venerdì 31 gennaio 2014

Guardia di finanza: "Nel 2013 in Sicilia 260 milioni di finanziamenti pubblici illeciti"



PALERMO. Lotta allo sperpero del denaro pubblico. Sequestri e confische dei patrimoni della criminalità mafiosa. Lotta all'evasione fiscale. Frodi in danno dei consumatori. Questi sono stati i punti su cui si è incentrata l'attività della Guardia di Finanza in Sicilia lo scorso anno. Lo ha detto il comandante Ignazio Gibilaro, incontrando i giornalisti al comando regionale.

«Nel corso di 442 investigazioni, sono stati individuati oltre 260 milioni di finanziamenti pubblici (provenienti dall'Unione Europea, dallo Stato, dagli Enti locali) illecitamente percepiti; altri 21,5 milioni di euro sono stati ”bloccati” prima che venissero indebitamente erogati». «Le persone complessivamente denunciate per tali reati sono 788, di cui 21 arrestate - ha affermato Gibilaro - Strettamente connesse alle attività di tutela alla spesa pubblica sono state anche le numerose (oltre 270) indagini volte alla ricostruzione di episodi di corruzione e concussione, peculato, abuso d'ufficio e violazioni alla normativa sugli appalti; più in generale, per i reati contro la Pubblica amministrazione, sono stati segnalati all'autorità giudiziaria 625 soggetti, di cui 48 arrestati». Gli accertamenti eseguiti in materia di ”cattiva gestione” delle risorse pubbliche hanno fatto scattare indagini alla Procura regionale della Corte dei Conti.

Ai magistrati contabili sono stati segnalati 471 soggetti ritenuti responsabili di aver causato (con dolo o con colpa grave) ”danni erariali” per 423 milioni di euro. A chi ha rubato soldi pubblici i finanzieri hanno sequestrato circa 25 milioni di euro. Non sono mancati anche i sequestri e le confische alla criminalità organizzata. «Sono stati sviluppati approfonditi accertamenti patrimoniali sul conto di 865 persone fisiche e di 251 società ed imprese - ha affermato Gibilaro - Nei confronti di 477 soggetti sono stati eseguiti provvedimenti di sequestro ai sensi della normativa antimafia, per un valore complessivo di beni e disponibilità finanziarie pari a 696 milioni di euro; inoltre sono stati confiscati beni e liquidità per ulteriori 183 milioni di euro».

Reggio, la ritrattazione dell'ex pentito non convince

In Appello le accuse di Lo Giudice restano valide

La corte d'Appello nelle sue motivazioni sulla sentenza dello scorso ottobre che ha visto condannare sei persone e assolverne una non hanno dubbi: la ritrattazione di Nino Lo Giudice non è credibile mentre restano credibili le sue dichiarazioni iniziali rilasciate durante i primi interrogatori


REGGIO CALABRIA - «La ritrattazione del pentito Antonino Lo Giudice è poco credibile». A sostenerlo sono i giudici della Corte d’appello nelle motivazioni della sentenza che lo scorso ottobre ha condannato sei persone (tra cui lo stesso collaboratore scomparso a giugno e ritrovato a novembre) e ne ha assolto una. Durante la latitanza, Lo Giudice aveva fatto recapitare a Reggio Calabria due memoriali in cui ritrattava le accuse formulate nei precedenti verbali e accusava magistrati e forze dell’ordine di averlo spinto a rendere dichiarazioni persino su persone che non conosceva.

«La Corte - si legge nelle motivazioni - ritiene che la ritrattazione contenuta in detto memoria non sia assolutamente in grado di scalfire l’attendibilità delle dichiarazioni di Lo Giudice, e ciò per molteplici ragioni».
Secondo i magistrati della Corte d'Appello alla base della non credibilità della ritrattazione c'è l’assenza di motivazioni che avevano spinto il pentito ad allontanarsi dalla località protetta in cui stava scontando una condanna per le intimidazioni ai magistrati di Reggio Calabria. I magistrati, dunque, ritengono che non si è capito se la circostanza della sua scomparsa sia «una scelta volontaria, indotta o forzata».

A ciò si aggiunge il fatto che «nel memoriale non viene per nulla spiegato per quali ragioni gli inquirenti avrebbero dovuto indurre il collaboratore ad accusare persone innocenti e, specificamente, quelle persone che costui aveva ripetutamente chiamato in causa» senza contare che «anche il suo esasperato sentimento di vendetta nei confronti di familiari e amici appare francamente motivato in modo piuttosto generico (l'essere stato abbandonato durante la carcerazione o l’essere considerato la causa delle disgrazie della famiglia) e, comunque, collidente con il ruolo di vertice della cosca che gli è stato attribuito dagli altri pentiti».
Senza dimenticare che «le accuse ai magistrati e alle forze dell’ordine non hanno mai trovato alcun riscontro, nè esistono dubbi sulla loro correttezza». 

Reggio, 'ndrangheta nei villaggi turistici

Rinviate a giudizio 24 persone, 3 prosciolti

Ventiquattro persone, tra cui Rocco Morabito di Africo e diversi ex dipendenti del comune di Brancaleone, saranno processate nell'ambito con l'accusa di aver riciclato i soldi delle 'ndrne nell'attività di costruzione e gestione dei villaggi turistici nel reggino
 
 
di PASQUALE VIOLI
REGGIO CALABRIA – Tre proscioglimenti e 24 rinvii a giudizio per il processo “Metropolis”. Stralciata la posizione dell’irlandese Fitzsimons. Nicola Rocco Aquino, Domenico Aquino e Francesco Strangio sono stati completamente scagionati dal Gip di Reggio Calabria dalle accuse mosse dalla Dda nell’ambito del processo “Metropolis”. Sono stati invece rinviati a giudizio altri 22 indagati, tra loro Rocco Morabito di Africo, l’ingegnere Bruno Verdiglione, Domenico Vallone e Rocco Aquino, oltre a ex dipendenti del comune di Brancaleone e progettisti. Per tutti e 22 la prima udienza del processo è stata fissata per il 25 marzo a Reggio Calabria. Andranno invece ad essere giudicati in rito abbreviato il prossimo 15 maggio Domenico Scipione e Giuseppe Carrozza. 
L’udienza preliminare si è conclusa all’indomani del maxi sequestro da 200 milioni di euro del residence “Gioiello de mare” a Brancaleone (LEGGI)
 
"Metropolis" è l’indagine della Dda di Reggio Calabria che avrebbe disarticolato un'associazione internazionale attiva nel settore dell'edilizia per la realizzazione e lo sfruttamento di impianti turistici. L’operazione, condotta nel marzo scorso dallo Scico, dal Nucleo di polizia tributaria di Reggio Calabria e dal Gruppo di Locri sotto la direzione del procuratore aggiunto della Dda reggina Nicola Gratteri, era culminata con l’emissione di 20 ordinanze di custodia cautelare e il sequestro di beni per 450 milioni di euro. 
 
Fitzsimons, la cui posizione è stata stralciata, condannato nel Regno Unito ad otto anni di carcere per atti di terrorismo, secondo l’accusa aveva effettuato investimenti in Italia nel settore immobiliare turistico-residenziale insieme a esponenti della criminalità organizzata calabrese e, specificatamente, della 'ndrina di Africo. Proprio nell’appartenenza al gruppo terroristico, per la Dda, è da individuarsi la provenienza dell’enorme flusso di denaro che sarebbe stato veicolato verso attività di riciclaggio. L’operazione Metropolis ha consentito di rivelare come la 'ndrangheta, grazie alla sua forza di intimidazione, avesse assunto la gestione e il controllo, diretto o mediato, della realizzazione di decine di complessi turistico-residenziali sedenti, per la maggior parte, nella zona ionica-reggina della Calabria.

Incastrato dal dna

Per un omicidio di 7 anni fa a Ostuni


BRINDISI – E' stato incastrato dagli esami eseguiti sul Dna uno dei presunti assassini – di cui al momento non è stato reso noto il nome – di Cosimo Semeraro, detto 'Mimmo Capellonè, di 36 anni, di Ostuni (Brindisi), ucciso a colpi di fucile in campagna il 9 novembre del 2007. Stamani i carabinieri di Brindisi, a seguito di analisi tecniche e scientifiche eseguite dal Ris di Roma, hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare per omicidio chiesta dal pm Marco D’Agostino e disposta dal gip Giuseppe Licci.

I fatti risalgono a sette anni fa: il cadavere dell’uomo fu trovato accanto alla sua auto, una Golf che fu data alle fiamme dai sicari. Da quanto emerse in un primo momento il delitto era maturato nell’ambito della criminalità locale dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti. Semeraro, con precedenti penali, la sera dell’assassinio stava rientrando a casa, a Ostuni dove lo attendeva la giovane compagna.

Torre Annunziata Avvocati truffatori

Bolli falsi si documenti, Quindici legali nel mirino della Procura

di Dario Sautto
I bolli clonati sui documenti dei processi delle cause civili. Il cerchio si stringe intorno al gruppo di avvocati e impiegati che manovrava sull’imbroglio.

 Su cinque bolli l’Agenzia delle Entrate è riuscita a risalire alla falsificazione, ma i casi sarebbero centinaia.
Formalmente non c’è alcun nome iscritto nel registro degli indagati, ma proseguono l’acquisizione di documenti e le attività investigative coordinate dalla Procura di Torre Annunziata sullo scandalo di molte cause civili, in particolare tra i tribunali di Gragnano e Castellammare di Stabia.

