giovedì 31 maggio 2012

«Standard & Poor’s» Pm Trani: si cercava di destabilizzare Italia

L'agenzia: ci difenderemo

ROMA – La «destabilizzazione dell’immagine, prestigio e affidamento creditizio dell’Italia sui mercati finanziari», ma anche l’indebolimento dell’euro e un «deprezzamento» del valore dei titoli di Stato italiani. Tutto realizzato attraverso «una serie di artifici» che avrebbero «cagionato alla Repubblica italiana un danno patrimoniale di rilevantissima gravita».

Il Pm di Trani, Michele Ruggiero conclude una prima tranche dell’inchiesta sulle Agenzie di Rating e punta il dito contro Standard & Poor's per gli effetti finanziari dei report sull'Italia diffusi tra il maggio 2011 e il gennaio 2012. Nell’atto di conclusione di indagine, che l’ANSA ha potuto visionare e che, quasi sempre, precede una richiesta di rinvio a giudizio, il magistrato accusa il presidente di S&P Financial Service, Deven Sharma, e altri quattro dipendenti al vertice dell’agenzia, del reato di «manipolazione del mercato, continuata e pluriaggravata». Un’ipotesi di reato aggravata anche dalla «rilevante offensività « dei comportamenti «perchè commessi in danno dello Stato sovrano italiano».

Pronta la replica dell’Agenzia di Rating che ha ricevuto nei giorni scorso la notifica dell’avviso di chiusura delle indagini. «Riteniamo che le accuse riportate siano prive di ogni fondamento e non supportate da alcuna prova – afferma in una nota -. Continueremo a difendere strenuamente le nostre azioni e la reputazione della società e delle nostre persone».

Tutto nasce da un esposto-denuncia dei presidenti di due associazioni dei consumatori, Elio Lannutti, di Adusbef, e Rosario Trefiletti, di Federconsumatori, che, dopo aver ringraziato il magistrato, annunciano da subito che si costituiranno parte civile «a nome di migliaia di risparmiatori frodati».

«E' stata una indagine laboriosa – dice il pm Ruggiero - perchè abbiamo dovuto rileggere tutti gli episodi che erano legati in pratica alle tappe dei pronunciamenti di S&P sull'Italia. L’indagine – aggiunge – svela cosa c'è dietro». E questo ha portato anche ad un cambiamento del reato. «L' imputazione – spiega Ruggiero – è stata comunque rivoluzionata perchè prima si parlava di notizie false, non vere, ora si parla di questioni molto, ma molto più gravi».

Nell’avviso di conclusione delle indagini si fa riferimento a quattro date chiave (venerdì 20 maggio 2011, venerdì 1 luglio 2011, lunedì 5 dicembre 2011 e venerdì 13 gennaio 2012) contestualizzando i report dell’agenzia e gli effetti avuti sul mercato. L’accusa è quella di «aver posto in essere una serie di artifici» tanto nell’elaborazione quanto nella diffusione delle comunicazioni. In particolare, secondo il Pm, l’agenzia utilizzò in fase di elaborazione dei rating dell’Italia «analisti (non identificati) inesperti e incompetenti». Poi decise di fare comunicazioni ai mercati in modo «selettivo e mirato» in relazione «ai momenti di maggiore criticità della situazione politica economica italiana». Per questo il magistrato, in trasferta a Roma, ha consegnato il documento anche alla Consob: l’autorità dei mercati dovrà ora valutare una eventuale sospensione dell’attività di Standard & Poor's in Italia.

Lusi, il Riesame: «Spariti altri 50 milioni

La moglie resti ai domiciliari» I giudici del tribunale del Riesame di Roma: «Concreto pericolo di fuga in Canada». La Margherita: non vorremmo si trattasse di un refuso


ROMA - «Mancano all'appello altri 50 milioni di euro di cui non si conosce la destinazione finale». Lo afferma il tribunale del Riesame
nel provvedimento con cui ha confermato gli arresti domiciliari per Giovanna Petricone, moglie dell'ex tesoriere della Margherita, Luigi Luisi.

ll senatore è accusato di essersi indebitamente appropriato, secondo le carte dei pm della procura di Roma, di circa 21 milioni di euro dai conti del partito, defunto ormai da diversi anni. Sul senatore, espulso dal Pd, grava la richiesta d'arresto per appropriazione indebita, su cui i componenti della Giunta per le autorizzazioni della Camera dovranno pronunciarsi nei prossimi giorni.

Concreto pericolo di fuga in Canada. Per questo motivo i giudici del tribunale del Riesame di Roma hanno confermato gli arresti domiciliari per la moglie dell'ex tesoriere della Margherita. Nelle motivazioni i giudici ricordano che la donna, accusata di associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione indebita, ha vissuto «in Canada fino all'età di 38 anni e nel paese nordamericano risiedono ancora i suoi familiari».

Nel suo caso «il pericolo di fuga assume una connotazione assai seria» perché in Canada la donna può contare su «una base logistica», tanto che, «per consolidare la sua posizione in tale nazione, ha deciso di acquistare per quasi due milioni di dollari canadesi, la prestigiosa residenza di Toronto, in fase di ultimazione». I giudici, inoltre, nel motivare la decisione affermano che non ha importanza la decisione dei coniugi Lusi di iscrivere la figlia, «nata in Canada», il prossimo anno in un liceo di Roma «avendo concluso il ciclo di scuole medie inferiori, e che sempre a Roma l'indagata abbia un avviato studio di medicina chiropratica con un'agenda piena di appuntamenti, come hanno sottolineato i suoi difensori».

