martedì 28 febbraio 2012

Evasione fiscale, Monti convoca task force: recuperati 12 miliardi, si deve fare di più

«Continuare con forza è un impegno ineludibile: se ognuno dichiara il dovuto, fisco più leggero per tutti. Bisogna migliorare la trasparenza e il rapporto fisco-cittadini»


ROMA - Per dare impulso alla lotta all'evasione il premier Mario Monti ha riunito oggi in via XX Settembre, al ministero del'Economia, una task force contro l'evasione fiscale alla quale hanno partecipato i vertici del dicastero e i responsabili delle quattro Agenzie (Entrate, Dogane, Territorio, Demanio), dei Monopoli e della Guardia di Finanza. La task force, ha comunicato il ministero, si riunirà periodicamente per monitorare i risultati raggiunti e rafforzare il coordinamento fra tutte le strutture operative coinvolte che combattono l'evasione, un salasso per il Paese da oltre 100 miliardi di euro l'anno.


«Nel 2011 recuperati 12 miliardi, ma si deve fare di più». «Nel 2011, grazie all'operato dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza, sono stati recuperati 12 miliardi di euro. Ma si può e si deve fare di più» ha detto Monti presentando il suo "Atto di indirizzo", cioè la programmazione per il triennio 2012-2014 con tutte le indicazioni delle priorità, amministrazione per amministrazione. Quattro le aree prioritarie: risanamento; utilizzo prudente della leva fiscale per ristabilire condizioni di crescita; rafforzamento della lotta all'evasione; adozione delle riforme strutturali.

«Più equità con il recupero dell'evasione». «Rigore, equità e sviluppo - sottolinea Monti - sono le linee direttrici fondamentali su cui si basa il nostro impegno per assicurare che il contrasto all'evasione fiscale sia efficace e non intrusivo. Il recupero dell'evasione deve diventare uno strumento per migliorare l'efficienza del sistema economico in un quadro più equo. Dobbiamo continuare con rinnovata forza, perché se ognuno dichiara il dovuto, il fisco potrà essere più leggero per tutti. E' un impegno ineludibile che vogliamo raggiungere anche migliorando la trasparenza fiscale e il rapporto tra fisco e cittadini».

Migliorare la fiducia dei cittadini nella lotta al'evasione. Il vice ministro Vittorio Grilli, parlando della riunione della task-force, ha evidenziato che è stato «un momento di confronto per mettere in piedi gli strumenti più adatti di contrasto all'evasione fiscale, a supporto di quella maggior parte dei cittadini che le tasse le paga». Le linee di indirizzo fornite dal premier Mario Monti ai vertici dell'amministrazione finanziaria mirano non solo a rafforzare le azioni di contrasto all'evasione fiscale, ma anche e soprattutto a «incentivare le azioni di prevenzione e migliorare la fiducia dei cittadini nella lotta all'evasione fiscale, incoraggiando un cambio di mentalità in favore della compliance» sottolinea in un documento il Tesoro.

Consolidare il risanamento finanziario. Il governo punta dunque a consolidare il percorso del risanamento finanziario, attraverso vari strumenti, tra i quali anche la ricognizione del patrimonio immobiliare delle Pubbliche amministrazioni. Quanto al futuro, le indicazioni di oggi lasciano trapelare la volontà di non procedere in nuovi aumenti della tassazione. Si parla infatti di un «utilizzo prudente della leva fiscale, per ristabilire condizioni di crescita più robuste nel medio-lungo termine e contribuire al rilancio della produttività e della crescita economica».

Ponticelli, anche il boss costretto a pagare il pizzo


NAPOLI - Erano riusciti in un’impresa che, solo fino a qualche anno fa, sarebbe apparsa impossibile. Avevano puntato gli occhi – e gli interessi - su uno dei quartieri della città di Napoli che storicamente si considerava impenetrabile, una di quelle enclave di camorra inavvicinabile, considerato il regno del clan Sarno: Ponticelli.

E, forti della debolezza in cui quella cosca è sprofondata ormai da tre anni, erano riusciti a conquistare quel fortino inespugnabile. Il nome dirà poco: eppure gli affiliati alle famiglie Casella e Circone se l’erano conquistato, l’«onore» e il «rispetto», soppiantando i Sarno nel rione alla periferia orientale del capoluogo campano. Con la forza dell’intimidazione che era arrivata al punto di colpire persino uno dei componenti della famiglia Sarno, e riuscendolo a mettere pure sotto estorsione.

È questo il quadro che viene alla luce da un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, affidata ai carabinieri della compagnia di Torre del Greco guidata dal capitano Pierluigi Buonomo, e confluita in un’ordinanza di custodia cautelare che all’alba di ieri ha portato in carcere otto persone, tutti presunti affiliati alla nuova cosca vincente. I provvedimenti richiesti dai pm Vincenzo D’Onofrio e Francesco Valentini sono stati firmati dal gip Antonella Terzi.

Uno spaccato inquietante emerge dagli atti investigativi. L’inchiesta ha preso le mosse anche grazie alla denuncia presentata proprio da un componente della famiglia Sarno - Carmine – che, contrariamente alla quasi totalità del resto dei suoi familiari, che hanno accettato di abbandonare il quartiere e di porsi sotto la protezione dello Stato dopo il pentimento dei suoi fratelli, ha deciso di continuare a vivere a Ponticelli. L’uomo si rivolse ai carabinieri, ammettendo di essere stato costretto a cedere alcune sue imprese e addirittura a pagare il «pizzo» ai nuovi aguzzini giunti da Torre del Greco: i nuovi «padroni» di Ponticelli. Perché questa era la «legge» imposta dai Casella-Circone: e a Ponticelli sul racket non si facevano sconti a nessuno, perché tutti dovevano pagare.

E così, da titolare di un'agenzia musicale specializzata nella promozione di cantanti neomelodici e di un'impresa di pulizie, Carmine Sarno fu costretto a rinunziare alle sue attività. Spodestato, ma non solo. Già, perché da quello che si legge nelle carte dell’indagine, i nuovi arrivati avevano fatto di lui il bersaglio pubblico, l’uomo da deridere e umiliare in pubblico, per strada, davanti a tutti, in quanto «fratello degli infami», laddove gli infami diventano i collaboratori di giustizia.

Il nuovo clan che dal litorale vesuviano si era spinto alla conquista di Napoli faceva, secondo l’accusa, delle estorsioni la propria principale attività. Imponeva il pizzo a tutti. Persino ai venditori ambulanti del mercatino rionale. E, solo dagli ambulanti, ogni giorno il clan intascava 600 euro. È quella che il giudice Antonella Terzi non esita nella sua ordinanza a definire «l’esazione a tappeto della camorra ai danni di rivenditori miserabili, capaci di modeste contribuzioni, ma che serve a rendere visibile il controllo sul territorio». I destinatari delle misure cautelari sono Antonio Accennato, Salvatore Acunzo,Rosario Borrelli, Bruno Esposito, Salvatore Montefusco, Giovanni De Stefano, Vincenzo Persico e Salvatore Castellano. Tutti devono rispondere di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Giuseppe Crimaldi

Svaligiano casa e tentano inutilmente la fuga

«Topi» d'appartamento salvati da linciaggio


CASERTA - Hanno cercato in tutti i modi di sfuggire all'arresto ma alla fine proprio la polizia li ha salvati dal linciaggio. È accaduto a tre "topi" d'appartamento, P.C. di 32 anni, R.P. di 42 e V.E. di anni 32, sorpresi nella notte in un'abitazione di Frignano nel Casertano.


In due hanno provato a nascondersi sulla rampa di scale approfittando del buio mentre il terzo si è gettato dal primo piano del fabbricato tentando poi di scavalcare il muro perimetrale; gli agenti del Posto Fisso di Casapesenna li hanno però bloccati ma dopo averli ammanettati hanno dovuto fronteggiare i residenti della zona che sono scesi in strada inferociti.

Dopo alcuni momenti di tensione i poliziotti sono riusciti a condurli nelle auto di servizio tra gli applausi della folla.

Sgominata banda delle gioiellerie

4 arresti, ci sono una 17enne e suo padre



NAPOLI - Una banda di violenti rapinatori di gioiellerie è stata scoperta e bloccata dai carabinieri che questa notte, ad Afragola e Casoria, in provincia di Napoli, hanno arrestato due giovani di 19 e 21 anni. I militari dell'Arma di Torre del Greco , Castellammare di Stabia e Gragnano hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa lo scorso 22 febbraio dal gip del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti di Francesco Guida e Damiano Stasio, entrambi di Afragola, accusati di rapina aggravata in concorso.


Nel corso di indagini su rapine in gioiellerie i militari, partendo dall'acquisizione di fotogrammi estrapolati da sistemi di videosorveglianza, sono stati in grado di identificarli come due dei tre rapinatori (2 uomini e una donna) che alle 17.30 del 16 novembre 2011 irruppero nella gioielleria «Fabioro», di via Nazionale a Torre del Greco: con la minaccia di un'arma, misero a segno una rapina da 30mila euro dopo essersi selvaggiamente accaniti contro il titolare, picchiato selvaggiamente al volto e immobilizzato con alcune fascette di plastica che la donna portava in una borsetta già pronte per l'uso.