Da giorni circolano nei corridoi del palazzo di Giustizia oplontino si parla di 15 avvocati finiti nel mirino della Procura e che presto potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati insieme a due cancellieri o impiegati compiacenti.

Caserta. Blitz all'alba, preso il figlio del boss Belforte




Caserta. Camillo Belforte, figlio del boss dell'omonimo clan, Salvatore, e ritenuto dagli investigatori l'attuale reggente del gruppo camorristico, è stato arrestato dai Carabinieri in un'operazione scattata all'alba nel Casertano.

Insieme a lui sono state arrestate altre tre persone tutte accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, detenzione e vendita di armi e materiale esplosivo. Nell'ambito delle indagini è stato anche trovato e sequestrato un arsenale del clan composto da 10 pistole, una pistola mitragliatrice e anche una bomba a mano del cosiddetto modello «ananas».

L'indagine è la stessa che, nei mesi scorsi, ha portato alle notifiche di provvedimenti cautelari nei confronti di un consigliere regionale campano, di alcuni dirigenti dell'ASL di Caserta e di persone ritenute prestanome del gruppo camorristico di Marcianise. Tra le ordinanze eseguite in quel contesto figura anche il sequestro di beni mobili e immobili per circa 30 milioni di euro.

Le indagini che hanno portato all'arresto di Camillo Belforte, per la prima volta colpito da una misura cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico, sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e sono state condotte dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta con controlli, pedinamenti e attività tecniche di vario tipo, insieme all'acquisizione di riscontri ad alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia in passato affiliati allo stesso clan Belforte. Nell'inchiesta sono stati ricostruiti i ruoli svolti, all'interno del gruppo camorristico, dalle quattro persone arrestate stamani.

giovedì 30 gennaio 2014

Froda il Fisco per vent’anni evaso il valore della mini Imu

Proprietario di immobili e società, ha nascosto 270 milioni


grazia longo
Roma
Tra case, terreni, yacht e società fasulle è riuscito ad evadere al fisco, in 20 anni, la bellezza di 270 milioni di euro. «Mister mini Imu», all’anagrafe Giovanni De Pierro, nato a Napoli 64 anni fa, residente a Roma nonostante risulti emigrato a Barcellona, è stato smascherato ieri mattina da procura e Guardia di Finanza.

E poiché appena l’altro ieri le Fiamme gialle hanno recuperato altri 154 milioni riconducibili a imprenditori accusati di reati fiscali, il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone giustamente osserva: «In due giorni siamo arrivati a sequestri per 424 milioni di euro, importo pari alla mini Imu per la quale il Parlamento ha discusso tanto negli ultimi mesi. Se si riuscisse a fare una seria lotta all’evasione...».  

Grazie alla nuova strategia attivata da Pignatone per aggredire i patrimoni «di soggetti socialmente pericolosi, anche se non mafiosi, c’è stato un incremento dell’800 per cento dell’ammontare dei beni sequestrati». E il generale Ivano Maccani, comandante provinciale della Finanza, ribadisce che dall’inizio dell’anno nella Capitale sono finiti sotto sequestro beni per 480 milioni di euro. In tutto il 2013 l’ammontare complessivo fu di 500 milioni. La volontà del procuratore è quella di continuare in questa direzione.

Nel caso di «Mister mini Imu», le indagini sono decollate anche grazie alla differenza di quanto denunciato sulla dichiarazione dei redditi rispetto al tenore di vita. Basti pensare che De Pierro nel 2011 dichiarò solo 86 mila euro, 149 mila nel 2010 e 178 mila nel 2009. Peccato che grazie a un sistema di scatole cinesi e di prestanome in realtà possedesse 14 società estere, con sedi tra il Regno Unito e il Costa Rica, 15 società-consorzi, con sedi in Italia come quella di facchinaggio per l’aeroporto di Linate.

E ancora: 174 unità immobiliari (fabbricati e terreni, tra cui la discarica di Borgo Montello, Latina, oggetto di diverse indagini da più autorità giudiziarie, tra le quali la Dda della procura della Repubblica di Napoli per l’interramento, negli Anni Ottanta, di fusti contenenti rifiuti chimici, altamente tossici, ad opera del clan dei Casalesi); 32 autoveicoli, due yacht di oltre 20 metri; numerosi conti correnti. Tutto, senza mai un versamento di tasse e contributi, per un valore di 270 milioni di euro.

De Pierro è indagato per aver organizzato un gruppo dedito all’appropriazione indebita, alla truffa di enti pubblici, alla bancarotta fraudolenta, al riciclaggio di capitali illeciti, al trasferimento fraudolento di valori e alla perpetrazione di reati tributari.
 

Napoli. Latitante chiede la pensione: arrestato prima delle visite mediche




Latitante chiede la pensione, arrestato prima della visita medica. È accaduto a Napoli, nella sede dell'Inps di via Galileo Ferraris, dove gli agenti della squadra mobile e quelli del commissariato di Acerra, hanno arrestato Gaetano De Rosa, 43enne di Acerra, per associazione a delinquere ed estorsione.

In particolare l'uomo, ritenuto dagli inquirenti componente di un nuovo sodalizio criminale che estorceva danaro ad imprenditori edili, è stato fermato dagli agenti poco prima che si sottoponesse ad una visita medico-legale per un riconoscimento pensionistico.

I poliziotti hanno notato il 43enne mentre entrava nella hall di accettazione, con il volto quasi del tutto coperto da una sciarpa nera che prima di avvicinarsi al banco si guardava intorno per assicurarsi di non essere riconosciuto.

Ma gli agenti, che erano a conoscenza della visita medica prenotata, lo hanno bloccato ed arrestato. L'uomo era destinatario di un'ordinanza cautelare e nelle scorse settimane era sfuggito all'arresto.

Napoli, agguato davanti alla palestra: uomo ucciso con numerosi colpi di pistola



di Claudia Procentese
NAPOLI - Agguato di camorra a Secondigliano intorno alle 11,30.

Antonio Errichelli, 46 anni, detto 'o cinese, è stato crivellato di colpi in una traversa di via Pintor, a ridosso del corso Secondigliano.

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La vittima, secondo le prime ricostruzioni della polizia subito accorsa sul posto, sarebbe un elemento di spicco della cosca dei Licciardi, clan egemone nella confinante Masseria Cardone, per il quale avrebbe gestito il giro di estorsioni. L’uomo è stato raggiunto da un numerosi colpi di arma da fuoco alla testa e al torace mentre era in un’auto dopo essere uscito da una palestra. Ad indagare gli agenti del locale commissariato diretti dal vicequestore Antonio Cristiano.

Ragazzina si masturba e si riprende col cellulare

E i compagni pubblicano il video on line

E' accaduto in un istituto superiore di Reggio Calabria, dove gli amici di una studentessa di 16 anni hanno scoperto il video dopo averle sottratto il telefono. A quel punto il video ha iniziato a fare il giro dei cellulari fino ad essere pubblicato on line Indaga la polizia postale
 
 
di MICHELE INSERRA
REGGIO CALABRIA - Si riprende con il telefonino mentre fa autoerotismo con una spazzola per capelli. E il video viene messo in circolazione attraverso WhatsApp. E’ così cominciato un vero e proprio incubo per una ragazzina di appena sedici anni la cui libertà è stata pesantemente violata da alcuni compagni di classe. Incubo che ha inevitabilmente avuto riflessi anche sulla sua famiglia. La vicenda si è consumata all’interno di un istituto superiore di Reggio Calabria qualche giorno fa. Un gruppo di ragazzi si sarebbe impossessato del cellulare della minorenne e ne avrebbe “spulciato” interamente il contenuto. Ad attirare l’attenzione dei giovani un video con immagini nitide della loro amica mentre si masturbava.

E’ bastato un click e così da un telefonino all’altro, attraverso WhatsApp, la scena privata è diventata di dominio pubblico. L’esercito dei voyeur ha pertanto preso d’assalto il filmato. Un danno enorme per una ragazzina che stava semplicemente “esplorando” la sua sessualità, conoscendo il suo corpo e la sua femminilità. E che ha deciso di filmare quel momento e con imprudenza di lasciarlo “incustodito” all’interno dell’inseparabile cellulare. Nessun tipo di reato, per lei. Sulla diffusione impropria di un video che era e doveva restare privato indaga invece la polizia postale, a cui spetta adesso il compito di individuare i responsabili di un gesto inqualificabile.

Chiudere la faccenda relegandola ad una semplice bravata di ragazzini sarebbe l’ennesimo colpo a chi si è visto minare la propria dignità. Ed è per questo motivo che gli investigatori vogliono far presto luce sull’intera vicenda. E soprattutto chiarire come siano andati effettivamente le cose.

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Tragedia familiare a Cosenza in via Popilia

Nipote uccide lo zio con 7 colpi di pistola

Una persona è stata uccisa nel pomeriggio a Cosenza in un vero e proprio agguato compiuto sulla popolare via Popilia. L'uomo è stato ferito nei pressi della propria abitazione con 7 colpi di pistola ed è morto nel corso del trasporto in ospedale. A sparare sarebbe stato il nipote che si è costituito autoaccusandosi dell'omicidio
 

COSENZA - Un vero e proprio agguato più che una sparatoria si è verificato nel corso del pomeriggio nella trafficata e popolare via Popilia all'altezza degli uffici del Giudice di Pace a Cosenza. A perdere la vita un 61enne, Francesco Bertocco, che abitava proprio sul posto al primo piano, l'uomo non aveva precedenti penali. Sul luogo dell'agguato sono intervenuti gli inquirenti e le forze dell'ordine, in particolare gli agenti della Squadra Mobile. A distanza di alcune ore dall'omicidio si è costituito autoaccusandosi dell'agguato il nipote della vittima, il 34enne Giovanni Bertocco. Il delitto, quindi, è maturato in seno alla famiglia.

