lunedì 29 aprile 2013

Colpito alla colonna vertebrale il brigadiere rischia la paralisi


 Giuseppe Giangrande, 50 anni, vedovo da due mesi, è in prognosi riservata. Sta meglio Francesco Negri, 29 anni, appuntato: «C’era gente, non ho sparato»


di Marco De Risi e Riccardo Tagliapietra
 
ROMA - In una delle sale rianimazione dell’Umberto I è ricoverato il brigadiere Giuseppe Giangrande del VI battaglione carabinieri Toscana. Un collega, con indosso la divisa antisommossa, piange confortato dai commilitoni. «Giuseppe è una persona meravigliosa - dice - ancora non si era ripreso dalla morte della moglie avvenuta due mesi fa». È una verità che ferisce ancora di più. Una famiglia in seria difficoltà, con un grande coraggio lasciato allo sguardo della figlia Martina, 23 anni, che abita a Prato assieme al papà. Anche lei cede per un attimo alla disperazione: «Perché proprio a mio padre è accaduta una cosa del genere?». Giuseppe Giangrande, 50 anni, ha riportato un danno midollare importante. La prognosi è cruda e senza pietà: riservata «per 72 ore quoad vitam», cioè per sapere se il brigadiere sopravviverà. Lo ha detto il direttore del Dea del Policlinico Umberto I, Claudio Modini.

L’ULTIMO POST
«Buona domenica a tutti. Oggi grande giornata di sole». È l’ultimo post scritto sulla propria pagina Facebook da Giangrande. Sotto la frase c’è la foto di una carrozza, ferma in una piazza romana. Sono le 11.06 di ieri mattina, «nei pressi di Roma», è spiegato sul profilo. Pochi minuti dopo Luigi Preiti spara i colpi di pistola contro i due militari. Scorrendo il profilo di Giangrande si incontrano molte foto scattate nella sua città natale, Monreale (Palermo), fra litorali e pasticcerie. Ma anche quelle «di lavoro», con l’ordine pubblico all’Olimpico e l’intervento in Emilia, per il terremoto: «Oggi alle ore 09.03 circa, ho vissuto unitamente ai ragazzi della squadra cosa significa sentire il sisma di 5.8 - scrive il 29 maggio - vi posso garantire che non è una bella esperienza».

IL PASSATOGiangrande era stato al nucleo radiomobile del Comando provinciale dei carabinieri di Prato fino a tre anni fa, poi aveva chiesto il trasferimento al VI Reggimento Mobile Toscana, con sede alla caserma Baldissera di Firenze. Faceva parte del gruppo antisommossa, ed è questa la ragione per cui si trovava a Roma in questo periodo. Il contingente toscano era arrivato a Roma da qualche giorno. «Siamo a disposizione del Comando generale - aggiungono i colleghi - che ci impegna non solo in Toscana, ma laddove ci sia bisogno: dalle emergenze di Lampedusa a quelle per la Tav, al servizio pubblico durante le partite».

L’APPUNTATO
Francesco Negri, 29 anni, originario di Torre Annunziata, appuntato dell’Arma, pure lui in servizio al VI battaglione carabinieri Toscana, al contrario del collega, può parlare. A chi viene a trovarlo nel suo letto d’ospedale racconta quei terribili momenti davanti a palazzo Chigi. «Non ho sparato perché la piazza era piena di gente», si giustifica il carabiniere, quasi fosse una colpa. Invece è un gesto da eroe, perché nella folle mischia di piombo innescata da Luigi Preiti, la lucidità e freddezza di Negri ha salvaguardato le vite di turisti e semplici cittadini che il destino aveva voluto in quel momento a pochi passi dagli spari.

Francesco, che vive ancora in caserma, sta per sposari. Veronica, 28 anni, è la sua fidanzata. Fa la cantante. Si conoscono da sei anni e insieme hanno un sogno: una casetta vicino al mare a Porto Santo Stefano. Ieri mattina il papà della ragazza, Gianfranco, era andato lì per ultimare alcuni lavori, poi era tornato a casa. E Veronica, impietrita davanti alla tivù aveva urlato «hanno sparato a Francesco». Sul teleschermo l’ombra di una divisa. Nessun volto inquadrato. Ma Veronica, che ora tiene stretta la mano di Francesco, sapeva già tutto. Lo aveva sentito nel cuore, come fosse una veggente. L’ultima parola nella stanza d’ospedale spetta a Francesco che ora vuole solo riposare. «Viviamo una fase di tensione nel paese - dice - e queste tensioni ricadono sulle nostre spalle».

L’attentatore di Palazzo Chigi: «Volevo colpire i politici»



Preiti interrogato per due ore: «Ho visto una divisa e ho fatto fuoco. I carabinieri rappresentano le istituzioni»



di Valentina Errante e Cristiana Mangani

ROMA - Mischia lucidità e lacrime, disperazione e ansia. Luigi Preiti, è l’unico responsabile dell’attentato davanti a Palazzo Chigi, risponde alle domande dei magistrati e, in un paio d’ore di interrogatorio, racconta la sua verità. «A 50 anni non si può sopportare di tornare a vivere dai genitori», dice al procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e al pm Antonella Nespola che lo ascoltano in ospedale poco dopo l’arresto. È un uomo lucido, questo calabrese di Rosarno, che nella vita faceva il piastrellista ad Alessandria. È separato, ha un figlio di undici anni e, ormai da tempo, non ha più un lavoro. «Per questa ragione non riesco ad avere un rapporto decoroso con mio figlio - si dispera - e loro, i politici, mangiano, bevono, non si preoccupano di noi e di quello che ci stanno facendo». Poi piange, quasi con i singhiozzi, tanto che uno dei carabinieri presenti all’interrogatorio mostra comprensione, gli dà una pacca sulla spalla, quasi per incoraggiarlo. «È per questo - continua Preiti - che ho pensato di commettere un gesto eclatante, qualcosa che potesse lasciare un segno, perché non ne potevo più di questi stronzi. L’idea mi è venuta una ventina di giorni fa, l’ho preparata nel dettaglio. Sono arrivato davanti a Palazzo Chigi, i carabinieri stavano mettendo le transenne, parlavano tra di loro, ho visto una divisa e ho sparato. Per me rappresentavano le istituzioni. Ma io non ce l’ho con loro, ce l’ho con i politici».

L’ARMA
I magistrati incalzano, vogliono particolari, spiegazioni. Come ha avuto l’arma? Dove l’ha comprata? E cosa pensava di ottenere con questo gesto? E lui replica insistendo sui drammi, la solitudine, la precarietà. «Ma avete visto quanta gente si uccide? E quella donna che ha strangolato il figlio a Bergamo? Oddio, ora le televisioni avranno dato il mio nome, penso a quello che mio figlio starà provando in questo momento. La mia famiglia». La pistola, una Beretta 7,65, con la matricola abrasa, di provenienza illecita, dice di averla comprata al mercato nero a Genova, qualche anno fa. Poi ricostruisce: «Sono partito sabato da Gioia Tauro, in treno, mi sono fatto prestare i soldi da mia madre. Avevo in tasca 50 cartucce. Mi ero preparato a questo gesto, avevo anche provato se la pistola funzionasse: avevo sparato in campagna, in Calabria. Sono arrivato intorno alle 16 all’hotel Concorde, vicino alla stazione. La mattina dopo, mi sono preparato e sono uscito. Non c’era nessuno a fermarmi. Ho scelto il giorno del giuramento dei ministri, proprio perché era una data simbolica. Ho sparato sette colpi, nove cartucce le ho tenute nel marsupio, altre nella giacca».
Ai pm appare lucido, non è un folle, dicono, semmai una persona pressata dagli eventi. Il dubbio, però, che possa nascondere qualcosa, rimane. Analizzeranno meglio i tabulati telefonici, la documentazione e, soprattutto, vedranno se la Beretta usata per colpire abbia sparato in altre occasioni. Chi gliel’ha fornita? Resta il sospetto che possa essergli stata ceduta dalla criminalità organizzata calabrese.

LA DINAMICA
Ieri mattina, le telecamere di piazza Colonna lo riprendono mentre arriva sul posto intorno alle 10,30. Un’ora dopo, quando il neo ministro alla Sanità, Beatrice Lorenzin, presta il suo giuramento davanti al presidente della Repubblica, Preiti impugna l’arma e fa scoppiare il finimondo. «Alla fine mi sarei voluto uccidere - sostiene ancora a verbale - Ma non ci sono riuscito, non c’erano più cartucce. Sono disperato, però non odio nessuno». Gli investigatori che lo hanno bloccato subito dopo la sparatoria, dicono che è stata una fortuna che la pistola si sia inceppata, altrimenti l’uomo avrebbe continuato a sparare. E che quando ha visto che l’arma era bloccata, avrebbe tentato di fuggire. La procura e i carabinieri del nucleo investigativo di Roma valuteranno tutti questi aspetti, prima di liquidare il gesto di Preiti come quello di un disperato. Anche se sembrano più che convinti che abbia agito da solo.

LA DIFESA
Oltre al tentato omicidio, al porto e alla detenzione di armi, gli verrà contestata la premeditazione, perché tutto era stato pianificato. L’avvocato Mauro Danielli, che lo assiste, spiega che si è trattato «del gesto di un uomo che non aveva più nulla, una persona vicina alla depressione, che non riusciva ad avere un rapporto decoroso con il figlio. Avrebbe voluto morire - aggiunge il legale - e quando ha saputo di quanto uno dei feriti fosse grave si è straziato dal dolore». Lo psichiatra che lo ha visitato, ha chiesto che venisse mantenuta nei suoi confronti la maggiore attenzione possibile: rischia episodi di autolesionismo. I pm hanno preferito trasferirlo nella struttura riservata ai detenuti dell’ospedale Pertini, la stessa dove era ricoverato Stefano Cucchi. Domani sarà sottoposto a interrogatorio di garanzia.

I DUBBI
Sebbene le indagini siano orientate verso l’episodio isolato, qualche dubbio resta. Nel lungo sfogo davanti ai pm, Preiti ha anche ammesso di fare uso di cocaina. «Sono un consumatore - ha spiegato - Non ho mai avuto problemi di salute, sono sempre stato bene, meno che negli ultimi tempi: prendo gli ansiolitici, il sonno non arriva». Il pm Nespola insiste sulla dinamica e il movente. L’aggressore risponde: «Dottoressa, cosa volete sapere ancora? Dopo che vi ho detto che ho sparato io, che ho fatto tutto da solo, che la mia famiglia, i miei fratelli, non sanno nulla. Vi ho detto ogni cosa. Questa è la verità. Nella desolazione della mia vita, volevo solo lasciare un segno».