Nel corso di approfondimenti investigativi i carabinieri, partendo dalla denuncia di furto di un'utilitaria che era sembrata anomala e che era proseguita con un ancor più anomalo rinvenimento della vettura rubata, sono arrivati a identificare i due uomini che avevano perpetrato la rapina, i quali sono poi stati riconosciuti dalla vittima del pestaggio che li ha inconfutabilmente individuati. Verificando la posizione e l'identità di altre persone che erano state in contatto con Guida e Stasio, i militari dell'Arma sono poi giunti questa mattina anche all'individuazione della donna complice, una ragazza 17enne di Secondigliano, proprio quella che insieme ai complici aveva infierito sulla vittima e che aveva porto le fascette per immobilizzare il gioielliere, che è stata bloccata questa mattina nella sua abitazione venendo sottoposta a fermo.

Estendendo le indagini anche a rapine commesse in ambiti territoriali distanti dalla prima con simili modalità, i militari dell'Arma hanno inoltre raccolto elementi di colpevolezza nei confronti di Domenico Stasio per una rapina commessa alle 19.00 del 6 dicembre 2011 a Gragnano nei confronti della gioielleria «Aurum» durante la quale erano stati razziati gioielli e oggetti preziosi vari per oltre 200mila euro. Gli arrestati sono stati chiusi nella casa circondariale di Poggioreale mentre la ragazza è stata accompagnata nel centro di prima accoglienza di viale Colli Aminei, a Napoli.

Gioielli di provenienza illecita, del valore di circa 20mila euro, sono stati trovati dai carabinieri nell'abitazione del padre della 17enne. Le indagini hanno condotto i carabinieri nel quartiere Secondigliano di Napoli, in via Zanotti Bianco, dove abita il padre della giovane, Giuseppe G., di 51 anni, che è stato fermato con l'accusa di ricettazione. L'uomo è stato chiuso nel carcere di Poggioreale. Parte dei preziosi, infatti, sono stati riconosciuti dal titolare della gioielleria «Fabioro» di Torre del Greco, uno degli esercizi commerciali presi di mira dalla banda.

Nel tubo delle patatine 186 dosi di cocaina acquistate a Scampia e pronte a partire per la Sicilia


NAPOLI - Sembrava una semplice coppia di turisti siciliani giunta a Napoli per fare visita alla città con tanto di cucciolo di pitbull al guinzaglio ma, in realtà erano due pusher con 186 dosi di cocaina nascoste in una scatola di patatine «Pringles».


In manette sono finiti Roberta Serra di 27 anni e Santo Luca di 43 anni, una coppia di spacciatori catanesi bloccata ieri sera dagli agenti della Sezione Narcotici della Squadra Mobile.

Una delle zone di Napoli che i due sicuramente hanno avuto modo di visitare è stata quella del quartiere Scampia, nota piazza di spaccio, visto che i poliziotti hanno trovato e sequestrato loro 186 dosi cocaina. La droga è stata trovata dai poliziotti in due confezioni di patatine «Pringles», chiuse ermeticamente con della colla a freddo.

Gli agenti, infatti, nel corso di un servizio antidroga in piazza Garibaldi, hanno notato i due che si aggiravano nei pressi della biglietteria degli autobus di linea Roma-Catania. La coppia, dopo essersi guardata intorno, ha acquistato dei titoli di viaggio ed era pronta a salire a bordo dell'autobus, quando è stata fermata dagli agenti.

I poliziotti hanno accertato che i due, inoltre, per l'acquisto dei titoli di viaggio, non avevano fornito le reali generalità. La donna è stata condotta al carcere Femminile di Pozzuoli mentre il suo compagno, Luca, nella casa Circondariale di Poggioreale.

Il cucciolo di pitbull è rimasto, quindi, «orfano» e l'ufficio URP della Questura di Napoli è pronto ad affidarlo temporaneamente a chi ne farà richiesta (081-7941761/081-7941766)

GdF Reggio: «Recuperati 141 mln evasi e sequestrati 510 mln ai clan»

Bilancio delle Fiamme Gialle sull'attività portata avanti lo scorso anno. In prima linea l'aggressione ai patrimoni illeciti e l'individuazione dei redditi non dichiarati
 
Redditi non dichiarati per 141 milioni di euro recuperati e beni sequestrati alla 'ndrangheta per 510 milioni di euro. Sono i dati relativi all’attività svolta dalla Guardia di Finanza, nel corso del 2011, in provincia di Reggio Calabria. In particolare, i Reparti del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno perseguito una incisiva azione di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata volta ad impedire l’infiltrazione dei capitali illeciti nel sistema economico ed alla lotta all’evasione fiscale. L’impegno profuso dal corpo si è concretizzato nell’esecuzione di 1.726 attività ispettive in materia di imposte sui redditi e di Iva. Tali ispezioni – si fa rilevare – hanno consentito di constatare ben 141 milioni di euro di materia imponibile sottratta all’imposizione sui redditi, nonchè un’evasione dell’Iva per 21 milioni di euro. Le indagini hanno consentito spesso di integrare – anche sul versante del contrasto all’evasione fiscale – l'attività di controllo amministrativo con quella di polizia giudiziaria, consentendo di portare all’attenzione della magistratura condotte dolosamente tese alla perpetrazioni di sofisticate frodi tributarie.


Fra i casi più emblematici, il comando ricorda l’attività ispettiva condotta nei confronti di una società di capitali, operante nel settore dei servizi, con sede nel capoluogo reggino. La verifica ha permesso di acclarare l’utilizzo, da parte dell’impresa reggina, di fatture false per oltre 12 milioni di euro relative ad acquisti di servizi mai di fatto ricevuti. L’attività di contrasto alle frodi si è conclusa con la segnalazione alla magistratura di 133 soggetti ritenuti responsabili, spesso in concorso fra loro, di reati fiscali riconducibili alle seguenti fattispecie: utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (29 violazioni), dichiarazione fraudolenta e infedele (58 violazioni), omessa dichiarazione dei redditi (19 violazioni), occultamento o distruzione della contabilità (26 casi). Gli evasori totali scovati ammontano complessivamente a 118 mentre 14 sono risultati evasori paratotali. I redditi occultati da tali categorie raggiungono i 101 milioni di euro con un omesso versamento di IVA pari a 14 milioni di euro. L’attività di contrato al sommerso da lavoro ha permesso di individuare 323 lavoratori «in nero» e 614 «irregolari». I datori di lavoro verbalizzati sono stati 45. A questi vanno aggiunti gli 8 imprenditori denunciati per aver fittiziamente assunto 550 braccianti agricoli ai quali sono state indebitamente erogate provvidenze socio-assistenziali per oltre 1,1 milioni di euro.

L’attività di vigilanza nel settore delle accise sui prodotti energetici ha portato alla contestazione di 48 violazioni, alla denunzia all’autorità giudiziaria di 53 soggetti, al sequestro di 17 tonnellate di prodotti ed alla scoperta di consumi fraudolenti pari a 7 tonnellate di oli minerali. Il più rilevante dei risultati conseguiti nel settore delle accise ha portato alla luce un sistema di frode realizzato attraverso una rete di società, riconducibili in parte a sodalizi criminali, che falsificavano le procedure di denaturazione del gasolio destinandolo ad usi non agevolati. Il meccanismo di frode aveva consentito all’organizzazione di evadere le accise per 150 mila euro a settimana. A tutela degli interessi erariali frodati i finanzieri hanno sequestrato ai responsabili (42 persone) beni per 350 milioni di euro.

Rilevante l’attività in materia di scontrini e ricevute che, nella decorsa annualità, ha raggiunto i 5.683 controlli, 1.326 dei quali conclusi hanno evidenziato l’omesso rilascio del documento fiscale. Sono state, inoltre, accertate e segnalate alla magistratura. ordinaria e contabile indebite percezioni di contributi pubblici per oltre 15 milioni di euro tra finanziamenti comunitari ed erogazioni provenienti dagli Enti territoriali. Nel settore dell’aggressione patrimoniale alla criminalità organizzata, i Reparti del Corpo della Provincia, hanno sviluppato investigazioni economiche, patrimoniali e finanziarie nei confronti di 511 soggetti. Tale attività ha permesso di addivenire al sequestro di beni per un valore di circa 510 milioni di euro e confische per 229 milioni. Tra le investigazioni patrimoniali condotte dai finanzieri, quella che ha portato alla confisca di beni, per un valore stimato in 200 milioni di euro, a carico di una cosca reggina con importanti ramificazioni economiche nella capitale: fra i beni confiscati, noti locali pubblici ed immobili di prestigio a Roma. Nel comparto del contrasto ai traffici illeciti assumono infine rilievo i settori della lotta al contrabbando ed ai traffici di sostanze stupefacenti, nonchè la vigilanza sul corretto esercizio di giochi amministrati ed il contrasto dell’immigrazione clandestina. In particolare nell’anno sono stati effettuati sequestri di tabacchi di contrabbando per oltre 19 tonnellate. Sul versante del traffico di sostanze stupefacenti spiccano, fra i dati forniti dal comando provinciale, il sequestro di 560 Kg di cocaina purissima effettuato nel mese di ottobre nel porto di Gioia Tauro a carico di un dipendente della società di gestione sorpreso mentre trasportava, con un furgoncino, il grosso quantitativo di droga all’esterno dell’area portuale.