Stando ai giudici del riesame, «l'Italia per la Petricone è stata occasione di un arricchimento impensabile in Canada (sia per l'estrema rapidità dei tempi d'accumulo sia per l'ingentissima somma depredata), ma il Paese di elezione è rimasto per lei lo stesso Canada, tanto da investire appunto in tale nazione, in vista di un futuro definitivo trasferimento nel posto in cui evidentemente ha mantenuto le sue vere radici».

La reazione della Margherita. A proposito
della notizia sui 50 milioni mancanti, l'ufficio stampa della Margherita commenta: «Non vorremmo si trattasse di un refuso». E annuncia che sarà diffuso un comunicato delle società che hanno predisposto i bilanci del partito. «L'accenno del Tribunale del Riesame alla somma di 50 milioni di euro, che mancherebbero all'appello nei conti della Margherita, non tiene conto del fatto che la Procura ha avviato un'indagine capillare su tutti i fornitori del partito per accertare eventuali ulteriori distrazioni dei fondi. Allo stato nulla sembra essere emerso perchè quell'importo citato dal Tribunale è rendicontato per le spese dell'attività politica svolta nei 5 anni esaminati, salvo le indebite sottrazioni dell'ex tesoriere». È quanto afferma, in una nota, l'avvocato della Margherita Titta Matia, precisando, inoltre, che «Lusi ha goduto della fiducia di tutti gli organi e leader del partito fino alle note vicende».

Grazzanise, il prefetto al Viminale «Sciogliere il consiglio comunale»


CASERTA - Il prefetto di Caserta Carmela Pagano ha presentato oggi al Ministero dell' Interno la proposta di scioglimento del consiglio comunale di Grazzanise. Questo in seguito alle dimissioni presentate tra il 7 e il 10 maggio dal sindaco Pietro Parente e dagli 11 consiglieri di maggioranza tra cui l' ex primo cittadino Enrico Parente, padre dell'attuale sindaco per il quale il tribunale del riesame di Napoli ha chiesto l' arresto per favoreggiamento aggravato dall' aver agito per favorire il clan dei Casalesi.

Ieri il sindaco aveva ritirato le dimissioni, provocando a sua volta l'abbandono dei cinque consiglieri di minoranza. Il prefetto ha disposto la sospensione del consiglio comunale nominando commissario prefettizio il viceprefetto Vittoria Ciaramella.

Centonove anni di carcere per i Commisso Settantacinque per la cosca Vrenna

 

Il gup Trapani ha emesso la sentenza del processo in abbreviato scaturito dall'operazione Recupero risalente al 2010 che portò alla luce varie 'ndrine collegate al clan Commisso attive a Siderno. 500 mila euro a testa di risarcimento per gli enti costituiti parte civile

Una giornata importante per la lotta alle 'ndrine calabresi. I tribunali di Catanzaro e Reggio, infatti, hanno emesso due sentenze di peso contro alcune tra le 'ndrine più attive nei rispettivi territori: i Commisso a Siderno e la cosca Vrenna nel Crotonese. 9 condanne nel primo caso e dieci nel secondo con pene che arrivano anche ad oltre dieci anni di carcere.
REGGIO CALABRIA. Centonove anni di carcere e 1.500.000 euro di risarcimento danni. Questo l'esito della prima sentenza della giornata emessa dal gup del tribunale di Reggio Calabria Adriana Trapani nel processo, celebrato con il rito abbreviato, (rito che prevede tra le altre cose in caso di condanna la possibilità per l'imputato di vedersi ridurre la pena comminata fino ad un terzo) scaturito dall’operazione antimafia "Recupero" . Il processo in abbreviato si è svolto nei confronti di 13 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso e diversi altri reati fine. Nove condanne, a pene comprese tra i 3 e i 16 anni di reclusione, e quattro assoluzioni per i 13 imputati. In particolare, il tribunale ha condannato a 3 anni di carcere Domenico Belcastro, a 14 anni Girolamo Belcastro, 16 anni a testa per Antonio Commisso (classe '56) e Francesco Commisso (classe '48), 10 anni per Francesco De Leo e Giovanni Galea, 12 anni per Giovanni Galluzzo e, infine, Roberto Stinà e Giuseppe Sgambelluri sono stati condannati a 14 anni di reclusione. Assolti dalle accuse, invece, Vincenzo Commisso (classe 80), Giuseppe Fuda, Domenico Lubieri e Giuseppe Scarfò. I nove condannati dovranno, altresì, pagare a titolo di risarcimento danni al Comune di Siderno, alla Provincia di Reggio Calabria e alla Regione Calabria la somma di 500.000 euro a ciascun ente.
Nello specifico tre imputati, Stinà, Belcastro e Sgambelluri, sono stati condannati ciascuno a 14 anni di reclusione e 80 mila euro di multa in quanto riconosciuti colpevoli di associazione mafiosa e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Galluzzo, assolto dall’imputazione di associazione mafiosa, è stato condannato a 12 anni di reclusione e 80 mila euro di multa per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e per associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Stessa imputazione per De Leo (anch’egli assolto per mafia) condannato a 10 anni di reclusione. Galea, riconosciuto colpevole di associazione mafiosa, è stato condannato a 10 anni di reclusione; Belcastro, riconosciuto colpevole del solo reato di detenzione di armi, è stato condannato a 3 anni di reclusione. L'impianto accusatorio, sostenuto in giudizio dal pubblico ministero Antonio De Bernardo, è stato in gran parte condiviso dal gup, il quale in questo caso ha riconosciuto il reato transnazionale, che ha determinato un aumento delle pene. L'indagine Recupero era stata condotta dai Carabinieri nel dicembre 2010 ed ha accertato l’esistenza a Siderno di una società di 'ndrangheta composta da diverse 'ndrine collegate alla famiglia Commisso, con interessi economici che si sono allargati fino in Canada.