Secondo la ricostruzione al vaglio degli inquirenti l'uomo sarebbe stato ferito con sette colpi di arma da fuoco esplosi da una pistola calibro 7,65 appena sceso dalla sua automobile, una Fiat Punto. Una volta fuori dal mezzo è stato avvicinato dal nipote che ha sparato diversi colpi di pistola. L’uomo è stato raggiunto in più parti del corpo mentre il nipote, figlio del fratello, si è allontanato dal luogo dell’agguato facendo inizialmente perdere le sue tracce per poi a distanza di alcune ore consegnarsi agli inquirenti. Bertocco, che è apparso subito in gravi condizioni, è stato soccorso da alcune persone ed accompagnato nell’ospedale di Cosenza, dove è morto poco dopo.

Le mazzette contro la burocrazia: in Calabria

15mila imprenditori hanno "comprato" un servizio

Funzionari, politici e forze dell'ordine sono le categorie più pagate, secondo uno studio di Demoskopika e Bcc Mediocrati. E la Regione corre ai ripari: si lavora su una bozza del piano triennale di prevenzione contro la corruzione
 
 
di GIOVANNI VERDUCI
REGGIO CALABRIA – Carezzina, regalo, obbligo, unguento o tangente. Sono tanti i sinonimi dietro ai quali si nasconde la mazzetta. Gli imprenditori calabresi, almeno una buona parte di essi, lo sanno bene. Hanno imparato a conoscere i meccanismi che in Calabria devono essere oliati per ottenere ciò che è dovuto per legge in tempi un po meno biblici di quelli non previsti dal codice ma legati a doppio filo con una burocrazia malata. Sono circa quindici mila i capi d'azienda che hanno avuto a che fare con le richieste di mazzette da parte di personaggi appartenenti alla Pubblica amministrazione. E' questo uno dei dati indicativi del fenomeno che sono stati messi nero su bianco nel rapporto sulla corruzione elaborato dall'istituto “Demoskopika” e Bcc Mediocrati.

Sono percentuali aggiornate agli anni scorsi, ma offrono con chiarezza le sabbie mobili dentro le quali è costretta a muoversi la Calabria ed il suo sistema produttivo. Ora questi dati sono finiti dentro la bozza del Piano triennale di prevenzione della corruzione studiato dalla Regione Calabria. Ma la cosa ancora più grave è che dal 2011 in poi, in Italia, la percezione della corruzione secondo le stime di “Trasparency international” è in costante decrescita. Tre anni fa, infatti, lo “Stivale” ha fatto registrare il risultato più basso in termini assoluti, piazzandosi agli ultimi posti della classifica europea ed essendo superata, in peggio, solo dalla Romania, dalla Bulgaria e dalla Grecia. “Anche il rapporto Corruption di Eurobarometro del febbraio 2012 – si legge nella bozza del Piano preparato dalla Regione Calabria – conferma l’accentuarsi di questo differenziale rispetto agli altri Stati europei: l’87% dei cittadini italiani ritiene la corruzione un serio problema nel proprio Paese, in crescita del 4% rispetto a 2 anni prima (la media europea è del 74%); il 95% degli italiani – circa il 6% in più rispetto a due anni prima - ritiene che vi sia corruzione nelle proprie istituzioni nazionali; il 92% in quelle regionali e locali (la media europea è, rispettivamente, del 79 e 75%); il 75% degli italiani ritiene che gli sforzi del governo per combattere la corruzione siano stati inefficaci (la media europea è del 68%)”.

La corruzione è un virus capace di infettare tutti i livelli istituzionali, dal più altro a quelli locali. Per il 60% dei cittadini intervistati da Demoskopika la corruzione fa parte della cultura d'impresa e oltre il 25% ha assistito o si è trovato coinvolto in maniera personale in episodi di corruttela. La tangente, però, troppo spesso viene considerata con un mezzo per ottenere vantaggi o risolvere problemi piuttosto che come comportamento da “stigmatizzare ad ogni livello”. “Il deprecabile fenomeno della corruzione – si legge ancora nel documento – costituisce una delle principali cause dell’inefficienza dei servizi pubblici, del dissesto della finanza pubblica e della perdita di fiducia dei cittadini e delle imprese verso le istituzioni”.Rimanendo alla Calabria, poi, il report dell'istituto Demoskopika mette in evidenza che l'86,9% degli intervistati ritiene che ci sia corruzione nelle istituzioni regionali e l'83,2% in quelle locali.Nella platea dei corruttori, poi, si sono funzionari, politici e appartenenti alle forze dell'ordine.

“La richiesta di tangenti - secondo lo studio - è stata fatta principalmente da funzionari che gestiscono gli appalti pubblici (26,1%) e da politici (17%), seguiti con percentuali inferiori da persone che lavorano nelle forze dell'ordine (11,4%) e da soggetti che si occupano del rilascio di concessioni edilizie e di permessi per lo svolgimento di altre attività economiche e commerciali (11,4%). Secondo il 45,8% degli imprenditori la motivazione più frequente della richiesta di tangenti è per velocizzare una pratica, per il 33,3% è per ricevere in cambio un servizio o un beneficio e solo per l'8,3% per evitare problemi con le autorità”.L'accaparramento degli appalti e delle erogazioni di finanziamenti pubblici sono i primi obiettivi per chi chiede e chi eroga le mazzette.

Colpiti patrimoni dei clan: sigilli tra Roma e la Calabria

Sequestrato anche un complesso turistico da 200 milioni

Due distinte operazioni eseguite in contemporanea hanno riguardato beni riconducibili alla 'ndrangheta. Ville case e terreni a Palmi e nella Capitale sono stati sottratti a padre e figlio ai quali già era stato tolto un hotel di lusso al Gianicolo. E nella Locride intervento su un maxi villaggio



DUE diverse operazioni contro gli affari della 'ndrangheta sono state compiute all'alba di oggi. Una delle due ha portato al sequestro di beni per dodici milioni di euro tra Palmi e Roma, l'altra ha messo i sigilli ad un maxi complesso turistico-residenziale a Brancaleone, nella Locride.

IL VILLAGGIO CHE INTERESSAVA I CLAN DELLA LOCRIDE - Si tratta di procedimenti distinti fra loro, ma ispirati allo stesso criterio: colpire i clan dal punto di vista economico. E così a Brancaleone è stata la Guardia di finanza ha sequestrato il villaggio del valore di 200 milioni di euro, alla cui realizzazione sarebbero state interessate le cosche di 'ndrangheta degli Aquino e dei Morabito. Il sequestro è stato fatto dal Comando provinciale di Reggio Calabria e dallo Scico di Roma delle Fiamme gialle, in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip del Tribunale reggino su richiesta della Dda. Cinque persone sono state denunciate a piede libero, tra imprenditori e pubblici funzionari, per abuso d’ufficio e falsità ideologica, aggravati dalla finalità di agevolare la 'ndrangheta, oltre che per reati paesaggistici ed urbanistici.

I PROPRIETARI DEGLI HOTEL DI ROMA E PALMI - Più articolato il sequestro da 12 milioni che ha riguardato due imprenditori di Palmi, Giuseppe e Pasquale Mattiani di 79 e 51 anni, rispettivamente padre e figlio. L’operazione è stata condotta dagli agenti della Polizia di Stato di Reggio Calabria e Palmi, in collaborazione con i centri operativi della Dia di Roma e Reggio, a seguito di indagini coordinate dalla locale Procura Antimafia. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati una villa, un fabbricato composto da 4 appartamenti, un immobile commerciale e vari terreni a Palmi, oltre ad altri tre immobili in zone lussuose di Roma. 

GUARDA IL VIDEO DEL SEQUESTRO
Ai Mattiani lo scorso 12 novembre furono sequestrati due alberghi a quattro stelle: l’"Arcobaleno" a Palmi e il prestigioso "Grand hotel del Gianicolo" a Roma, su viale delle Mura Gianicolensi (LEGGI L'ARTICOLO e GUARDA IL VIDEO)

Mafia, il pentito Fontana ritratta su attentato a Falcone: "Inventai tutto"



PALERMO. Il pentito Angelo Fontana ritratta le dichiarazioni sul fallito attentato a Giovanni Falcone (sugli scogli davanti la villa del magistrato all'Addaura il 21 giugno '89), dice di essersi inventato tutto e che nei giorni in cui aveva indicato di aver partecipato all'esecuzione dell'attentato - che poteva essere anche solo un tentativo d' intimidazione - si trovava negli Stati Uniti con obbligo di firma. L'ex mafioso dell'Acquasanta ha parlato coi pm di Caltanissetta - scrive il Giornale di Sicilia - che hanno aperto un'inchiesta per calunnia e autocalunnia.

Alcune dichiarazioni di Fontana che aveva accusato il cugino Angelo Galatolo di aver partecipato al fallito attentato, erano state riscontrate dall'analisi del dna di alcuni reperti trovati sugli scogli del lungomare palermitano che avevano dimostrato che le tracce appartenevano proprio a Galatolo. Ma Giuseppe Di Peri, il legale di un altro cugino omonimo di Angelo Galatolo, imputato in un altro processo, ha trovato un foglio che dimostra l'obbligo di firma che aveva Fontana nel periodo del fallito attentato a New York.