Nel bilancio delle Fiamme Gialle anche una complessa attività di indagine che ha permesso di disarticolare una ramificata associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, conclusasi con l’esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 17 persone ritenute organici ad una nota cosca della locride. In tutta la provincia si è pervenuti complessivamente al sequestro di 1.094 Kg. di sostanze stupefacenti e psicotrope, di cui oltre 1.092 Kg. di cocaina, 1,2 Kg. di eroina e 1,3 marijuana, alla denuncia di 80 soggetti di cui 33 tratti in arresto. La Guardia di Finanza di Reggio Calabria, inoltre, ha svolto nel 2011 un’intensa attività diretta alla repressione del trasferimento e della commercializzazione di merci con marchi contraffatti ovvero di opere dell’ingegno illecitamente riprodotte. Sono state denunciate 33 persone di cui una in stato di arresto. L'attività di contrasto, eseguita principalmente all’interno dell’area portuale di Gioia Tauro in collaborazione con l'Agenzia delle Dogane, ha consentito di sequestrare complessivamente oltre 3,5 milioni di pezzi di merce contraffatta. Fra gli altri, il sequestro di un ingente quantitativo di farmaci contraffatti, circa 10 tonnellate, effettuato nel luglio scorso. Parallelamente sono state eseguite in tutta la provincia 237 controlli per il contrasto del carovita. Nel comparto dei giochi, nel corso di 77 interventi sono denunciati alla magistratura inquirente 44 soggetti e sottoposti a sequestro 290 apparecchi e recuperati a tassazione 413.379 euro di prelievo unico erariale. Infine, l'attività sviluppata nel contrasto all’immigrazione clandestina ha portato all’individuazione nell’ambito di 10 sbarchi, di 146 clandestini. Sono stati inoltre 311 gli interventi eseguiti nel comparto del codice penale e delle leggi di pubblica sicurezza. Sono state tratte in arresto 45 persone e sono state denunciate altre 1.220.

Tra i sequestri, le oltre 2 tonnellate di artifizi pirotecnici rinvenuti nell’area della Piana di Gioia Tauro. Particolare attenzione è stata posta al contrasto ai reati ambientali ed ai traffici illeciti di rifiuti, con il sequestro di oltre 22.000 mq. di aree demaniali, 3 discariche abusive ed oltre 3 tonnellate di rifiuti industriali. Sono state denunciate 28 persone, di cui una in stato di arresto.

Falsificava sentenze riabilitative per protestati, arrestato

In manette a Lamezia Terme un sessantenne di Catanzaro, Rocco Lotito, che avrebbe fornito atti giudiziari creati ad arte. Recuperati falsi timbri del tribunale Lametino e di diversi Comuni del comprensorio


Avrebbe prodotto sentenze di riabilitazione per protestati. Per questo, un uomo di 60 anni, Rocco Lotito, di Catanzaro, ex bancario, è stato arrestato stamane dagli uomini del commissariato di polizia di Lamezia Terme. Le indagini hanno permesso di accertare che il sessantenne avrebbe prodotto finte sentenze di riabilitazione, emesse da vari tribunali, a beneficio di cittadini protestati. L'uomo, secondo quanto accertato dalla polizia, utilizzava sentenze vere, di cui veniva denunciato lo smarrimento, per poi falsificarle con i dati anagrafici dei beneficiari. In cambio di ciò avrebbe percepito somme di danaro.


L'uomo, fra l'altro, è stato trovato in possesso di numerosi timbri del Tribunale di Lamezia Terme e dei Comuni limitrofi utilizzati per formare atti falsi preordinati alla cancellazione di protesti bancari. Nei confronti dell'uomo, secondo gli inquirenti, sono stati acquisiti gravi indizi di reato per falso. Il materiale rinvenuto dai poliziotti è stato sequestrato.

Droga a Palermo, 11 arresti al Capo

Scoperta una ramificata organizzazione che dal capoluogo aveva esteso la propria zona di influenza in provincia e nel Trapanese. In alcuni casi i proventi dello spaccio sarebbero serviti come "fondo cassa" per il sostentamento della famiglie dei carcerati



PALERMO. Una vasta operazione antidroga è in corso a Palermo nei confronti di una organizzazione che controllava lo spaccio di cocaina e hashish avendo come base operativa il popoloso quartiere del Capo. La polizia sta eseguendo 11 ordinanze di custodia emesse dal gip del tribunale di Palermo Michele Alajmo, su richiesta del pm Ennio Petrigni, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione ed allo spaccio di stupefacenti.

Per sette indagati é stata disposta la custodia cautelare in carcere; ad altri quattro sono stati concessi gli arresti domiciliari.

L'indagine della polizia è stata avviata nel gennaio del 2010, in seguito all'arresto in flagranza di due spacciatori di hashish avvenuto nel quartiere del Capo. Gli investigatori, grazie a intercettazioni telefoniche ed ambientali, sono riusciti a risalire ai vertici di una ramificata organizzazione che dal capoluogo aveva esteso la propria zona di influenza in diversi centri della provincia fino a Mazara del Vallo, nel Trapanese.

Gli spacciatori al dettaglio, spesso incensurati e disoccupati, venivano invogliati ad entrare a far parte dell'organizzazione, grazie alla possibilità di ottenere finalmente un guadagno sicuro. In alcuni casi i proventi dello spaccio sarebbero serviti come "fondo cassa" per il sostentamento della famiglie dei carcerati.

Un ruolo particolare veniva ricoperto dal parente di uno degli arrestati (nei cui confronti è stato disposto l'obbligo di dimora) che, per testare la bontà della cocaina, non esitava ad "assaggiarla" vantandone l'ottima qualità.

Scommesse clandestine, sequestri in due sale a Palermo

La Guardia di Finanza è intervenuta nella zona di via Oreto e a Passo di Rigano. Le scommesse avvenivano attraverso siti sprovvisti dell'autorizzazione dei Monopoli di Stato.



PALERMO. Una sala scommesse è stata sequestrata a Palermo, nei pressi di via Oreto, dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria. Il titolare, denunciato a piede libero alla Procura, è infatti risultato sprovvisto della prescritta licenza di pubblica sicurezza, nonché delle autorizzazioni e concessioni di legge. I militari hanno proceduto al sequestro preventivo d'urgenza del locale nonché delle apparecchiature utilizzate: 6 televisori, 3 stampanti, 3 monitor e 8 postazioni terminali complete, impostate con Domain Name System (Dns). La modifica aveva lo scopo di eludere il blocco dell'indirizzo Internet Protocol, disposto dai Monopoli per impedire il collegamento a siti esteri non autorizzati al gioco delle scommesse sul territorio nazionale.

I controlli della Guardia di Finanza hanno accertato violazioni di legge anche in una sala giochi, nella zona di Passo di Rigano. Gli investigatori hanno sottoposto a sequestro penale 16 computer fissi collegati a siti stranieri sprovvisti della necessaria autorizzazione rilasciata dai Monopoli. Inoltre le giocate eseguite tramite i computer collegati sui siti illegali erano effettuate in totale evasione d'imposta.

I finanzieri hanno trovato nei cestini dell'immondizia una discreta quantità di ricevute di giocate sui siti non autorizzati. Il locale, i Pc e le stampanti, oltre all'incasso della mattinata, pari complessivamente a 500 euro, sono stati sequestrati ed il titolare denunciato a piede libero alla Procura della Repubblica di Palermo insieme ad un'altra persona di 53 anni.

sabato 25 febbraio 2012

Prostituzione. Misure cautelari per sette persone

Una vera e propria organizzazione ottimizzata in tutti i suoi aspetti alla massimizzazione dello sfruttamento della prostituzione scoperta dai carabinieri di Lamezia Terme. Misure cautelari per 7 persone

Una vera e propria organizzazione per la massimizzazione del profitto quella scoperta dai carabinieri di Lamezia Terme. Le indagini hanno evidenziato,, infatti, come i responsabili dell'organizzazione dedita allo sfruttamento della prostituzione scortavano le lucciole sul luogo di lavoro e le andavano a riprendere riaccompagnandole a casa, dove le sorvegliavano e portavano loro i pasti. Immediata quindi l’accusa di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione mossa a cinque calabresi arrestati dai carabinieri della Compagnia di Lamezia Terme. La misura cautelare applica a uno dei fermati la custodia in carcere, a quattro i domiciliari e ad altre due persone l’obbligo di dimora. L’attività d’indagine ha riguardato lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione di circa 10 senegalesi e nigeriane tutte maggiorenni, che venivano fatte prostituire sul tratto della SS 18 compreso tra i Comuni di Nocera T. (CZ) e Lamezia Terme.


