venerdì 31 dicembre 2010

Strage Filandari, celebrati i funerali in forma privata

Questa mattina all'alba si sono svolti i funerali del papà e dei suoi quattro figli uccisi in una masseria a Filandari. Lo strazio della moglie e madre



31/12/2010 Sono stati celebrati questa mattina all'alba, i funerali delle cinque vittime della strage compiuta nella masseria a Filandari. I feretri sono giunti alla chiesa Maria Santissima del Potere della frazione Scaliti, a Filandari (Vv), direttamente dall’obitorio alle 4.30 ed alle 5 è cominciata la funzione, officiata dal parroco, don Giuseppe Lopresti.


Imponente il servizio d’ordine dopo la decisione del questore di Vibo Valentia, che per motivi di sicurezza, aveva disposto che le esequie si svolgessero in forma privata e senza corteo funebre.

Le bare di Domenico Fontana, 61 anni; e dei suoi quattro figli Pasquale, 37, Pietro, 36, Emilio, 32, e Giovanni, 19, sono entrate nella chiesa, dove ad attenderle c'erano una trentina di familiari stretti. La salma di Giuseppe, la più giovane delle vittime, è arrivata in una bara bianca ed è stata l’ultima ad entrare nella chiesa. Poco prima delle 5 è arrivata la moglie e madre delle vittime, Giovannina De Luca, insieme alla figlia, Massima, ed alla moglie di Emilio Fontana, Marina Cichello. Nel corso della cerimonia, più sobria rispetto alla tradizione proprio per le disposizioni del questore, il parroco non ha fatto l’omelia, dando conforto e consolazione ai familiari delle vittime che hanno seguito la funzione in un composto dolore. All’uscita dei feretri, i familiari hanno tributato loro un applauso. Le salme sono state quindi trasferite nel cimitero di Filandari per la tumulazione.

Strazianti le parole della signora Giovannina De Luca, moglie e madre delle vittime: «Belli miei, belli miei. Vi ho cresciuto come una rosa e vi hanno portato via». Mentre un cordone di carabinieri, poliziotti e finanzieri tiene a distanza giornalisti e fotografi, le urla della donna squarciano il silenzio irreale che grava sulla piazzatta della frazione Scaliti di Filandari ancora avvolta dal buio. La donna, insieme alla figlia Massima ed ai familiari, attende l’uscita delle bare e le tocca una ad una. La moglie di Emilio Fontana, Marina Cicchello, invece, esce e dopo un’imprecazione rivolta alle telecamere, si avvia verso l'auto che la dovrà accompagnare al cimitero. Poi si ferma ed assiste da poco più lontano all’uscita dei feretri, sorretta a stento dai parenti. Il primo feretro ad uscire è quello bianco di Giovanni, la più giovane delle cinque vittime, con i suoi 19 anni, coperto da corone di fiori dello stesso colore. La tensione e la rabbia accumulata in questi giorni si liberano in un applauso che rompe il silenzio.

Un applauso accompagnato da un «pagliacci» che Giovannina rivolge a Ercole Vangeli, reo confesso della strage ed agli altri tre arrestati. Poi la cantilena straziante di una donna che ha perso l'intera sua famiglia e che ripete: «Belli miei, belli miei». L’ultima bara che esce dalla chiesa è quella del capofamiglia, Domenico. Giovannina e la figlia si avvicinano e la baciano per l’ultima volta. I cinque carri funebri partono quindi alla volta del cimitero di Filandari, scortati dai mezzi di carabinieri e polizia.

Buon anno in tutte le lingue del mondo





AFRIKAANS gelukkige nuwejaar
ALBANIAN Gëzuar vitin e ri
ALSATIAN e glëckliches nëies / güets nëies johr
ARABIC aam saiid / sana saiida
ARMENIAN shnorhavor nor tari
AZERI yeni iliniz mubarek
BAMBARA bonne année
BASQUE urte berri on
BELARUSIAN З новым годам (Z novym hodam)
BENGALI subho nababarsho
BERBER asgwas amegas
BETI mbembe mbu
BOBO bonne année
BOSNIAN sretna nova godina
BRETON bloavez mad
BULGARIAN честита нова година (chestita nova godina)
BIRMAN hnit thit ku mingalar pa
CANTONESE kung hé fat tsoi
CATALAN feliç any nou
CHINESE xin nièn kuai le / xin nièn hao
CORSICAN pace e salute
CROAT sretna nova godina
CZECH šťastný nový rok
DANISH godt nytår
DUTCH gelukkig Nieuwjaar
ESPERANTO felicxan novan jaron feliæan novan jaron (Times SudEuro font)
ESTONIAN head uut aastat
FAROESE gott nýggjár
FINNISH onnellista uutta vuotta
FLEMISH gelukkig Nieuwjaar
FRENCH bonne année
FRIULAN bon an
GALICIAN feliz aninovo
GEORGIAN gilotsavt aral tsels
GERMAN ein gutes neues Jahr / prost Neujahr
GREEK kali chronia / kali xroniaeutichismenos o kainourgios chronos
GUARANÍ rogüerohory año nuévo-re
HAITIAN CREOLE bònn ané
HAWAIIAN hauoli makahiki hou
HEBREW shana tova
HINDI nav varsh ki subhkamna
HUNGARIAN boldog új évet
ICELANDIC farsælt komandi ár
INDONESIAN selamat tahun baru
IRISH GAELIC ath bhliain faoi mhaise
ITALIAN felice anno nuovo, buon anno
JAPANESE akemashite omedetô
KABYLIAN asseguèsse-ameguèsse
KANNADA hosa varshada shubhaashayagalu
KHMER sur sdei chhnam thmei
KIRUNDI umwaka mwiza
KOREAN seh heh bok mani bat uh seyo
KURDE sala we ya nû pîroz be
LAO sabai di pi mai
LATIN felix sit annus novus
LATVIAN laimīgo Jauno gadu
LINGALA bonana / mbula ya sika elamu na tonbeli yo
LITHUANIAN laimingų Naujųjų Metų
LOW SAXON gelükkig nyjaar
LUXEMBOURGEOIS e gudd neit Joër
MACEDONIAN srekna nova godina
MALAGASY arahaba tratry ny taona
MALAY selamat tahun baru
MALTESE sena gdida mimlija risq
MAORI kia hari te tau hou
MONGOLIAN shine jiliin bayariin mend hurgeye (Шинэ жилийн баярын мэнд хvргэе)
MORÉ wênd na kô-d yuum-songo
NORWEGIAN godt nytt år
OCCITAN bon annada
PERSIAN sâle no mobârak
POLISH szczęśliwego nowego roku
PORTUGUESE feliz ano novo
ROMANI bangi vasilica baxt
ROMANIAN un an nou fericit / la mulţi ani
RUSSIAN С Новым Годом (S novim godom)
SAMOAN ia manuia le tausaga fou
SANGO nzoni fini ngou
SARDINIAN bonu annu nou
SCOTTISH GAELIC bliadhna mhath ur
SERBIAN srecna nova godina
SHONA goredzwa rakanaka
SINDHI nain saal joon wadhayoon
SLOVAK stastlivy novy rok
SLOVENIAN srečno novo leto
SOBOTA dobir leto
SPANISH feliz año nuevo
SWAHILI mwaka mzuri
SWEDISH gott nytt år
SWISS-GERMAN äs guets Nöis
TAGALOG manigong bagong taon
TAHITIAN ia ora te matahiti api
TAMIL iniya puthandu nalVazhthukkal
TATAR yana yel belen
TELUGU nuthana samvathsara subhakankshalu
THAI (sawatdii pimaï)
TIBETAN tashi délek
TURKISH yeni yiliniz kutlu olsun
UDMURT Vyľ Aren
UKRAINIAN Z novym rokom
URDU naya saal mubarik
VIETNAMESE Chúc Mừng Nam Mới / Cung Chúc Tân Niên / Cung Chúc Tân Xuân

La latitanza di Zagaria, la fuga del boss protetta da 007 deviati

NAPOLI (31 dicembre) - Qualcuno in alto, molto in alto, sta proteggendo la fuga di Michele Zagaria, il capo in libertà del clan dei Casalesi, aiutandolo ad eludere le ricerche da oltre quindici anni, avvertendolo quando la scoperta di un nuovo covo caldo è troppo vicina.


E, quasi certamente, questa persona è collegata ai servizi segreti - uno 007 o un informatore qualificato - e nello specifico, all’Aisi. Ci sarebbe proprio questo mister X dietro la fallimentare perquisizione ad Aversa, il 20 novembre scorso, quando la squadra mobile di Napoli ha smontato e fatto a pezzi il piano terra, adibito a negozio da un tale Giuseppe Inquieto.