CROTONE - Dieci persone, invece, sono state condannate, a pene variabili dai 4 ai 10 anni di reclusione, ed altre sette sono state assolte nel secondo processo di giornata celebrato, anche in questo caso con rito abbreviato, contro i presunti esponenti della cosca della 'ndrangheta dei Vrenna-Ciampà-Bonaventura di Crotone. La sentenza è stata emessa dal giudice per le udienze preliminari del tribunale di Catanzaro, Tiziana Macrì. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna degli imputati per associazione per delinquere di tipo mafiosa e traffico di droga. La condanna maggiore, a dieci anni di reclusione, è stata inflitta nei confronti di Giuseppe Passalacqua. I diciassette imputati furono coinvolti nell’inchiesta chiamata Hydra compiuta dagli agenti della polizia di Stato nel febbraio del 2011. L’inchiesta ha riguardato complessivamente 23 persone di cui sedici hanno scelto il processo con rito abbreviato mentre per gli altri è in corso il dibattimento davanti ai giudici del tribunale di Crotone.Nell’inchiesta fu indagato anche l’ex assessore allo sport della Provincia di Crotone, Gianluca Marino, per il quale è in corso il processo con rito ordinario.

Nel dettaglio questa la sentenza emessa (tra parentesi la richiesta del pm):
Domenico Bevilacqua, 44 anni: (12 anni) 6 anni; Salvatore Ciampà,32 anni: (12 anni) 9 anni; Claudio Covelli, 30 anni: (14 anni) 8 anni e 8 mesi; Pasquale Crugliano, 29 anni: (8 anni) 4 anni; Agostino Frisenda, 50 anni: (14 anni) 4 anni; Carmelo Iembo, 34 anni: (12 anni) 9 anni; Antonio Manetta, 27 anni: (12 anni) 4 anni e 4 mesi; Giuseppe Mesuraca, 29 anni: (12 anni) assolto; Giuliano Napoli, 24 anni: (12 anni) assolto; Francesco Passalacqua, 32 anni: (14 anni) assolto; Giuseppe Passalacqua, 26 anni: (18 anni) 10 anni e 6 mesi, Leonardo Passalacqua, 38 anni: (16 anni) 10 anni e 6 mesi; Francesco Pugliese, 24 anni: (12 anni) assolto; Armando Taschera, 69 anni: (3 anni) assolto; Antonio Gaetano Vrenna, 32 anni (12 anni): 9 anni; Youness Zari, 27 anni: (8 anni) assolto; Massimo Zurlo, 36 anni: (5 anni) assolto.

FRANCESCO RIDOLFI

Scilla, le estorsioni sull'A3 scoperte dopo un blitz sulla statale 18

Tutto parte dalla denuncia di un imprenditore: un anno fa fu lui a far arrestare Giuseppe Fulco, colto in flagrante mentre chiedeva soldi al cantiere che curava i lavori per la strada secondaria. Dalle intercettazioni in carcere si delinea una rete che condiziona tutta la zona, a partire dall'A3: «... ed io so che ogni mese... (col le mani mima il segno del pagamento)... c’è quello dell’autostrada»

COME in un cesto di ciliegie: ne afferri una e se ci si muove con perizia vengono fuori anche le altre. E così è stato un arresto avvenuto un anno fa a trascinare in manette l'asse portante del clan Nasone-Gaietti. Ed è stata un'estorsione a un'impresa impegnata sulla statale 18 a far emergere il sistema criminale che vessava le ditte appaltatrici dei lavori sull'A3.
A monte di tutto, però, c'è un uomo che ha avuto il coraggio di denunciare. Si tratta di un imprenditore, il titolare dell'impresa che per conto dell'Anas si occupava del consolidamento di un costone roccioso. Dopo aver subito una serie di intimidazioni, si presentò in caserma per verbalizzare un episodio inquietante: nel suo cantiere si era recato un uomo a bordo di uno scooter del quale aveva annotato il numero di targa. «Mi chiedeva - riferisce l'imprenditore ai carabinieri - se ritenevo giusto che da Catania stavo eseguendo un lavoro a Scilla senza far “campare” le persone del posto. All’inizio ho fatto finta di non capire la sua richiesta ma in seguito ho chiesto io a lui di cosa avesse bisogno. L’uomo, con fare minaccioso, mi chiedeva a quanto ammontava l’importo dei lavori ed appurato che la cifra ammontava a 245.000 euro, avanzava una richiesta di denaro pari a 6.000 euro».
Ma non finisce lì: l'uomo «faceva capire che anche le altre imprese che lavorano in zona sono soggette alle medesime richieste e che è normale che corrispondano una cifra proporzionale all’importo dell’appalto che stanno eseguendo». L'autore dell'estorsione venne fermato dai carabinieri con un blitz ben organizzato: i militari lo hanno catturato mentre gli venivano consegnati i soldi.