Fontana dunque si è inventato tutto. Nel luglio 2010 il pentito fu portato proprio all'Addaura per ricostruire «fisicamente» le scene che aveva raccontato agli investigatori. Fontana aveva accusato di aver piazzato i candelotti di dinamite di fronte la villa di falcone i mafiosi Salvatore Madonia, Gaetano Scotto, Raffaele e Angelo Galatolo e se stesso. Nella vicenda del fallito attentato si sono inserite anche  indagini sull'omicidio dell'agente di polizia Antonino Agostino, sulla scomparsa del collaboratore del Sisde Emanuele Piazza e su un presunto ruolo di pezzi dei servizi segreti.

L’Aifa accusa il metodo Stamina

 “Altissimi rischi per la salute”
Audizione in Commissione al Senato. Il ministro Lorenzin: «Nuovi casi
simili potrebbero scoppiare presto». I Nas: «Minacce ai parlamentari»



«Casi simili a Stamina possono nascere ogni giorno» e quindi «dobbiamo costruire dei sistemi di difesa del servizio sanitario nazionale». È il ministro della Salute Beatrice Lorenzin a intervenire in serata da Milano sulla vicenda Stamina, alla luce anche di quanto è emerso dalle audizioni, in commissione Sanità del Senato, dei carabinieri dei Nas e dell’agenzia per il farmaco, Aifa: «Potremmo avere a breve un caso Stamina due, tre o quattro».

«Guardo con viva attenzione e preoccupazione a quanto sta emergendo a Torino e dall’indagine conoscitiva» ha aggiunto il ministro secondo la quale «dobbiamo costruire dei sistemi di difesa del servizio sanitario nazionale dove il metodo scientifico e il rigore siano riconosciuti da tutti, per rafforzare le istituzioni mediche, che devono avere l’ultima parola».

Il ministro ha osservato che «come Paese siamo stati soggetti anche in passato a casi simili anche più forti» ma ora «è sempre più difficile dare una corretta informazione ai cittadini, che devono avere fiducia nelle istituzioni mediche e scientifiche. Non si può fare medicina con un tweet». Ad annunciare la possibilità di altri casi Stamina, era stato il comandante dei carabinieri dei Nas, Cosimo Piccinno, nella sua audizione al Senato, un’eventualità confermata anche dal direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), Luca Pani, e dalla senatrice Elena Cattaneo.

«Sono in corso accertamenti amministrativi che potrebbero evolvere in atti di polizia giudiziaria su altri casi di infusioni di cellule staminali al di fuori delle regole con gravi rischi per la salute» ha segnalato Piccinno. Ed anche Pani ha parlato del «sospetto» che «la deregolamentazione sulle staminali possa aver prodotto altri fenomeni del genere, non solo Stamina”. Un’ulteriore conferma è giunta da Cattaneo: «Anche a me - ha detto - stanno arrivando diverse segnalazioni relative a infusioni di staminali al di fuori della legge. Non vorrei che ci fosse un `effetto domino´. Mi è arrivata ad esempio la segnalazione di alcune staminali giapponesi infuse in una ragazzina che a seguito di una meningite ha perso il nervo ottico».

Altro capitolo è quello relativo alle minacce: «In sede di approvazione del decreto Balduzzi - ha riferito Piccinno - sono circolati messaggi di propaganda e minacce verso coloro che avrebbero potuto votare contro gli emendamenti finalizzati alla prosecuzione dei trattamenti Stamina. Da rappresentanti del Movimento vite sospese, che fa capo a Stamina, sono giunti messaggi di minaccia via e-mail ai deputati. Questo è stato segnalato all’autorità giudiziaria”.
Intanto, Le famiglie dei pazienti in cura agli Spedali di Brescia, riunite nel Movimento per le Cure Compassionevoli, hanno diffidato la direzione ed i 9 medici degli Spedali «responsabili della somministrazione delle cure compassionevoli con Protocollo Stamina» dall’aderire al cosiddetto `sciopero bianco´. 

lunedì 27 gennaio 2014

Oggi la Giornata della Memoria

Iniziative, mostre e spettacoli per ricordare lo sterminio del popolo ebraico



Sono numerosi momenti di incontro e riflessione dedicati alla memoria delle vittime della Shoah, che si sono già svolti nei giorni scorsi in molti luoghi e spazi della città. Oggi nella Giornata della Memoria, si concentrano molte delle iniziative pensate e organizzate per ricordare lo «sterminio del popolo ebraico, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte», e anche «coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati», come recita la legge istitutiva della Giornata della memoria. Palazzo Marino celebra la Giornata della Memoria con un incontro dedicato alla figura di Vincenzo Gigante, comandante partigiano e Medaglia d’oro della Resistenza. L’iniziativa, che prende il via alle 18 in Sala Alessi, si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed è realizzata con il patrocinio di Comune di Milano, Anpi, Aned, Fondazione Memoria della Deportazione, Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Comune di Brindisi e Regione Puglia - Gabinetto del Presidente della Giunta Regionale.

Aperto al pubblico invece «Il canto del popolo ebraico massacrato» presso la Biblioteca «Niguarda», alle ore 18: Marina De Col e Maria Vittoria Jedlowski mettono in scena «Il canto del popolo ebraico massacrato», poema epico-tragico del popolo ebraico di fronte al proprio sterminio, affidandolo a una voce recitante e agli accordi di una chitarra solista. Tratto dall’omonimo libro di Yitzha Katzenelson. Sempre alle ore 18, presso la Biblioteca Sormani si svolge «Diciotto passi. Identità ebraica e Shoah», conferenza con proiezione video e lettura di brani tratti dal romanzo di Paola Fargion, intitolato appunto «Diciotto passi. Alla ricerca delle radici smarrite». Presenta Giulia Ichino e accompagna al violino Patrizia Bettiga. Alla Biblioteca «Dergano-Bovisa», infine, alle ore 20.45, letture di Antonella Imperatori Gelosa tratte dal libro «A Gusen il mio nome è diventato un numero» di Angelo Signorelli, deportato politico. Eventi anche nelle Zone. Alle ore 9:30, e fino alle ore 12, il Consiglio di Zona 5 organizza presso l’auditorium «Centro Puecher», in via Dini 7, l’iniziativa/incontro «Noi, testimoni oggi» che vedrà gli interventi del giornalista Gad Lerner, del Presidente del Centro studi «Beth Shlomo» di corso Lodi Eugenio Schek e degli studenti degli Istituti scolastici Kandinskj, Feltrinelli e Agnesi. Nell’atrio dell’auditorium è allestita una mostra fotografica sul tema della «Memoria» curata dagli studenti del Liceo Allende-Custodi.

Livorno commemora la Giornata della Memoria 2014 in ricordo della tragedia della Shoah con una serie di eventi che, a cominciare da oggi e che si protrarranno fino al 12 febbraio. Saranno cerimonie istituzionali, performance teatrali, film e presentazione di libri, canti sefarditi e reading letterari rivolti a studenti, donne, sportivi, a tutti i cittadini, per meditare su quanto è accaduto nella storia e - per usare le parole di Primo Levi - «scolpirlo nei nostri cuori». E saranno proprio le parole di Primo Levi a ricordare alla città il dramma della deportazione, di quanti furono anche a Livorno gli ebrei vittime della Shoah. Il 28 gennaio, alle ore 12, su una parete del Palazzo comunale sarà affissa infatti una lapide (donata dal Lions Club Livorno Porto Mediceo) con inciso il testo della poesia «Shema»`, un monito a non dimenticare i crimini commessi. La cerimonia di inaugurazione della lapide si svolgerà in due momenti. Alle ore 12, all’interno del Palazzo comunale, nella sala consiliare, è prevista la commemorazione della Giornata della Memoria con gli interventi del sindaco Alessandro Cosimi, del Presidente del Lions Club Livorno Porto Mediceo Roberto Diddi e per la Comunità Ebraica Livornese Daniele Bedarida, che leggera´ un messaggio del Presidente del Consiglio Nazionale dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane (Ucei). Introdurrà l’assessore alle culture Mario Tredici.


Alle ore 13 la cerimonia si sposterà all’esterno del palazzo per lo scoprimento della lapide. La lapide verrà scoperta da Anna Abeniacar, sopravvissuta al campo di sterminio. Accanto a lei il coro degli alunni e degli adulti delle scuole Borsi- Pazzini diretti da Sara Saccomani, che si esibiranno in un’anteprima dello spettacolo musicale «Quadratini in brodo», liberamente ispirato al diario di Frida Misul. (Lo spettacolo si svolgerà integralmente il 6 Febbraio presso la Goldonetta). Nel corso della cerimonia sarà distribuita la pubblicazione «Voi che vivete sicuri….» sulle persecuzioni degli ebrei a Livorno e sul rapporto tra Primo Levi e la nostra città. La pubblicazione è edita dal Comune di Livorno. Oggi alle ore 16.30 al Centro Donna di Largo Strozzi si terrà l’iniziativa «No al negazionismo» promossa dal Comune di Livorno , Comunità Ebraica di Livorno e Associazione Ippogrifo. Di fronte ad un rigurgito negazionista e antisemita che sta funestando l’Europa l’iniziativa «No al negazionismo» prevede un momento musicale ed un reading letterario. Il coro ebraico livornese «Ernesto Ventura» diretto dal Maestro Paolo Filidei darà voce ad un repertorio sefardita livornese. Il coro «Ernesto Ventura» operante nell’ambito della Comunità Ebraica di Livorno, è dedicato al Maestro Ernesto Ventura scomparso nel 1946 , direttore del coro del tempio e compositore. Seguirà un reading dal Diario di Etty Hillesum con la presentazione a cura di Lucilla Serchi ; voce recitante Monica Pietrasanta. Interverranno l’assessore comunale Carla Roncaglia , Rav Yair Didi, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Livorno e Vittorio Mosseri Presidente della Comunità Ebraica di Livorno . Coordina Maria Giovanna Papucci, responsabile del Centro Donna.