I dettagli dell’operazione saranno resi nel corso della conferenza che si terrà alle 10.30 in Procura a Lamezia Terme, alla quale parteciperà il procuratore Vitello.

Le arance per la Fanta frutto del lavoro di "migranti schiavi"

Una inchiesta del periodico The Ecologist ha messo a nudo come le arance che servono alla produzione della Fanta provengano da lavoratori definiti "schiavi" attivi in Calabria

Condizioni di vita da schiavi, paga ridicola, nessuna tutela, caporalato imperante. È la situazione di molti migranti, spesso clandestini, che lavorano da stagionali in Calabria e raccolgono le arance destinate a finire nelle lattine di Fanta, marchio di proprietà della Coca-Cola. L’indagine è stata condotta dal periodico The Ecologist e rilanciata dall’Independent. Il colosso americano ha però smentito le critiche assicurando che i produttori da cui si serve sono regolarmente controllati da terze parti indipendenti in modo che gli standard siano rispettati. La Coca-Cola ha poi ammesso che la filiera produttiva è talmente lunga da non poter garantire la stessa cosa per le aziende che lavorano in subappalto. Alla base di tutto ci sarebbero i prezzi da fame pagati dalle grandi multinazionali ai produttori – 7 centesimi al chilo. Pietro Molinaro, capo della Coldiretti Calabria ha detto che il “prezzo appropriato» sarebbe di 15 centesimi. Il quotidiano britannico sottolinea però che non ci siano prove schiaccianti di cattiva condotta da parte di Coca-Cola o i dei suoi fornitori.

Corte dei Conti: "In Sicilia consulenze troppo facili"

Il presidente Luciano Pagliaro punta il dito contro una pratica definita "dannosa e diffusa" nella pubblica ammnistrazione. Preoccupazione anche per la situazione attuali degli enti e dei comuni



PALERMO. Le consulenze facili sono la pratica più dannosa, e purtroppo più diffusa, nella gestione della pubblica amministrazione in Sicilia. È descritto come un male endemico nella relazione di apertura dell'anno giudiziario dal presidente della Corte dei conti in Sicilia, Luciano Pagliaro. Il caso estremo sarebbe quello dell'ente Fiera del Mediterraneo di Palermo. La relazione segnala anche una forte incidenza di casi di corruzione e di malasanità e un uso distorto dei contributi comunitari. Ma mette in rilievo anche la responsabilità dei dirigenti dei servizi finanziari degli enti locali - Comuni e Province - per operazioni azzardate oppure per la «sovrastima» di entrate. Si tratta di pratiche che mettono in crisi i bilanci degli enti perchè danno via libera a un eccessivo indebitamento. Questo è accaduto, per esempio, al Comune di Catania tra il 2003 e il 2004. Il dirigente responsabile che aveva preparato un bilancio preventivo fondato su false previsioni di entrata è stato condannato per danno erariale. Di abusi nell'affidamento di numerose consulenze ha parlato anche il procuratore regionale Guido Carlino. Molte consulenze, ha osservato, sono state «conferite in carenza di adeguati requisiti professionali in capo ai nominati e senza previa verifica dell'esistenza di professionalita» interne".

Sul fenomeno delle "esternalizzazioni" Carlino ha ricordato che sono stati promossi vari filoni di indagine per illeciti nell'ambito di società partecipate e di associazioni gestite con denaro pubblico e per la realizzazione di obiettivi di interesse pubblico.

"SITUAZIONE DEI COMUNI DISASTROSA" - La situazione finanziaria degli enti locali in Sicilia è «disastrosa». L'allarme è stato lanciato dal procuratore regionale della Corte dei conti, Guido Carlino, nella relazione di apertura dell'anno giudiziario. Carlino ha parlato di sprechi, inefficienze e diseconomicità dell'azione amministrativa, «con l'aggravante, in molte ipotesi, dell'esistenza di condotte finalizzate al conseguimento di personale vantaggio dall'esercizio delle funzioni istituzionali, con pregiudizio per l'erario pubblico, anche in termini di lesione dell'immagine della pubblica amministrazione». Ma la condizione più preoccupante è quella degli enti locali. Ci sono spese costituenti danno erariale «in quanto non necessarie per il soddisfacimento degli interessi della comunità amministrata, prive di adeguata copertura finanziaria, e contrarie ai principi di sana gestione finanziaria».

Carlino riconduce tutto questo a quella che definisce una «estensione del fenomeno patologico dei debiti fuori bilancio, indice di incapacità gestionale e spesso anche fonte di danno erariale». Il procuratore regionale ha pure richiamato ipotesi di ricorso a illegittime operazioni di finanza straordinaria o a strumenti finanziari derivati di dubbia convenienza. E ha rilevato come numerosi siano stati i danni riscontrati per effetto di ritardi nella definizione di procedimenti

amministrativi. Quindi ha espresso particolare preoccupazione per i danni derivanti da perdita di finanziamenti di derivazione comunitaria. È un tema che in questi giorni è stato al centro dell'agenda politica regionale.

Corte dei conti: in Campania danni per falsi invalidi, consulenze e prebende

 
NAPOLI - Il conferimento illecito delle consulenze esterne, le spese inutili, la gestione del patrimonio pubblico (con in primo piano la vicenda Romeo, relativa al patrimonio comunale di Napoli, con un danno valutato in 104 milioni di euro). E ancora gli sprechi nel settore della Sanità, il dissesto degli enti locali, il fenomeno dei falsi invalidi, la distribuzione «di prebende a pioggia di salario accessorio», la mancata riscossione dei tributi, per finire ai casi di corruzione.


Sono i punti di criticità sui quali si è concentrato l'intervento della Corte dei Conti in Campania. Lo ha sottolineato, nel corso dell'incontro con i giornalisti in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, il procuratore regionale della Corte dei Conti Tommaso Cottone che ha tracciato un bilancio dell'attività del 2011. Un anno in cui sono state pronunciate condanne per circa 25 milioni di euro mentre le somme contestate con i soli atti di citazione ammontano a circa 137 milioni.

Una attività che colloca la procura campana al primo posto d'Italia sotto l'aspetto della produttività. Il magistrato, a proposito dei finanziamenti pubblici, ha sottolineato come l'intensificazione dei controlli, ha fatto sì che oggi «appare meno forte la quasi certezza di impunita». Cottone ha fatto riferimento a «conduzioni amministrative che richiedono profonde riconversioni sul piano culturale ancor prima che su quello amministrativo e della modifica legislativa». Ha affermato tuttavia che si sono registrati anche esempi di una «decisa inversione di tendenza», riferendosi alle politiche di controlli attuate dall'Inps e dalle economie sulla Sanità da parte della Asl di Salerno, che hanno portato a notevoli risparmi. «Con il rafforzamento dei sistemi di controllo, non solo l'opera di risanamento è possibile, ma è meno lontana di quanto si creda».

Cottone ha poi ricordato gli interventi più significativi. Questi, in sintesi: la sanzione nei confronti dei componenti della Giunta regionale che autorizzarono l'attivazione del mutuo destinato alla copertura di spese non di investimento inserite nel bilancio 2007 e 2006; citazione a carico della Regione e del ministero del lavoro per indebito utilizzo di 1,8 milioni di euro di fondi comunitari in materia di formazione professionale per il cosiddetto progetto Isola, attuato da precedenti amministrazioni regionali; l'invito a dedurre relativo a un danno di 12 milioni alla provincia di Caserta per i finanziamenti all'Acms, società di trasporto pubblico; un danno di circa 362mila euro accertato alle finanze del comune di Sarno per la indebita liquidazione di quote di salario accessorio; citazione in giudizio per i corsi fantasma alla Sovrintendenza archeologica di Pompei; atto di citazione per un danno da 104 milioni di euro per la gestione del patrimonio del comune di Napoli (il cosiddetto caso Romeo«; la condanna per gli amministratori del Comune di Benevento per l'illecito ricorso al condono riguardante la riscossione dei canoni di acque reflue; la questione del cosiddetto Ospedale del Mare, con un danno di circa 26 milioni di euro che vede chiamati in causa la società concessionaria, nonchè un ex assessore e dirigenti regionali.

Questi i nodi principali della relazione della Corte.

CONSULENZE ESTERNE. In molti casi evidenziata la «completa inutilità della spesa», in quanto gli incarichi sono stati conferiti «pur in presenza, nell'ambito dell'ente, di personale in grado di svolgere le prestazioni». Si tratta di un fenomeno «assai diffuso nel passato e ora in via di ridimensionamento per la decisa opera della Procura». Fenomeno che non riguarda solo gli enti locali, come il caso del Cira (centro ricerca aerospaziale) dove è stato riscontrato un danno di 106mila euro. Caso più eclatante «la gestione fallimentare del patrimonio comunale di Napoli affidata a una società concessionaria, del gruppo Romeo, per un danno alle finanze dell'ente valutato in 104 miilioni».