Era l'1 giugno 2011 e da quel giorno partiva una seconda indagine per capire se era vero che nella zona tutte le imprese erano sottoposte a estorsioni. E secondo gli inquirenti, le prove raccolte «consentono di affermare in modo inequivocabile l’attuale esistenza a Scilla della cosca di ‘ndrangheta denominata Nasone-Gaietti, di delinearne l’organizzazione, la composizione e le gerarchie interne, nonché di individuarne gli obiettivi economici illecitamente perseguiti, in particolare la sistematica richiesta e riscossione del “pizzo” dalle numerose imprese impegnate nei lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 SA-RC».
In particolare, sono state preziose le intercettazioni ambientali raccolte durante le visite in carcere dei familiari di Giuseppe Fulco. Ai congiunti arrivano infatti somme di denaro da parte ma la sorella si lamenta: «Si... 500 euro.. Che poi, voglio dire, tutti questi grandi amici che fanno gli spavaldi...». E lui: «Siccome qua... non è arrivato nessuno... ed io so che ogni mese... (col le mani mima il segno del pagamento, ndr)... c’è quello dell’autostrada (indica con le dita la cifra 8, ndr)».
E' un'altra conferma per gli inquirenti. Dall'attività investigativa arriveranno i riscontri e progressivamente si svelava tutta l'organizzazione. Fino a svuotare il cesto delle ciliegie.

 ANDREA GUALTIERI

Blitz antidroga a Caltanissetta, arresti e perquisizioni

Smantellata un'associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Una trentina di indagati. Coinvolti anche ragazzi e donne. Tra i fermati un accusato di mafia

CALTANISSETTA. Operazione antidroga a Caltanissetta. Un centinaio di carabinieri sta eseguendo perquisizioni e arresti. Gli indagati sono trenta. L'inchiesta é stata condotta dalla direzione distrettuale antimafia e dalla procura per i minorenni. Il blitz mira a smantellare un'associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana). Tra gli arrestati anche ragazzi e donne. Uno dei fermati è anche accusato di mafia.

Tangenti, a giudizio il sindaco di Campobello di Mazara

Ciro Caravà è accusato di concussione. Con lui gli ex consiglieri comunali di maggioranza Antonio Di Natale e Giuseppe Napoli. Questi ultimi erano stati arrestati nel maggio 2010 dalla Guardia di finanza, mentre il primo cittadino era finito in carcere lo scorso 16 dicembre nell'ambito di un'operazione antimafia

CAMPOBELLO DI MAZARA. Il giudice delle udienze preliminari di Marsala, Vito Marcello Saladino, ha rinviato a giudizio, per concussione, il sindaco di Campobello di Mazara (TP) Ciro Caravà e gli ex consiglieri comunali di maggioranza dello stesso Comune Antonio Di Natale e Giuseppe Napoli. Questi ultimi erano stati arrestati nel maggio 2010 dalla Guardia di finanza.

I tre politici - il cui processo davanti al Tribunale di Marsala inizierà il 25 settembre prossimo - sono accusati di avere preteso somme di denaro da un imprenditore di Mazara del Vallo (TP), Vito Quinci, per votare favorevolmente, in Consiglio comunale, la delibera relativa alla concessione edilizia per la realizzazione di un albergo con 220 camere da costruire, su
un'area di circa 80 mila metri quadrati, nella frazione balneare di Tre Fontane.

Di Natale e Napoli avrebbero preteso una «mazzetta» di 21 mila euro. Quinci accusò successivamente anche Caravà, che gli avrebbe chiesto, nel 2005, quando era consigliere comunale, una o più mazzette per circa 30 mila euro, per votare, e far votare anche ad altri colleghi, la delibera relativa al medesimo progetto. Caravà, arrestato dai carabinieri lo scorso 16 dicembre nell'ambito di un'operazione antimafia (si attende l'avviso conclusione indagini), non si è dimesso da sindaco.

Da Milano a Palermo inchiesta su Regione - Nomura

La Procura di Palermo conferma di avere aperto un'inchiesta sull'operazione di finanza derivata stipulata dalla Regione siciliana con la filiale londinese della banca giapponese a copertura di un mutuo accesso dieci anni fa dall'ex governo di Totò Cuffaro, in carcere con sentenza definitiva per favoreggiamento

PALERMO. La Procura di Palermo conferma di avere aperto un'inchiesta sull'operazione di finanza derivata stipulata dalla Regione siciliana con la filiale londinese della banca giapponese Nomura a copertura di un mutuo accesso dieci anni fa dall'ex governo di Totò Cuffaro, in carcere con sentenza definitiva per favoreggiamento. L'ipotesi di reato è truffa allo Stato a carico di ignoti. I pm hanno aperto il fascicolo dopo avere ricevuto il risultato dell'attività svolta dal procuratore aggiunto Milano, Alfredo Robledo, con il supporto del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, che da anni insieme indagano sulla vendita di derivati a enti territoriali di tutta Italia. Come riporta il Sole24Ore di oggi l'indagine milanese avrebbe confermato le denunce contenute in una lettera anonima inviata nel marzo del 2003 che segnalava pagamenti di tangenti «estero su estero» in relazione a operazioni finanziarie tra la Regione siciliana e la succursale londinese di Nomura. Tangenti che secondo l'anonimo sarebbero andate a due strettissimi collaboratori di Cuffaro.

Secondo gli inquirenti milanesi, nelle operazioni con la Regione siciliana, Nomura avrebbe incassato un ammontare totale pari a oltre 48 milioni di euro; con profitti anche 10 volte
superiori a quanto il mercato normalmente non consenta. La banca avrebbe a sua volta riconosciuto provvigioni nei confronti di entità societarie riconducibili ai collaboratori di Cuffaro per oltre 16 milioni, quasi 12 dei quali pagati sui conti esteri di una struttura creata in Irlanda, la Profitview Investments Ltd.