C’è nervosismo ma anche preoccupazione negli uffici della Procura antimafia di Napoli che non hanno ancora mandato giù la perquisizione-beffa di Aversa con relativo danno da settantamila euro già reclamato dal proprietario del negozio. Un fatto che ha quasi oscurato l’entusiasmo per la cattura, avvenuta appena un paio di giorni prima, del superlatitante, Antonio Iovine. Il timore è che anche in Campania si stia ripetendo ciò che è accaduto in Sicilia per Bernardo Provenzano: che parti deviate dello Stato lo ritengano più utile da libero che da detenuto all’ergastolo.

Giovane freddato all'uscita da pizzeria


FOGGIA – Un giovane di 24 anni, Salvatore Delli Carri, è stato ucciso a Foggia con colpi d’arma da fuoco all’uscita da una pizzeria. Sul posto sono intervenuti agenti della Squadra mobile. L'omicidio è stato compiuto in via dell’Arcangelo Michele, in zona Macchia gialla, alla periferia del capoluogo. Secondo le prime notizie, contro Delli Carri sono stati sparati sei-sette colpi d’arma da fuoco. Non è ancora chiaro se a sparare siano state una o più persone, subito fuggite dalla zona dell’agguato.




Lecce, falso cieco percepiva indennità da 30 anni: denunciato

LECCE – Per oltre 30 anni ha percepito un trattamento pensionistico per la sua condizione di “cecità assoluta” confermata anche da una medico specialista convenzionato con l’Inps. Ma era tutto falso e l’uomo conduceva una vita normale. Con queste accuse la guardia di finanza ha denunciato un falso invalido della provincia di Lecce che dal 1972 ha ricevuto una indennità di accompagnamento per 150.000 euro. Anche il medico è stato denunciato per concorso in truffa ai danni dell’Inps e falsità ideologica.


Le indagini della guardia di finanza sono state avviate dopo una segnalazione fatta da un cittadino. I finanzieri hanno quindi pedinato il falso cieco che è stato visto e ripreso mentre da solo andava al supermercato per fare la spesa, riceveva e guardava la posta e passeggiava in città senza alcun accompagnatore.

giovedì 30 dicembre 2010

'Ndrangheta, Dia di Reggio confisca beni ad un imprenditore di Gioia Tauro

Il valore dei beni sequestrati si aggira intorno ai quattro milioni e mezzo di euro. L'uomo è titolare di un'impresa per i lavori sull'autostrada


30/12/2010 La Dirzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha confiscato beni per un valore di quattro milioni e mezzo di euro ad un imprenditore di Gioia Tauro (Rc), Vincenzo Giacobbe, 42 anni, considerato dagli investigatori vicino alla cosca Piromalli-Molè.


Giacobbe è titolare di un’impresa coinvolta nelle inchieste sulle presunte infiltrazioni della 'Ndrangheta negli appalti per i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. I beni confiscati consistono in due aziende, una villa a due piani, varie strutture aziendali, terreni, automezzi e denaro in contante. La confisca è stata fatta in esecuzione di un decreto emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria in accoglimento di una proposta fatta dal direttore della Dia, generale Antonio Girone.

L’impresa di Giacobbe, secondo l’accusa, sarebbe una di quelle che la cosca Piromalli-Molè avrebbe imposto, come forma di tangente, alle imprese appaltatrici dei lavori per l'ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Giacobbe, inoltre, è stato arrestato nel luglio del 2007 in un’operazione sulle presunte infiltrazioni della 'Ndrangheta negli appalti dei lavori di ammodernamento della A3 ed è stato condannato in primo grado a sei anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso.

mercoledì 29 dicembre 2010

L’8 gennaio a Barcellona Pozzo di Gotto (ME) “Dovere di cronaca”: si commemora il giornalista Beppe Alfano, vittima innocente della mafia

 “Dovere di cronaca”

 
Messina, 29 Dic. Dovere di cronaca. E’ questo il titolo dato alla giornata organizzata in memoria di Beppe Alfano, cronista di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) ucciso dalla mafia, che si svolgerà l’8 gennaio prossimo. Il programma prevede una funzione religiosa alle ore 11.00 presso il Duomo di Santa Maria Assunta di Pozzo di Gotto, la deposizione dei fiori in via Marconi (presso la targa commemorativa intitolata al giornalista) alle 16.30, e un convegno alle 17.30 presso il Palacultura “Bartolo Cattafi” (via Sant’Andrea), cui interverranno l’On. Sonia Alfano, figlia del cronista, presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia e deputata al Parlamento europeo; l’On. Antonio Di Pietro, presidente dell’Italia dei Valori; l’On. Luigi de Magistris, eurodeputato; Piergiorgio Morosini, gip di Palermo; Loris Mazzetti, giornalista e capostruttura di Rai Tre; Giulio Cavalli, attore antimafia e consigliere regionale lombardo di IdV; Fabio Repici, legale della famiglia Alfano e di numerosi altri familiari di vittime di mafia; Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo assassinato dalla mafia nel 1992; il Sen. Beppe Lumia, componente della Commissione Parlamentare Antimafia; Marco Ligabue, chitarrista dei “Rio”, rock band tra le più interessanti del panorama musicale italiano che alle 21.30 si esibirà in un concerto al cocktail bar “Bodeguita”, in via Rodriguez a Milazzo (ME).

Mafia, otto condanne colpiscono i vertici catanesi

Pene comprese tra i 4 e i 28 anni. La più pesante inflitta a Vincenzo Aiello, storico uomo di fiducia del boss Benedetto Santapaola


CATANIA. Condanne a pene comprese tra i 4 e i 28 anni di carcere sono state inflitte dal gup di Catania Santino Mirabella ad otto presunti affiliati al clan Santapaola, accusati di mafia, arrestati l'8 ottobre del 2009 dai carabinieri che in una villetta di Belpasso interruppero un summit del gotha di Cosa nostra. Il processo si è svolto con il rito abbreviato.

La condanna più pesante, 28 anni ed otto mesi di reclusione, é stata inflitta a Vincenzo Aiello, storico uomo di fiducia del boss Benedetto Santapaola. Condannato a 25 anni il superlatitante Santo La Causa, ritenuto capomafia della provincia etnea, il cui nome era inserito nella lista dei 30 ricercati più pericolosi d'Italia, già condannato all'ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Diciotto anni sono stati inflitti a Rosario Tripoto, 17 a Carmelo Puglisi, che è accusato di avere avuto un ruolo negli attentati nei cantieri di Andrea Vecchio, l'imprenditore che si oppose pubblicamente al racket delle estorsioni. Sedici anni a Sebastiano Laudani, ritenuto ai vertici del clan. Dieci anni di reclusione sono stati poi inflitti a Ignazio Barbagallo e sei ad Antonino Botta accusato d' aver messo a disposizione la villetta usata per la riunione.

Condannato a quattro anni ed otto mesi Francesco Platania. Per La Causa, Aiello, Laudani e Puglisi il collegio ha riconosciuto le condanne in continuazione di reato.



Mafia, in carcere due esponenti del clan di Agrigento


In cella Andrea Amoddeo, 45 anni, ristoratore, e Francesco Manno, 46 anni, impiegato comunale. Entrambi dovranno scontare otto anni di reclusione


AGRIGENTO. La Direzione investigativa antimafia di Agrigento ha arrestato Andrea Amoddeo, 45 anni, ristoratore, e Francesco Manno, 46 anni, impiegato comunale. Il provvedimento segue la condanna di entrambi a otto anni di reclusione per associazione mafiosa nel processo nato dall'indagine "Minoa" che aveva portato all'arresto di otto presunti esponenti delle cosche di Cattolica Eraclea e Montallegro.

I due erano stati scarcerati dal tribunale del riesame. Nella stessa operazione erano stati sequestrate imprese individuali e società edili riconducibili agli arrestati.

Agguato a Delianuova, ucciso un giovane di 25 anni

Una telefonata anonima ai carabinieri ha avvertito della presenza del cadavere. Forse il giovane sarebbe stato attirato in una trappola
 
29/12/2010 Un giovane di 25 anni, Leo Italiano, è stato ucciso in un agguato nelle campagne di Delianuova, nel Reggino. Italiano, nel momento dell’agguato, si trovava in una zona di campagna. Contro il giovane sono stati sparati alcuni colpi di arma da fuoco, non si sa ancora se fucile o pistola. Il cadavere del giovane è stato trovato dai carabinieri dopo una telefonata che ne segnalava la presenza. Secondo quanto è emerso dalle prime indagini, Italiano non era affiliato ad alcuna cosca ma sarebbe stato contiguo, stando a quanto riferito dai carabinieri, ad ambienti della 'ndrangheta. Le indagini mirano ad accertare, in primo luogo, se l'assassinio del giovane sia da collegare ad una vendetta maturata negli ambienti della criminalità organizzata. L’ipotesi che viene fatta dagli investigatori è che Italiano sia stato attirato in una trappola da qualcuno che gli aveva dato un falso appuntamento con lo scopo di ucciderlo.