I sei colpi a Palazzo Chigi rimbombano al Quirinale



La notizia dell'attentato irrompe al Colle durante il giuramento del nuovo governo. I ministri ignari sorridono e posano per le foto. Alfano il primo a essere informato

di Mario Ajello
ROMA - Lo sparo non si sente. Né il primo né gli altri cinque. Perché il Quirinale è un po’ distante da Palazzo Chigi. Ma l’eco politica o anti-politica di quei colpi, con il delirio che contiene e la paura che suscita in una città e in una nazione già in preda al senso di allarme, dalla sede del governo s’inerpica sul Colle. Dove è in corso la cerimonia del giuramento dei nuovi ministri. Vogliono colpire anche loro quei colpi? «Sono idealmente diretti pure a noi?», s’interroga il neo-ministro della Difesa, Mario Mauro, dopo aver giurato davanti al Capo dello Stato, e si risponde che «bisogna vedere, bisogna capire». Sono forse il frutto avvelenato del clima di rabbia contro il Parlamento e contro le istituzioni che però, quassù, sul Colle, non sembra essere arrivato perché c’è una folla plaudente nei confronti dei nuovi ministri che arrivano a piedi come cittadini qualunque, o guidando la loro macchina non blù (la Panda rossa di Massimo Bray è punteggiata di bisognini di piccioni), o accompagnati da un taxi o addirittura in corteo di famiglia nel caso di Delrio che si è portato al seguito sei dei suoi nove figli più moglie? La festa è quassù; l’inferno è sotto. Ma poi i set si mescolano, purtroppo.

LA RAFFICA
La raffica è delle 11,40, cadono per terra i due carabinieri, Giuseppe Giangrande e Francesco Negri, e immediatamente quell’alone di sangue comincia il suo breve cammino. S’infila nel cortile della presidenza della Repubblica, mentre le autombulanze stanno portando Giangrande al policlinico Umberto I e Negri al San Giovanni. Sale le scale dove ci sono i corazzieri immobili come sempre e vorrebbero fermare, se potessero, la scia di quel fattaccio, mentre il viavai di curiosi, di cittadini afflitti, di amici e di colleghi dei due carabinieri feriti invade il luogo dell’attentato o cerca di raggiungerlo e di capire come, perché e perché adesso. La notizia ora irrompe nel mezzo del Salone delle feste al Quirinale e trasforma in un dramma una cerimonia di iniziazione, un rito lieto per qualcosa che comincia. E non deve cominciare con l’odore della morte. «Avevo il cuore leggero - dirà poi Iosefa Idem, la canoista arrivata alle Pari Opportunità - e me lo ritrovo pesante». «Per fortuna che non mi sono portata mia figlia Gea», aggiunge Nunzia De Girolamo.

Proprio lei, neo-titolare all’Agricoltura, sta per giurare. I flash, qui dentro. Altri flash, di più e più grondanti di dolore, fuori di qui. Sul Colle va in scena un’Italia pacificata, o che vorrebbe pacificarsi con le larghe intese. Sotto il Colle, è appena andata in scena l’altra Italia. Nella sua versione più pulp. L’attentatore di Palazzo Chigi viene bloccato proprio mentre De Girolamo sta recitando il suo giuramento. Quando è alle ultime sillabe, ecco spuntare dalla porta sulla destra del presidente Napolitano un funzionario dell’ufficio stampa, Costantino Del Riccio. Tiene tra le mani un dispaccio d’agenzia. Cerca di avvicinarsi ad Alfano, che siede nel primo posto all’inizio della prima delle due file di ministri. Lo raggiunge, gli sussurra la notizia. Alfano chiude gli occhi come si fa davanti a una brutta cosa. Non sa se alzarsi e diventare subito operativo da neo-ministro dell’Interno. No, resta seduto. Aspetta. Non vuole attizzare il panico.

L’ASSEDIOPensavano, Letta e molti dei suoi ministri, di dover temere soltanto i falchi del Pdl che remano contro e la pancia dell’elettorato del Pd (più qualche maggiorente che si sente escluso), e invece no: c’è di più e di molto peggio. La violenza, di nuovo: li assedia. Anche se loro ancora non lo sanno. Ma l’Italia non aveva già dato? Comunque la scena è terribilmente surreale. I giornalisti, i fotografi, gli addetti alle tivvù, i parenti dei ministri, che una corda invalicabile divide dalle star della giornata dentro la sala, grazie al web e ai telefoni già sono venuti a conoscenza della sparatoria. I membri del governo, a parte Alfano, sono all’oscuro del fatto, sentono ma forse no il rumore delle autombulanze, continuano ad alternarsi nel giuramento, si scambiano convenevoli, accennano le prime prove d’intesa tra ex avversari (Franceschini conversa con il vicino di posto Quagliariello, Lupi e Orlando scherzano: «Spegniamo il telefonino perchè è un disastro se squilla mentre stiamo recitando l’atto di fedeltà alla Repubblica»). E insomma, nessuno di loro riesce a sentire quel grido che un cameraman lancia dal lato destro della sala: «Lo sapete che è successo? Hanno colpito due carabinieri all’ingresso di palazzo Chigi. Stanno sparando addosso al vostro governo!».

Sì, è accaduto l’impensabile. Il primo a cui Alfano dice qualcosa è Moavero, perchè gli siede affianco. Gli altri continuano a sorridere ai parenti - la Cancellieri verso i nipotini che la guardano dall’altro lato della sala - o a mantenere l’aplomb delle grandi occasioni. Ora la cerimonia è arrivata al termine.
Giovanni Matteoli, nuovo portavoce del presidente, informa Napolitano, che scuote la testa. I ministri si fanno le foto di rito. C’è chi sa e chi non sa. Alfano ha avvertito Lupi. La notizia circola. Letta si sta facendo la foto con Napolitano (il quale si vede che è turbato) e con le sette donne del governo, gli si avvicina Franceschini e gli dice: «Devo dirti una brutta cosa ma ancora non si sa bene di che cosa si tratti». Ora le sirene di fuori le sentono tutti. Letta chiama agli ospedali. Ci sono altri feriti gravi? Comincia ad arrivare sugli smart phone dei ministri la foto del carabiniere Giangrande steso per terra con il sangue che gli cola: e che angoscia!
Poi c’è il brindisi che non è un brindisi. Alfano e Cancellieri si consultano: «C’è una regia? Un gesto isolato?». C’è chi tende a collegare l’attentato con il clima di ”caccia al politico” scatenato ormai da tempo.
PARALLELI
C’è chi abbozza paralleli storici un po’ incongrui, del tipo: le Brigate Rosse per il governo di unità nazionale, bombe della criminalità per il governo Ciampi, ora il folle che spara. «Ma bisogna andarci cauti», dice Mario Mauro, che si avvia per primo a trovare al Policlinico il brigadiere Giangrande. Gli altri restano nella sala attigua a quelle delle feste. Lupi: «E’ opera di un pazzo». Letta: «Dicono sia uno squilibrato». Ma chi lo sa? Chi può dirlo? Che cosa significa pazzo, magari uno normalissimo che si fa suggestionare dal clima d’odio diffuso e viene preso da un raptus? Si sta svolgendo una sorta di consiglio di guerra ma non si sa a chi fare la guerra. I volti dei presenti, pur appartenendo per lo più alla generazione X, cioè alla generazione light di chi era ragazzo negli anni ’80, hanno assunto di colpo la gravità di quelle figure di statisti effigiate da Tiziano nella mostra allestita qui fronte, alle Scuderie del Quirinale.

Intanto Letta e gli altri non escono perché gli è stato detto di non farlo per motivi di sicurezza? Un attentato anche qui? No, però le misure di controllo vengono subito rafforzate intorno al Quirinale. E chi, come De Girolamo e altri, sono arrivati con le proprie auto, vengono portati via con le macchine di servizio. Non si sa mai. «Non credo in una regia politica», dice Cancellieri. E aggiunge: «Sigillare ventiquattro ore al giorno ogni giorno una piazza, come quella di Palazzo Chigi, comunque è impossibile». Napolitano, nel brindisi che non è un brindisi ma una sorta di centrale telefonica dove ognuno chiama le proprie fonti per saperne di più («Ho ancora qualche numero che può essere utile», dice Cancellieri passata dal Viminale alla Giustizia), parla ad alcuni ministri: «Il momento è grave. Dobbiamo rispondere con i fatti. Dimostriamo che la politica è all’altezza della gravità della situazione».

SGOMENTO
Ora sta accadendo che il selciato sotto Palazzo Chigi è ancora sporco di sangue, la scientifica sta facendo le sue analisi, tutto è transennato, il consiglio dei ministri sta per cominciare e quando arrivano Letta e gli altri vogliono sapere di più da chi c’era, da chi ha visto, da chi non avrebbe voluto vedere. Come quel poliziotto che piange e non parla. In una città sgomenta quanto lui.

Napoli, sequestrati ad anziana giubbotti antiproiettile e parrucche per rapine



La polizia trova un piccolo emporio di oggetti di uso
quotidiano: tutti gli accessori per reati predatori




Napoli. Una pensionata di 75 anni è stata denunciata dalla polizia con l'accusa di nascondere materiale utilizzato da clan della camorra. Nella sua casa, a Napoli, vicino a un esponente del clan Pesce-Marfella, gli agenti hanno trovato 3 giubbotti antiproiettile, 3 parrucche e 2 bilancini di precisione. Quasi un piccolo emporio di oggetti d'uso quotidiano, si fa per dire, per chi fa il mestiere di malvivente.

La polizia inoltre ha sequestrato un vicino appartamento, del comune di Napoli, che, già sotto sequestro, era stato blindato con una serie di doppi portoni di ferro ed era nuovamente utilizzato.