Sei mesi fa i funzionari della commissione Finanze dell'Assemblea regionale avevano lanciato un allarme sulle operazioni swap (assicurazione su contratti di debito) sottoscritte dalla Regione: gli uffici suggerivano «di acquisire dal governo informazioni circa l'andamento delle operazioni che, negli ultimi esercizi, registrano in alcuni casi risultati negativi per la Regione». Dai documenti contabili si rileva un aumento dei fondi che il governo ha appostato nel capitolo relativo a «oneri per interessi, rate swap e per altri strumenti finanziari derivati»: a fronte dei 25 milioni del
2011, è previsto uno stanziamento di 27 milioni per il 2012, di 29 mln per il 2013 e di 30 mln per il 2014

Capaci, postino nascondeva la corrispondenza per non lavorare: arrestato

In carcere è finito A.P, 56 anni, veronese trapiantato a Palermo. Nella sua abitazione i militari hanno trovato migliaia di lettere, raccomandate, assicurate, carte di credito, atti giudiziari, fatture

PALERMO. Distruggeva o nascondeva, da mesi, per non lavorare, la corrispondenza che avrebbe dovuto consegnare porta a porta a Capaci e in alcuni comuni vicini. Ma è stato arrestato dai carabinieri. In carcere è finito un postino A.P., 56 anni, veronese trasferitosi a Palermo. Nella sua abitazione i militari hanno trovato migliaia di lettere, raccomandate, assicurate, carte di credito, atti giudiziari, fatture. Il dipendente è accusato di peculato, violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, interruzione di pubblico servizio e violazione della segretezza della corrispondenza.
I militari, dopo averlo pedinato per alcuni giorni, hanno sorpreso il portalettere mentre "occultava e sopprimeva" la corrispondenza che gli veniva affidata per la consegna giornaliera. Nell'abitazione i carabinieri hanno trovato diversi metri cubi di posta non recapitata dal 2011. Il postino ha lavorato anche a Isola delle Femmine e Carini. I militari dell'Arma hanno avviato le indagini dopo le numerose segnalazioni degli abitanti dei comuni che avevano subìto alcuni disservizi. Il portalettere si impossessava della corrispondenza e poi falsificava le firme dei destinatari sul registro delle consegne, provocando ritardi nei pagamenti delle utenze, inconvenienti con banche ed enti.

lunedì 28 maggio 2012

Mafia, condanne a oltre 37 anni per i postini del boss Raccuglia

Quando parlavano al telefono, per non farsi scoprire, temendo di essere intercettati, chiamavano i 'pizzinì pillole. E per la consegna dei messaggi più delicati ricorrevano ad escamotage a prova di polizia lanciando le lettere da e per uno dei capi di Cosa Nostra

PALERMO. Quando parlavano al telefono, per non farsi scoprire, temendo di essere intercettati, chiamavano i 'pizzinì pillole. E per la consegna dei messaggi più delicati ricorrevano ad escamotage a prova di polizia lanciando le lettere da e per il capomafia Mimmo Raccuglia giù da un viadotto dove altri emissari sapevano di trovarli. Oggi cinque postini del capomafia di Altofonte, accusati di associazione mafiosa, sono stati condannati complessivamente a oltre 37 anni di carcere dalla corte d'appello di Palermo.

Allo smistamento della corrispondenza del boss allora latitante la banda dedicava il week-end. I postini, tutti insospettabili, furono arrestati dalla polizia nel 2010. Mario Salvatore Tafuri, titolare della «Tafuri Costruzioni» e gestore dell'impianto di calcestruzzi Co. edil. cem di Altofonte ha avuto 9 anni di carcere. Stessa pena per l'imprenditore edile di Camporeale Girolamo Liotta e per un dipendente della Co.edil.cem Giacomo Bentivegna. A sette anni è stato condannato Giuseppe Campanella, impiegato del Comune di Salaparuta (Trapani); mentre tre anni e sei mesi sono stati inflitti a Marco Lipari, imprenditore agricolo di Camporeale.

Raccuglia venne catturato dopo 15 anni di latitanza. Soprannominato «il veterinario», il boss ha tre condanne all'ergastolo (una per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo). Durante la sua latitanza, nonostante i servizi di osservazione disposti nei confronti della moglie, Raccuglia riuscì a diventare padre per la seconda volta. Il boss era considerato uno degli aspiranti al vertice della
mafia palermitana essendo il capo incontrastato delle cosche a Partinico grosso centro fra Palermo e Trapani.

"Cuffaro favorì gli affari del boss Provenzano"

Secondo il pg Luigi Patronaggio l'ex governatore della Regione avrebbe "avvantaggiato il mandamento mafioso di Brancaccio e Villabate e fatto gli interessi di Cosa Nostra anche attraverso l'ex re della sanità Michele Aiello"



PALERMO. Salvatore Cuffaro avrebbe «avvantaggiato il mandamento mafioso di Brancaccio, la famiglia mafiosa di Villabate e concretamente gli interessi di Cosa nostra e di Bernardo Provenzano nella sanità attraverso Michele Aiello». Esordisce così, nella sua requisitoria, il pg Luigi Patronaggio, pubblica accusa al processo d'appello all'ex governatore accusato di concorso in associazione mafiosa.Dal reato il governatore, che sconta una condanna a 7 anni per favoreggiamento aggravato, venne prosciolto per «ne bis in idem».