Pompei, corsi di formazione fantasma sequestrati 700mila euro a ex dirigente

POMPEI (29 dicembre) - I finanzieri del comando provinciale di Napoli hanno scoperto un articolato sistema di frode che ha permesso a 265 dipendenti addetti alla vigilanza presso i siti archeologici di Pompei di percepire, attraverso fittizi corsi di formazione finanziati dalla Soprintendenza, il pagamento degli arretrati per ore di straordinario prescritte.

Il conseguente danno erariale è stato stimato in circa 700mila euro. Al termine delle indagini, la procura della repubblica di Torre Annunziata ha disposto il sequestro di beni intestati ad un ex dirigente della Soprintendenza di Pompei responsabile della truffa per un valore corrispondente al danno erariale causato.

La Guardia di Finanza ha eseguito un sequestro di beni nei confronti di Luigi Crimaco, ex direttore amministrativo degli Scavi di Pompei, la cui iscrizione nel registro degli indagati era già nota da tempo. Il Tribunale del Riesame, infatti, ha accolto il ricorso della procura di Torre Annunziata contro la decisione del gip, che in un primo momento aveva rigettato la richiesta di sequestro.

A Crimaco, ritenuto dall'accusa l'artefice principale dell'imponente truffa ai danni dello Stato, sono stati "congelati" beni per 700.000 euro. I falsi corsi di formazione riguardano 250 addetti alla vigilanza delle aree archeologiche di Pompei, Stabia, Ercolano, Torre Annunziata e Boscoreale. Dalle indagini è emerso che, in seguito a minacce di sciopero da parte di rappresentanti sindacali, nel 2006 Crimaco organizzò lo svolgimento dei corsi quale espediente per distribuire indebite indennità di straordinario ormai prescritte.

La stampa brasiliana: Lula ha deciso: «No all'estradizione per Battisti»

ROMA (29 dicembre) - Il presidente brasiliano uscente, Inacio Lula da Silva, avrebbe deciso di non estradare Cesare Battisti. Lo riferisce l'emittente Globo News.


Secondo il quotidiano Folhia de S.Paulo, Lula - che sta per lasciare il posto a Dilma Roussef - annuncerà oggi la concessione dello status di rifugiato politico all'ex terrorista rosso, condannato in Italia in contumacia per quattro omicidi compiuti negli anni '70, quando era militante di un gruppo di estrema sinistra, i Proletari Armati per il Comunismo (Pac).

Nel novembre del 2009 il Supremo tribunale federale brasiliano autorizzò l'estradizione in Italia di Battisti. Ma Lula, che in quanto capo dello Stato ha l'ultima parola in materia, è orientato invece a non concedere l'estradizione in quanto «il governo brasiliano teme che esista un rischio di morte» dell'ex terrorista se «tornerà in Italia». «Lula - sempre secondo la stampa brasiliana - ha ricevuto ieri il parere dell'Avvocatura generale dello Stato» che «raccomanda la permanenza in Brasile di Battisti».

«Mi aspettavo una decisione simile: vorrà dire che ci muoveremo in modo molto più deciso», ha detto Alberto Torreggiani, il figlio del gioielliere ucciso nel 1979, omicidio per il quale Battisti è stato condannato in Italia quale mandante. «Sarei stato sorpreso se fosse stato il contrario - ha aggiunto ai microfoni di CnrMedia - ma non sono deluso perché ero preparato. Adesso fare qualcosa di veramente forte perché questa è una gran presa in giro. Le parole non bastano più, ora contatterò gli organi competenti e decideremo come mobilitarci perché questa non è tanto una questione personale ma una scelta che apre un precedente molto pericoloso. Qualsiasi delinquente saprà di poter contare su una scappatoia e questo non è giusto».

Brindisi, boss pentito inguaia clan della Scu I 28 nomi

Le dichiarazioni di un pentito - il mesagnese Ercole Penna - sono state più che sufficienti a far scattare ieri mattina un’imponente operazione che ha portato al fermo di 28 esponenti di spicco della Sacra Corona Unita.

Associazione di stampo mafioso è il reato sinora ipotizzato, in attesa che le successive indagini possano far emergere ulteriori responsabilità in attività criminose. Dieci di essi (fra i quali Antonio Vitale, Salvatore Buccarella e Massimo Pasimeni) hanno ricevuto la notifica in carcere in quanto detenuti per altri reati; dei restanti 18, in 5 sono riusciti a fuggire prima del blitz, altri 2 erano già latitanti da tempo, mentre in 11 sono stati condotti in carcere, in attesa della convalida del fermo.


L’operazione è stata diretta dalla Procura distrettuale antimafia di Lecce (nelle persone del Procuratore Cataldo Motta e del pm Alberto Santacatterina) e condotta dalla Squadra Mobile di Brindisi e dal Commissariato di Mesagne. Ben 200 i poliziotti impegnati nel blitz (denominato «Last minute», in quanto effettuato in tempi rapidissimi per scongiurare fughe o inquinamento di prove) con l’ausilio di unità cinofile e pattuglie in elicottero.

Notificati anche i primi decreti di sequestro preventivo dei beni patrimoniali (fra cui un autosalone a Brindisi) utilizzati per reinvestire il denaro incassato con attività illecite. Con questa operazione (definita dal questore Vincenzo Carella «come la più importante degli ultimi dieci anni contro la criminalità organizzata nel Brindisino»), la Procura ritiene di aver inferto un colpo durissimo all’organizzazione mafiosa. Ma ha anche dato una risposta efficace all’escalation di omicidi avvenuti di recente in provincia. Nel giorno, peraltro, in cui si è tenuto a Francavilla Fontana il vertice coordinato dal Sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano.

ECCO "CHI" E' ERCOLE PENNA

Ercole Penna non è un «collaboratore» qualsiasi: è un «capo». «Il 9 novembre 2010 Ercole Penna - si legge nel provvedimento - manifestava la volontà di collaborare con la giustizia, volontà che ribadiva il 20 novembre al procuratore della Repubblica di Lecce in un primo interrogatorio nel carcere di Monza ove è tuttora detenuto, cui seguivano altri tre interrogatori (30 novembre, 1 e 15 dicembre) nel corso dei quali Penna ricostruiva vicende che avevano connotato la sua lunga militanza nella Scu, cui era stato affiliato non ancora maggiorenne, con episodi dei quali era stato protagonista (tra questi ammetteva di aver commesso l’omicidio di Ezio Pasimeni) oltre a vicende delle quali era a conoscenza proprio in virtù del lungo periodo vissuto nell’associazione».

«La mole delle sue conoscenze è tale che i 4 interrogatori, durati 25 ore, non sono stati sufficienti a fargli riferire tutte le informazioni possedute (nel corso di quello del 1° dicembre ha consegnato un bloc-notes nel quale aveva annotato i suoi ricordi, composto da ben 42 fogli)». Un capo? «Quando uso l’aggettivo “nostro” faccio riferimento al gruppo capeggiato da me, Pasimeni Massimo, Vitale Antonio e Vicientino Daniele ed ai nostri affiliati - dice il mesagnese -. Posso dire che noi 4 siamo “sullo stesso piano”, al vertice dell’associazione e godiamo di poteri equivalenti».

(Il collaboratore di giustizia Penna Ercole Giuseppe, nato a Mesagne classe 1974 - foto Maurizio Matulli)
 
di PIERLUIGI POTÌ
 
I 28 fermati sospettati di appartenere alla Scu


I destinatari dei provvedimenti di fermo di polizia giudiziaria sono, dunque, complessivamente 28. Di essi, 10 sono detenuti in carcere. Si tratta di Martino Barletta (37 anni di Ceglie Messapica, ma residente a Villa Castelli), Salvatore Buccarella (51 anni di Brindisi), Sandro Campana (35 anni di Mesagne), Domenico D’Agnano (42 anni di Carovigno, ma residente a San Pietro Vernotico), Pasquale D’Errico (66 anni di Latiano), Franco Locorotondo (36 anni di Mesagne), Andrea Pagliara (26 anni di Mesagne), Massimo Pasimeni (42 anni di Mesagne), Raffaele Renna (31 anni di Mesagne, ma residente a San Pietro Vernotico) e Antonio Vitale (42 anni di Mesagne). La notifica del fermo è, invece, andata a buon fine nei confronti di 11 soggetti: Lucio Annis (40 anni di San Pietro Vernotico), Angelo Buccarella (32 anni di Mesagne, ma residente a Tuturano), Antonia Caliandro (54 anni di Latiano, ma residente a Tuturano, moglie di Salvatore Buccarella), Giancarlo Capobianco (47 anni di Francavilla Fontana), Salvatore Capuano (41 anni di Francavilla Fontana), Antonello Raffaele Gravina (42 anni di Mesagne), Francesco Gravina (51 anni di Mesagne), Benito Leo (51 anni di Brindisi), Cosimo Leto (57 anni di Brindisi), Cosimo Nigro (39 anni di Tuturano) e Elia Pati (35 anni di Mesagne, ma residente a Tuturano). Dei sette che sono sfuggiti al fermo, due (Francesco Campana e Daniele Vicientino) sono latitanti da tempo, mentre cinque - Oronzo De Nitto (35enne di Mesagne), Vito Antonio D’Errico (42enne di Latiano), Antonio Centonze (42enne di Brindisi), Gaetano Leo (45enne di Francavilla) e Alessandro Monteforte (36enne di san Pietro) - erano già spariti al momento del blitz.