Per la rassegna teatrale «Mille Storie alla Ribalta», promossa dal Comune di Livorno, Ars Nova in collaborazione con Pilar Ternera, andrà in scena lunedì 27 gennaio, martedì 28 gennaio e mercoledì 29 gennaio, alle ore 10, al Nuovo Teatro delle Commedie Il Diario di Anna Frank per la regia di Emanuele Gamba. Lo spettacolo è rivolto alle classi quinte della scuola primaria, alla scuola secondaria di 1° e 2° grado. Utilizzando video e racconto viene portata in scena la testimonianza di Anna Frank attraverso le pagine del suo diario. «È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo» Il Diario di Anna Frank è il racconto della vita di una ragazza ebrea di Amsterdam, costretta nel 1942 ad entrare in clandestinità insieme alla famiglia per sfuggire alle persecuzioni e ai campi di sterminio nazisti. Nel «Diario» Anna racconta la vita e le vicende di tutti i giorni, scrivendo le proprie impressioni sulle persone che vivono con lei. Lo spettacolo nasce dalla consapevolezza che il racconto della vita di Anna Frank, rivissuto attraverso le pagine del suo «Diario», sia straordinario anche perché, come dice Natalia Ginzburg: «Cominci la lettura con l’angoscia di chi conosce già l’epilogo». E da qui nasce la necessità, l’urgenza bruciante di raccontarlo, forse per esorcizzare quell’angoscia e fare in modo che la paura si sublimi in riflessione.


La Toscana ancora una volta è pronta con centinaia di iniziative, già iniziate nella scorsa settimana, per poi proseguire nel corso dell’anno con una miriade di eventi e con lezioni specifiche nelle scuole superiori di tutte le province (da febbraio ad aprile) sulla costruzione degli stereotipi e pregiudizi, sulle nuove discriminazioni e sul razzismo di oggi, il conformismo, la personalità autoritaria. Tutto, come avviene da anni, in preparazione del Treno della Memoria, promosso dalla Regione, che ripartirà a gennaio 2015 verso Auschwitz, rispettando la scelta di una biennalita’ riempita di studi e preparazione. Domani a Firenze l’evento regionale «Chi salva una vita, salva il mondo intero. Alla ricerca dei Giusti», rivolto a migliaia di studenti delle scuole superiori. L’obiettivo resta quello di offrire strumenti di conoscenza, riflessione e consapevolezza su una pagina di storia dalle cui macerie è nata l’Europa moderna. «Senza retorica celebrativa, ma con il preciso impegno a cogliere insegnamenti utili per la comprensione della storia e ancor di più per la costruzione del nostro domani», ha affermato l’assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti presentando il programma, che quest’anno ha posto i temi della responsabilità individuale e collettiva, e quello dei Giusti dell’umanità, che ne rappresentano il lato luminoso.  

Triplice omicidio di Caselle


Così hanno incastrato l’ex domestica

Le dichiarazioni dell’assassino sono state fondamentali, ma è stato decisivo anche il lavoro dei carabinieri. Ecco i dettagli dei tabulati telefonici e le tracce dei bancomat rubati. Ora mancano le prove della presenza in casa


gianni giacomino
torino

Le indagini sul triplice omicidio di Caselle non sono ancora terminate. Lo ha evidenziato anche il colonnello Roberto Massi, comandante provinciale dei carabinieri, prima di iniziare la conferenza stampa sull’arresto di Dorotea De Pippo, l’ex colf della famiglia Allione, da sabato in carcere con l’accusa di concorso in omicidio. 

Insomma mancano ancora pochi tasselli per avere il puzzle completo del massacro compiuto da Giorgio Palmieri che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato istigato a commettere la mattanza proprio dalla sua compagna. Intanto si attende che venga fissata l’udienza per la convalida del fermo.

I rilievi dei Ris
I risultati delle analisi, effettuate dagli specialisti di Parma saranno fondamentali per chiarire se la De Pippo (che effettuò dieci ore di sopralluogo con i carabinieri), al momento del delitto, sia entrata nella casa, oppure no. Per l’ex compagno Palmieri, non ci sono dubbi: «La sera del 3 gennaio io e Dorotea siamo andati a casa degli Allione, senza nessun preavviso. Ha aperto la signora Greggio ed ha chiuso i cani, quindi siamo saliti in casa ed entrati in cucina... La signora Greggio mi ha preparato il caffè ed ha detto che sarebbe andata dalla nonnina, al piano di sotto. In quel momento è scesa anche Dorotea con il pretesto di salutare la nonnina, invece se n’è andata via, ben sapendo quello che io dovevo fare, e cioè uccidere i componenti della famiglia Allione e rubare i soldi».
Lei nega: «Quella sera ero a casa e non sapevo assolutamente che Palmieri fosse andato dagli Allione con quelle intenzioni». La verità potrebbe venire a galla tra pochi giorni, quando arriveranno i risultati degli accertamenti tecnici effettuati dai Ris, che hanno setacciato palmo a palmo ogni angolo della villa di via Ferrari. Grazie all’uso del cianoacrilato gli investigatori saranno anche in grado di rilevare «impronte latenti», non visibili a occhio nudo e di datarle con precisione.

L’arma del delitto
L’oggetto acuminato con il quale l’assassino ha colpito i tre membri della famiglia Allione non è ancora stata ritrovata. Alla fine è stato lo stesso Palmieri a spiegare nella sua confessione confessato che si tratta di un coltello a serramanico. Un’arma che, tra impugnatura e lama, misurava una trentina di centimetri di lunghezza.
L’uomo ha ammesso di averlo gettato in un bidone per la raccolta della spazzatura alla periferia di Caselle, insieme ad altri vestiti sporchi di sangue delle vittime. In un primo tempo per consolidare l’ipotesi del delitto d’impeto, e quindi non premeditato, il killer aveva sostenuto di aver usato un improbabile tagliacarte per uccidere gli Allione. Un oggetto che avrebbe addirittura trovato per caso nei presse della villetta di via Ferrari. Una versione che ai carabinieri è subito sembrata fasulla.

I tabulati telefonici
Manca ancora un quadro dettagliato di tutte le telefonate e di tutti gli sms scambiati tra una serie di telefonini cellulari. I militari del nucleo investigativo, coordinati dal tenente colonnello Domenico Mascoli, sono però riusciti ad evidenziare come il traffico telefonico tra la De Pippo e Palmieri sia «compatibile» con l’esecuzione del delitto.
Il pomeriggio del massacro, tra l’altro si sentono anche Maria Angela Greggio e la De Pippo. Alle 18,20, poco prima di morire, la Greggio manda un sms alla sua ex colf. «Dora» e Palmieri, invece continuano anche a sentirsi nei giorni seguenti. Il 5 gennaio l’assassino ha ammesso di aver ricevuto un sms della De Pippo: «Li hanno trovati». 

Napoli. Caccia in Spagna a cinque latitanti del clan Polverino

Nel mirino il nuovo padrino della cupola


di Paola Del Vecchio
Caccia in Spagna a cinque latitanti del clan Polverino.

Dopo il boss di Quarto, Giuseppe Polverino, arrestato nel marzo del 2012 nella sua villa di tre piani a Jerez de la Frontera, nel mirino degli investigatori ci sono altri cinque latitanti.

Al primo posto, nuovo padrino della cupola, Giuseppe Simioli al quale la squadra speciale «fuggitivi» dell’Uco, la «Unidad central operativa de la guardia civil», dà la caccia in terra iberica. Tutta l’attenzione è centrata su di lui.

C'è un nuovo patto federalista della 'ndrangheta

«Calabria divisa in due maxi province autonome»

Dalla relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario emerge un accordo tra le cosche delle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone. Si tratterebbe di un secondo polo di influenza rispetto a quello che vede intrecciate le 'ndrine di Vibo e Reggio


La 'ndrangheta sta costituendo in Calabria una «Provincia autonoma da quella di Reggio, di cui farebbero parte tutti i territori ricompresi nel distretto della Dda di Catanzaro, con eccezione del solo circondario di Vibo Valentia che rientrerebbe in quella di Reggio Calabria». L’allarme è stato lanciato dal presidente vicario della Corte d’Appello di Catanzaro, Bruno Arcuri, nel corso della cerimonia per l'inaugurazione dell’anno giudiziario che si è svolta nel palazzo di giustizia del capoluogo calabrese. La criminalità organizzata calabrese, dunque, avrebbe messo in atto una sorta di federazione, una nuova alleanza che metterebbe insieme le cosche delle province di Catanzaro, Crotone e Cosenza.

Secondo Arcuri, «le recenti acquisizioni investigative hanno evidenziato il progressivo venir meno del frazionismo delle organizzazioni criminali, essendo emersi fenomeni di concentrazione». D’altronde, ha aggiunto, in provincia di Catanzaro «si sta realizzando una significativa influenza nell’area delle cosche di mafia della zona crotonese». Sarebbero, dunque, proprio le cosche della provincia di Crotone a espandere i propri interessi, rafforzandosi anche in zone «tradizionalmente influenti» come la Presila catanzarese e la zona ionica a nord della provincia di Catanzaro, nei territori al confine tra le due province. 