Il verdetto fu impugnato. Per il pg, che sta esaminando davanti alla corte le dichiarazioni del pentito Giuffrè, «l'input alle cosche a votare Cuffaro nel 2001 arrivò dal boss Bernardo Provenzano che aveva interessi nel mondo della sanità». Anche un altro collaboratore di
giustizia, Ignazio Di Gati, riferisce che dai vertici dei clan e in particolare dal capo della mafia di Agrigento Maurizio Di Gati, arrivò l'indicazione ai «picciotti» di votare l'ex governatore. Circostanza confermata dallo stesso capomafia Di Gati poi pentitosi. Ma cosa ricavò la mafia dal sostegno elettorale all'ex presidente della Regione? «Di Gati doveva essere aiutato nell'apertura di alcune farmacie. La cosa, però, non andò poi a buon fine», ha spiegato. Patronaggio ha
ricordato l'incontro tra Cuffaro e l'ex mafioso Angelo Siino finalizzato sempre all'appoggio elettorale. «Non ci credo - ha detto il pg - all'idea di un Cuffaro sprovveduto che non sa chi
ha davanti, che non conosce lo spessore criminale dei suoi interlocutori. Siino aveva stretto mani che grondavano sangue, mani di boss come Santino Pullarà».

Spatuzza, lettera ad Aglieri: "Racconta la verità su via D'Amelio"

Una lettera che il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari ha definito «interessante anche se non fa parte del fascicolo di indagine»


PALERMO. Comincia con il lei, ma subito passa al tu. «Lei non sa, ma io, da circa un trentennio che la conosco. So un po’ tutto di Lei, anche perché un bel po’ di amici li abbiamo avuto in comune. Pertanto mi perdoni se le do del tu».
A scrivere è il pentito Gaspare Spatuzza e il destinatario della lettera il «Gentilissimo Pietro Aglieri». Una lettera che il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari ha definito «interessante anche se non fa parte del fascicolo di indagine». U’ Tignusu scrive a U’ Signurinu e lo fa - come lui stesso specifica - «in un momento della mia vita molto particolare». Spatuzza è già pentito da tempo quando decide di scrivere al capomandamento di Santa Maria di Gesù. Scrive al boss che aveva avuto «tentennamenti» di pentimento, poi «trasformati» in dissociazione. Scrive al boss che quando venne arrestato si era da poco alzato dall’inginocchiatoio dell’altare che aveva fatto realizzare nel suo covo.

Scrive e punta l’indice Spatuzza. Lo fa quando fa riferimento agli «innocenti» che sono stati condannati per la strage di via D’Amelio e quando scrive sono ancora in carcere (successivamente saranno scarcerati su richiesta della Procura nissena in attesa della revisione del processo ndr).
«Nel 1998 - si legge nella lettera - trovandomi nel carcere di Parma ho incontrato un ragazzo, Tanino Murana. Posso assicurarti che non avevo il coraggio neanche di guardarlo ”e tu sai perché”. Mi faceva pena soprattutto quando mi parlava del suo bambino. Lo faceva con le lacrime agli occhi. Era certo che nel processo sarebbe stato scagionato. ma sappiamo bene come è andata a finire». E ancora Spatuzza che scrive: «Nel carcere dell’Aquila incontro un’altra persona indagata per gli stessi fatti, Orofino. A questo proprio non avevo nemmeno la forza di guardarlo ”e tu sai perché”. Provavo un immenso dolore a tal punto di evitarlo il più possibile».
U’ Tignusu continua e racconta di un altro incontro, poco tempo prima di pentirsi: «Nel carcere di Ascoli incontro Totò Profeta. Da un bel po’ di anni avevo intrapreso questo bellissimo percorso spirituale e devo dirti che sicuramente per questo a momenti mi inginocchiavo ai suoi piedi per chiedergli perdono ”e tu sai perché”». Ma ecco giungere la «riflessione». «Ora, Pietro voglio dirti che al di la delle condanne che hanno riportato questi nostri fratelli, essendo anche loro figli di Dio, il mio pensiero va sempre a tutte le loro famiglie. Come si può restare impassibili di fronte a una tragedia del genere. Tu figli non ne hai, ma vallo a fare capire ai ragazzi che chi poteva scagionare il papà non l’ha fatto per via di quella cosa che si chiama ”uomo d’onore” e sappiamo che questa espressione si trova solo sulla carta». Spatuzza prosegue affermando che tutte le sere il suo pensiero «va a tutte le vedove e agli orfani che per nostra volontà gli abbiamo distrutto l’esistenza». E finisce con il dire: «Per conoscenza alla parola ”e tu sai perché” in riferimento a Murana ecc. l’ho detto perché sono sicuro che tu sai benissimo che tutta questa gente è innocente».
 GIUSEPPE MARTORANA

Abusi scuola Rignano, assolti tutti:non ci fu violenza sui bambini

Tre maestre, una bidella e un autore Tv prosciolti con formula piena. Alcuni genitori insultano i giudici



TIVOLI - Non ci furono abusi sessuali nella scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio. Per questo i giudici del Tribunale di Tivoli hanno assolto tutti e cinque gli imputati per «insussistenza dei fatti»: insomma tra il 2005 ed il 2006 nessun abuso sessuale fu compiuto sui circa venti bimbi di quella scuola materna per sei anni al centro di indagini, veleni, sospetti. Categorica la formula utilizzata dal collegio presieduto da Mario Frigenti: insussistenza dei fatti, quindi assoluzione degli imputati.