INEFFICIENTE GESTIONE. Danno di 4.852 euro al Comune di Casal di Principe per irregolarità nella tenuta delle scritture contabili di bilancio. Dirigenti e amministratori di Benevento condannati per un danno di circa due milioni e mezzo per omessa riscossione di entrate. Richiesta si sanzioni per oltre 3 milioni ai danni di consiglieri regionali per aver finanziato nel 2007 spese correnti attraverso la stipula di mutui.

SOCIETÀ PARTECIPATE. Si tratta di «uno dei punti di crisi di più forte impatto per l'economia regionale», un «moltiplicatore della spesa pubblica».

GESTIONE RIFIUTI. Si è registrato un «progresso nell'azione di contenimento di fenomeni che fino a poco tempo fa sembravano inarrestabili». Nel 2011 è arrivata la condanna per un sub commissario di governo per un danno di circa cinque milioni e mezzo. Il procedimento si riferisce a illeciti rimborsi spese e "illecita, in quanto inutile, stabilizzazione di numerosi Lavoratori socialmente utili destinati alla raccolta differenziata. In quel caso »gli amministratori operarono, con un enorme spreco di pubbliche risorse, non nell'interesse di un servizio vitale per la comunità, ma per corrispondere a istanze occupazionali e non a finalità emergenziali". Mancata raccolta differenziata: il Comune di Napoli è fermo al 18 per cento. Numerosi gli atti di citazione per la insufficiente raccolta, l'inefficienza dei consorzi di bacino, l'ingiustificata assunzione di LSU, le spese commissariali erogate contra legem e i siti abbandonati.

FINANZIAMENTI. Istruttoria avviata per l'indebito utilizzo dei fondi comunitari destinati alla formazione professionale (il progetto Isola), danno stimato in circa un milione e 800mila euro. Danno dci circa 500mila euro al Comune di Salerno per illecito impiego di risorse destinate a progetti di assistenza per i cittadini.

SANITÀ. Oggi "pur se si intravede qualche segnale positivo, il rientro della pregressa ed enorme (ma mai completamente stimata) situazione debitoria, gestione del personale, contenzioso, attività di staff, amministrazione e formazione, spesa farmaceutica, acquisizione di beni e servisi tramite appaltatori, sono le voci critiche del bilancio sanitario".

FALSI INVALIDI E PENSIONI POST MORTEM. Si è intensificata l'attività di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi da parte dell'Inps. Sono in corso giudizi risarcitori per complessivi 2.509.000. Numerosi i casi di riscossioni di pensioni post mortem "un fenomeno assai diffuso, una volta erogate le provvidenze quasi mai possono essere recuperate": sono state comunque avviate azioni di recupero per 6 milioni e 930mila euro e recuperati poco più di 2 milioni.

Falso invalido scoperto a Varese, denunciate anche moglie e suocera


Varerse, 25 feb. (LaPresse) - Per l'Inps risultava del tutto impossibilitato a muoversi e aveva quindi il diritto di percepire la pensione di totale invalidità, ma per la guardia di finanza di Varese, che lo ha seguito e filmato, l'uomo era in grado di condurre una vita normale. Al punto da poter guidare, camminare, fare la spesa e utilizzare anche il braccio che per lo Stato risultava paralizzato. A finire nei guai è stato un uomo di Gaggiolo, nel varesotto, proprietario di sei immobili affittati in nero, beneficiario di una pensione indebitamente percepita, oltre che di un assegno di accompagnamento per la consorte e della pensione della suocera, da tempo non più in Italia. L'uomo e le due donne sono stati denunciati per truffa aggravata ai danni dello Stato.

Nel corso delle indagini i finanzieri hanno scoperto che la moglie del falso invalido, di origine rumena, che già percepiva l'assegno di accompagnamento per il marito, a breve avrebbe ricevuto anche un altro assegno di accompagnamento per la presunta infermità della madre di lei, che vive in Romania, e che già riceveva una pensione concessa dall'Inps e incassata dall'uomo denunciato. I militari hanno anche sequestrato 18mila e 600 euro euro in contanti trovati in casa dell'indagato. Sono stati avviati, inoltre, gli accertamenti fiscali sull'uomo.

Aiutò boss 'ndrangheta a progettare evasione, arrestato poliziotto


.Milano, 24 feb. (LaPresse) - L'assistente capo della polizia penitenziaria Carlo Claudio Gallo, 45 anni, è stato arrestato ieri mattina per concorso esterno in associazione mafiosa. L'assistente da 20 anni lavorava nel carcere di Pavia, sarebbe diventato l'uomo di fiducia dei boss Luigi Mancuso e Nicodemo Filippelli, entrambi affiliati alla 'ndrangheta. I due appartenenti alla locale di Legnano erano detenuti nel carcere di Pavia dopo essere stati condannati nell'ambito dell'inchiesta 'Bad Boys' ed esser stati toccati anche dall'operazione "Infinito". Con l'aiuto del poliziotto non solo tenevano i contatti con Alessandro Magaraci, 29 anni, affiiato alla locale di Legnano, ma avevano perfino progettato un'evasione. Anche Magaraci, che faceva il barista al bar Stomp di Legnano, locale di riferimento della 'ndrina, sono scattate le manette.


Le indagini, svolte dal nucleo investigazione penitenziaria (Nip) in collaborazione con la squadra mobile di Milano, sono partite a maggio dello scorso anno quando gli agenti penitenziari del carcere di Pavia hanno raccolto un'indiscrezione secondo cui i due boss della 'ndrina di Legnano stavano progettando un'evasione con "aiuto della'assistente capo Gallo, che lavorava proprio nel settore del carcere dov'erano detenuti. A questo punto il poliziotto è stato messo sotto sorveglianza e pedinato. Da alcuni scambi di email e telefonate con Magaraci è emerso che l'agente penitenziario faceva da tramite tra i boss detenuti e gli altri appartenenti alla locale di Legnano. Dalle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e dal pm Biondillo, non sono emersi ingenti passaggi di denaro tra i boss e il poliziotto, ma solo promesse di un compenso una volta avvenuta l'evasione. A fine 2011 di due 'ndranghetisti sono stati trasferiti in un'altro carcere. Le indagini sono proseguite fino all'arresto dell'assistente capo e di Magaraci di ieri mattina.

venerdì 24 febbraio 2012

Fratellini di Gravina La madre: «Riesumate i corpi di Ciccio e Tore»


BARI - Quattro anni dopo il ritrovamento dei cadaveri di Ciccio e Tore nella vecchia palazzina di via Consolazione, il caso si riapre. Per accertare la verità. Per capire se fra i coetanei di Francesco e Salvatore Pappalardi si strinse, più o mano tacitamente, più o meno consapevolmente, quel patto di omertà denunciato da Rosa Carlucci, 47 anni, mamma dei «fratellini di Gravina». Oggi la Carlucci sembra determinata più che mai a sapere la verità. Non le si può dare torto: è una madre che ha sofferto enormemente per la perdita di due figli. Al punto che non esclude di chiedere la riesumazione delle salme di Francesco e Salvatore, oggi tumulate nella cappella fatta erigere dal padre, Salvatore Pappalardi: «Mi interessa raggiungere il mio obiettivo - rimarca Rosa - e se sarà necessario chiederò la riesumazione dei corpi. Ci sono verità nascoste in un maledetto fascicolo che nessuno ha mai preso in considerazione - prosegue la donna -. Le modalità con cui sono stati trovati i miei figli presentano delle anomalie ed è giusto che mi vengano date spiegazioni». Il legale della Carlucci, Domenico Ciocia, però frena: «Non ho ancora formalizzato la richiesta di riesumazione. È nostra intenzione ripercorrere tutto l’iter, a 360 gradi, senza lasciare nulla d’intentato. E se ci sono dei dubbi li rappresenteremo al magistrato. Quando furono trovati i cadaveri dei bambini e Filippo Pappalardi (inizialmente arrestato per duplice omicidio volontario, ndr) fu completamente scagionato, nessuno indagò in altre direzioni». La Procura ha deciso di riaprire il fascicolo proprio su richiesta della Carlucci.

Prova di coraggio? - Gli elementi forniti al pm dal legale della madre ruotano attorno all’ipotesi che i fratelli di 13 e 11 anni fossero caduti nella cisterna durante una «prova di coraggio» cui erano stati sottoposti da 5 ragazzi poco più grandi. Proprio i 5 «amichetti» (forse non solo loro) saranno ascoltati dal pm minorile. I loro nomi non sarebbero nuovi.

C’è chi sa e non parla - Che oggi qualche 20enne di Gravina conviva da quasi 6 anni con un segreto terribile è sì una convinzione della mamma, ma è un’ipotesi che anche la Procura considera possibile. Al punto da avere trasmesso le carte al pm minorile. La stessa Procura ordinaria compirà suoi approfondimenti, ascoltando persone che già allora erano maggiorenni: forse i genitori di alcuni amichetti.