Maddaloni, carabiniere ucciso in gioielleria


Catturati altri due componenti della banda
Sono due pregiudicati napoletani: caccia ai due in fuga
ordini di custodia per altri componenti della banda




di Claudio Coluzzi
Sono stati catturati dai carabineri, coordinati dal pm Carlo Fucci della Procura di S. Maria C. V., gli altri due rapinatori che hanno partecipato al colpo di Maddaloni culminato con l'uccisione dell'appuntato Tiziano Della Ratta e nel ferimento del maresciallo Domenico Trombetta: in manette pochi minuti fa Rosario Nuzzo Esposito di 22 anni Giuseppe De Rosa di 20 anni di Napoli. I due arrestati avrebbero avuto un ruolo nel reperimento delle armi della banda e nell'organizzazione del colpo. Non sono i due che invece hanno partecipato alla sparatoria e che sono ancora attivamente ricercati. Piantonati in ospedale restano inoltre Angelo Covato di appena 18 anni di Napoli e la sua complice Vincenza Gaglione di 30anni, arrestati nell'immediatezza dei fatti in quanto feriti nella sparatoria.

Vibo, intimidazione al parroco di Scaliti


Cinque colpi di pistola contro l'auto

Don Giuseppe Lopresti è uno di quei parroci di frontiera che opea in un territorio difficile ma che crede che l'apertura ai valori morali della comunità possa aiutare a superare i momenti di crisi. Anche per questo i cinque colpi di revolver sparati contro la sua auto hanno destato sgomento in tutta la comunità. Indagano i carabinieri
 
 
di GIANLUCA PRESTIA

FILANDARI - Don Giuseppe Lopresti è uno di quei parroci di frontiera. Uno di quelli che crede fermamente nella sua opera pastorale e nel rispetto reciproco tra le persone. Un punto di riferimento, quindi, per le comunità di Moladi e Scaliti - quest’ultimo, nome rimasto impresso nella mente delle persone, ed indelebilmente in quello dei suoi abitanti, per i tragici fatti della cosiddetta strage della masseria, avvenuta la sera del 27 dicembre 2010 con la cosiddetta strage della masseria” - che la criminalità ha voluto colpire con un gesto grave. Cinque colpi di pistola esplosi quando le lancette dell’orologio segnavano le 22,30. Poi, la fuga, coperta dall'oscurità che però non ha impedito ad una persona, un testimone oculare, di notare quel motociclo allontanarsi dalla zona. L'allarme è scattato pochissimi istanti dopo con la chiamata alla centrale operativa dei Carabinieri che ha inviato sul posto una pattuglia. Movente tutto da decifrare e su questo dovranno lavorare gli inquirenti coordinati dalla Procura di Vibo. Tutta la comunità di Scaliti, un borgo di duecento anime, è rimasta attonita e sgomenta per quanto è successo al suo giovane parroco, da circa dieci anni guida pastorale, in questo paesino adagiato nella vallata che separa Filandari dalla vicina Mileto. Fu lui, poi, a gestire il delicato e difficile momento successivo ai terribili e noti fatti del dicembre 2010, lavorando alacremente per una ricostruzione morale e interiore dei suoi parrocchiani, con iniziative che hanno coinvolto adulti e giovani in un cammino di rinascita e di fiducia nel futuro. 

Vittoria, «col magnete taroccavano i contatori»: 13 titolari nei guai

Scoperta una mega truffa all’Enel. Dopo accurati controlli effettuati nei locali pubblici della città dagli agenti della Polizia

 

di GIANNELLA IUCOLANO
VITTORIA. Con il trucchetto del magnete sul contatore abbattevano i costi delle bollette e potevano permettersi prezzi più competitivi, in grado di sbaragliare la concorrenza. È andata bene per mesi, poi la truffa è stata sventata. Tredici commercianti - titolari di bar, pizzerie e paninerie di Vittoria, Scoglitti e Acate - sono stati denunciati dalla polizia, e oltre a doversi presentare in Tribunale dovranno mettere mano al portafogli e pagare la riattivazione del contratto Enel e le somme che hanno evaso con il loro raggiro. Cifre consistenti, che in alcuni casi sfiorano i cinquantamila euro.
La frode è stata scoperta dagli uomini del Commissariato, che tra giovedì e venerdì hanno effettuato una massiccia operazione di controllo, con la collaborazione di tecnici specializzati della società di distribuzione dell'energia elettrica.
Nell'arco della prima giornata sono stati controllati otto esercizi commerciali: in tutti è stato accertato l'utilizzo di un particolare magnete che, applicato sopra o a lato del contatore, provoca un'alterazione dei consumi e un errore di misura dell'energia e della potenza. Il "risparmio" conseguente va dal quaranta al novanta per cento.
In tre pizzerie da asporto - una a Scoglitti, le altre due a Vittoria, rispettivamente in zona Forcone e nelle vicinanze di Via Cavour - sono state riscontrate alterazioni nei consumi che oscillavano tra il sessantasei e il sessantanove per cento. A Vittoria, in un panificio vicino alla stazione ferroviaria, l'alterazione era del 65%. In due bar di Piazza del Popolo, le alterazioni si attestavano in un caso sul quaranta e nell'altro addirittura sul novanta per cento. In un bar nell'area della stazione ferroviaria è stata accertata un'alterazione dell'89%, mentre in un bar di Via Cavour l'alterazione era del 65%.
Nel corso della seconda giornata sono stati controllati venti esercizi pubblici; in quattro di questi sono state riscontrate irregolarità. In una panineria di Via Cavour è stata riscontrata un'alterazione dei consumi del 64%. In un bar di Acate l'alterazione registrata era del 68%. In una panineria di Piazza del Popolo, a Vittoria, è stata riscontrata la manomissione della calotta del misuratore e la violazione dei sigilli. In un bar nei pressi della zona fieristica Emaia è stato accertato un allaccio abusivo alla rete elettrica a monte del misuratore.
I tredici commercianti sono stati denunciati per truffa. All'esito dei controlli l'Enel ha disattivato le utenze; la riattivazione avverrà solo dopo il pagamento dei consumi effettivi, che vengono calcolati sulla scorta delle medie del quinquennio precedente.
Dagli uffici di Via Loi fanno sapere che i controlli, che finora hanno riguardato solo esercizi commerciali, proseguiranno nelle prossime settimane.

Delitti eccellenti, sui cinque ergastoli si esprimono i giudici di Cassazione

Sarà la Corte Suprema a dire l’ultima parola sui tre omicidi che hanno insanguinato la provincia negli anni ’80 e ’90

 

di JOSE' TROVATO
ENNA. Sarà la prima sezione penale della Corte di Cassazione a occuparsi, forse scrivendo la parola fine, dell'inchiesta sui cosiddetti "delitti eccellenti" dell'Ennese, tre omicidi di mafia che hanno insanguinato la provincia negli anni '80 e '90. Approderà a Roma, fra qualche giorno si saprà la data esatta, l'inchiesta che ha portato a cinque ergastoli per altrettanti mafiosi, fra cui figura pure il superboss Totò Riina. I cinque sono ritenuti, a vario titolo, mandanti e esecutori materiali degli omicidi di Giovanni Mungiovino, ex assessore della DC e presidente dell'ospedale Umberto I, avvenuto il 9 agosto del 1983; dell'imprenditore di Enna bassa Giuseppe Cammarata, inghiottito dalla lupara bianca il 9 maggio 1989; e del boss di Barrafranca Totò Saitta, avvenuto il 25 giugno del 1992. Nei primi due gradi di giudizio è stato inflitto il carcere a vita a Totò Riina, al capomafia di Caltanissetta Piddu Madonia e all'agricoltore villarosano Giacomo Sollami, per l'omicidio Mungiovino; al boss di Enna Gaetano Leonardo e a Madonia per l'omicidio Cammarata; e al presunto killer di Grammichele, in provincia di Catania, Pietro Pernagallo, per il delitto Saitta. A Mungiovino, i killer hanno sparato mentre la vittima stava guidando la sua macchina sulla strada che da Enna bassa porta a Caltanissetta. Secondo i giudici, Riina e Madonia avrebbero dato l'ordine di uccidere Mungiovino, per punire la sua vicinanza a alcuni personaggi della mafia storica palermitana, in una riunione della commissione regionale di Cosa Nostra. Cammarata sparì nel nulla perché avrebbe partecipato all'organizzazione di un attentato fallito contro Madonia. Quest'ultimo avrebbe deciso di punirlo con la morte. Il delitto Saitta, a colpi di pistola per strada, infine, per l'accusa fu voluto da alcuni pietrini, che avrebbero vendicato così l'uccisione del loro capo Borino Miccichè. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Antonio Impellizzeri, Flavio Sinatra, Luca Cianferoni e Ruben Tosi, che hanno fatto ricorso in Cassazione. Le condanne di primo grado, in sostanza, furono confermate in appello, anche nel richiamo della sentenza del primo maxi-processo, dello sterminio dei nemici dei Corleonesi e poi delle questioni locali.

«Diede asilo al pericoloso superlatitante»:


Indagato imprenditore di Valguarnera


JOSE' TROVATO
VALGUARNERA. Secondo i pentiti avrebbe dato rifugio al pericoloso superlatitante Daniele Emmanuello, il «boss dei bambini», sanguinario capomafia di Gela che fu uno dei carnefici del piccolo Giuseppe Di Matteo, il dodicenne rapito, ucciso e sciolto nell'acido dalla mafia nel '96, perché figlio di un pentito. Per questo è indagato a Caltanissetta, con l'accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia, l'imprenditore agricolo di Valguarnera Gabriele Giacomo Stanzù, 51 anni. Già dieci anni prima di trovare la morte a Villapriolo (il 3 dicembre 2007, durante un conflitto a fuoco con la polizia), dunque Emmanuello, che fu uno dei dieci latitanti più pericolosi di Italia, si sarebbe nascosto nelle masserie della provincia di Enna, fra Valguarnera, Piazza Armerina e Aidone. Lo sostengono i pentiti di Gela Carmelo Billizzi e Crocifisso Smorta, che hanno puntato l'indice contro Stanzù. La Dda di Messina aveva già chiesto il rinvio a giudizio di Stanzù, con l'accusa di aver favorito la mafia, aiutando i fratelli Daniele e Alessandro Emmanuello, mettendo a loro disposizione degli appartamenti, fra il 2000 e il 2003, in territorio di Capizzi. Ma all'udienza preliminare il difensore di Stanzù, il penalista Antonio Impellizzeri, ha formulato un'eccezione di incompetenza territoriale: se favoreggiamento c'è stato, ha sostenuto il difensore in aula, allora sarebbe cominciato nel '96 ad Aidone, in provincia di Enna. Il gup ha accolto l'eccezione e trasmesso gli atti alla Dda di Caltanissetta, per competenza territoriale e funzionale. I magistrati nisseni dovranno emettere un nuovo avviso di fine indagine e formulare una nuova richiesta di rinvio a giudizio. L'inquietante intreccio tra Cosa Nostra ennese e altri clan siciliani, si ricorda, è stato svelato da un'inchiesta della squadra mobile, che ha scoperto il possibile mandante del delitto di Franco Saffila, il trattorista ucciso a Aidone nel settembre del '98. Stanzù per quel delitto è stato condannato in primo grado a 19 anni, e il suo avvocato proprio in questi giorni sta discutendo l'appello. Secondo l'accusa, Stanzù avrebbe fatto uccidere Saffila dalla mafia gelese per vendetta, ritenendolo l'assassino del padre (ucciso ben vent'anni prima).