Dallo scenario emergerebbe un grande sodalizio, nel quale rientrerebbero anche le associazioni costituite da soggetti di etnia rom che agiscono sulla città di Catanzaro e che, secondo la relazione di Arcuri, «hanno il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti». Proprio questi soggetti, infatti, avrebbero rafforzato il loro rapporto alle cosche mafiose crotonesi, come dimostrerebbero, secondo il magistrato relatore, «l'intensificarsi di atti intimidatori anche nei confronti di attività economiche di rilevante importanza in cui sembrerebbero avere avuto un ruolo materiale i soggetti di etnia rom». E in questa sorta di "nuova alleanza" ci sarebbero contatti anche con i soggetti criminali dell’area del Soveratese. Nel richiamare la relazione del procuratore distrettuale di Catanzaro, Arcuri ha evidenziato anche «i legami fra gli apparati criminali veri e propri e la cosiddetta zona grigia della 'ndrangheta». 

Al via interrogatori sulle spese pazze all'Ars

Musotto: "Mai preso soldi pubblici"


PALERMO. «Dopo essere stato accusato di mafia, adesso arrivano le spese pazze. In quindici anni non ho mai approfittato di soldi pubblici. Vengo da tre generazioni al servizio delle istituzioni: mio padre ha insegnato diritto penale, mio nonno è stato alto commissario». L'ha detto l'ex capogruppo all'Assemblea regionale siciliana, Francesco Musotto, eletto nella scorsa legislatura nell'Mpa e poi passato al gruppo misto, appena arrivato in procura per essere interrogato sulle spese pazze dei gruppi. «Il problema è che per 15 anni ho fatto politica - ha ribadito - mi sono messo in un partito che era appena nato, quello dell'allora presidente della Regione Raffaele Lombardo. Tutti questi soldi perchè non li eliminano. Io li ho trovati».
 
"45 MILA EURO? LI HO DATI A LOMBARDO". «Certo che i 45 mila euro glieli ho dati a Raffaele Lombardo (ex presidente della Regione siciliana nella scorsa legislatura e leader del Mpa, ndr). Sono un uomo d'onore, un uomo vero, non sottraggo 45 mila euro, io non ho mai rubato una lira». L'ha detto l'ex capogruppo Francesco Musotto, appena arrivato in procura per essere interrogato sulle spese pazze dei gruppi. «Se Lombardo nega di averli ricevuti - ha proseguito - quello è un problema suo, della sua coscienza. Io gli ho proposto un confronto pubblico, davanti alla stampa: io e lui. Però non ha mai risposto alla mia proposta, non l'ho più sentito».  «Ridarei i 45 mila euro a Lombardo per presentare le liste del Mpa in tutte le grandi città. Glieli ho dato in contanti, in tre-quattro buste e in tagli medio grandi; che ne ha fatto Lombardo è un problema suo. Me li ha chiesti lui», ha aggiunto Musotto in conferenza stampa. Ai cronisti che gli chiedevano se avesse incontrato l'ex governatore della Sicilia, ha risposto che non lo sente «da due anni. Non lo chiamo. Lui nega la mia ricostruzione? Facciamo un confronto con i giornalisti, così lui dice la sua versione e io la mia».
MUSOTTO SI AVVALE DELLA FACOLTÀ DI NON RISPONDERE. Si è avvalso della facoltà di non rispondere l'ex parlamentare regionale ed ex capogruppo Francesco Musotto, in procura assieme all'avvocato Fabio Ferrara per essere interrogato sulle spese pazze dei gruppi. «Nel 2011 me ne sono andato. Anzi, sono stato promotore della manovra per fare dimettere 46 deputati e consentire lo scioglimento dell'Assemblea regionale, ma nessuno mi ha seguito - ha detto ai cronisti quando è uscito - Mi sono proposto con il partito nuovo, il partito autonomista (l'Mpa di Raffaele Lombardo, ndr), ma poi mi sono reso conto... Sono un politico pentito». «Di questi dipendenti fantasma nei gruppi non ne so nulla - ha spiegato - Tutti quelli che venivano pagati lavoravano. Io non ho assunto sorelle, fratelli, cugini. I contratti li faceva il consulente».
 
"MAI COMPRATO BORSE O MUTANDE VERDI". «Non ho mai comprato nè borse Louis Vuitton, nè mutande verdi. È normale che la politica ne esce malissimo. La cena l'abbiamo pagata io, Cracolici e Adamo, con i soldi del gruppi. Erano spese di partito. Le riviste della storia dell'arte sono all'Assemblea. Non ho rubato niente». Lo ha detto l'ex capogruppo Francesco Musotto, in procura per essere interrogato nell'ambito dell'inchiesta sulle spese pazze dei gruppi parlamentari all'Assemblea regionale siciliana.  L'ex deputato si è avvalso della facoltà di non rispondere ma ha fatto dichiarazioni spontanee. «La gente odia la politica - dice Musotto - l'immagine che hanno le persone è pessima».

Brutte sorprese nei ristoranti Vip




di Concetto Mannisi
Blitz della polizia: fra alimenti scaduti, cibi congelati venduti per freschi e scarsa igiene finiscono nel mirino anche il «Laetitia» e due storici ristoranti cinesi. Lievi irregolarità pure al «Ma» e al «Saint Moritz». Le repliche Un colpo al cuore per i «Vip» di casa nostra. Quelli che passano con disinvoltura dal «Cantiniere» all'«Oxidiana» perché fa tendenza, perché si incontra «bella gente» e perché «come si mangia lì in nessun altro posto a Catania».Sarà certamente così, fors'anche per motivi diversi, ma l'operazione fatta scattare dai poliziotti dell'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico nel corso di questa settimana e di cui avevamo dato un'anticipazione in esclusiva già nell'edizione di venerdì del nostro giornale apre uno spaccato poco gradevole su questa tipologia di locali, dai quali, visto quel che si paga, è lecito attendersi il massimo sia per quel che concerne il servizio, sia per quel che riguarda il rispetto delle regole, sia, soprattutto, per quanto attiene alla qualità dei cibi e delle bevande.

Particolari per nulla insignificanti che, purtroppo, nel corso di questi controlli non sono stati riscontrati in alcuno dei locali "visitati" dalla polizia, eccezion fatta per il bar "Caffè Europa", là dove è stato riscontrato sotto ogni aspetto il cosiddetto rispetto delle regole. Segno inequivocabile che, probabilmente, si può fare!Con ordine. I controlli, disposti dal questore Salvo Longo, hanno visto coinvolti anche polizia scientifica, Asp (le unità di Igiene pubblica, Sanità pubblica veterinaria, Controllo e vigilanza degli ambienti di lavoro), Inail, Ispettorato del lavoro, vigili del fuoco e vigili urbani, e hanno portato a rilevare violazioni di natura penale e amministrativa, con sanzioni pecuniarie per circa 100 mila euro e sequestro di alimenti per oltre tre tonnellate.

L'attività degli investigatori si è iniziata dal «Saint Moritz» di via Sanzio, là dove le celle frigorifere per gli alimenti risultavano «sporche e contenevano cibo in cattivo stato di conservazione»; all'interno di una di tali celle faceva bella mostra di sé «un sacchetto per la spesa lasciato sopra una torta di pandispagna». A tal proposito, la direzione del locale fa sapere «che le buste di plastica da noi utilizzate sono del tipo previsto per essere a contatto con gli alimenti e quindi legittimamente utilizzabili, mentre per quanto riguarda le nostre celle mantenevano la catena del freddo ed i cibi non subivano alcuna alterazione». Nella stessa nota, però, si spiega pure che in seguito ai controlli «siamo subito intervenuti ed abbiamo risolto la spiacevole mancanza riscontrataci».

Carenza anche all'interno del ristorante etnico «Mondo», in via Toselli: riscontrata «l'adulterazione e la mancanza di genuinità dei prodotti, ma anche la mancanza di etichette e di elementi di tracciabilità», inoltre «all'interno di un vano adiacente alle cucine vi era una vasca adibita alla raccolta di acqua potabile in eternit». I titolari sono stati sanzionati dal punto di vista amministrativo (5.000 euro) e penale.Non è andata meglio a due notissimi e frequentatissimi ristoranti cinesi del centro storico: l'«Hong Kong» di via Sant'Euplio e la «Grande muraglia» di via Filippo Corridoni. Mancanza di tracciabilità degli alimenti nel primo caso (sanzione di 1.500 euro) e condizioni igieniche definite «alquanto critiche» nel secondo, tanto da far scattare l'applicazione dei sigilli e la sospensione dell'attività.Ancora più grave la situazione del «Cantiniere», dove è stata trovata un'ingente quantità di merce scaduta (salumi, formaggi, birre, pasta, sughi, miele, nonché vari prodotti in scatola e sott'olio), carne rancida «riposta per terra a contatto con il pavimento»), nonché «pesce surgelato di provenienza sconosciuta e in pessimo stato di conservazione». Gli operatori dell'Asp accertavano pure che «diversi cibi cucinati, posti all'interno del bancone espositivo e quindi di pronta consumazione, erano stati cucinati diversi giorni prima e quindi non erano più adatti al consumo». Inoltre gli ispettori dell'Inail hanno appurato che 12 dei 16 dipendenti presenti nel locale, costantemente monitorati da un imponente sistema di videosorveglianza, erano privi di regolare contratto di lavoro e fra questi vi era un extracomunitario clandestino, per il quale il questore ha disposto l'immediata espulsione dal territorio nazionale.