Gemonio, attacco alla sede della Lega Maroni: "Non ci lasciamo intimidire"

Esplosione nella notte a 50 metri dalla casa di Bossi: nessun ferito
Solidarietà bipartisan: «Atto vile»


MILANO

Un’esplosione nella notte ha provocato danni alla sede della Lega Nord a Gemonio, in provincia di Varese. Nessun ferito, ma soltanti danni a portone e vetrate . Non è la prima volta che la sede del Carroccio di Gemonio, dove abita Umberto Bossi, viene presa di mira: il portone degli uffici, che si trovano a poche centinaia di metri dall’abitazione del Senatur, fu incendiato nel febbraio del 2007 e nel gennaio del 2009. Maroni dice che la Lega non si lascerà intimidire: «Noiiamo abituati da sempre ad attacchi di questo tipo, fatti da intolleranti che agiscono vigliaccamente e nell’anomitato». «È accaduto altre volte in passato -aggiunge il titolare del Viminale- che sedi del nostro partito siano state oggetto di violenza, ma non ci siamo mai fatti intimidire e la stesso accadrà questa volta. Naturalmente sono episodi da non sottovalutare. Non posso dire nulla ovviamente sulle attività investigative -conclude Maroni- che sono in corso e seguono piste precise».

Gli investigatori sono al lavoro per fare luce sull'attacco. "Dagli involucri rimasti a terra - spiega la polizia - sembra si tratti di petardi o bombe carta", messi comunque "a scopo intimidatorio", che hanno infranto i vetri di due vetrine, nella sede della Lega. Lo scoppio è avvenuto intorno alle tre di notte e sul muro uno scritta con vernice spray "Antifa secondo atto" rivendica l'azione di membri dell'area anarchica vicino ai centri sociali, spiegano gli investigatori.

Comunque la notte scorsa erano attive le telecamere installate vicino al sede. Gli investigatori in queste ore stanno visionando i filmati delle telecamere per controllare se abbiano inquadrato gli autori del gesto. Ad agire potrebbero essere state due persone e, al momento, le indagini si concentrano in un ambito provinciale, soprattutto in direzione di persone gia note alle forze dell’ordine. In provincia di Varese esistono diversi centri sociali ed in questi vi sono diversi simpatizzanti dell’area anarchica. Il tipo di ordigno usato, ad un primo esame artifici pirotecnici, non è comunque paragonabile, viene fatto notare, a quelli usati dai terroristi ancarchici.

Non è la prima volta che la scritta ’antifà lasciata sul muro di fianco alla sede della Lega Nord di Gemonio in vernice nera, compare in provincia di Varese. Agli atti degli investigatori risulta che questa scritta è apparsa più volte negli ultimi mesi sia a Gemonio sia in vari luoghi della provincia. Solidarietà ai leghisti è stata espressa da tutto il mondo politico. «Esprimiamo la nostra solidarietà alla Lega per i due ordigni fatti esplodere questa notte davanti alla loro sede presso Gemonio. Nessuna violenza di alcun genere potrà mai essere accettata da noi come forma di intimidazione politica. Siamo certi che gli inquirenti e le forze di polizia potranno presto dare meglio le dimensioni di quest’episodio che ci auguriamo essere isolato e di scarsa importanza», dicono Emanuele Fiano, responsabile del forum Sicurezza del Pd e Daniele Marantelli, deputato del Pd di Varese. Anche il Pdl e l'Idv condanno il gesto.

Gli affitti dell’Asp di Agrigento "Un tesoro che frutta poco"

Il manager Salvatore Olivieri: "Abbiamo oltre duecento immobili sparsi in tutt’Italia. Un tesoretto". Da un feudo di 180 ettari si ricavano appena 5 mila euro l’anno


AGRIGENTO. La pietra l’ha lanciata l’assessore Massimo Russo: «L'Asp di Agrigento possiede circa 200 beni, tra cui tre appartamenti a Roma, affittati ad attori e registi tv, e un vasto fondo in provincia di Enna». Beni frutto di lasciti che riguardano anche altre Asp e che, dice Russo, potrebbero far incassare 80 milioni di euro alla Regione. Stupore suscita il caso dei centottanta ettari di terreno con immobili rurali: da anni c’è chi se lo gode un prezzo politico. Anche se ora forse è meglio dire «sanitario», visto che si tratta di beni che appartengono all’Azienda sanitaria di Agrigento. Centottanta ettari ad Enna, un’area vasta. Anzi vastissima. Dalla cui locazione l’Asp per decenni ha ricavato appena cinquemila euro di canone annuo. Dove si trova? Il manager Salvatore Olivieri preferisce non dirlo. «È tanto vasta che raggiunge Caltanissetta e forse anche Agrigento», dice usando i toni del paradosso.

DOTTORE OLIVIERI, CINQUEMILA EURO D’AFFITTO. MA È UNO SCHERZO?

«Purtroppo è una realtà. Appena ne sono venuto a conoscenza ho avviato un’attività di monitoraggio. Abbiamo fatto un censimento. Ed è venuto fuori che abbiamo oltre duecento immobili sparsi in tutt’Italia. Un tesoretto: da Alessandria fino ad Agrigento. Sono tutti frutto di donazioni che negli anni Sessanta venivano fatte a coloro che si occupano di assistenza sanitaria e caritatevole».



LORO DONAVANO E LE VECCHIE ASL DAVANO IN LOCAZIONE A PREZZO «POLITICO». SARÀ ANCORA COSÌ?

«Assolutamente no. Abbiamo preso in mano la situazione. Gli affitti, dove è possibile farlo, vengono via via vengono revocati. Per quanto riguarda i terreni torneranno tutti nelle nostre disponibilità. Non è possibile infatti che dal loro affitto percepiamo poche briciole. Tenga conto che il podere di Enna non è il coso in queste condizioni». Non è un caso isolato, ne abbiano un’altro a Palermo diviso in lotti. A fine anno riscuotiamo poco meno di seimila euro. Una miseria».

CIFRE RIDICOLE PER I TERRENI, VALE ANCHE PER LE CASE?

«In alcuni casi sono adeguati a valori di mercato. In altri non credo proprio».

A COSA SI RIFERISCE?

«Noi abbiamo un palazzo intero a Palermo. Dovremmo riscuotere molto di più».

Gli immobili dell’Asp di Agrigento sono sparsi un pò in tutt’Italia. Dal Piemonte alla Liguria, dalla Toscana al Lazio. Tre appartamenti si trovano a Roma. Oltre trent’anni fa vennero affittati: uno al regista televisivo Michele Guardì, in via Cagliari, l’altro (in via Nomentana) a Maria Scicolone, sorella di Sofia Loren e madre di Alessandra Mussolini. La terza casa è occupata da una famiglia. «Nel caso di Roma posso dire che i canoni sono adeguati. Gli inquilini pagano il giusto. Nel caso della Scicolone devo parlare al passato, perché siamo riusciti a riavere l’immobile nelle nostre disponibilità».

«Io - replica Michele Guardì - ho chiesto che mi vendessero l’appartamento. La trattativa è da tempo in corso. Poi però l’Asp ha cambiato avvocato. Posso dire che pur di acquistare la casa sono disposto ad aggiungere altri dieci mila euro all’importo che stabilirà la stessa Asp. Più di così…».

di ALFONSO BUGEA

martedì 28 dicembre 2010

Strage in masseria, quattro fermi

Sparatoria per una lite sui terreni


VIBO VALENTIA

Sono quattro le persone fermate dai carabinieri con l'accusa di omicidio volontario plurimo per la strage di ieri pomeriggio a Filandari, in provincia di Vibo Valentia. Oltre al reo confesso, Ercole Vangeli, che avrebbe detto di aver agito da solo, i carabinieri hanno fermato altre tre persone per l'uccisione di Domenico Fontana e dei suoi quattro figli.