La casa delle cento stanze - Dalle indagini risulta che la palazzina abbandonata di via Consolazione (vicino al Comune) era frequentata da gruppi di ragazzi fin dal 2000. Alcuni giovanissimi del quartiere consideravano il solo penetrarvi, scavalcando un muretto, una specie di prova del fuoco. Molti dei ragazzini sentiti all’epoca dalla Polizia, però, secondo la Carlucci, glissarono sulla loro frequentazione della casa oppure la collocarono in epoche lontane da giugno 2006. E poi c’erano le testimonianze di 3 amichetti. Dichiararono di avere giocato con Ciccio e Tore in piazza Quattro Fontane, quella sera, e di averli poi persi di vista. Uno dei tre, attardatosi, disse anzi di avere visto Ciccio e Tore nell’auto del padre Filippo. Una versione posta a base dell’arresto, oggi ritenuta inattendibile anche da Rosa Carlucci.

Carlo Stragapede

Sgominata gang dei Bancomat: 10 arresti

Furti preparati come partite di calcio


POTENZA - Il sopralluogo, una settimana prima, poi il «colpo da professionisti» usando la fiamma ossidrica e «sfruttando» la strana assenza degli ormai sofisticatissimi sistemi d'allarme: in totale sono stati rubati oltre 500 mila euro dai bancomat di agenzie del Monte dei Paschi di Siena sparse per l'Italia.


Con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata ai furti, oggi la Polizia ha arrestato dieci uomini napoletani (cinque sono in carcere e altri cinque ai domiciliari). La «banda dei bancomat» - con a capo Alessandro Dura, detto «'o ragioniere» perché distribuiva soldi alle famiglie di chi si trova momentaneamente detenuto - ha compiuto almeno 13 furti, tra il 2010 e il 2011, in Basilicata, Campania, Molise, Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna. Ma sono almeno un'altra quarantina i casi su cui la Polizia sta cercando di fare luce.

Per tutti, comunque, il comune denominatore è il gruppo preso di mira dai ladri: il Monte dei Paschi di Siena. Ai giornalisti i poliziotti potentini hanno più volte risposto che non vi sono indagati tra il personale del Monte dei Paschi, ma è chiaro che nelle prossime settimane le indagini proseguiranno per accertare le responsabilità di eventuali basisti. Certo è che la banda conosceva alla perfezione luoghi, sistemi d'allarme e telecamere (per la verità, poche, secondo chi ha fatto le indagini) all'interno e all'esterno delle agenzie.

E così in sei, a volte anche otto, agivano, con telefoni spenti e parlandosi solo attraverso radioline. Con la fiamma ossidrica («Backfire», segno di fuoco, è il nome scelto per l'operazione) aprivano il bancomat e portavano via i soldi, lasciando poche tracce, ma sempre con gli stessi arnesi e lo stesso «modus operandi».

Sono stati furti "seriali" per il gip di Potenza, Tiziana Petrocelli, che ha emesso le ordinanze di custodia cautelare su richiesta del pm Eliana Franco. Proprio la luce della fiamma ossidrica la sera del 17 luglio 2010, nel centrale corso XVIII Agosto, è stata ripresa da alcune telecamere nella zona (e non - è stato ribadito - della banca) dell'agenzia di Potenza del gruppo bancario senese.

Da lì sono partite le indagini, durante le quali, la Polizia ha scoperto anche il codice «calcistico» utilizzato dai componenti della banda e dai loro famigliari. «La partita si gioca stasera» oppure «la partita è stata rinviata», «non c'è, è andato a giocare». La partita, almeno per ora, è finita.

Stupro L'Aquila, il gip: «Vittima seviziata e abbandonata sanguinante al gelo»


L'AQUILA - Abbandonata «sanguinante in terra, all'aperto, a una temperatura di diversi gradi sottozero». Così ha scritto il Gip del Tribunale dell'Aquila, Giuseppe Romano Gargarella, nell'ordinanza con cui ha disposto ieri l'arresto del giovane militare irpino del 33esimo Reggimento artiglieria terrestre «Acqui» dell'Aquila, Francesco Tuccia, per tentativo di omicidio, oltre che per violenza sessuale aggravata, di una studentessa laziale.


Lui è da oggi ufficialmente sospeso dal servizio. La giovane è ancora ricovera sotto choc nell'ospedale dell'Aquila. Il fatto, all'esterno di una discoteca di Pizzoli, nell'aquilano, risalgono alla notte tra sabato 11 e domenica 12 febbraio. Le aggravanti ravvisate dal Gip sono quelle «dei motivi abietti e futili, dell'utilizzo di sevizie e dell'azione crudele verso la vittima», oltre che «l'approfittamento della minorata difesa» della giovane che «presentava un tasso alcolemico molto elevato e che veniva aggredita in luogo buio e secondario».

Più volte nell'ordinanza, di dodici pagine, il Gip afferma di trovare «pienamente condivisibile» la richiesta di applicazione di misura cautelare fatta dal pm David Mancini e la motiva con «il pericolo della reiterazione di ulteriori reati della stessa specie». Nell'ordinanza si ripercorrono tutte le fasi e gli orari della serata, con testimonianze, foto e altri riscontri.

Mercadante, appello da rifare

La corte di Cassazione ha annullato con rinvio il verdetto dei giudici d'appello. L'ex deputato regionale di Forza Italia era stato condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi e poi assolto


PALERMO. Torna alla corte d'appello di Palermo il processo all'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Marcadante, condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi dal tribunale e poi assolto: la corte di Cassazione ha annullato con rinvio il verdetto dei giudici d'appello. Mercadante ha trascorso oltre 4 anni in custodia cautelare.
Confermate le pene inflitte agli altri imputati: il boss Antonino Cinà (16 anni), imputato di associazione mafiosa ed estorsione, il capomafia Bernardo Provenzano (6 anni), accusato in questo processo di tentativo di estorsione, e Paolo Buscemi (6 mesi), commerciante imputato di favoreggiamento. Il processo nasce da una tranche dell'inchiesta denominata 'Gothà che portò in cella 'colonnellì e gregari del boss Provenzano

I tentacoli delle cosche sui lavori per la 106, fermate 5 persone

Provvedimento della Dda di Reggio Calabria contro le cosche Ficara, Latella e Iamonte che si sarebbero infiltrati nelle opere per il tratto della statale tra nei pressi di Melito Porto Salvo. Sequestrati beni per 20 milioni
 
'Ndrangheta ed appalti pubblici. L'operazione “Affari di famiglia”, portata a termine stamani dai Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, conferma gli interessi malavitosi sulle grandi opere pubbliche. Infatti, i militari dell'Arma hanno eseguito un provvedimento di fermo, emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio, nei confronti di cinque persone indagate per i reati di associazione di tipo mafioso, concorso in associazione di tipo mafioso e tentata estorsione aggravata dall'aver favorito un sodalizio mafioso. I cinque sono accusati di appartenere alla 'ndrangheta di due distinte articolazioni territoriali, operanti nell'area metropolitana e jonica. L'operazione ha documentato l'infiltrazione delle cosche in un appalto per la realizzazione di un tratto della statale 106.


Il decreto di fermo di indiziato di delitto, eseguito dai Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Montebello Ionico, riguarda tutti appartenenti alle cosche Ficara-Latella e Iamonte, operanti nel “mandamento di Reggio” ed in particolare nei comuni di Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Montebello Ionico. In particolare, dalle indagini è emerso che le cosche si sarebbero infiltrate nella realizzazione delle opere di ammodernamento e di messa in sicurezza della statale 106, nel tratto compreso tra Reggio Calabria e Melito di Porto Salvo, più nello specifico tra i KM 6+700 e 31+600. Contestualmente all'esecuzione del provvedimento restrittivo i Carabinieri stanno eseguendo un decreto di sequestro preventivo di beni ritenuti patrimonio delle cosche Ficara-Latella e Iamonte per un valore complessivo di 20 milioni di euro circa emesso dalla Dda reggina.

Sempre sulla statale 106, l'11 gennaio scorso, l'operazione Bellu Lavuru 2 aveva già accertato l'infiltrazione delle cosche Morabito, Bruzzaniti, Palamara, e Maisano, Rodà, Vadalà e Talia nei cantieri della zona di Palizzi. Tra i ventuno arrestati, in manette erano finiti anche tre dirigenti della "Condotte", uno dei più importanti gruppi italiani nel settore costruzioni, il capo cantiere Pasquale Carrozza, di Melito Porto Salvo, l'impiegato amministrativo Rinaldo Strati, di Siderno, il direttore di cantiere Antonino D'Alessio, di Vico Equense (Napoli), il project manager Sebastiano Paneduro (51), di Catania, il direttore tecnico Cosimo Claudio Giuffrida, di Catania e un ex direttore dei lavori dell'Anas, Vincenzo Capozza di 55 anni, di Locri (Reggio Calabria).