Gli accusati. È una giornata felice quella delle maestre Marisa Pucci, Silvana Magalotti e Patrizia Del Meglio, nonchè dell'autore tv Gianfranco Scancarello, marito della Del Meglio, e della bidella Cristina Lunerti. Erano i cinque imputati nei confronti dei quali erano state formulate accuse pesantissime: violenza sessuale di gruppo, maltrattamenti, corruzione di minore, sequestro di persona, atti osceni, sottrazione di persona incapace, turpiloquio e atti contrari alla pubblica decenza. Tutti commessi con sevizie e crudeltà. Per i cinque imputati, nessuno dei quali presenti oggi in aula, il pubblico ministero, Marco Mansi, aveva chiesto la condanna a 12 anni di reclusione.

L'inchiesta. Dopo sei anni di indagini e processo, oggi è stato quindi messo un primo punto sul caso di Rignano Flaminio. Ma non la parola fine perchè i genitori dei bambini costituitisi parte civile hanno già annunciato che non intendono rassegnarsi a quella che considerano una «ingiustizia» e che la loro «battaglia» proseguirà in appello. Quella di Tivoli è una sentenza che, per certi versi, va oltre i pronunciamenti del Tribunale del riesame di Roma e della Corte di Cassazione i quali, in sede di esame della legittimità degli arresti disposti il 24 aprile del 2007 nei confronti dei cinque imputati, avevano revocato le misure restrittive ritenendo le accuse della Procura insufficienti e contraddittorie.

Le reazioni. Rabbia fra i genitori presenti oggi nell'aula interdetta al pubblico e, di conseguenza, anche ai giornalisti in quanto il processo si è tenuto a porte chiuse. Urla contro i giudici, slogan del tipo «tribunale di m...», calci e pugni contro una porta. Fuori dalla sede giudiziaria poca voglia di parlare da parte dei genitori dei piccoli ed anche qualche insulto ai giornalisti. Ne ha fatto le spese un operatore di Porta a Porta, al quale un genitore, dopo averlo apostrofato con parole offensive, ha tentato di buttare in terra la telecamera. L'operatore, per salvare l'apparecchiatura, si è fatto male ad una spalla e ad una mano.

L'esultanza degli amici. Di tutt'altro umore gli amici ed i parenti degli imputati che hanno salutato con un boato la sentenza di assoluzione. Rignano Flaminio, un caso giudiziario difficile e controverso che prese le mosse nel luglio del 2006 con le prime denunce di presunti abusi sessuali che sarebbero stati praticati nella scuola materna Olga Rovere. Pochi mesi dopo gli arresti decisi dal gip Elvira Tamburelli e le accuse, bocciate, alcune settimane dopo dal Tribunale del riesame. A favore degli imputati sono stati, tra l'altro, i risultati di una perizia eseguita dai carabinieri del Ris alla fine del 2007. Le tracce biologiche rilevate su circa 130 peluches e su un pelo trovato nell'auto di una maestra, non appartenevano a nessuno dei 20 bambini ritenuti abusati.

domenica 27 maggio 2012

Lo stipendio dei manager a peso d'oro

Scopri i compensi di alcuni dei principali manager italiani nel 2011 in questa infografica di Yahoo! e Linkiesta

Pizzo sull'espresso da servire, sequestrata la "Caffè Floriò"

Operazione "Coffee break", sequestrata la "Caffè Floriò"
Operazione "Coffee break", sequestrata la "Caffè Floriò"
Al centro delle indagini c'è Francesco Paolo Maniscalco il quale avrebbe imposto ad alcuni esercizi commerciali palermitani l'acquisto del caffè prodotto dalle proprie aziende. Undici i prestanome utilizzati per le aziende a lui riconducibili


Sequestrate dalla guardia di finanza due società operanti nel settore del commercio all'ingrosso di caffè, due bar (bar "Trilly" e bar "Intralot") e la palestra "Body Club", per un valore di 4 milioni di euro, attività riconducibili al pluripregiudicato Francesco Paolo Maniscalco (49 anni), condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa e ritenuto in passato uomo di fiducia di Totò Riina. L'operazione, denominata "Coffee break" è scattata a seguito del provvedimento del Gip Riccardo Riccardi, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia. Le indagini dirette dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal sostituto procuratore Dario Scaletta hanno evidenziato come l'uomo, denunciato per per il reato di trasferimento fraudolento di valori ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, avesse intestato le proprie attività a diversi prestanome, continuando a curarne la gestione.
Operazione "Coffee break", sequestrata la "Caffè Floriò"
Per mandare avanti le attività l'uomo avrebbe utilizzato undici persone, alcune appartenenti al proprio nucleo familiare, e per sfuggire ai controlli, oltre a cambiare continuamente i soci, avrebbe chiuso diverse attività per poi riaprirle cambiando nome. L'uomo, con la collaborazione di un altro esponente della criminalità organizzata, avrebbe imposto, ad un bar del palermitano, l'acquisto di caffè commercializzato da una delle società a lui riconducibili, la "Caffe Floriò sas". Alcuni collaboratori di giustizia hanno confermato il progetto dell'uomo di diventare leader incontrastato nella fornitura di caffè a Palermo. Nel corso delle indagini, le forze dell'ordine hanno accertato l'elevato tenore di vita della famiglia dell'uomo, nonostante gli esigui redditi dichiarati al Fisco. Dopo la scarcerazione del "boss del caffè", il suo giro d'affari avrebbe avuto un incremento del 300%.