Il movente dell'uccisione di Domenico Fontana e dei quattro figli sarebbe legato ad una questione d'interessi. In particolare, Vangeli avrebbe avuto contrasti con Fontana ed i figli in merito alla compravendita di un terreno. L'ipotesi degli investigatori è che a sparare siano state almeno due persone visto che per compiere la strage sono state usate due pistole diverse e che le vittime si trovavano in posti diversi. Domenico Fontana, un agricoltore di 61 anni, e i suoi quattro figli, sono stati trucidati tutti insieme, probabilmente per il pascolo abusivo dei loro animali sui terreni dei vicini. Un'imposizione che, secondo gli investigatori, è costata loro la vita, dopo una lunga serie di litigi e scontri con altri agricoltori.

La strage è avvenuta nel pomeriggio di ieri intorno alle 17, davanti alla stalla in cui i cinque ricoveravano gli animali. Per ore, nel corso della notte, un ragazzo rumeno che aiutava la famiglia Fontana ha raccontato ai carabinieri tutto quello che ha visto, nascosto dietro una catasta di legna col terrore di essere scoperto dai due killer che sono arrivati ed hanno cominciato a fare fuoco. Una preziosissima testimonianza oculare che ha fatto subito imboccare agli investigatori una pista precisa e che ha portato davanti al Pm della Procura di Vibo, Michele Sorgiovanni, diverse persone per verificare i loro alibi.

E' stata la madre a scoprire la strage: il marito, i figli Pasquale, di 37 anni, Pietro di 36 e Giovanni, di 19, già cadaveri davanti alla stalla. Solo Emilio, di 32 anni, respirava ancora, ma è morto in ambulanza, mentre lo trasportavano d'urgenza in ospedale. Gli inquirenti sono certi che non si tratti di una strage di 'ndrangheta. Infatti benché tutte e cinque le persone decedute avessero precedenti penali per reati contro il patrimonio, i carabinieri e i magistrati inquirenti ritengono che la loro sanguinaria uccisione sia dovuta ad un regolamento di conti per questioni di interesse e non di una collegata alla criminalità organizzata.

Nella frazione Scaliti, una zona di campagna molto isolata distante circa quindici chilometri da Vibo, una volta scattato l'allarme, sono arrivati i carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Vibo Valentia, diretti dal maggiore Vittoria Carrara, e quelli della compagnia guidati dal Capitano Stefano Di Paolo, che hanno subito avviato le indagini coordinate dal magistrato di turno presso la Procura della repubblica, che ha disposto l'autopsia sul corpo delle vittime. Sul posto, anche per questo motivo e per effettuare l'esame esterno dei cadaveri, si è recato il medico legale Katiuscia Bisogni dell'università Magna Graecia di Catanzaro. Sul luogo della strage sono stati repertati numerosi bossoli sparati da due pistole una 7,65 ed una 9 x 21.

Mafia, nel mirino la moglie di Lo Piccolo

Secondo la Procura di Palermo Rosalia Di Trapani avrebbe avuto un ruolo importante all’interno del clan

PALERMO. La strategia del clan era anche nelle sue mani. Così la Procura di Palermo dà consistenza alla figura di Rosalia Di Trapani, 65 anni, moglie del boss Salvatore Lo Piccolo e madre di Sandro. La donna, come riportato nelle pagine del Giornale di Sicilia in edicola oggi, dovrà rispondere di estorsione aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra.

‘accusa riguarda l’imposizione del pizzo a Gioacchino Conigliaro, imprenditore palermitano, titolare del “Mercatone della carne”. Secondo i giudici, dunque, la Di Trapani non era impegnata soltanto nel passare ordini e messaggi del marito ma decideva in autonomia le strategie del clan.

Blitz contro vecchia e nuova Scu di Brindisi

BRINDISI – Una operazione di polizia è in corso nel Brindisino con l’esecuzione di 28 provvedimenti di fermo per smantellare i vertici dei clan criminali della provincia di Brindisi, vecchi e nuovi assetti di potere della Sacra corona unita. I fermi sono per associazione per delinquere di stampo mafioso nei confronti di altrettanti elementi di rilievo dell’organizzazione mafiosa salentina. Dieci dei provvedimenti vengono notificati in carcere ad alcuni tra i capi storici della organizzazione, mentre altri 18 vengono eseguiti tra Brindisi, Mesagne, Francavilla Fontana, San Pietro Vernotico e Cellino San Marco.

Nelle indagini, dirette dal procuratore distrettuale antimafia di Lecce, Cataldo Motta, e dal pm brindisino Alberto Santacatterina, sono stati impegnati agenti della squadra mobile della questura di Brindisi, del Servizio centrale operativo e del commissariato di Mesagne della Polizia di Stato.

All’esecuzione dei provvedimenti di fermo collaborano anche gli agenti del Reparto prevenzione crimine.

L'operazione si svolge nel giorno in cui a Francavilla Fontana è organizzata una riunione sulla criminalità nell’area brindisina – si terrà alle ore 16 – col sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, per tre omicidi verificatisi in città negli ultimi due mesi. All’incontro è annunciata la partecipazione del procuratore antimafia salentino, Cataldo Motta, del direttore della Direzione centrale anticrimine, Francesco Gratteri, del vicecapo della polizia e direttore centrale della polizia criminale, Francesco Cirillo, del comandante del Ros, Giampaolo Ganzer, e del comandante del secondo reparto del Comando generale dei carabinieri, Gaetano Maruccia.

lunedì 27 dicembre 2010

Strage in una masseria a Scaliti di Filandari: uccisi padre e 4 figli


Famiglia sterminata a Vibo Valentia

Cinque morti nell'agguato in masseria
Una strage che al momento pare collegata a problemi di rapporti di vicinato ha letteralmente annientato una famiglia. Padre e 4 figli sono stati uccisi a colpi di pistola a Scaliti di Filandari




Un uomo e i quattro figli uccisi a colpi di pistola per un terreno il killer si consegna ai carabinieri

VIBO VALENTIA

Una strage con cinque persone ammazzate, padre e quattro figli, e, al momento, un unico responsabile che si è presentato ai carabinieri confessando le sue responsabilità.

Hanno avuto una svolta clamorosa nella tarda serata le indagini sullo sterminio di una famiglia di allevatori in una masseria in contrada Scaliti di Filandari, un piccolo centro del Vibonese. Le vittime sono Domenico Fontana, di 61 anni, ed i suoi quattro figli, Pasquale, di 37, Pietro, di 36, Emilio, di 32, e Giovanni, di 19.

In serata, dopo che i carabinieri avevano anche sentito un testimone oculare, un romeno che collaborava con la famiglia Fontana, si è presentato nella caserma dell’ Arma un uomo di 42 anni, Ercole Vangeli, riferendo di essere stato lui a compiere la strage senza l’aiuto di nessuno. Un racconto che, però, è ancora al vaglio del pm della Procura di Vibo Valentia, Michele Sirgiovanni, perchè ritenuto poco credibile su merito, particolare e dinamica della strage. Secondo i carabinieri, infatti, ad agire sarebbero state almeno due persone perchè per uccidere Domenico Fontana e i quattro figli sono state usate due pistole diverse, una calibro 9 ed una calibro 7.65. Ed anche perchè tre delle vittime sono state uccise nello spiazzo antistante la masseria e altre due all’interno di un ovile situato sull’altro lato dello spiazzo.

 
Le persone uccise avevano precedenti penali a vario titolo, tra cui la coltivazione a fine di spaccio di canapa indiana ed estorsione. Ad armare la mano di Vangeli, titolare di una ditta di serramenti e descritto da tutti come una persona tranquilla e dedita alla famiglia ed al lavoro, sarebbero stati contrasti con la famiglia Fontana provocati da questioni d’ interesse legate alla proprietà di un terreno.

Secondo la ricostruzione dei carabinieri, Ercole Vangeli ed il suo presunto complice sono arrivati nel tardo pomeriggio nella masseria dei Fontana senza dare dell’occhio oppure approfittando del fatto di essere conosciuti dalle vittime. E quando sono stati abbastanza vicini hanno fatto fuoco. Domenico Fontana è stato ucciso nello spiazzo antistante la masseria insieme a due dei figli. Gli altri due sono stati sorpresi dagli assassini nel grande ovile posto dall’altro lato del piazzale. Emilio Fontana non è morto subito. Il suo fisico ha retto più di quello dei fratelli e del padre. Ma quando l’ambulanza che l’ha soccorso stava per partire, anche lui ha ceduto. Nelle vicinanze, nel momento della strage, si trovava anche la moglie di Domenico Fontana, impegnata in lavori agricoli. La donna, però, non ha visto nulla.

Dopo la strage, sulla masseria, che domina una vallata in fondo alla quale si vedono le luci di Mileto, è piombata l’oscurità più totale, rotta solo dai fari delle auto dei carabinieri lasciati accesi ad illuminare i tre corpi riversi nello spiazzo e consentire al personale della scientifica di repertare tutti gli elementi che potrebbero tornare utili alle indagini.