Baby prostituta, confessione choc alla psicologa

Una sedicenne è stata coinvolta in un giro di prostituzione da una zia acquisita. Ha riconosciuto quasi tutti i suoi ex clienti, descrivendone alcuni e indicandone altri con nome e cognome

 

di JOSE' TROVATO
ENNA. Ha riconosciuto quasi tutti i suoi ex clienti, descrivendone alcuni e indicandone altri con nome e cognome. E nel suo racconto Francesca, nome fantasioso, la baby prostituta al centro dello scandalo scoperto dalla squadra mobile nell'inchiesta Pandemia, non è stata affatto tenera nei confronti della «zia», una sua lontana parente che l'avrebbe avviata alla prostituzione, L.B. di 40 anni, difesa dall'avvocato Franco Puzzo. Si è chiuso così, dopo oltre sei ore di interrogatorio della sedicenne, l'incidente probatorio disposto dal gip nell'ambito dell'inchiesta sul presunto giro di prostituzione minorile orbitante fra Enna e Sant'Anna, che ha portato all'iscrizione sul registro degli indagati della Procura distrettuale di Caltanissetta di ben 14 persone (tredici presunti clienti, fra cui almeno due ultrasettantenni e la presunta maitresse).
La ragazzina, secondo l'impianto accusatorio, sin da quando aveva quindici anni avrebbe avuto rapporti sessuali a pagamento con alcuni clienti della zia. Lei in certi casi l'avrebbe portata con sé e l'avrebbe fatta partecipare ai suoi incontri sessuali a pagamento.

domenica 28 aprile 2013

Pornoricatto dagli hacker ai grillini

     
Tra le immagini rubate e già messe in rete anche mail private e foto hard: è una vergogna.
Non solo conversazioni, ma anche fotografie e video hard.

Questi gli imbarazzanti dati presenti nelle e-mail che hacker hanno trafugato a una trentina di deputati e senatori del Movimento 5 Stelle.

A darne notizia è stato il quotidiano Libero, che parla di parlamentari grillini "sotto ricatto" degli hacker, anzi sotto "pornoricatto" come titola in apertura della prima pagina di oggi.

«Circolano tre immagini (che Libero dice di aver visionato) - si legge sul quotidiano - con una donna senza veli e in atteggiamenti inequivocabili di autoerotismo - e che - somiglia molto a una deputata di cui non facciamo il nome per evitare complicità con i ricattatori». Stessa sorte, riporta Libero «sarebbe capitata a un suo collega omosessuale».

La violazione delle caselle di posta elettronica, sulla quale la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta, è opera di 'pirati' che si autodefiniscono "Gli hacker del Pd" che minacciano M5S di rendere noto il contenuto integrale delle mail se non verranno esaudite le loro richieste, in primis la «pubblicazione immediata» dei «Redditi e patrimoni di "Giuseppe Grillo" e "Gianroberto Casaleggio"».


sabato 27 aprile 2013

Ecco il governo Letta: 21 ministri




Domani mattina il giuramento Alfano agli Interni, Bonino agli Esteri, Cancellieri alla Giustizia


 
roma
Missione riuscita per Enrico Letta. Il governo c’è. Ed è composto da 21 ministri. Angelino Alfano, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Emma Bonino al ministero degli Affari Esteri, Anna Maria Cancellieri al ministero della Giustizia, Mario Mauro al ministero della Difesa e Fabrizio Saccomanni al ministero dell’Economia.

L’esecutivo guidato da Letta, che giurerà domani mattina, ha preso forma. Ne fanno parte anche Flavio Zanonato, attuale sindaco di Padova, al ministero dello Sviluppo, Maurizio Lupi (Pdl) al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nunzia Di Girolamo (Pdl) al ministero dell’Agricoltura, Beatrice Lorenzin (Pdl) al ministero della Salute, Maria Chiara Carrozza (Pd) al ministero dell’Istruzione, Enrico Giovannini al ministero del Lavoro. Ministro dell’ambiente è Andrea Orlando (Pd) e Massimo Bray (Pd) alle Politiche Culturali.
Fra i ministri senza portafoglio, Dario Franceschini (Pd) ai rapporti con il Parlamento, le riforme costituzionali a Gaetano Quagliariello (Pdl) e le pari opportunità e lo sport alla canoista Josefa Idem (Pd).

Gli altri ministri senza portafoglio sono: agli Affari regionali Graziano Delrio, alla Coesione territoriale Carlo Trigilia, agli Affari Ue viene confermato Enzo Moavero Milanesi, Gianpiero D’Alia ministro della Pubblica amministrazione, Cecile Kyenge Kashetu alla cooperazione internazionale e integrazione.
Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi. Una squadra di governo ’’coesa e determinata per affrontare le difficoltà che abbiamo di fronte’’, dice il presidente del Consiglio al Quirinale dopo aver sciolto la riserva. Il premier esprime poi ’’la profonda gratitudine per questa fiducia’’ e ’’voglio aggiungere la mia soddisfazione, sobria, per la squadra che siamo riusciti a comporre, per la disponibilita’ data e per le competenze messe al servizio del paese’’. Sono ’’la novità, la freschezza e la competenza’’ le caratteristiche che, secondo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, contraddistinguono il governo messo a punto dal premier Enrico Letta. Lo ha detto lo stesso Napolitano nel corso del suo intervento subito dopo la comunicazione da parte di Letta della lista dei nuovi ministri.

Letta ha scioglie le riserve dopo una giornata densa di incontri. Prima un faccia a faccia con Pier Luigi Bersani, poi l’incontro con il Cavaliere, accompagnato da Angelino Alfano e Gianni Letta. Questa mattina Letta ha visto per due ore e mezza Silvio Berlusconi il quale, appena lasciato Enrico Letta a Montecitorio, si è fermato anche a palazzo Chigi per un incontro con il presidente del Consiglio e leader di Scelta Civica, Mario Monti. Subito dopo il Cavaliere si era dichiarato ottimista, prevedendo una rapida chiusura. 

Rimborsopoli lucana l'indagine ora punta anche sui consiglieri




di FABIO AMENDOLARA
Gli iscritti nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Potenza per i rimborsi «a go go» «scroccati» al consiglio regionale della Basilicata sono 40. Il dato è contenuto in un documento della Procura depositato un mese fa.

C’è il presidente della giunta dimissionario Vito De Filippo (Pd) per spese per l’acquisto di francobolli, c’è il presidente del consiglio Vincenzo Santochirico (Pd) per l’acquisto di giornali rimborsati sia dal consiglio sia dal gruppo del Pd.

Ci sono i neoassessori (due riconfermati, altri quattro nuovi) Attilio Martorano, Marcello Pittella, Nicola Benedetto, Luca Braia, Roberto Falotico ed Enrico Mazzeo Cicchetti, tutti di centrosinistra.

Gli altri uomini politici indagati sono consiglieri in carica ed ex consiglieri e assessori, di tutti gli schieramenti: Antonio Autilio, Paolo Castelluccio, Giuseppe D’Alessandro, Prospero De Franchi, Pasquale Di Lorenzo, Antonio Di Sanza, Gaetano Fierro, Antonio Flovilla, Innocenzo Loguercio, Agatino Mancusi, Rosa Mastrosimone, Franco Mattia, Vilma Mazzocco, Franco Mollica, Michele Napoli, Giacomo Nardiello, Nicola Pagliuca, Mariano Pici, Antonio Potenza, Erminio Restaino, Pasquale Robortella, Vincenzo Ruggiero, Donato Salvatore, Luigi Scaglione, Alessandro Singetta, Gennaro Straziuso, Mario Venezia, Rocco Vita, Vincenzo Viti.

Gli altri tre indagati sono un commercialista e due ristoratori. Gli interrogatori dei tre agli arresti domiciliari e degli otto destinatari di divieti di dimora si svolgeranno lunedì prossimo e il 2 maggio e contribuiranno a chiarire qualche posizione. Ma i presidenti della giunta e del consiglio, ad esempio, ripetono che i rimborsi sarebbero il frutto di errori materiali. Niente rispetto ad altri, che hanno prelevato dal «bancomat» delle casse pubbliche decine di migliaia di euro. Ma è una precisazione che rischia di perdersi in un abisso di richieste di rimborsi che lascia senza parole: un ex assessore ha presentato uno scontrino da 16,40 euro. Un acquisto fatto con lo «sconto camionista», in un’area di servizio sull’autostrada. Non basta: ha presentato richieste anche per spese fatte da e per parenti.

Ma c’è stato anche il consigliere che ha pranzato in un ristorante di un albergo quattro stelle «superiore» di Maratea (Potenza) – con vista splendida sul mar Tirreno – il giorno di ferragosto del 2011. Nella ricevuta, poi, il 15 è diventato 16 agosto: peccato però che non abbia fatto alcun viaggio politico nè il 15 nè il 16 agosto. La titolare del ristorante avrebbe cercato di aiutarlo, denunciando lo smarrimento di due blocchetti di ricevute proprio di agosto. È indagata. 

Caserta, tragico tentativo di rapina Ucciso un carabiniere, tre feriti



Nella sparatoria colpiti un altro militare e due rapinatori
In atto una vasta battuta in tutto il casertano



di Aldo Balestra

Caserta. Tragico tentativo di rapina questo pomeriggio a Maddaloni, centro a pochi chilometri da Caserta. Un carabiniere morto ed un altro ferito insieme a due malviventi, di cui una è donna: è il pesantissimo, provvisorio bilancio di una sparatoria avvenuta all'esterno di una gioielleria in via Ponte Carolino.