I tecnici dell'Asp accertavano, inoltre, che gli scaffali della sala ristorante sui quali erano riposte le bottiglie di vino non erano adeguatamente protette contro il rischio di ribaltamento e caduta, costituendo un concreto pericolo per l'incolumità degli avventori.Per questo il titolare del locale è stato deferito per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, inosservanza delle normativa in materia di tutela dei lavoratori nonché per frode in commercio, avendo somministrato agli avventori prodotti surgelati che venivano venduti per freschi.Alimenti scaduti, carne avariata e prodotti surgelati venduti per freschi anche al «Laetitia» di via Quintino Sella, il cui titolare veniva denunciato per frodi in commercio e amministrative; mentre al «Ma» veniva accertata l'assenza di spazi per i dipendenti e «la presenza di alimenti non correttamente tenuti». Inoltre si appurava che «il pesce, pur essendo congelato, veniva venduto per fresco». A tal proposito, però, la direzione del «Ma» ha diffuso una nota in cui spiega che tutto è stato trovato secondo le regole, che il camerino dei dipendenti è in effetti sottodimensionato e che il sequestro di alimenti riguarda un chilo di scampi e uno di gamberi congelati che non venivano serviti, ma che venivano tenuti come scorta in caso di necessità.

Infine l'Oxidiana di via Conte Ruggero, là dove «all'interno del frigo della cucina, venivano rinvenuti tranci di testa di pesce contenute in buste per la spesa» e dove «prodotti detergenti/sanificanti erano indebitamente tenuti vicino agli alimenti». Il pesce, «tutto surgelato (non è stata infatti rinvenuta alcuna traccia di pesce fresco), veniva conservato anche all'interno di un magazzino adiacente al ristorante, tenuto in pessime condizioni igienico-sanitarie: accanto agli alimenti, infatti, vi erano due biciclette (utilizzate dai dipendenti per andare a lavoro), dei contenitori di vernice, delle bombolette del gas, attrezzi da lavoro ed altro materiale non pertinente con la destinazione d'uso; il pesce era privo di tracciabilità ed etichettatura».«Inoltre - concludono gli investigatori - sebbene il menù indicasse la scritta "gluten free", la cucina non conteneva, così come richiesto dalla legge, locali idonei a trattare i cibi senza glutine per celiaci». Per questo al titolare dell'attività venivano contestati i reati di frode in commercio e l'articolo legato al cattivo stato di conservazione degli alimenti, con sanzione amministrativa pari a circa 2.000 euro.
 

giovedì 23 gennaio 2014

Chi è il boss Lorusso confessore di Totò Riina



di Mimmo Mazza

TARANTO - L’uomo misterioso non nasconde alcun mistero. Il potente boss della Sacra Corona Unita protagonista delle chiacchierate intercettate con il capo dei capi Totò Riina in realtà con la Sacra corona unita non ha mai avuto a che fare, né tantomeno ha mai avuto solide e penalmente rilevanti frequentazioni nella provincia di Brindisi.

Sono giorni che di Alberto Lorusso, 55enne nato a Montemesola ma grottagliese di adozione, si legge e si dice tutto e il contrario di tutto, facendo diventare vero il verosimile e sicuro l’incerto.

D’altronde i verbali dei dialoghi con Riina, depositati nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia in corso dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo, stanno facendo il giro del mondo. Per il loro contenuto, ogni giorno, come dire, più esplosivo, per i toni utilizzati dai due protagonisti, assai a loro agio del discettare praticamente di tutto lo sciibile italiano.

Lorusso è detenuto, da un mesetto, nel carcere di Cuneo, dopo la parentesi con Riina nella casa circondariale di Opera, a Milano, ed è destinato a restarci ancora per un paio di anni, il tempo necessario per scontare il «continuato» fattogli ottenere dal suo legale Gaetano Vitale per mettere assieme, e ottenere così uno sconto, i 10 anni rimediati nel processo Ellesponto (il grande processo alla mafia tarantina), i 16 anni e 8 mesi per il blitz antidroga Ceramiche e, soprattutto, i 23 anni per l'omicidio di Fulvio Costone, ammazzato il 5 agosto del 1990 nelle campagne tra Pulsano e Grottaglie perché sospettato - senza prove e senza fondamento, si saprà dopo, nel 1997, quando ne furono ritrovati i resti mortali - di aver abusato della sua donna. Fulvio Costone fu fatto salire su un’automobile, subì una sorta di terzo grado, poi fu ucciso con un colpo a bruciapelo sparatogli alla tempia con un revolver, e il suo corpo fu inabissato in un pozzo fuori uso, nelle campagne di Montemesola. Furono i pentiti a raccontare agli inquirenti che era stato proprio Lorusso a volere il delitto, anche per un regolamento di conti relativo ai traffici di droga.

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Napoli, una famiglia in fuga dagli usurai dei Contini. Il «prestito» era obbligatorio



di Leandro Del Gaudio
Una intera famiglia costretta a lasciare Napoli per diversi mesi, di fronte alle minacce del clan Contini. è uno dei retroscena che emerge dalle indagini sul clan Contini, che svela violenza e aggressività della camorra del Vasto-Arenaccia. Stando alla ricostruzione di due imprenditori nel settore dell'abbigliamento, il metodo usato dai Bosti-Contini era sempre lo stesso: all'improvviso, nel negozio si materializzava un uomo con una busta, all'interno della quale c'erano duecentomila euro, in banconote da 50 e cento euro.

Un regalo degli amici del quartiere, che nessuno poteva rifiutare. Iniziava così una storia fatta di debiti a tasso usuraio, che consentiva al clan di impossessarsi - tramite prestanome - di aziende sane, apparentemente lontane dalla camorra. Usura, riciclaggio e minacce. Come quelle riservate dalle Aieta - secondo le indagini - proprio a una famiglia, costretta a rivolgersi alle forze dell'ordine e a denunciare: se non pagate e onorate il debito, iniziamo dalle creature, partiamo dai più piccoli.

Sottratti alla tassazione 52 miliardi

Scontrini, uno su tre non è regolare

Sono 8.315 gli evasori totali scoperti dalla Guardia di Finanza nel 2013 in Italia

Un’attività commerciale su tre ha emesso nel 2013 una ricevuta o uno scontrino fiscale irregolare o non lo ha proprio emesso. Degli oltre 400mila controlli eseguiti sul rilascio di scontrini e ricevute dalla Guardia di Finanza nell’anno appena concluso, sono state riscontrate irregolarità nel 32% dei casi. Ovvero, uno su tre.

Il dato è contenuto nel bilancio dell’attività della Guardia di Finanza relativa allo scorso anno, che contiene anche altre notizie sul tema dell’evasione fiscale. Sono 8.315 gli evasori totali scoperti dalla Guardia di Finanza nel 2013 in Italia. Sconosciuti al fisco, hanno nascosto redditi - che dovevano essere tassati - per 16,1 miliardi. Le Fiamme Gialle hanno scoperto complessivamente redditi sottratti a tassazione in Italia, nel 2013, per 51,9 miliardi Il dato riguarda redditi e ricavi non dichiarati e costi non deducibili scoperti sul fronte dell’evasione internazionale (15,1 mld), dell’evasione totale (16,1 mld) e di fenomeni evasivi come le frodi carosello, i reati tributari e la piccola evasione (20,7 mld). È di quasi 5 miliardi l’ammontare dell’Iva evasa.

Non è tutto. I militari hanno intercettato alle frontiere italiane, in entrata e in uscita dal nostro paese, denaro contante e titoli per 298 milioni. Di questi ne sono stati sequestrati 258, con un incremento rispetto ai sequestri di valuta effettuati nel 2012, del 140%. Le violazioni contestate sono state complessivamente 4.760

Coop si rifiutò di consegnare l'olio alla 'ndrangheta

E il clan tagliò mille ulivi: arrestati i responsabili

Scoperti i nomi delle persone che devastarono la piantagione di Sant'Onofrio sul campo di proprietà di un assessore di San Gregorio: si tratta di affiliati alla cosca Bonavota. L'episodio aveva  indignato anche il vescovo che lo definì «un'offesa a Dio e agli uomini»


VIBO VALENTIA - Quando mille alberi di ulivo furono tagliati alla cooperativa Talitha Kumi il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea parlò di "un'offesa a Dio e agli uomini". E anche la comunità di Sant'Onofrio si mobilitò solidale. Ora emerge che si era trattato di una ritorsione della cosca perché i responsabili della coop si erano rifiutati di consegnare l'olio alla 'ndrangheta.

Sull'episodio, che risale a novembre 2011, hanno fatto luce i carabinieri di Vibo Valentia che stamane hanno fermato quattro persone ritenute vicine al clan dei Bonavota. Si tratta di Domenico Bonavota, di 35 anni; Domenico Cugliari (55), Gregorio Giofrè (41) e Giuseppe Barbieri (41).

Il terreno sul quale si trovavano gli alberi, di proprietà di un imprenditore agricolo ed assessore del Comune di San Gregorio D’Ippona, era stato concesso alla cooperativa per la raccolta delle olive e la produzione dell’olio. Alcuni esponenti della cosca Bonavota si presentarono dai responsabili della cooperativa e gli chiesero di consegnare tutto l’olio prodotto. La richiesta fu respinta e la cosca decise di tagliare i mille alberi utilizzando delle seghe elettriche.