Resta il dato di una strage così efferata messa in atto non per un movente di ’ndrangheta o criminalità, come avviene il più delle volte in casi del genere, ma per una banale questione d’interessi terrieri.

Napoli, fratello di un boss di Afragola ucciso in una rissa da africano salvo dal linciaggio, ma è assedio del clan

AFRAGOLA (27 dicembre) - È stato ucciso a coltellate nel corso di un violento scontro tra cittadini ivoriani stanchi di subire angherie e un razzismo alla luce del sole, e un gruppo di afragolesi che ruota intorno alla figura di Salvatore Caccavale, detto «’o criminale».

A morire è stato il fratello di «’o criminale», Ferdinando Caccavale, 37 anni, una sfilza di precedenti penali. E un’ambizione: quella di entrare nel clan Moccia. Un razzista crudele e violento. E attaccabrighe, per la popolosa colonia di africani del centro storico.

La vittima è stata dilaniata dalla furia cieca della lama di un pugnale, stretto in mano da Kevin Akua, 29 anni, della Costa D’Avorio. Un irregolare che si spacca la schiena per dieci ore al giorno nel gelo dei campi di Terra di Lavoro. La polizia lo ha acciuffato mezz’ora dopo il delitto. E lo ha salvato da una fine orribile. Gli agenti lo hanno trovato prima della folla inferocita, che in via Guerra già gridava vendetta e un «Facciamolo a pezzi».

E che tirasse aria di linciaggio lo aveva capito lo stesso assassino. È stato preso dai poliziotti del commissariato di Afragola, diretto dal vice questore Paolo Iodice, mentre con un borsone tentava di scappare da Afragola. E forse dall’Italia.

Quello che gli fa paura non è tanto l’accusa di omicidio volontario, ma quello che gli potrebbe capitare in qualsiasi carcere e in qualsiasi momento. «Quello è un uomo morto», si sussurra fuori il commissariato.

La tensione razziale è scoppiata ieri sera, poco dopo le sette. All’improvviso. Ferdinando Caccavale ha imboccato via Guerra guidando la sua Punto Rosso. La strada è uno stretto budello. Uno spazio contemporaneamente incompatibile per auto e pedone. Lui suona a quell’ombra nera che cammina lenta. Kevin Akua agita la mano. A scacciare quel suono ripetuto e fastidioso. È un’offesa per Ferdinando Caccavale. Accelera quel tanto che basta per fare paura e sfiorare il «nero». Che reagisce. Lo manda a quel paese. La vittima si fionda dalla sua auto e molla qualche pugno. E ne riceve. La zuffa termina solo quando interviene qualcuno. La tensione è altissima.

Dieci minuti dopo, scendono in strada i gruppi. I bianchi contro i neri. Una ventina di contendenti. «Mò, jatevenne», gridano i bianchi di Afragola. «E dateci quello là», intimano indicando Kevin Akua. I neri rispondo per le rime. In quella lingua mista di francese, africano e afragolese. Ed è battaglia. Feroce. Violenta. Senza esclusione di colpi. I neri sono accerchiati. Ferdinando Caccavale punta quello che lo ha mandato a quel paese. E scatta. Lo slancio si ferma a metà aria. Nella punta del pugnale. La vittima guarda il suo assassino con occhi sbarrati, quasi meravigliata. E la lama affonda una, due, tre e chissà quante altre volte. Stramazza sul basolato nero di pioggia. E di sangue.

di Marco Di Caterino

Napoli, lite rabbiosa con la moglie poi si scaglia contro un vicino e lo accoltella a morte sotto casa

Napoli (27 dicembre) - Accertata la drammatica dinamica della tragedia in cui è morto a Licola (e non a Giugliano come precedentemente scritto) in provincia di Napoli, un giovane di 22 anni, Antonio Chiaro, che si trovava con la sua fidanzata sotto casa, mentre un pregiudicato litigava furiosamente con la moglie. Il bisticcio violento con la moglie, nel cortile di casa. Forse qualche parola che non andava detta, forse semplicemente la presenza: fatto sta che Giovanni Riccio, 29 anni, ad un certo punto ha iniziato a litigare anche con il suo vicino di casa, Antonio Chiaro, 22 anni.

E lo ha ucciso, a coltellate. È accaduto la scorsa notte a Licola, vicino Napoli.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Varcaturo, Riccio, già noto alle forze dell'ordine, stava litigando con la moglie quando nel cortile sono arrivati anche il 22enne e la sua fidanzata.
Non si sa ancora bene per quale motivo, ma si è scagliato contro Antonio Chiaro e lo ha colpito mortalmente.
Riccio è stato arrestato per omicidio aggravato e per porto abusivo di arma bianca. Il 22enne è morto qualche ora dopo in ospedale.

Agguato nell’Ennese, ucciso un emigrante

Omicidio ieri sera a Barrafranca. La vittima è Maurizio Marotta, 31 anni, con procedenti per droga. Ferito il fratello Gaetano. Erano tornati dalla Germania per le feste natalizie




BARRAFRANCA. In un agguato a colpi di pistola ieri sera in viale della Repubblica a Barrafranca (Enna) un emigrante di 31 anni, Maurizio Marotta, con precedenti per droga, è stato ucciso mentre il fratello, Gaetano, 32 anni, é rimasto ferito a una gamba. I due erano in un'auto, verso le 21, nel centro del paese quando l'assassino - non si sa ancora se fosse solo - si è avvicinato esplodendo alcuni colpi di pistola.

E' stato Gaetano Marotta a chiamare il "118" e un'ambulanza ha portato i due feriti in ospedale a Caltanissetta. Per Maurizio, giunto agonizzante, non c'é stato nulla da fare: è morto poco dopo l'arrivo in ospedale. Gli investigatori subito dopo il delitto non sapevano che fosse rimasto ferito anche il fratello. Gaetano Marotta non è grave ed è ascoltato dai carabinieri di Piazza Armerina per cercare di svelare il contesto del delitto e acquisire elementi utili all'identificazione dell'assassino. Maurizio Marotta e il fratello erano emigrati a Colonia in Germania ed erano tornati da alcuni giorni a Barrafranca per trascorrere le vacanze natalizie con i familiari.

la vittima era padre da pochi giorni

Il 15 dicembre era nata la figlia di Maurizio Marotta, ucciso ieri sera a Barrafranca. Interrogato il fratello, rimasto ferito


BARRAFRANCA. Maurizio Marotta, l'uomo di 31 anni ucciso ieri sera a Barrafranca (EN), sarebbe arrivato dalla Germania in Sicilia una quindicina di giorni fa, poco prima che nascesse la figlia avuta da una polacca e venuta alla luce il 15 dicembre. I carabinieri hanno già interrogato il fratello Gaetano, 32 anni, rimasto ferito nell'agguato e che oggi sarà sottoposto a un intervento chirurgico per l'asportazione del proiettile che l'ha colpito. Gli uomini dell'Arma seguono la pista della criminalità locale, a cui la vittima pare fosse legata: l'uomo aveva precedenti per traffico di droga.

L'agguato a Marotta è stato teso da un sicario vestito con una tuta da meccanico e travisato nel volto. I due fratelli erano appena usciti da un bar. Maurizio era salito in auto dal lato guida, quando il killer ha raggiunto la macchina e ha sparato vari colpi al volto attraverso il finestrino aperto.

sabato 25 dicembre 2010

Mafia, Dia sequestra beni a Catania

Sigilli a ditte di costruzioni, una villa, terreni a Misterbianco, 24 mezzi pesanti e conti correnti riconducibili a Rosario Chisari, considerato vicino alla famiglia Ercolano-Santapaola



CATANIA. La Direzione investigativa antimafia di Catania ha eseguito un decreto di sequestro beni, per un valore stimato in oltre 1,5 milioni di euro, nei confronti di Rosario Chisari, 42 anni, originario di Misterbianco, indicato come affiliato alla 'famiglia' Ercolano-Santapaola, riconducibile a Cosa nostra.

Il provvedimento, emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania su richiesta del sostituto procuratore della Dda etnea, Antonino Fanara, riguarda due società di costruzioni intestate a congiunti dell'indagato ma ritenute a lui riconducibili, una villa, diversi terreni nel comune di Misterbianco, 24 automezzi pesanti e conti correnti bancari. Le indagini economiche, finanziarie e patrimoniali della Dia hanno coperto un arco temporale compreso tra il 1996 e il 2010.

Rosario Chisari è stato arrestato nel novembre 2008 nell'ambito dell'operazione antimafia 'Padrini', dei carabinieri e della Procura di Catania, e il 20 ottobre scorso è stato condannato a sei anni di reclusione per associazione mafiosa.