Le intercettazioni.
«Come mai avete iniziato questi lavori senza le dovute presentazioni? Adesso dovete pagarci il disturbo!» oppure: «dite al vostro responsabile che prima di continuare i lavori si deve mettere a posto». Frasi come questa, intercettate dai Carabinieri nell’ambito dell’operazione «Affari di famiglia» che stamani ha portato al fermo di cinque persone per infiltrazioni mafiose nei lavori per la costruzione di alcuni tratti della ss 106, erano spesso rivolte dai»picciotti» delle cosche Ficara – Latella e Iamonte al responsabile dei lavori per il rifacimento della ss 106 nel tratto Reggio Calabria-Melito Porto Salvo. Spesso le richieste erano più esplicite: «Noi siamo i referenti della zona. Per il vostro quieto vivere dovete darci il 4% dell’intero importo dei lavori relativo alla posa delle barriere e del rifacimento del manto stradale. Un’impresa come la vostra non è che mo si perde per 60.000 euro». I malfattori «sconsigliavano» alle imprese di rivolgersi ad altre ditte per la fornitura di servizi e di opere, perchè i subappalti dovevano essere affidati a ditte vicine alla cosca: «Le ditte a cui avete richiesto i preventivi, come quella di Bovalino, non vanno bene», era la frase che i titolari delle imrese si sentivano dire. Quando, infine, il responsabile del cantiere specificava che ancora erano in corso dei semplici lavori di messa in sicurezza e che le opere di ammodernamento non erano ancora iniziate, gli interlocutori lo congedavano con un eloquente «ci faremo risentire noi».

«Appalti Aterp a ditte dei clan» Sedici indagati a Reggio Calabria

Coinvolte dieci aziende e 5 tra funzionari e tecnici dell'ente. Al vaglio dei finanzieri in particolare i preventivi di spesa relativi ai lavori assegnati a una ditta intestata alla moglie di un pregiudicato


Sedici avvisi di garanzia per il reato di associazione mafiosa, intestazione fraudolenta di valori, corruzione e falso ideologico, sono stati notificati ad altrettate persone, tra cui 5 funzionari e tecnici dell’Aterp di Reggio Calabria nonchè dei titolari di 10 aziende del reggino nell’ambito di un’inchiesta su possibili infiltrazioni mafiose negli appalti dell’ente. Gli avvisi sono stati recapitati dalla Guardia di Finanza sotto la direzione della locale Direzione Distrettuale Antimafia. I finanzieri hanno anche eseguito numerose perquisizioni nei confronti di funzionari e tecnici dell’Aterp di Reggio Calabria, nonchè di ditte e società di costruzioni e lavori edili della provincia, aggiudicatarie di appalti dall’Ente.


L'attività investigativa in corso ha lo scopo di mettere in luce la possibile commistione tra il gestore di fatto di una ditta di Reggio Calabria, già condannato definitivamente per il reato di associazione mafiosa, e un funzionario dell’Aterp il quale, grazie agli stretti legami di amicizia instaurati, si sarebbe prodigato per far affidare alla ditta intestata alla moglie del pregiudicato lavori pubblici d’urgenza da parte dell’ente, successivamente subappaltati ad altre ditte compiacenti, al fine di non incorrere nei rigori delle misure patrimoniali antimafia. Analoghi comportamenti illeciti sono contestati anche ad altri tecnici e funzionari dell’Aterp che figurano tra gli indagati. Sono in corso accertamenti per verificare se i preventivi di spesa relativi a tali lavori siano stati artatamente «gonfiati» al fine di far conseguire un più ampio margine di guadagno alle ditte interessate.

mercoledì 22 febbraio 2012

Arrestati 14 tra imprenditori e funzionari sequestro di 250 milioni ai Casalesi


CASERTA - Nelle province di Caserta e Napoli sono in corso di esecuzione 14 arresti di imprenditori e pubblici funzionari accusati di associazione per delinquere di stampo camorristico. Lo si apprende dalla Guardia di finanza che conduce l'operazione 'Domitia Village', coordinata dalla Dda e dal Tribunale di Napoli. Centinaia di militari stanno eseguendo numerose perquisizioni e sequestri di oltre 300 immobili e terreni per il valore di 250 milioni di euro, riconducibili ai clan Zagaria, Bidognetti, Nuvoletta e Polverino. 

Le persone arrestate sono accusate di associazione per delinquere di stampo camorristico, concorso esterno alla camorra, corruzione, abuso d'ufficio, truffa e abusivismo edilizio. Convocata una conferenza stampa del procuratore aggiunto Cafiero De Raho alle 11.30 presso la Reggia di Caserta.

In pigiama a casa, risultavano al lavoro Blitz della municipale: cinque denunciati



NAPOLI - C'è la moglie di un galeotto che risultava al lavoro in un asilo ed è stata trovata in casa (una lussuosa villa) in pigiama, ci sono i custodi notturni di un impianto sportivo che lasciavano le luci accese e tornavano a dormire a casa: dagli incartamenti delle indagini sulla Napoli Servizi escono tante storie, tutte molto "particolari".

La vicenda si è conclusa, per ora, con la denuncia di cinque persone da parte degli agenti del nucleo di polizia investigativa della Polizia Municipale. Hanno agito sotto la direzione del comandante Luigi Sementa: hanno svolto una lunga e approfondita attività di controllo che ha coinvolto un gruppo di dipendenti della Napoli Servizi e si è conclusa con la denuncia di 5 persone per i reati di truffa e falso ideologico in concorso tra loro. I vigili hanno agito con l’appoggio dell’amministrazione comunale e l'indagine è stata portata avanti in pieno accordo con l’assessore ai diritti, alla trasparenza e alla sicurezza Giuseppe Narducci.

Qualche giorno fa, dopo una fase d’ indagine preliminare, gli agenti sono entrati in azione appostandosi all’esterno degli uffici comunali, siti in piazza Duca degli Abruzzi. Alle 6.05 una giovane 25enne, in possesso delle chiavi d’accesso, entrava negli uffici e passava il badge al rilevatore elettronico di presenza; agli agenti che la avevano avvicinata dichiarava di essere una dipendente della Napoli Servizi ma alla richiesta di esibire il badge emergeva, in realtà, che lo stesso era intestato alla madre. La donna, A.A., avrebbe dovuto svolgere servizio presso quegli uffici dalle 6.00 alle 8.00 e, per le successive 6 ore, presso l’asilo nido comunale in via G.B. Manzo. La mattina stessa, invece, gli investigatori si sono recati presso la sua abitazione, una lussuosa villa alle porte di Napoli, dove l’hanno sorpresa in pigiama. Il dirigente scolastico dell’asilo, tra l'altro non è stato in grado di riconoscere la donna attraverso una foto che gli hanno mostrato gli agenti: secondo l'uomo quella persona non aveva mai prestato servizio nella scuola.

La Polizia Municipale ha denunciato madre e figlia in concorso tra loro per i reati di falso in atto pubblico, sostituzione di persona e truffa. Dall’indagine sono emersi legami di alcuni dei dipendenti denunciati con ambienti della criminalità organizzata; il marito di A.A. risulta essere agli arresti presso il carcere di Viterbo, sottoposto al regime del 416 bis perché affiliato ad un noto clan camorristico. Seguendo lo stesso filone d’ indagine i controlli sono proseguiti anche nei giorni successivi.

Ieri notte, intorno all'una e mezza gli agenti sono entrati allo Stadio Comunale di San Pietro a Patierno, verificando che, benché le luci fossero accese, nei locali non vi era nessuno ed accertando che, contrariamente a quanto riportato dall’ordine di servizio, i custodi erano assenti. Solo intorno alle 6.20 del mattino un dipendente, G.R., è entrato seguito, dopo pochi minuti, da un suo collega, A.B. Gli agenti della Municipale hanno appurato che, G.R., in servizio di notte, era tornato di mattina per strisciare il tesserino magnetico e attestare il termine del servizio; A.B., invece, non doveva essere in servizio quella notte ed aveva il proprio badge nell’armadietto personale.

Da verifiche effettuate gli agenti hanno scoperto che era stato marcato il termine del servizio per un terzo dipendente, A.S., assente dal luogo di lavoro. Gli investigatori hanno inoltre trovato all’interno dello stesso armadietto anche i tesserini magnetici di altre tre persone che prestano servizio presso la struttura con qualifica di custode. I tre dipendenti, colti in flagrante, sono stati denunciati in concorso tra loro per sostituzione di persona e truffa, mentre coloro che avevano lasciato i propri tesserini in custodia ai colleghi sono stati segnalati all’autorità giudiziaria e ai vertici aziendali della Napoli Servizi.

