A Varapodio uccisi i fratelli Donato di 18 e 26 anni, raggiunti da colpi di fucile a bordo del loro trattore. Il padre e lo zio dei due ragazzi erano stati assassinati allo stesso modo
Ancora sangue nella Piana di Gioia Tauro dove ieri mattina, in località “Due Querce”, zona di campagna situata nel territorio del comune di Varapodio, un gruppo armato ha esploso numerosi colpi di fucile all’indirizzo dei fratelli Francesco (a destra) e Carmelo Donato (a sinistra in foto), di 18 e 26 anni, entrambi di Varapodio. Una ferocia inaudita quella degli assassini, che secondo una primissima ricostruzione della dinamica dell’agguato sembra non si siano accontentati di mirare diverse volte alla testa dei due giovani, ma, nel caso di Francesco, si sarebbero concessi addirittura di esplodere il colpo di grazia.
Un agguato di matrice mafiosa a seguito del quale Francesco, il 18enne, è deceduto sul posto mentre Carmelo ha cessato di vivere alcune ore dopo l’agguato all’ospedale “Santa Maria degli Ungheresi” di Polistena dove era stato trasportato d’urgenza. I carabinieri, avvertiti tramite una telefonata al 112 da una persona che poco dopo l’accaduto passava sul luogo del delitto, hanno immediatamente attivato l’attività investigativa finalizzata all’individuazione degli autori del massacro. Numerose le perquisizioni effettuate dai militari dell’Arma nei confronti di pregiudicati della zona, mentre sulla scena dell’omicidio posto sono intervenuti gli uomini della Sezione Investigazioni Scientifiche del reparto Operativo che segue l’attività d’indagine.
Il padre dei due giovani, Saverio Donato, ritenuto dalle forze dell’ordine contiguo alla cosca Barca di Varapodio, venne ucciso nel giugno del 2000 all’età di 46 anni mentre era a bordo del suo autotreno in quello che è apparso sin da subito agli investigatori un agguato dalle modalità tipicamente mafiose. Le indagini dei Carabinieri, hanno permesso di ricostruire l’evento e di eseguire il fermo di indiziato di delitto a carico di due giovani del posto, Michele Alessi, di 31 anni e Antonio Mammoliti anch’egli della stessa età, nipote del più noto Saro Mammoliti ritenuto capo dell’omonima cosca di Castellace di Oppido Mamertina. Un anno dopo la morte del padre dei due giovani uccisi ieri mattina, anche un loro zio, Annunziato Donato, subì la stessa sorte dei nipoti e del fratello. Ben quattro morti ammazzati nelle stesso nucleo familiare in pochissimi anni per motivi che restano assolutamente oscuri e misteriosi. L'agguato di ieri riporta non solo la città di Varapodio ma anche l’intero comprensorio della Piana di Gioia Tauro negli anni bui delle guerre di ‘ndrangheta, e delle infinite faide di paese dove si uccideva in una drammatica alternanza di botte e risposte per il predominio del territorio.
Il padre dei fratelli uccisi, ammazzato per una lite su una precedenza
Una lite banale, una discussione in strada per una precedenza. Per questo motivo nel giugno del 2000 e per una discussione su chi avesse o meno il diritto di precedenza il padre dei ragazzi uccisi ieri, fu raggiunto da numerosi colpi di arma da fuoco, esplosi con un modus operandi che per gli inquirenti è stato mafioso a tutti gli effetti. Il delitto di Saverio Donato avvenne sulla Strada Statale 111 che collega Gioia Tauro a Taurianova, in prossimità del piccolo centro di Amato. Donato era intento a caricare di legname il camion con cui sarebbe dovuto partire verso il nord Italia, ma la sua vita fu stroncata prima. Con lui, a bordo del veicolo, proprio il figlio Carmelo, allora quindicenne, che raccontò alle forze dell’ordine lo ripeté poi in sede processuale, dimostrando un notevole coraggio per un ragazzino della sua età. I destini giudiziari di Mammoliti e Alessi, però, hanno avuto un epilogo diametralmente opposto l’uno dall’altro. Innanzitutto per la scelta del rito secondo il quale si sarebbe dovuto svolgere il processo che li vedeva come imputati. Mammoliti, difeso dagli avvocati Luigi Germanò e Giuseppe Foti, scelse di affidarsi al rito abbreviato, mentre Alessi, difeso dall’avvocato Giuseppe Milicia, optò per l’ordinario. Per l’allora 23enne originario di Castellace di Oppido Mamertina, nipote del boss Saro Mammoliti, l’iter processuale è passato da una condanna a quindici anni e quattro mesi di reclusione inflitta dal Gup del Tribunale di Palmi, Giovanni Manzoni, sino a una pena leggermente ridotta in seguito alla sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione. In quel procedimento la famiglia della vittima si costituì parte civile ottenendo il risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.
Contestualmente, Mammoliti, (uscito dal carcere poco tempo fa), ottenne l’assoluzione per non aver commesso il fatto in ordine alle accuse relative alla detenzione di alcune cartucce per armi da caccia e di un serbatoio bifilare per pistola. Per Michele Alessi invece i tre gradi di giudizio cui è stato sottoposto hanno avuto un esito differente. Il procedimento con rito ordinario iniziato nell’ottobre del 2001 davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Palmi si concluse con l’assoluzione dell’imputato. Un esito che non poteva andare bene per la Pubblica Accusa che decise di appellarsi alla decisione dei giudici. Davanti alla Corte d’Assise di Appello però, Alessi incassò un’altra assoluzione, ottenendo un altro successo quando il ricorso presentato dalla Procura Generale fu respinto dalla Cassazione. Nonostante tra gli accusatori dell’imputato figurasse il figlio della vittima, testimone oculare dell’omicidio, la tesi difensiva portata avanti dal legale di Alessi riuscì a dimostrare che l’allora ventitreenne non si trovava a bordo dell’automobile utilizzata dai killer per avvicinare Donato e esplodere i colpi di arma da fuoco che gli costarono la vita. I riscontri emersi dai dati forniti dai tabulati telefonici e dagli spostamenti di Alessi hanno dimostrato che lui con quella esecuzione non c’entrava nulla e che ad accompagnare Mammoliti nel corso dell’agguato era stata un’altra persona.
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