L’episodio del taglio dei mille alberi di ulivo aveva destato particolare allarme tanto che il Vescovo, in quella circostanza, non esitò a definire il gesto come "Un’offesa a Dio ed agli uomini". Anche la comunità di Sant'Onofrio si era mobilitata in segno di solidarietà e protesta per il danneggiamento.
Sempre nel Vibonese i carabinieri hanno fatto luce anche su un altro episodio di tentata estorsione ad un imprenditore che opera nel settore della lavorazione del ferro. Per quest'altro episodio è stata emessa una nuova ordinanza d'arresto nei confronti di Antonio Campisi, 23 anni, e Nicola Vittorio Drommi (25), entrambi già ai domiciliari. I due, secondo gli inquirenti, sarebbero vicini alla cosca della 'ndrangheta dei Mancuso di Limbadi.

Truffa nel Vibonese, medici e farmacisti ridevano per i pazienti morti

 «Ne abbiamo perso un altro»

Le intercettazioni per l'inchiesta che ha portato i professionisti agli arresti, tra cui il sindaco di Joppolo, svelano l'atteggiamento inquietante davanti al paziente deceduto. Il primo cittadino filmato mentre buttava farmaci


VIBO VALENTIA - "Abbiamo perso un altro paziente", oppure "Mannaia, ci stanno morendo tutti i pazienti". Sarebbero state queste le frasi più ricorrenti intercettate fra le due donne arrestate nell’operazione "Pharma bluff" ogni volta che un paziente veniva meno e non era quindi più possibile prescrivergli i farmaci (LEGGI L'ARTICOLO SULL'OPERAZIONE).

Giuseppa Scinica, medico dello studio di Francesco D’Agostino (anche lui ai "domiciliari") e la farmacista Carmen Ferraro, dipendente della farmacia del sindaco di Joppolo Giuseppe Dato (pure lui ai "domiciliari") secondo il gip discorrono nelle intercettazioni delle morti dei pazienti "con risate e toni scherzosi" e le conversazioni dimostrano per il giudice "un cinismo comune alle due donne" dove la "preoccupazione della Scinica sul fatto che stiano morendo tutti i pazienti appare giustificabile solo nella cinica ottica del venir meno della materia prima per porre in essere la condotta delittuosa, atteso che al dottore D’Agostino, e men che meno alla sua dipendente, nessuna significativa decurtazione negli emolumenti potrebbe derivare - sottolinea il gip - dalla morte di un numero esiguo di pazienti rispetto ai 1.500 gli assistiti, il massimo consentito".

Il sindaco e farmacista Giuseppe Dato sarebbe stato inoltre filmato lo scorso anno mentre "trasporta fuori dalla farmacia le scatole di farmaci private del contenuto" con un successivo "illecito e pericoloso - scrive il gip - abbandono da parte di Dato" (GUARDA IL VIDEO DELLA TRUFFA).

Mafia, la Cassazione conferma l'ergastolo per Riina "junior"



ROMA. Confermato, dalla Cassazione, l'ergastolo per Giovanni Riina, il figlio di Totò Riina condannato per alcuni omicidi di mafia. La Suprema corte, infatti, ha detto "no" alla richiesta di sostituzione della pena del carcere a vita con 30 anni di reclusione. Riina junior è stato difeso dall'avvocato Antonio Managò che aveva chiesto l'invio alla Consulta degli atti del fascicolo di Giovanni Riina.

Il ricorso per l'applicazione della sostituzione dell'ergastolo con 30 anni di reclusione era stato
presentato dal legale di Giovanni Riina a seguito della sentenza con la quale, lo scorso luglio, la Consulta aveva dato il via libera alla commutazione del carcere a vita in 30 anni di reclusione per gli imputati che nel 2001 aveva chiesto l'applicazione del rito abbreviato che consentiva questa
'riduzione' di pena in base alla legge Carotti.

La norma, alla fine dello stesso anno, fu abrogata in seguito alle polemiche sugli effetti che la sua applicazione avrebbe provocato. La Corte di Strasburgo, però, ha ritenuto che costituisse una violazione dei diritti di difesa la cancellazione di questa norma per quanti avevano fatto richiesta di rito abbreviato. Dallo scorso 10 gennaio la Cassazione, allineandosi con la Consulta, sta cancellando numerosi ergastoli per la 'platea' di condannati che ne hanno diritto. Per Riina junior deve aver deciso diversamente poiché il figlio dell'ex boss di Cosa Nostra aveva ritirato la richiesta di abbreviato quando la legge Carotti è stata abrogata.

Mafia, Di Matteo: "Riina parla per mandare un messaggio all'esterno"



PALERMO. «Non credo si possano definire delle semplici minacce ma sono delle intenzioni omicidiarie prospettate ad un altro detenuto probabilmente perché in qualche modo vengano portate all'esterno per essere eseguite». Lo ha detto il sostituto procuratore a Palermo, Nino Di Matteo, al giornale radio Rai riferendosi alle intercettazioni in carcere con le minacce a lui indirizzate dal boss mafioso Totò Riina. Alla domanda se Riina ha il potere di portare a termine i suoi propositi il magistrato risponde: «Fino a qualche anno fa, risultanze precise investigative facevano emergere che i capi in libertà di cosa  nostra non volevano prendere o non potevano prendere  determinate decisioni se non acquisendo l'avallo e il consenso di colui che ritenevano il vero capo di cosa nostra e cioè Riina. Questa è la situazione che quanto meno fa  sospettare che ancora oggi certamente Riina possa tentare di esercitare un ruolo di comando».
 
«Credo che registrare la vicinanza di tanti semplici cittadini - ha aggiunto - sia un motivo ulteriore di conforto e che questa solidarietà possa anche sopperire rispetto a qualche silenzio e perplessità di fondo e a qualche malignità di chi ha perfino messo in dubbio quello che è stato oggetto delle intercettazioni».  «C'è sempre chi parla di minacce inventate - ha proseguito - Sono storie che fanno purtroppo di quella mentalità mafiosa che tende a delegittimare i magistrati. Quello che io ritengo, quello che penso, quello che sospetto in questo momento ovviamente non ha alcun valore se non verrà dimostrato eventualmente, e quindi me lo tengo per me».

Pachino, costingeva la figlia a prostituirsi

 la madre fa le prime ammissioni



di SEBASTIANO DIMANTE E DANIELE FRANZO'
PACHINO. Ha ammesso parzialmente le sue responsabilità C.G., la donna di 37 anni di Pachino arrestata dai carabinieri con l'accusa di avere indotto alla prostituzione la figlia appena maggiorenne. L'indagata, che ha affidato la propria difesa all'avvocato Paolo Ardilio, è comparsa ieri mattina davanti al gip del tribunale di Siracusa Alessandra Gigli, lo stesso magistrato che ha firmato l'ordine di custodia cautelare accogliendo una richiesta del pubblico ministero Claudia D'Alitto, e si è sottoposta al rituale interrogatorio di garanzia.

Intestazione fittizia di beni e false fatture, arrestato il figlio del costruttore Sbeglia

Scatta l'amministrazione giudiziaria per le società del gruppo Ponte
 
 
di VINCENZO MARANNANO
PALERMO. Le domande attorno alle quali ruota tutta l'inchiesta sono essenzialmente due: quali sono i rapporti tra la famiglia Ponte e gli Sbeglia? E perché, in meno di 4 anni, gli albergatori avrebbero versato ai costruttori palermitani almeno 400 mila euro fatturando operazioni inesistenti? Punta ad approfontire proprio la natura di questo legame, il provvedimento notificato pochi minuti fa dai finanzieri del nucleo di Polizia Valutaria di Palermo, guidati dal colonnello Calogero Scibetta, alle tre società del gruppo Ponte, per le quali è stato appena nominato un amministratore giudiziario che avrà adesso sei mesi per spulciare archivi, faldoni e documenti.
 
Nell'ambito dello stesso povvedimento, firmato dal gip Agostino Gristina, la Guardia di Finanza ha anche arrestato tre persone: Marcello Sbeglia, 42 anni (rampollo del noto clan di costruttori ritenuti punto di riferimento di diverse famiglie mafiose per la gestione degli appalti e per il controllo del cemento in città) e i titolari di due imprese edili, Salvatore Brusca, di 50 anni, e Gaetano Troia di 51. A questi due, ritenuti entrambi prestanome di Sbeglia, sono stati sequestrati due contesti aziendali ritenuti "inquinati" – la ditta individuale di Brusca e la società Ve.Co.Si. a r.l., riconducibile a Troia - mentre le tre società del gruppo Ponte alle quali è stata applicata la misura di prevenzione antimafia dell’amministrazione giudiziaria sono la Delta Finanziaria S.p.A., la F. Ponte S.p.A. e la Vigidas s.r.l., che gestiscono gli hotel Astoria, Vecchio Borgo e Garibaldi di Palermo.

Gli arresti e i sequestri di oggi fanno parte di una più ampia indagine diretta dal sostituto procuratore Gaetano Paci e coordinata dall'aggiunto Vittorio Teresi, che ipotizzano per i tre le accuse di intestazione fittizia di beni, mentre Sbeglia e Brusca rispondono anche di false fatture.
In particolare, Marcello Sbeglia, già destinatario di misure di prevenzione antimafia (sequestri di beni e società) assieme al padre, il noto costruttore Francesco Paolo (tuttora detenuto ai domiciliari e perquisito, sempre nella mattinata, dal reparto speciale della Guardia di finanza) è accusato di aver tenuto, occultamente, in nome e per conto del genitore, rapporti economici con la famiglia Ponte avvalendosi soprattutto di Brusca e della ditta intestata a quest'ultimo, al solo scopo di drenare ingenti somme di denaro dalle società riconducibili agli albergatori.