Poco prima delle 17 un commando di rapinatori, pare almeno quattro, armati di fucili, ha dato l'assalto alla gioielleria Ogm. Dopo pochi istanti l'arrivo di una pattuglia dei carabinieri in servizio di pattugliamento.

C'è stato un violento conflitto a fuoco, secondo le prime informazioni. Un intenso scambio di colpi. Alla fine sul selciato è rimasto il corpo di un carabiniere. Anche il suo collega è stato raggiunto da colpi, ed è rimasto ferito. Secondo le prime notizie sono rimasti feriti anche una coppia di malviventi, un uomo e una donna, che facevano parte del commando. Più gravi le condizioni dell'uomo. Entrambi sono stati bloccati e condotti in ospedale.

E' scattato l'allarme, in corso una vasta battuta in tutto il casertano alla ricerca dei banditi, con l'utilizzo anche di un elicottero.

Il prefetto Musolino: «La camorra è alle corde, subito il piano per Scampia»



Francesco Musolino al Mattino: «Intesa istituzionale per il quartiere: ora è quasi come tutti gli altri ma bisogna superare l'approccio militare»



di Paolo Russo
 
Dai finestroni affacciati sul Plebiscito sale il ritmo allegro del bongo di un immigrato. La piazza è piena di turisti, gli operai montano l’ultima scenografia, Palazzo Reale racconta storia e paradossi: al pian terreno le statue dei re, al primo piano gli infissi anodizzati, al terzo i vetri rotti. «Città meravigliosa. Ha tanti problemi ma anche una grande dote: l’ottimismo. Ed è un valore che non si trova in altre città. Sa, un po’ ho girato anch’io l’Italia...».

Centocinquanta giorni a Napoli. Da Scampia a Scampia, passando per venti omicidi e la morte di un innocente. Il prefetto Francesco Musolino indica la finestra, il bongo scandisce il tempo, lo studio al secondo piano è immerso nella città e nelle sue emergenze.

Prefetto, sembra più ottimista degli stessi napoletani. Ma fuori i problemi ci sono. E tanti.
«C’è una grave crisi e sarebbe sbagliato far finta di niente. Ma è anche vero che il pessimismo rischia di cancellare tanti fattori di riscatto che sono l’anima di questa città. Anzi direi che in molti casi ci troviamo di fronte a un’omissione di questi profili positivi. Scampia, ad esempio...».

La camorra è stata battuta nel suo fortino? Questo vuole dire?
«Per dirla da napoletano acquisito, incrociamo le dita. Ma c’è un dato oggettivo: questo ”simbolo”, prima al centro della cronaca nazionale e internazionale, da qualche tempo sembra un normale quartiere come gli altri. Vuol dire che le azioni concordate a tutti i livelli hanno prodotto dei risultati importanti. Ora però bisogna passare a un approccio “non militare” per vincere davvero la guerra e non solo l’ultima battaglia».

Annullata ordinanza di arresto


Torna libero genero boss Mancuso

Antonio Maccarone, 34enne genero di Pantaleone Mancuso boss dell'omonima famiglia di Limbadi, è stato scarcerato a seguito dell'annullamento da parte del Riesame di Catanzaro dell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti nell'ambito dell'operazione "Black money" che ha coinvolto il vertice dell'organizzazione mafiosa

VIBO VALENTIA – Annullata dal Tribunale del Riesame di Catanzaro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonio Maccarone, 34 anni, di Ricadi, genero del boss della 'ndrangheta Pantaleone Mancuso, 66 anni, di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Alla luce della decisione dei giudici del Riesame, Antonio Maccarone – ritenuto dalla Dda di Catanzaro fra i principali indagati dell’operazione antimafia «Black money – è stato scarcerato ed è tornato totalmente libero senza alcuna misura. Maccarone era detenuto dal 7 marzo scorso con l’accusa di associazione mafiosa ed in particolare per aver «svolto, in stretto rapporto con il suocero Mancuso Pantaleone, il ruolo di intestatario fittizio o comunque di intermediario nell’attività di intestazione fittizia di beni ed attività economiche facenti capo allo stesso Mancuso», mantenendo rapporti «diretti con imprenditori del settore turistico e, al tempo stesso, con gli appartenenti alle cosche subordinate ai Mancuso». La difesa di Maccarone, rappresentata dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Francesco Gambardella, nella propria istanza aveva evidenziato al Tdl la carenza di profili di gravità indiziaria a carico del proprio assistito.

Tangenti, condannato ex dipendente Agenzia delle Entrate

Tre anni per concussione a Mario Artisi. L'affondo della Corte dei Conti: i corrotti sono come i mafiosi che estorcono il pizzo

 
 
PALERMO. Colto in flagrante mentre incassava una tangente per non emettere sanzioni, Mario Artisi, dipendente dell'Agenzia delle Entrate di Palermo, è stato condannato a tre anni per concussione, licenziato e ora dovrà risarcire anche il danno all'immagine del ministero delle Finanze causato con il suo comportamento scorretto.  «I fatti sono stati percepiti dall'opinione pubblica sostanzialmente alla stessa stregua delle illecite richieste estorsive provenienti dalla criminalità organizzata», hanno sottolineato i giudici (sentenza n. 858/2013).

"Rubava soldi dalle casse della scuola": denunciato dirigente scolastico a Scordia

In tre anni si sarebbe impossessato di 85 mila euro dalle casse della scuola che dirigeva: ora dovrà restituirli con gli interessi

 
 
 
SCORDIA. In tre anni si sarebbe impossessato di 85 mila euro dalle casse della scuola che dirigeva: ora dovrà restituirli con gli interessi. La sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha condannato Giuseppe Blando,  direttore amministrativo del circolo didattico «Verga» di Scordia: si sarebbe accreditato sul proprio conto corrente 32 mandati di pagamento per compensi non dovuti nel periodo tra il 2007 e il 2010. Per questa vicenda è stato denunciato alla procura della Repubblica di Catania, che ha aperto un fascicolo a suo carico.

mercoledì 24 aprile 2013

Modica, droga nella nave turca: sequestro confermato

Nell'ambito della stessa inchiesta è stato formalizzato l'arresto di sei componenti dell'equipaggio, 5 turchi e 1 egiziano, per traffico internazionale di sostanze stupefacenti

 


MODICA. E' stata sequestrata la nave turca che 10 giorni fa era stata bloccata in acque internazionali da militari della guardia di finanza mentre trasportava circa una tonnellata di hashish. Il provvedimento è stato emesso a seguito del disbrigo degli atti burocratici che hanno interessato anche la magistratura turca.

Nell'ambito della stessa inchiesta è stato formalizzato l'arresto di sei componenti dell'equipaggio, cinque turchi e un egiziano, per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Altri quattro giovani marinai egiziani, proveniente da una scuola nautica di Alessandria, estranei ai fatti, sono stati accompagnati alla loro ambasciata a Roma per poi essere riportati a casa. L'operazione denominata 'Mare nostrum'' è stata coordinata dal Procuratore della Repubblica di Modica, Francesco Puleio, e dal sostituto Gaetano Scollo.

Stato-mafia, distrutte le intercettazioni

Stato-mafia, distrutte le intercettazioni tra Napolitano e Mancino
La procedura avvenuta nel carcere Ucciardone di Palermo dove si trova il server in cui i file erano conservati
 
 

PALERMO. All'una era tutto finito. Mesi di veleni, polemiche e ricorsi prima alla Consulta, poi alla Cassazione. Le registrazioni delle conversazioni tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e il capo dello Stato Giorgio Napolitano sono state distrutte. Come deciso inequivocabilmente dai giudici costituzionali, come ribadito dalla Suprema Corte. Le quattro telefonate, intercettate dalla Procura di Palermo che indagava sulla trattativa Stato-mafia, tra febbraio 2011 e maggio 2012, non esistono più. Il gip Riccardo Ricciardi a cui i pm, dopo la sentenza della Consulta che, nel conflitto di attribuzioni tra poteri dava loro torto, ha cancellato i file audio. A compiere materialmente le operazioni, che si sono svolte nel carcere Ucciardone, è stato un tecnico della Rcs, la società milanese che gestisce il server in cui le registrazioni erano conservate. Pochi minuti per mettere la parola fine a una vicenda lunga quasi un anno e cominciata quando, con un'intervista rilasciata a La Repubblica il pm Nino Di Matteo, tra i magistrati che indagano sulla trattativa, confermò l'esistenza delle telefonate anticipata da un settimanale. Una rivelazione costata al magistrato l'avvio di un procedimento disciplinare.
 
Dopo qualche mese l'avvocatura dello Stato sollevò il conflitto di attribuzioni con la Procura di Palermo che, pur ritenendo irrilevanti per l'indagine le conversazioni, sosteneva che queste dovessero essere distrutte nel corso di un'udienza alla presenza delle parti interessate: cioè tutti gli indagati. Per la Consulta un'inaudita violazione del principio di riservatezza delle conversazioni del Capo dello Stato che, peraltro, per legge non si sarebbe potuto intercettare. Il contenuto delle telefonate è rimasto top secret. A fronte delle tante illazioni, la sola certezza che con l'inchiesta sulla trattativa non avessero alcuna connessione. Dopo la bacchettata della Consulta, il gip Riccardo Ricciardi dispose la distruzione dei file nei quali, sottolineò il giudice, mancavano «riferimenti a interessi relativi a principi costituzionali supremi» che potessero essere pregiudicati dalla distruzione. Sulla strada della eliminazione si mise il ricorso di Massimo Ciancimino, uno degli imputati del procedimento sulla trattativa.
 
La distruzione delle telefonate, nel segreto dell'udienza e senza il contraddittorio delle parti - sostenne - avrebbe potuto ledere il suo diritto di difesa. Una tesi bocciata dal gip che, però, dovette fare i conti con la decisione di Ciancimino di rivolgersi alla Cassazione. In attesa della decisione della Suprema Corte, fissata per il 18 aprile, il gip rinviò la distruzione all'udienza di oggi. Il rigetto del ricorso del superteste-imputato della trattativa, ha consentito di superare una empasse che, come scrive la Cassazione, ha causato un «vulnus costituzionalmente rilevante». E di arrivare alla fine della storia. Una valutazione non condivisa da un altro protagonista della vicenda: Salvatore Borsellino, figlio del magistrato ucciso dalla mafia nel '92. «Se la impossibilità per me di audire queste intercettazioni dovesse diventare definitiva, - ha aggiunto forse non sapendo che la cancellazione ormai era avvenuta - farò causa allo Stato per il comportamento di Napolitano, della Corte Costituzionale e dell'autorità giudiziaria».

