venerdì 3 novembre 2006

Punito dai clan è il racket dei videogiochi


Sant’Antimo. Era imprenditore in un settore diventato difficile in questi anni, quello dei videogiochi. Un campo sempre più appetito dalla criminalità organizzata. Da mesi cercava commesse per salvare il posto di lavoro dei suoi quaranta operai. Un carattere schivo e riservato: è stato ucciso con il tragico rituale dei killer della camorra. Per gli inquirenti l’omicidio di Rodolfo Pacilio, 36 anni, titolare dell’azienda «Appia Giocattoli Srl» di Sant’Antimo, è comunque un delitto anomalo. Oscuro.

 Difficile da collocare e spiegare, soprattutto in questi giorni di sangue. L’impreditore ucciso, che tutti chiamavano e conoscevano come Giancarlo, era uno dei più grossi distributori italiani di quelle schede elettroniche che sono il cuore dei videogiochi. Quelli leciti. Ma le schede elettroniche, una volta finite nelle mani della camorra, trasformano innocenti videogame in quelle micidiali macchinette mangiasoldi che sono i videopoker, capaci di incassare ognuna, dai tremila ai quattromila euro a settimana. Più di quanto si possa realizzare con la droga e senza incorrere in reati penali.

 E allora spunta la pista del racket dei videogiochi. Rodolfo Pacilio avrebbe pagato con la vita un rifiuto di troppo a manipolare e distribuire le schede taroccate, il cui monopolio è gestito dal clan dei casalesi e dai loro alleati. I carabinieri del nucleo operativo di Castello di Cisterna, diretti dal maggiore Fabio Cagnazzo, oltre ad eseguire una cinquantina di perquisizioni tra Giugliano, Sant’Antimo, Aversa e Casal di Principe, hanno anche tirato fuori due fascicoli, nelle cui carte potrebbe esserci la chiave di lettura dell’omicidio. Il primo riguarda il genitore dell’imprenditore ucciso, Luigi Pacilio, padre di dieci figli.

L’uomo, una quindicina di anni fa, denunciò per estorsione Eduardo Contini che gli aveva imposto una tangente per ogni flipper che consegnava a Napoli. Quella denuncia costò al boss una condanna a undici anni di carcere e segnò l’inizio della fine del suo clan. Sul secondo dossier, c’è scritto invece il nome di Domenico Pacilio, fratello di Rodolfo, ucciso con due fucilate al volto a pochi metri dalla sua abitazione di Grumo Nevano, nella notte tra il due e il tre gennaio del 2003, dopo aver chiuso il bowling, di cui era titolare a Caserta. Un omicidio, quello di Domenico, rimasto avvolto nel più fitto mistero e mai chiarito. Forse Rodolfo Pacilio, che negli ultimi tempi discuteva con gli altri fratelli sulla possibilità di chiudere tutte le attività imprenditoriali e trasferirsi a nord.

 Forse aveva saputo qualcosa sull’omicidio del fratello e ne aveva parlato con qualcuno. Resta il fatto che martedì sera, il killer incaricato dell’esecuzione, non ha avuto alcuna esitazione. L’assassino doveva avere la certezza di non lasciare nessuno scampo alla vittima designata. Il killer ha sparato a due mani, impugnando due micidiali revolver di grosso calibro dai quali sono partite una decina di pallottole, tutte andate a segno. Non ci doveva essere scampo per Rodolfo Pacilio, e scampo non c’è stato.

FONTE: Il Mattino  MARCO DI CATERINO