: Scacco a Frangia Leccese Sacra Corona Unita, 38 Arrestati


Mafia: Scacco a Frangia Leccese Sacra Corona Unita, 38 Arrestati

(ASCA) - Roma, 9 set - Dalle prime ore della mattina la Polizia di Stato di Lecce ed i Carabinieri del ROS stanno eseguendo in provincia di Lecce ed in altre localita' del territorio nazionale, ordinanze di custodia cautelare in carcere, nei confronti di 38 indagati (capi clan ed affiliati alla Sacra Corona Unita.) per omicidio e tentato omicidio aggravati dal metodo mafioso. Le indagini della Squadra Mobile di Lecce e dei Carabinieri del R.O.S, avviate nel 2002 ed incentrate sui clan dominanti della frangia leccese della sacra corona unita attivi nel Salento hanno consentito di ricostruire, anche sulla base delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, i moventi, gli autori e i mandanti di oltre 18 omicidi e 10 tentati omicidi commessi durante la Guerra di mafia che determino' il cruento scontro armato per il controllo del territorio che, tra il 1987 al 2002, vide contrapposti gli storici sodalizi leccesi ''De Tommasi'' e ''Tornese'' e successivamente all'interno dello stesso clan ''De Tommasi'' tra il gruppo ''Toma-Cerfeda'' e ''Pellegrino-Presta-Vincenti''.

La polizia di Stato di Lecce e i carabinieri del Ros stanno eseguendo oggi 38 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di affiliati ad un clan della Sacra Corona Unita per omicidio e tentato omicidio aggravati dal metodo mafioso.


Ne dà notizia una nota della polizia di Stato, precisando che gli arresti sono in corso di esecuzione in provincia di Lecce e in altre località del territorio nazionale.

Le indagini -- avviate nel 2002 su clan dominanti della frangia leccese della Sacra Corona Unita attivi nel Salento -- hanno fatto luce sui "moventi, gli autori e i mandanti di oltre 18 omicidi e 10 tentati omicidi commessi durante la Guerra di mafia", tra il 1987 e il 2002, si legge nel comunicato.

Musica mp3


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giovedì 3 settembre 2009

Napolitano ricorda Dalla Chiesa


Napolitano ricorda Dalla Chiesa

PALERMO - "La mafia va sconfitta per sempre, è un traguardo difficile ma non utopistico". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che ha partecipato alla cerimonia per l'anniversario dell'omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente Domenico Russo.

"Puntiamo alla mafia capitalistica - ha aggiunto - all'aggressione dei patrimoni mafiosi. Perchè, proseguendo quella che era la filosofia del generale Dalla Chiesa di contrasto alla criminalità organizzata stiamo togliendo alla mafia oltre ai beni anche gli strumenti esteriori dei boss, fra cui anche le auto che sono messe a disposizione delle forze dell'ordine".

"Il paese ricorda con immutata emozione la cieca violenza di quell'atto con il quale la mafia volle colpire un fedele servitore dello Stato, pronto a contrastarla con nuovi ed efficaci metodi investigativi e con il coinvolgimento e il sostegno dell'intera popolazione: così come aveva fatto negli anni precedenti quando, con determinazione e intelligenza, aveva combattuto la feroce aggressione terroristica".



Lo scrive nel suo messaggio in occasione del 27mo anniversario della strage Dalla Chiesa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Il barbaro attentato - continua il Capo dello Stato - provocò un unanime moto di indignazione cui seguì un più deciso e convergente impegno delle istituzioni e della società civile, che ha consentito di infliggere colpi sempre più duri alla criminalità mafiosa ed alla sua capacità di controllo del territorio. Le dolorose immagini di quella tragica sera non debbono però essere dimenticate.

Il sacrificio del generale Dalla Chiesa e quello di tanti altri caduti per mano di mafia debbono restare vivi nella memoria di tutti ed imporre alle istituzioni, alla società civile ed alle nuove generazioni una continua vigilanza contro le persistenti forme di presenza e di infiltrazione della criminalità organizzata, non meno pericolose anche quando meno appariscenti".