Droga dall'Olanda a Casal di Principe


 Blitz all'alba venti arresti

Gli stupefacenti venivano ingeriti da corrieri che si sottoponevano a riti voodoo per scongiurare la rottura degli ovuli


CASERTA - Un presunto traffico internazionale di eroina e cocaina dall'Olanda in Italia è stato stroncato dai Carabinieri di Casal di Principe che hanno arrestato venti persone di origine africana in un blitz scattato all'alba.

I militari hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli contro i presunti appartenenti a due gruppi criminali che secondo le indagini operavano nella zona di Castelvolturno, in quella Domiziana e nel Lazio.

Durante le indagini, avviate nel 2009, gli investigatori hanno accertato che la droga veniva portata in Italia da corrieri che ingerivano ovuli contenenti lo stupefacente dopo l'esecuzione di riti propiziatori che un «mago vudu» eseguiva in Africa per «scongiurare» la rottura degli stessi ovuli.

Secondo i Carabinieri, il capo di uno dei due gruppi ha trasferito in Africa i proventi del traffico di droga per reinvestirli nell'acquisto di un albergo, terreni e beni di lusso.

Camorra, 'ndrangheta, albanesi, russi


 Roma nuovo crocevia della criminalità organizzata


di Massimo Martinelli
 
ROMA - Ci sono i calabresi e i napoletani, i romeni e gli albanesi. E poi la mafia cinese e quella russa.
Tutti a Roma, il nuovo crocevia della grande criminalità organizzata, dove resiste anche la criminalità storica capitolina, quella che ha preso il testimone della banda della Magliana.

Il fenomeno è diventato economico, oltre che sociale. E non è un caso che proprio i giovani della Luiss abbiano deciso di dare vita a un “Osservatorio sulla legalità dell’economia”. L’iniziativa ha lo scopo di mettere competenze diverse, in particolare giuridiche ed economiche, ma anche legate alla capacità di condurre inchieste, in un momento di crisi com’è quello attuale che produce un terreno più friabile, dove meglio attecchisce la morsa criminale. L’iniziativa sarà presentata domani, alle dieci e trenta, presso la sede di via Pola, alla presenza del ministro Guardasigilli Paola Severino e del procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone. E il punto di partenza sarà la prima mappa della criminalità nel Lazio disegnata dal magistrato della Direzione Nazionale Anntimafia, Diana De Martino.

LA MAPPA
Il Lazio, e in particolar modo Roma, già da tempo sono stati scelti dalle organizzazioni criminali mafiose per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio di capitali illecitamente accumulati e per l’investimento in attività imprenditoriali. A Roma infatti, snodo essenziale per tutti gli affari leciti ed illeciti, le organizzazioni criminali (soprattutto ‘ndrangheta e camorra) acquisiscono, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società ed esercizi commerciali nei quali impiegano ingenti risorse economiche provenienti da delitti. In tal modo esse si dotano di fonti di reddito importanti e apparentemente lecite.

La scelta di effettuare investimenti a Roma e nel Lazio viene privilegiata in primis in quanto la vastità del territorio, la presenza di numerosissimi esercizi commerciali, attività imprenditoriali, società finanziarie e di intermediazione consente di mimetizzare gli investimenti; una sicura attrattiva deriva poi dalla tipologia criminale del Lazio, non caratterizzato da quelle forme di allarme sociale tipiche di altre realtà territoriali, in cui è assente una criminalità locale fortemente radicata e in cui non vi è necessità di contendersi i comparti economico-imprenditoriali. In effetti, dopo la “banda della Magliana” nessuna aggregazione criminale è riuscita ad assumere un atteggiamento egemone sulle altre.

Dunque nel Lazio, e soprattutto a Roma, le organizzazioni mafiose non operano secondo le tradizionali metodologie, non realizzano comportamenti manifestamente violenti, non mirano a sopraffarsi per accaparrarsi maggiori spazi, ma anzi tendono a mantenere una situazione di tranquillità in modo da poter agevolmente realizzare quello che è il loro principale scopo: la progressiva infiltrazione nel tessuto economico ed imprenditoriale della Capitale allo scopo di riciclare, e soprattutto reimpiegare con profitto, i capitali di provenienza criminosa.
Anche nel basso Lazio la mafia non trova un habitat sociale che le consenta di insediarsi in modo sistematico e reclutare adepti, come invece avviene nei territori di origine. In effetti neanche nelle zone geograficamente più vicine ai clan campani vi sono insediamenti abitativi di tipo incontrollato sotto il profilo urbanistico (come i quartieri di Scampia o di La calza) in cui l’ambiente, la disoccupazione, il degrado abitativo agevola la penetrazione mafiosa.

In sostanza non si riscontrano, sul territorio romano e laziale, gli elementi che connotano l’associazione di stampo mafioso : la forza di intimidazione, la condizione di assoggettamento, il vincolo di omertà.
Del resto su 279 procedimenti aperti dalla DDA nel periodo di interesse, solo 17 ipotizzano il delitto di cui all’art. 416 bis C.P. Nell’ultimo periodo però, nel territorio del basso Lazio e sul litorale romano, si è assistito a fenomeni di particolare valenza criminale che inducono a ritenere che in quelle zone, contigue per ragioni storiche e geografiche ai feroci clan camorristici e dove tradizionalmente si riscontrano insediamenti di personaggi mafiosi, sia in atto un innalzamento del livello criminale e dell’indice di penetrazione.

Ci si riferisce in particolare all’omicidio di Modestino Pellino avvenuto in Nettuno il 23.7.2012 alle ore 17,30 in Piazza Garibaldi e all’omicidio di MARINO Gaetano, commesso a Terracina il 23.8.2012 alle ore 17,00 in lungomare Circe all’ingresso di uno stabilimento balneare. Pellino era un soggetto di primo piano della criminalità organizzata campana ed in particolare del “clan Moccia”. Si trovava a Nettuno da vari anni in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

Gaetano Marino detto “moncherino” apparteneva al clan Marino, in questo momento coinvolto in uno scontro violento all’interno dell’ala dei cd “scissionisti” per la gestione degli affari criminali nel quartiere di Scampia. Era il fratello del boss Gennaro Marino, attualmente detenuto in regime ex art. 41 bis O.P. e da vari anni trascorreva le vacanze a Terracina con la famiglia.

Si tratta di fatti delittuosi che non appaiono collegati tra loro, e che – secondo le indagini in corso - hanno la loro matrice in situazioni del tutto differenti. Ciò che però accomuna i due gravi episodi è la presenza non occasionale delle vittime sul territorio laziale, circostanza che deve necessariamente essere correlata all’esistenza di una rete di fiancheggiatori, di una cellula del clan di appartenenza.

La presenza delle tradizionali organizzazioni mafiose è evidenziata, in modo eclatante, dall’arresto, sul territorio laziale, di alcuni importanti latitanti, circostanza che presuppone la necessaria presenza di un “dispositivo criminale” idoneo ad assicurare, per un tempo più o meno lungo, la clandestinità degli stessi.

A tale proposito deve essere ricordato l’arresto di Umberto e Francesco Bellocco, figli, rispettivamente, di Giuseppe e Carmelo Bellocco, elementi di vertice dell’omonimo clan imperante a Rosarno. L’arresto è avvenuto il 2.8.2012 in zona Casalotti ove i due disponevano di un alloggio. Ma sono soprattutto i provvedimenti di sequestro preventivo o di confisca, eseguiti sul territorio laziale e che hanno colpito patrimoni riconducibili ad esponenti di clan mafiosi, a dare la misura dell’infiltrazione criminale nel tessuto economico finanziario.

Tra le operazioni eseguite nell’ultimo anno devono essere citate: l’operazione della DDA di Napoli che riguarda le vicende relative al sodalizio camorristico denominato gruppo Ascione, costola del più noto e consolidato sodalizio denominato clan Mallardo, operante nelle zone di Giugliano, Villaricca e Qualiano. Nella precedente relazione si era dato atto dei sequestri che avevano colpito la famiglia Dell’Aquila - braccio imprenditoriale del clan Mallardo attivissimo nel settore edilizio - che nelle zone di Tivoli, Guidonia, Monterotondo aveva realizzato un impero immobiliare (oltre 150 appartamenti), in cui erano state investite le risorse del gruppo camorrista. Ma anche il gruppo Ascione si colloca tra i principali artefici dell’ascesa degli stessi Mallardo condividendo con questi il comune interesse per l’attività di rivendita di automobili, utilizzata per immettere sul mercato auto di importazione parallela in violazione della normativa in materia di IVA, nonché per perpetrate truffe ai danni di compagnie assicuratrici lucrando profitti attraverso il risarcimento dei danni. Nel corso dell’operazione, denominata Tahiti dal nome di uno stabilimento balneare di Fondi oggetto di provvedimento cautelare reale, sono stati oggetto di sequestro preventivo numerosi beni immobili tra cui molti situati in Formia, Itri e Fondi.

Il provvedimento del tribunale di Reggio Calabria – Sezione misure di prevenzione che ha disposto il sequestro dei beni di Francesco Frisina (e della moglie Maria Antonia Saccà) e di Alessandro Mazzullo ritenuti vicini alle cosche Alvaro di Sinopoli e Gallico di Palmi. I soggetti in questione, poco tempo dopo essersi insediati su Roma, erano riusciti a concludere una serie di importanti operazioni immobiliari e societarie soprattutto nel settore della ristorazione, investendo ingenti capitali per conto delle cosche calabresi di riferimento.

Sono state in particolare sequestrate, a Roma, quote della Macc 4 S.r.l., e della ditta Colonna Antonina, attiva come bar e ristorante, nonché una serie di immobili e villini ubicati a Roma, in via Boccea.
Dunque può darsi ormai per acquisito che le organizzazioni mafiose, sul territorio laziale si dedicano soprattutto al riciclaggio e al reimpiego delle risorse illecitamente acquisite.
I settori in cui la mafia investe i suoi capitali sono soprattutto l’edilizia, le società finanziarie e immobiliari e - nell’ambito del commercio – l’abbigliamento, le concessionarie di auto e la ristorazione: ristoranti, bar e caffè vengono acquisiti da società di nuova costituzione, spesso con capitali sociali esigui, che fungono da schermo dei gruppi mafiosi.
Procedimenti recenti hanno dimostrato come le organizzazioni mafiose siano giunte ad impadronirsi di locali storici per la città di Roma, come il ristorante George di via Sardegna, il Café de Paris in via Veneto, il bar California di via Bissolati, il caffè Chigi, lo stabile del teatro Ghione. Altre attività investigative in corso confermano tale assunto.