Prostituzione, le mogli fanno la spia blitz nei locali notturni a Campobasso

CAMPOBASSO (23 dicembre) - Nei locali era possibile appartarsi con le ragazze per avere approcci di tipo sessuale, contatti fisici con prestazioni a tempo in cambio di soldi che andavano versati direttamente nelle casse dei gestori dei night.


Per questo la polizia ha fatto scattare la notte scorsa l'operazione «Costa brava» che ha portato all'esecuzione di 13 misure cautelari ordinati dal gip di Larino Roberto Veneziano su richiesta del pm Luca Venturi. Nove le persone finite in carcere, due ai domiciliari, per altre due è stato deciso l'obbligo di firma. I tre locali, tutti di Termoli (Campobasso) dove è scattato il blitz, «Diavolo della notte», Dream's« e »Fashion club« sono stati messi sotto sequestro. Il blitz è stato messo a segno dalla Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Campobasso con l'ausilio dei colleghi del Reparto Prevenzione Crimine di Pescara e di poliziotti delle questure di Campobasso e di Roma. Interessati all'operazione sono i comuni di Termoli, Larino, Orta Nova (Foggia) e Roma.


L'accusa nei confronti delle persone arrestate è quella di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento, all'organizzazione e allo sfruttamento della prostituzione con l'aggravante del numero elevato delle donne sfruttate. Le indagine sono partite nel mese di luglio, anche in seguito a segnalazioni arrivate da mogli di alcuni clienti dei locali, e hanno consentito di accertare che nei tre night, una volta ingaggiate le ragazze (lituane, rumene, finlandesi, nigeriane, ma anche italiane), queste venivano ospitate in alloggi privati, in zone ritenute sicure, anche fuori provincia, e quotidianamente venivano poi accompagnate nei locali notturni dove le giovani, oltre ad esibirsi ballando, concedevano prestazione sessuali nei »privè« o nei »separè«, spazi che prevedevano due prestazioni diverse, sempre a pagamento. Le prestazioni potevano avvenire anche fuori dai locali, in alcuni alberghi della zona. «I clienti potevano avere contatti fisici con le intrattenitrici - ha spiegato stamattina durante una conferenza stampa a Campobasso il capo della Squadra Mobile Mauro Baroni - ma non sono stati accertati rapporti sessuali completi».

Omicidio boss Altamura La Dda: preso il mandante è l'ex-alleato di Dambrosio

ALTAMURA - E' stato arrestato ieri mattina dai carabinieri il presunto mandante dell'agguato di stampo mafioso in cui, il 6 settembre scorso, fu ucciso mentre faceva jogging Bartolomeo Dambrosio, presunto boss di Altamura (Bari). Si tratta di Giovanni Loiudice, di 48 anni, latitante, bloccato in un appartamento in una zona centrale della citta' della murgia barese.


Nei mesi scorsi i carabinieri avevano arrestato altre persone coinvolte nel delitto, tra cui due figli del presunto boss Loiudice.

"DELITTO DECISO IN CASA LOIUDICE"
Fu deciso e organizzato - secondo l’accusa – in casa di Giovanni Loiudice, boss 48enne a capo dell’omonimo clan di Altamura arrestato stamattina, l'omicidio di Bartolo Dambrosio, altro boss altamurano ex alleato dei Loiudice poi entrato in conflitto per la contesa sul controllo degli affari illeciti nella zona. Dambrosio fu ucciso in un agguato in stile mafioso compiuto da un commando il 6 settembre scorso mentre faceva jogging sulla Murgia.

Loiudice, secondo i carabinieri, si era rifugiato in Brasile dopo avere programmato il delitto. Il 17 novembre scorso i militari, coordinati dalla Procura distrettuale antimafia, arrestarono uno dei suoi figli, Alberto, di 20 anni, dopo che il 21 settembre scorso era stato arrestato l’altro figlio, Michele, di 22, insieme con Francesco Palmieri, perchè ritenuti entrambi esecutori materiali dell’omicidio. A novembre scorso fu arrestato anche Rocco Giuseppe Ciccimarra, accusato di avere custodito le armi usate per il delitto.

Per l’accusa, i due figli avrebbero partecipato alla organizzazione logistica dell’omicidio.
L'inchiesta, è coordinata dal pm della Dda di Bari Desirè Digeronimo e dal sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Roberto Pennisi. I due boss, Loiudice padre e Bartolo Dambrosio, un tempo facevano parte dello stesso gruppo criminale, quello vicino ai Palermiti

giovedì 23 dicembre 2010

Mafia news

Mafia/ Bari, arrestati boss Lorusso e sua moglie

Sono stati arrestati questa mattina all'alba dagli agenti della Squadra Mobile di Bari, Umberto Lorusso, 32 anni, luogotenente del clan Rizzo a San Girolamo,quartiere periferico di Bari, e sua moglie. Sono accusati, a vario titolo, di tentato omicidio di un esponente del clan rivale e traffico di sostanze stupefacenti. Umberto Lorusso - costretto su una sedia a rotelle in seguito ad un agguato compiuto materialmente da Diego Casadibari, detto Gagan nell'agosto del 2009, aveva deciso di vendicare personalmente l'affronto subito. Ulteriori particolari saranno forniti dalla Procura Antimafia e dalla Squadra Mobile della Questura di Bari nel corso della mattinata.
 
MAFIA: LETTERA DI INGROIA AI COMMERCIANTI, DENUNCIATE IL 'PIZZO'
 
 Palermo, 22 dic. - "Tutti voi, cari commercianti, negli anni passati preferivate farvi incriminare per favoreggiamento e false dichiarazioni al pm piuttosto che violare la consegna del silenzio, piuttosto che ammettere di essere stati vittima della mafia. Fu questo atteggiamento di passivita' e paura ad avere isolato Libero Grassi, esponendolo alla rappresaglia mafiosa. Fu questo atteggiamento di rassegnazione a rafforzare il potere sul territorio di Cosa Nostra". Lo scrive il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, in una lettera aperta pubblicata sul settimanale S. "Oggi non e' piu' cosi' -prosegue Ingroia- centinaia sono gli imprenditori che si sono ribellati e che percio' vivono con la scorta, ma senza la mafia e senza necessita' di vedersi il proprio locale incendiato. E, anzi, hanno visto i loro aguzzini prima alla sbarra, e poi condannati a pene severe. Una via d'uscita esiste. Ed e' una via d'uscita conveniente. Perche' conviene, economicamente e psicologicamente, liberarsi del mafioso che ti perseguita, ti assilla, ti controlla, ti pesa. Questo e' il momento buono, cari commercianti. Non aspettate la mossa degli altri. Non aspettate che sia lo Stato a convocarvi per denunciare il mafioso. Non aspettate che sia il mafioso a desistere dal venirvi a chiedere il pizzo, perche' e' difficile che vi rinunci".
 
MAFIA: PROCESSO A 'EREDE' BOSS LO PICCOLO, MCL PARTE CIVILE
 
Palermo, 22 dic. - Il Movimento cristiano lavoratori attraverso il suo presidente nazionale, Carlo Costalli, si e' costituito parte civile nel processo all'architetto Giuseppe Liga, considerato l'erede del boss Salvatore Lo Piccolo. Il professionista era stato arrestato lo scorso 22 marzo. "Nel ribadire che scopo del movimento e' quello dell'affermazione della legalita', attraverso la diffusione dei principi sociali del cristianesimo - spiega Mcl - sono state configurate a carico dell'imputato Liga condotte incompatibili con i principi ispiratori e l'azione quotidiana del movimento stesso". Il pubblico ministero Francesco Del Bene, intervenendo sulla costituzione di parte civile, ha dichiarato che l'atto di costituzione e' corretto sia sotto il profilo formale sia sostanziale. Il Tribunale, dopo una breve camera di consiglio, ha ammesso la costituzione di parte civile del movimento. (AGI) Mrg

Mafia, quattro condanne al processo Minoa. Assolto Vinti

Quattro condanne e un’assoluzione  al processo scaturito dall’operazione antimafia denominata “Minoa”. Il gup del Tribunale di Palermo, Mario Conte, ha condannato a 18 anni di reclusione Domenico Terrasi, (20 anni la richeista del Pm Asaro), ritenuto il capo mafia di Cattolica Eraclea, al quale gli venivano contestati due aggravanti: la recidiva specifica e l’essere tra i capi dell’organizzazione Cosa nostra Agrigentina; 12 anni per Domenico Marrella,(15 anni), macellaio di Montallegro; 8 anni per Andrea Amoddeo, (10 anni) genero di Terrasi, di Cattolica Eraclea, titolare di un ristorante precedentemente sottoposto a sequestro giudiziario; 8 anni Francesco Manno, (confermato la richiesta del Pm), di Cattolica Eraclea. Assolto, invece, l’imprenditore di Ribera, Marco Vinti, 38 anni. Il Pm aveva chiesto 7 anni di reclusione. I cinque imputati sono difesi dagli avvocati, Nino e Vincenza Gaziano, Enrico Quattrocchi, Ignazio Martorana, Nino Olivieri, Santo Lucia, Salvatore Salvago e Salvatore Manganello. Per gli altri tre indagati, Paolo Miccichè, 37 anni, Giuseppe Terrasi, 39 anni, e Gaspare Tutino, 41 anni, tutti di Cattolica Eraclea, si procede con il rito ordinario. L’inchiesta “Minoa” riguarda i presunti componenti della cosca mafiosa di Cattolica Eraclea, Montallegro e Ribera

Catania, carabiniere vestito da Babbo Natale arresta estorsore

Salvatore Politini,presunto esattore del clan Santapaola, sorpreso dal militare dopo aver ritirato una tangente da un commerciante



CATANIA. Un presunto esattore del clan Santapaola, Salvatore Politini, di 37 anni, è stato arrestato in un paese del Catanese da carabinieri del reparto operativo del comando provinciale dopo che avere ritirato una tangente da un commerciante tagliaggiato da oltre 10 anni da Cosa nostra.