Maltrattamenti sui minori. Arrestata una insegnante di Pizzo

Dopo un periodo di monitoraggio i carabinieri della stazione di Pizzo hanno proceduto all'arresto di una maestra L. G. della scuola elementare San Sebastiano con l'accusa di maltrattamenti su minori


E' partita dalla segnalazione di alcuni genitori, i cui figli erano talmente terrorizzati da non voler più andare a scuola, l’inchiesta dei carabinieri di Pizzo che stamani ha portato all’arresto di L.G., maestra alla scuola elementare San Sebastiano, con l’accusa di maltrattamenti verso gli scolari. Appena saputa la notizia, i carabinieri, coordinati dal pm della Procura della Repubblica di Vibo Valentia, hanno attivato un servizio di osservazione nelle aule anche con piccole telecamere, che ha permesso di accertare come l’insegnate avesse l'abitudine di malmenare, strattonare e colpire con pugni e schiaffi gli alunni, maschi e femmine, delle classi affidatele. Ogni giorno, anche le più lievi mancanze, secondo quanto accertato, venivano punite dall’insegnante con immotivata violenza. I piccoli erano ormai terrorizzati dal clima instaurato nella scuola e vivevano in uno stato di totale soggezione, continuamente intimiditi anche dalle urla, dal lancio di libri e penne e dalle spinte che la maestra riservava loro. Tra le vittime anche una piccola affetta da mutismo selettivo che è stata addirittura costretta a farsi la pipì addosso per il divieto dell’insegnante di poter andare in bagno. Alla luce degli elementi raccolti, il gip di Vibo, su richiesta della Procura ha emesso il provvedimento cautelare, eseguito stamani. La donna è stata portata nella sua abitazione agli arresti domiciliari. 

Mafia, sequestro da un milione e mezzo a fedelissimo di Provenzano

La confisca nei confronti di Salvatore Martorana, 86 anni, di Palermo ma residente a Vittoria, già condannato a sei anni. Avrebbe avuto un ruolo nella distribuzione dei pizzini del boss quando era latitante


CALTANISSETTA. Beni per un valore complessivo di oltre 1,5 milioni di euro sono stati sequestrati e confiscati dalla Direzione Investigativa Antimafia di Caltanissetta a Salvatore Martorana, 86 anni, originario di Casteldaccia (Palermo) ma residente a Vittoria (Ragusa), condannato a sei anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa.
Il provvedimento, disposto dal Tribunale di Caltanissetta a seguito di una serie di indagini patrimoniali coordinate dal Procuratore Sergio Lari, dall'aggiunto  Domenico Gozzo e dal sostituto Gabriele Paci, riguarda un esponente "stabilmente inserito nel circuito relazionale deputato alla veicolazione dei cosiddetti pizzini riconducibili a Bernardo Provenzano, all'epoca ancora latitante".
Il ruolo di Martorana era emerso nel contesto delle attività investigative legate alla cattura del capo di Cosa Nostra. In particolare, attraverso il monitoraggio dei movimenti effettuati sull' intero territorio siciliano da parte degli esponenti della famiglia Ferro di Canicattì.
Gli investigatori avevano accertato come l'anziano possidente non fosse altro che il terminale, nel territorio ragusano, dei messaggi inviati dal superlatitante. Martorana, inoltre, in numerose occasioni aveva messo a disposizione le aziende agricole da lui possedute in quella zona, al fine di permettere lo svolgimento di summit mafiosi.

Fisco, controlli in locali e negozi: boom di irregolarità nel Palermitano


Nel mirino della guardia di finanza 250 esercizi commerciali. Non rilascia lo scontrino il 94% dei venditori ambulanti e il 45% dei ristoratori sottoposti a verifiche. Scoperti anche 51 lavoratori in nero

 PALERMO. Una serie di controlli a tappeto della Guardia di Finanza in 250 tra locali e negozi della provincia di Palermo, ha consentito di scoprire una serie di irregolarità nella grande maggioranza degli esercizi commerciali.
In particolare, come ha reso noto il comandante provinciale della Guardia di Finanza generale Stefano Screpanti, è stata accertata la mancata emissione dello scontrino fiscale nel 94% di venditori ambulanti e nel 45% dei ristoranti sottoposti a verifiche, oltre alla scoperta di 51 persone che lavoravano 'in nero'. I militari delle Fiamme Gialle hanno contestato ai titolari multe per un valore complessivo di 800 mila euro.

I DETTAGLI DEL BLITZ. L'operazione della Gdf ha impiegato cento pattuglie. Controllate 254 attività commerciali e contestate sanzioni per circa 800 mila euro. Una parte consistente dei controlli ha riguardato il commercio ambulante abusivo, prevalentemente concentrato nei mercati rionali. Su 58 ambulanti controllati, in 55 casi sono state riscontrate irregolarità.
Sequestrati, inoltre, oltre 2.100 fra capi di abbigliamento, orologi, calzature, cover per cellulari, a carico di 8 venditori ambulanti abusivi, tutti denunciati. In 34 ristoranti, dei 77 controllati, sono state ravvisate irregolarità: in 31 per mancata emissione di ricevute. Su 63 negozi di vendita al dettaglio di generi alimentari, le irregolarità scoperte sono state 29.
Nei ristoranti controllati sono stati scoperti 51 lavoratori completamente in nero (44 italiani e 7 stranieri, fra cui uno senza permesso di soggiorno); altri 11 addetti in nero e 10 lavoratori irregolari (tutti italiani) sono stati scoperti nei negozi di generi alimentari. Tutti gli interventi sono stati effettuati in maniera mirata, verso obiettivi selezionati in base ad una preliminare analisi di rischio sviluppata dalla Fiamme Gialle, principalmente attraverso le banche dati a disposizione.
Queste operazioni straordinarie - che verranno eseguite anche nelle prossime settimane in diverse aree del capoluogo e in provincia e saranno estese anche ad altri settori economici. Nel solo mese di gennaio la Gdf ha rilevato a Palermo e provincia 276 violazioni su oltre 600 controlli riguardanti l'emissione di scontrini, pari al 40,64% (percentuale che sale al 74% nel capoluogo siciliano).

Il pizzo attraverso la lotteria: cinque arresti a Palermo

Blitz antimafia dei carabinieri. Taglieggiata per anni una pasticceria palermitana alla quale veniva imposto l'acquisto dei biglietti, al prezzo di 90 euro a blocchetto. Gli estortori chiedevano anche denaro per le famiglie dei carcerati





PALERMO. I carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo hanno arrestato cinque persone accusate di estorsione aggravata dall'avere agevolato la mafia. L'inchiesta che ha portato alle misure cautelati, emesse dal gip Nicola Aiello, è la prosecuzione di una indagine della dda coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio de Francisci e dai pm Caterina Malagoli e Francesco Grassi, nata nel corso della ricerca del boss Gianni Nicchi.
L'indagine, che consentì di ricostruire l'organigramma del clan dei Pagliarelli, oggi ha portato all'individuazione del gruppo di estortori che ha taglieggiato per anni una pasticceria palermitana. A partire dal 2007, infatti, i proprietari dell'attivita" commerciale sono stati costantemente sottoposti alla pressione del racket e costretti a versare, oltre a rate fisse a Natale e Pasqua, denaro per le famiglie dei carcerati e a fornire ai boss prodotti della pasticceria anche per 750 euro.
Dall'inchiesta, inoltre, è emerso un nuovo "metodo" di taglieggiamento: ai commercianti ogni settimana viene imposto l'acquisto di tagliandi della lotteria al prezzo di novanta euro a blocchetto. In questo modo la cosca nasconde l'imposizione del pizzo dietro un'attività clandestina ma comunque molto popolare nelle borgate palermitane; inoltre l'assoggettamento indistinto di tutti i commercianti consente alle famiglie di incassare 9000 euro a settimana che si aggiungono alle "ordinarie" estorsioni.
L'esiguità della somma da versare  garantisce una generale omertà delle vittime che preferiscono pagare un pizzo modesto piuttosto che denunciare. Alcuni commercianti, comunque, hanno collaborato con gli inquirenti.
Gli arrestati sono Domenico Marchese, 44 anni, Davide Schillaci, 42 anni, Antonino Bertolino, 56 anni, Carmelo Bongiorno, 32 anni e Giovanni Adamo, 40 anni.

Mafia, sequestrati sei milioni a Di Vincenzo

L'imprenditore di Caltanissetta, ai domiciliari dal 26 gennaio, di nuovo nel mirino della guardia di finanza. Sigilli anche ad una società




CALTANISSETTA. Nuovo sequestro cautelare da sei milioni di euro di beni per l'imprenditore Pietro Di Vincenzo di Caltanissetta. Lo hanno eseguito gli uomini del Gico della Guardia di finanza di Caltanissetta su decreto della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta a seguito di richiesta della Procura. Tra i beni sequestrati la società Novacostruzioni srl, il 20 per cento della società Nissambiente scarl; il 40 per cento della Ica scarl e 55 libretti di risparmio al portatore. L'operazione cautelare segue le risultanze investigative del Gico sull'attività di Di Vincenzo, ex presidente regionale dell'Ance. L'imprenditore dal 26 gennaio scorso si trova agli arresti domiciliari.
Accusato di fittizia attribuzione della titolarità della Novacostruzioni a due prestanomi il 14 novembre 2011 è stato condannato a Caltanissetta a 10 anni di reclusione per l'accusa di estorsione nei confronti dei suoi dipendenti mentre è stato assolto dalle imputazioni di intestazione fittizia di beni e ricettazione.