La necessità di mimetizzarsi per infiltrarsi nel tessuto economico induce poi le organizzazioni criminali ad avvalersi di una serie di personaggi conniventi che, ricavandone imponenti utilità, mettono al servizio dei clan la loro professionalità. E’ proprio questa una delle caratteristiche della mafia, pronta ad instaurare stabili relazioni con imprenditori, professionisti, esponenti del mondo finanziario ed economico servendosene ed alimentando quel circuito di relazioni che ne potenzia l’operatività. Tra i personaggi romani di cui è stato accertato lo stretto legame con cosche ‘ndranghetiste, vi è Pietro D’Ardes, condannato nel gennaio 2012 dal Tribunale di Palmi a 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Costui era un imprenditore di Mentana, presidente della cooperativa di servizi Multiservice, il quale, volendo ampliare i suoi orizzonti imprenditoriali, programmava l’acquisizione della cooperativa di movimentazione merci All Services, operante nel porto di Gioia Tauro e in stato di liquidazione coatta amministrativa. Per realizzare tale progetto D’Ardes stringeva rapporti con la famiglia mafiosa degli Alvaro di San Procopio.
L’indagine ha documentato come il gruppo imprenditoriale facente capo a D’Ardes (in cui era presente anche Rocco Casamonica della nota famiglia rom) grazie al “patto d’impresa” stipulato con esponenti di vertice della famiglia Alvaro, divenuti suoi soci di fatto, e con l’avallo della potente cosca Piromalli, fosse riuscito ad ottenere la cessione della cooperativa attraverso l’affitto d’azienda, escludendo le mire di un'altra cosca, quella dei Molè.
Si può dire in definitiva che D’Ardes, partito da Mentana, sia riuscito ad ottenere una efficace “copertura mafiosa”.

Nei confronti di D’Ardes il Tribunale di Roma ha disposto una misura di prevenzione patrimoniale , confermata dalla Corte d’Appello, che ha portato alla confisca di un immobile sito a Melito Porto Salvo inserito in un complesso residenziale, 2 immobili in Artena e Ladispoli, quote societarie e beni aziendali delle seguenti società : “Cooperativa lavoro soc coop”, “Bella mia srl” “Sandalia coop” “La capinera srl” .
Altro personaggio di particolare interesse è Federico Marcaccini, imprenditore immobiliare romano titolare anche di concessionarie, ritenuto dalla DDA di Catanzaro il finanziatore delle importazioni di cocaina realizzate da Bruno Pizzata per conto delle cosche di San Luca. Dalle attività investigative emergeva come Marcaccini fosse in stretto contatto con esponenti di rilievo della cosca PELLE. Nei suoi confronti è stato eseguito un imponente sequestro preventivo, e in seguito una misura di prevenzione patrimoniale, che ha riguardato 32 società operanti nel settore immobiliare, edilizio, commerciale e vari immobili di pregio come quello locato alla società di gestione del teatro Ghione, un fabbricato con 10 unità immobiliari in via Ripetta, un albergo a Taormina, due ville a Sabaudia.

Con la criminalità di stampo mafioso convive la criminalità romana (con alcune forme di integrazione), che predilige il traffico di droga e le attività in campo economico-finanziario quali l’usura, le bancarotte, le truffe e le estorsioni che si manifestano principalmente nella forma del recupero crediti.
Con riferimento a tale ultimo settore criminale non è insolita la prassi di affidare la riscossione di crediti illegali (in primis quelli derivanti dal traffico di stupefacenti) a soggetti che vantano collegamenti con organizzazioni criminali, realizzando così una efficace capacità persuasiva.

In questo ultimo anno, soprattutto nei territori del basso Lazio, ma anche nell’hinterland della Capitale e sul litorale, si sono verificati numerosi atti intimidatori e danneggiamenti in danno di esercizi commerciali che sono tipici di altre realtà territoriali, e che hanno indotto la DDA di Roma a realizzare, attraverso le forze dell’ordine, un monitoraggio degli eventi che presentano tali caratteristiche.
Ad oggi non sono emersi elementi o segnali che possono delineare la presenza di organizzazioni criminali in grado di imporre sul territorio un racket delle estorsioni. Si riscontra però – e questo è un segnale allarmante – una diffusa omertà e una bassissima propensione a denunciare gli atti intimidatori subiti.
Anche l’usura continua ad essere uno dei fenomeni criminali tipici, e perciò più diffusi, della Capitale. Accanto ai soggetti che autonomamente si dedicano ai prestiti a tassi usurari (i cd “cravattari”), opera la criminalità organizzata che si dedica a tale attività criminale per “mettere a reddito” i capitali accumulati e nello stesso tempo penetrare nel tessuto economico della città.

Ed infatti i soggetti più esposti all’usura sono proprio gli operatori commerciali che, anche per le contingenze economiche del momento, sono alla costante ricerca di liquidità. Costoro, impossibilitati ad uscire dalla spirale di debiti ed interessi in cui vengono precipitati, vengono costretti a consegnare di fatto la gestione delle loro attività commerciali ai sodalizi criminali, che ne acquisiscono così, in forma occulta, il controllo. La forza di intimidazione che tali sodalizi esercitano è fortissima : basti pensare che in tutto il 2011, a Roma e provincia sono state presentate soltanto 38 denunce.Il mercato della prostituzione, altra attività criminale fortemente rappresentata nel Lazio, è saldamente gestito dai sodalizi stranieri. Operano in tale settore prevalentemente organizzazioni nigeriane, dell’est Europa, sudamericane e cinesi.
Mentre nella generalità dei casi gli sfruttatori hanno la stessa nazionalità delle vittime, per albanesi e rumeni si verifica sovente un interscambio con vere e proprie compravendite delle donne oggetto di sfruttamento.
La gestione criminale del fenomeno viene poi realizzata con diverse modalità: le organizzazioni nigeriane assoggettano le donne a pesanti vessazioni, fisiche e psichiche, spesso attuate dalle “maman”; i gruppi organizzati dell’est Europa tengono le donne in condizioni molto vicine alla schiavitù; le donne che si prostituiscono per i sodalizi sudamericani e cinesi conservano invece, di solito, una parte dei proventi realizzati.
Quanto ai reati di tratta e riduzione in schiavitù deve essere sottolineato come nel periodo di interesse siano stati iscritti 28 procedimenti, che coinvolgono per lo più organizzazioni di matrice straniera ed in particolare nigeriani ed albanesi.
Ma è indubbio che le organizzazioni criminali che operano nel Lazio si dedicano prevalentemente al narcotraffico. E’ questo un settore di comune interesse per tutte le associazioni criminali che coesistono sul territorio, sia quelle autoctone, sia quelle di tipo mafioso tradizionale, sia quelle di matrice etnica. Pertanto si verificano sovente forme di alleanze tra i gruppi criminali stanziati su Roma e le organizzazioni transnazionali di varia matrice, alleanze che hanno la caratteristica di essere temporanee e contingenti.
La diffusione degli stupefacenti nel Lazio è del resto un fenomeno sempre più grave, come dimostrano le statistiche a livello nazionale: nel 2011 il Lazio è la prima regione per sequestri di stupefacenti (quasi 8000 kg), la seconda per operazioni antidroga (2862), per numero di soggetti denunciati e per numero di decessi conseguenti all’assunzione di droga (41). I dati del primo semestre del 2012 riflettono analogo andamento.

Può ben dirsi dunque che la maggior parte dell’impegno della distrettuale di Roma è assorbito da indagini in tema di narcotraffico. Del resto sui 279 procedimenti iscritti dalla DDA nel periodo, ben 94 sono relativi ad associazioni finalizzate al commercio di stupefacenti per un totale di 618 indagati.
Il settore poi, a causa delle ingenti somme investite e degli elevatissimi guadagni attesi, innesca sovente gravi forme di violenza, che nel territorio laziale sono determinati più che per il controllo delle piazze di spaccio, dall’esigenza di sanzionare la mancata consegna della merce commissionata o il mancato pagamento delle partite ricevute. A tale contesto criminale si ascrivono alcuni degli agguati avvenuti nell’ultimo anno.
In tema di narcotraffico deve essere sottolineata la persistente operatività del clan Senese, e del suo capo – Michele o’ pazzo – affiliato negli anni ’70 alla Nuova Famiglia di Carmine ALFIERI e poi divenuto, a Roma, punto di riferimento dei gruppi criminali campani e laziali, operanti nel traffico di stupefacenti.
Michele Senese è attualmente agli arresti domiciliari presso una casa di cura_ dopo che la Corte d’Appello di Roma non ha riconosciuto la sussistenza a suo carico del reato associativo ed ha drasticamente ridotto la condanna da 17 ad 8 anni di reclusione. La figura di Michele Senese viene evocata in varie indagini in tema di narcotraffico attualmente in corso.
Molto attiva nel settore degli stupefacenti rimane la famiglia rom dei CASAMONICA, oggetto di numerose indagini da parte della DDA di Roma per traffico di stupefacenti e attività usurarie, nonché dedito alla ricettazione di autoveicoli e alle truffe. Ha posto solide basi in alcune aree della Capitale dove esplica il suo potere economico e finanziario tramite forme di intimidazione.

Anche il gruppo facente capo ai fratelli FASCIANI continua ad essere uno degli snodi più importanti del narcotraffico, soprattutto sul litorale di Roma. Nei procedimenti a carico di Carmine FASCIANI sono state evidenziate le relazioni con organizzazioni criminali operanti in Spagna per l’importazione di stupefacenti. Lo stesso è stato condannato (p.p. 52237/07), il 19 dicembre 2011 alla pena di 26 anni ed 8 mesi in qualità di capo ed organizzatore di un’associazione – costituita con il fratello Giuseppe e con DE SANTIS Alessio - finalizzata al traffico di stupefacenti (condanna non definitiva). Non è stata invece riconosciuta la sussistenza di analoga associazione, con altri soggetti, operante nel periodo successivo al settembre 2008. Pertanto FASCIANI Carmine è stato assolto in data 20.04.2012 in tale procedimento (p.p. 6452/08) ed è stato revocato il sequestro preventivo di una serie di beni a lui riconducibili, tra cui lo stabilimento balneare Village di Ostia. Attualmente anche FASCIANI è agli arresti domiciliari presso una struttura ospedaliera.