A catturarlo, dopo avere incassato il 'pizzo', è stato un militare dell'Arma travestito da Babbo Natale. L'investigatore ha lasciato cadere le caramelle che stava distribuendo fuori dal negozio e si è avvicinato all'estorsore prima che salisse in auto, arrestandolo. In suo aiuto sono intervenuti altri carabinieri in abiti civili. Il servizio di sorveglianza era stata attuato all'insaputa della vittima, che di fronte alla contestazione dei fatti ha fatto delle ammissioni. Militari dell'Arma avevano piazzato delle telecamere nel negozio e all'esterno, e per garantire una maggiore sorveglianza e potere intervenire subito, uno di loro da diversi giorni si era vestito da Babbo Natale e distribuiva caramelle ai bambini fuori dal negozio.

La vittima, secondo alcuni collaboratori di giustizia, da oltre un decennio pagava un 'pizzo' mensile da 500mila lire, poi commutati in 260 euro. Politini è stato trovato in possesso di altri 200 euro e di un piatto di ceramica di Caltagirone e un panettone che, secondo i carabinieri, è il provento di un'estorsione a un bar della zona. Le indagini del reparto operativo sono state coordinate dal procuratore capo di Catania, Vincenzo D'Agata.

Reggio. Processo "Onorata Sanità" undici anni per Domenico Crea

L'ex consigliere regionale della Calabria, Domenico Crea è stato condannato ad 11 anni di reclusione dal Tribunale di Reggio Calabria a conclusione del processo denominato «Onorata sanità»,



23/12/2010 Intrecci tra mafia e politica che puntavano al controllo della sanità, attraverso un rappresentante di fiducia delle cosche nella massima istituzione calabrese. Questa l’ipotesi investigativa su cui si basa l’inchiesta «Onorata sanità» che il 28 gennaio 2008 aveva portato all’arresto di 18 persone e all’emissione di 29 avvisi di garanzia.


Un’indagine condotta dalla Procura Antimafia di Reggio Calabria e dai carabinieri, scaturita dalle operazioni «Armonia» e «Panta Rei» che, alla fine degli anni Novanta, avevano tracciato il connubio tra mafia e politica.

Il personaggio politico di rilievo arrestato nell’ambito di «Onorata Sanità», con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, era Domenico Crea, consigliere regionale all’epoca dei fatti, subentrato a Francesco Fortugno, assassinato a Locri. Al centro dell’indagine la clinica della famiglia Crea, «Villa Anya». Per Domenico Crea è arrivata la condanna, ad undici anni e tre mesi di reclusione, inflitta dal Tribunale di Reggio Calabria. L'accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del procedimento chiamato «Onorata sanità».

Il Tribunale ha poi condannato a tre anni e tre mesi di reclusione il figlio di Crea, Antonio, attualmente detenuto, e a nove mesi la moglie di Domenico Crea, Angela Familiari, accusata di truffa. Nove mesi di reclusione sono stati inflitti all’ex direttore dell’Azienda sanitaria di Reggio Calabria poi divenuto collaboratore di Domenico Crea, Antonino Iacopino.

Assolti da ogni addebito la figlia di Crea, Annunziata, due suoi collaboratori, Paolo Attinà e Giuseppe Scordo, per i quali era stata chiesta la condanna a sette anni di reclusione, ed il dirigente dell’Azienda sanitaria Mario Neri. Il Tribunale ha disposto anche l’interdizione dai pubblici uffici per Crea e la confisca del patrimonio sequestrato tra cui la clinica della famiglia Crea, Villa Anya. Per Domenico Crea l’accusa, sostenuta dai pm Mario Andrigo e Marco Colamonici, avevano chiesto la condanna a 16 anni di reclusione, mentre per il figlio erano stati chiesti 11 anni.

Lotta alla mafia, al via un asse Prefettura-Provincia per gli appalti pubblici

Il protocollo per la legalità è stato siglato al fine di garantire la trasparenza nelle gare pubbliche anche di importi inferiori alle soglie di legge

Reggio Emilia, 22 dicembre 2010. Reggio Emilia alza la guardia contro le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico. Lo fa con il protocollo per la legalità siglato oggi tra Prefettura e Provincia volto alla trasparenza degli appalti di lavori pubblici, da ottenere mediante la richiesta delle informative antimafia per l’intera filiera degli esecutori e dei fornitori anche per appalti di importo inferiore rispetto alle soglie di legge.


In dettaglio, l’iniziativa, che dà concreta attuazione alla direttiva del ministro dell’Interno in materia di controlli preventivi nelle attività a rischio di infiltrazione da parte di organizzazioni criminali e fa seguito al Protocollo d’intesa siglato tra i prefetti dell’Emilia-Romagna con la Regione, consentirà di svolgere uno screening ad ampio raggio delle attività più esposte e, nel caso in cui siano accertate infiltrazioni di tipo mafioso, permettera’ la tempestiva esclusione dall’appalto dell’impresa collegata all’organizzazione criminale.

In particolare, si prevede che l’informazione antimafia del prefetto, rilasciata ordinariamente per legge solo per appalti di lavori di valore pari o superiore alla soglia comunitaria (cinque milioni per gli appalti e 150mila euro per i subappalti), venga invece richiesta alla Prefettura dalla Provincia anche per appalti e concessioni di lavori pubblici di importo pari o superiore ai 250.000 euro, e per i subcontratti di lavori, forniture e servizi di importo pari o superiore a 50 mila euro.

L’informazione antimafia sarà inoltre richiesta, indipendentemente dal valore, per le attività di trasporto di materiali a discarica, trasporto e smaltimento rifiuti, fornitura e trasporto terra e materiali inerti, servizi di autotrasporto e di guardiania di cantiere. Verrà infine svolto un attento monitoraggio dei cantieri e delle imprese durante lo svolgimento dei lavori.

“Il Protocollo è un’ulteriore conferma della stretta collaborazione tra Prefettura, Provincia e Comuni del territorio con cui sono state insieme condivise analisi e strategie di contrasto alla criminalità organizzata, sviluppando sempre più attente e mirate forme di cooperazione istituzionale. Perche’ la mafia si combatte insieme, operando insieme per la legalità, e qui a Reggio Emilia c’è una grande collaborazione tra organi dello Stato, forze dell’ordine, istituzioni, imprese ed associazionismo che ci rende più forti”, commenta il prefetto Antonella De Miro illustrando il contenuto del protocollo.

Uno strumento, prosegue, “che consentira’ una analisi più approfondita delle situazioni a rischio, estendendo ad un maggior numero di appalti la valutazione antimafia prefettizia, che riguarda non solo i legali rappresentanti ma anche i soggetti che comunque ruotano attorno alle ditte”.

La presidente della Provincia, Sonia Masini, ha ringraziato il prefetto De Miro “che con il suo attivismo, frutto di grande impegno e grande passione civile, sta contribuendo in maniera davvero preziosa a rafforzare la grande collaborazione che da tempo vede istituzioni e forze dell’ordine unite per la legalità e contro le infiltrazioni malavitose e che già ha prodotto importanti risultati come il Protocollo contro il lavoro nero o l’Osservatorio online sugli appalti pubblici, che è già operativo e lo sarà ancora di più da gennaio”.

Ad oggi sono una decina le aziende reggiane raggiunte da informative interdittive della Prefettura: soltanto una di queste ha visto accolto il ricorso all’atto prefettizio impugnato al Tar. Il tribunale non ha messo in dubbio il provvedimento della Prefettura ma ha chiesto di motivarlo in maniera più dettagliata.