Quanto alla criminalità etnica, premesso che sul territorio laziale sono presenti sodalizi criminali di ogni matrice geografica, si accenna ai fenomeni più evidenti:
La criminalità cinese - le cui attività non sono più circoscritte al quartiere Esquilino ma si estendono alle zone Casilina, Tuscolana, Appia e in direzione di Ostia Lido - nell’ultimo anno si è assistito ad un incremento delle attività delinquenziali inerenti il traffico delle merci provenienti dalla Cina. E così sono stati numerosi i sequestri di capannoni industriali o di container contenenti tonnellate di merci di provenienza cinese, in gran parte contraffatte, spessissimo di contrabbando e in alcune occasioni risultate tossiche per la presenza di cromo esavalente. Altre attività criminali tipiche della comunità cinese sono le estorsioni in danno dei propri connazionali, l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento della prostituzione.
Frequenti sono anche le illecite attività connesse alle agenzie di Money Transfer gestite da cinesi, che trasferiscono in Cina somme cospicue o indicando mittenti e destinatari di fantasia e frazionando le somme al di sotto della soglia fissata dalla normativa ovvero utilizzando circuiti non ufficiali. Tale fenomeno - di cui si è avuta ulteriore riprova in occasione dell’omicidio, a scopo di rapina di Zhou Zang e della sua figlioletta di pochi mesi – consente di trasferire in patria le somme derivanti dal contrabbando delle merci o dalla violazione degli oneri fiscali connessi al commercio.
L’interesse della criminalità rumena riguarda soprattutto i delitti contro il patrimonio e la prostituzione, mentre nel narcotraffico l’impiego di rumeni è limitato al ruolo di corrieri per conto di organizzazioni albanesi, nigeriane e sudamericane.
La criminalità albanese risulta impegnata nello sfruttamento della prostituzione e nel traffico degli stupefacenti. Soprattutto nell’hinterland romano si sono verificati alcuni episodi di sangue che sottendono uno scontro in atto tra gruppi contrapposti, per il controllo di tali settori criminali.
La criminalità nigeriana infine si sviluppa nel territorio laziale nell’ambito della tratta di esseri umani, dell’immigrazione clandestina, della prostituzione e del traffico di sostanze stupefacenti, reati che assicurano un consistente illecito flusso economico.

Focus sul circondario di Latina
La provincia di Latina ha da sempre subito le infiltrazioni dei gruppi criminali organizzati, soprattutto di matrice campana, invogliati - per la vicinanza geografica e per la minore pressione investigativa rispetto ai territori di origine - ad estendere la loro operatività nel Basso Lazio, come accertato da vari procedimenti penali.
Recenti attività giudiziarie hanno documentato l’interesse dei sodalizi camorristici ad investire in quel territorio, caratterizzato da importanti attività commerciali (tra tutte quelle relative agli stabilimenti balneari, alle attività ricettive del litorale, ed al turismo). I reiterati interventi della DDA di Napoli nei confronti dei prestanome del clan Mallardo, che hanno condotto al sequestro di un patrimonio imponente soprattutto in campo immobiliare, hanno in gran parte interessato la provincia di Latina.

Quanto ai gruppi calabresi e siciliani, le pesanti infiltrazioni, soprattutto nell’area di Fondi ove è ubicato uno dei più grandi mercati ortofrutticoli d’Europa, si desumono dalla sentenze relative ai procedimenti DAMASCO e SUD-PONTINO.
Proprio per monitorare ed arginare le infiltrazioni nel tessuto economico e commerciale, il Ministero dell’Interno ha inserito la provincia di Latina nel progetto del “Desk Interforze per le indagini patrimoniali”. L’impegno delle forze dell’ordine ha portato, nell’ultimo anno, al sequestro di 253 beni e alla confisca di 123 beni, per un valore complessivo di circa 280 milioni di Euro.

Con particolare riferimento agli investimenti imprenditoriali effettuati in territorio pontino dai clan camorristici deve essere citato il procedimento nei confronti di DELLE CAVE Gennaro Antonio, concorrente esterno del clan MALLARDO. L’imprenditore operava sistematicamente con DELL’AQUILA Giovanni, già detenuto sempre per concorso esterno nel clan MALLARDO, effettuando investimenti nel settore edilizio ed immobiliare per conto del sodalizio camorrista. Il GIP, nell’accogliere le richieste della DDA, ha disposto il sequestro preventivo di varie società, soprattutto nel settore delle costruzioni e delle concessionarie di auto, alcune ubicate in Fondi. Nel medesimo procedimento è stato emesso provvedimento di sequestro preventivo nei confronti di PETITO Domenico, imprenditore di Giugliano contiguo al clan, titolare di varie aziende operanti nel settore edilizio ed immobiliare. Buona parte dei numerosi immobili sequestrati (circa 40 terreni e 70 fabbricati) sono ubicati nella provincia di Latina

Nella provincia di Latina, ed in particolare nella zona di Formia, opererebbe – secondo le indagini svolte dalla DDA di Napoli_ - un’articolazione del clan dei Casalesi facente capo a BARDELLINO Angelo e BARDELLINO Calisto (nipoti di BARDELLINO Antonio ucciso nel 1988) che avrebbe una forte operatività, soprattutto nelle attività estorsive in danno di esercizi commerciali.
Tra le attività delittuose più diffuse sul territorio della provincia di Latina vi è sicuramente il traffico di stupefacenti. Si è già dato conto dell’indagine che ha condotto in carcere i fratelli ZIZZO Carlo ed Alfiero e molti altri soggetti operanti sul territorio di Frascati, Terracina e Fondi.
Altra indagine di rilievo in tema di stupefacenti è quella condotta dalla Procura di Latina, che si è conclusa con l’applicazione di 24 misure e che ha individuato una serie di personaggi italiani che, in collaborazione con cittadini nordafricani, si occupavano della distribuzione dello stupefacente nella zona di Latina.

Altra indagine in tema di stupefacenti ha riguardato BALDASCINI Matteo (indicato da vari collaboratori come referente del clan dei Casalesi nella provincia di Latina) e il figlio BALDASCINI Paolo ed altre 14 persone, colpite da misura cautelare per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Anche l’indagine COCO, che ha portato all’emissione di 11 misure cautelari, ha riguardato l’attività di distribuzione di cocaina ad opera di soggetti, operanti sul litorale, in collegamento con soggetti stanziati a Tenerife da dove giungeva lo stupefacente.
Quanto ai delitti di tratta e riduzione in schiavitù deve essere segnalato il procedimento della DDA di Roma a carico di 3 bulgari dediti alla tratta di ragazze minorenni che venivano “acquistate” all’estero, portate in Italia e poi avviate coattivamente alla prostituzione sulla via Pontina.
L’effervescenza della criminalità straniera operante nella zona è anche attestata dall’indagine che ha disvelato un sistema estorsivo in essere presso il campo nomadi Al Karama di Borgo Bainsizza. L’indagine ha accertato come i cittadini rumeni che vivevano nel campo (gestito dalla regione Lazio) fossero costretti – a seguito di atti intimidatori - a versare un canone mensile di 300 euro per occupare le strutture alloggiative. Gli autori dell’estorsione venivano identificati i 3 rumeni i quali nel dicembre 2011, per indurre un connazionale riottoso a pagare, appiccavano il fuoco ala sua baracca, cagionando un incendio che si propagava velocemente e che distruggeva 12 container. Allorquando questi venivano sostituiti con nuovo moduli abitativi, il canone richiesto (e versato) saliva a 600 al mese.

Il capitolo sulla criminalità nella zona di Latina non può chiudersi senza citare le famiglie rom CIARELLI e DI SILVIO, da molti anni egemoni sul territorio, tra loro confederate ed impegnate in varie attività criminali: la prima soprattutto nell’usura e nelle estorsioni, la seconda maggiormente nelle rapine e nel traffico degli stupefacenti.
Già nella relazione dell’anno scorso si è dato atto della violenta lotta criminale che è stata ingaggiata per sottrarre l’egemonia del territorio ai CIARELLI-DI SILVIO (che ha lasciato sul campo 2 morti) e della rapida ed efficace risposta data dalle Forze dell’ordine e dalla magistratura.
In epoca recente l’operazione ha condotto all’emissione di una misura cautelare a carico di 34 persone (tra cui figurano i capi delle suddette famiglie) nella quale si contesta l’esistenza di un’associazione a delinquere, operativa dal 2004 al 2012, finalizzata al porto e alla cessione di armi, ad omicidi e tentati omicidi, ad incendi, rapine, estorsioni, usura e cessione di sostanze stupefacenti. Le indagini hanno consentito di individuare esecutori e mandanti di alcuni agguati, riconducendoli a gesti intimidatori o a spedizioni punitive, coerenti con le finalità del clan.
Nell’ultimo periodo nella provincia di Latina sono stati compiuti gravi omicidi.

Oltre a quello di Gaetano Marino, boss degli scissionisti assassinato il 23 agosto del 2012 a Terracina (v. sopra), deve essere ricordato il duplice omicidio di Alessandro Radicioli e Tiziano Marchionne, due pregiudicati assassinati il 1 novembre 2012 a Sezze. Le indagini hanno portato all’arresto dei 4 esecutori tra i quali figura Gori Umberto, imputato per associazione al clan camorrista Schiavone-Noviello di cui si è detto. Sono ancora in corso le indagini per chiarire le effettive motivazioni del gesto criminale.
Deve ancora osservarsi come nel contesto territoriale di Latina siano particolarmente frequenti gravi intimidazioni. Risultano infatti numerosi attentati, incendi dolosi ed intimidazioni nelle città di Fondi, Terracina, S.Felice Circeo, Sabaudia, Cisterna, Aprilia, Priverno e Latina. Tale fenomeno è talmente diffuso da aver assunto caratteristiche “endemiche”. Le attività investigative in corso dovranno chiarire se si è in presenza di episodi di microcriminalità o se si tratti di manifestazioni intimidatorie finalizzate ad imporre gruppi criminali nella gestione delle attività economiche e commerciali.