 

sabato 26 maggio 2012

Attentato a Brindisi bomba fatta in casa? Altre tracce sull’asfalto

Volantino Br: Brindisi come Piazza Fontana


BRINDISI - Ricompaiono le tute bianche degli specialisti della Polizia scientifica sul luogo della strage delle ragazze, a 7 giorni esatti dall’esplosione dell’ordigno che ha ucciso la 16enne mesagnese Melissa Bassi ferendo altre cinque studentesse, due delle quali ancora in prognosi riservata.

Il lavoro svolto ieri mattina dai «cacciatori di tracce» dinanzi all’istituto professionale femminile Morvillo-Falcone ha comportato una serie di misurazioni su alcuni specifici segni lasciati dalla deflagrazione. Gli agenti si sono concentrati soprattutto sugli squarci apertisi nei piloni di sezione ovaloide che sostengono alcuni grossi cartelloni pubblicitari, proprio a ridosso del muro di cinta della scuola lungo il quale era stato piazzato il cassonetto contenente l’ordigno, e su alcune deformazioni prodotte dalla sfiammata esplosiva sulla superficie dell’asfalto.

Nel frattempo pare confermata - sulla base dei primi esiti di natura più strettamente tecnica - la presenza di nitrato di ammonio tra le sostanze chimiche che avrebbero composto la miscela esplosiva della bomba, costituita da tre bombole (una sola dotata di innesco) all’interno delle quali la presenza di Gpl sarebbe stata piuttosto residuale. Un indizio, quello relativo alla presenza di nitrato di ammonio, da cui si evincerebbe la provenienza locale dell’ordigno e delle sue componenti visto che tale sostanza, costituendo un elemento base della maggior parte dei fertilizzanti in commercio, sarebbe abbastanza facile da reperire presso le rivendite di prodotti per l’agricoltura e per il giardinaggio.

Sul fronte ospedaliero sono stazionarie le condizioni delle ragazze ferite, mentre il papà della povera Melissa Bassi, Massimo, ha incontrato il pm della Procura di Brindisi Milto De Nozza, impegnato nelle indagini sulla strage come applicato alla Direzione distrettuale antimafia di Lecce sull’attentato. Massimo Bassi ha voluto in questo modo «esprimere la fiducia della famiglia nel lavoro della magistratura e delle Forze dell’ordine perché giustizia sia fatta», come riferito dall’avvocato Fernando Orsini che lo ha accompagnato. «Sappiamo che stanno lavorando intensamente», ha aggiunto il legale dopo l’incontro, durante il quale non si sarebbe parlato di atti giudiziari ed aspetti investigativi.

C'è attesa, poi, per il ritorno a casa della madre di Melissa, ricoverata per lo shock dovuto alla perdita della ragazza, che le ha impedito anche di essere ai funerali della figlia.

Mobilitazioni in tante scuole italiane, infine, si registrano per tenere desta l’attenzione sulla necessità di rispondere a tanta efferatezza dimostrando di non cedere alla paura. A Brindisi, ieri sera, si è svolto un sit-in organizzato Diocesi locale proprio dinanzi all’istituto Morvillo Falcone, con la partecipazione di oltre duemila persone costituite per lo più da studenti e famiglie, giunte anche dai diversi comuni della provincia. Ma una presenza ancor più massiccia si prevede per la giornata di oggi, in occasione della manifestazione «Io non ho paura» organizzata dall’Unione provinciale degli studenti e dall’associazione Libera di don Ciotti. I manifestanti si raduneranno dinanzi al Tribunale (attiguo al «Morvillo Falcone») fin dalla tarda mattinata, per poi dar vita a un corteo che dalle 14.30 muoverà verso il centro attraversando buona parte della città, fino all’arrivo in piazza Vittoria, dove sul palco messo a disposizione dal Comune si susseguiranno i diversi interventi.
Antonio Negro

Operazione Canta Napoli, 2 neomelodici denunciati per evasione da 6 milioni

NAPOLI - Un'evasione fiscale per oltre sei milioni di euro è stata scoperta dalla Guardia di Finanza nell'ambito di un'operazione battezzata Canta Napoli. Le verifiche tributarie hanno portato alla denuncia di due noti cantanti neomelodici (Antonio Ottaiano e Tommy Riccio) che avrebbero omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi ed avrebbero occultato scritture contabili.

Banche. Alla denuncia dei due cantanti si è giunti anche dopo indagini finanziarie svolte presso gli istituti di credito interessati che hanno permesso ai militari di ricostruire le transazioni economico-finanziarie poste in essere, nel tempo, dagli artisti in questione.

Celebri. Nel loro curriculum artistico vi sono feste di piazza, esibizioni a ricevimenti e matrimoni e rappresentazioni teatrali. Numerose anche le apparizioni in programmi televisivi su canali locali e net-work nazionali. Un percorso che ha reso i due i due artisti, in auge da più di un ventennio, tra i più popolari nel panorama dei neomelodici.

La mamma. Per eludere i controlli uno dei due ha intestato fittiziamente beni e disponibilità, provento dell'attività artistica a terze persone i quali, in alcuni casi, totalmente all'oscuro di quanto accadeva. Alla madre, sprovvista di patente, di uno dei neomelodici denunciati risultano intestate moto di grossa cilindrata ed autovetture di lusso.

L'identità. I nomi dei due artisti non sono ancora stati comunicati e, sul punto, la Guardia di Finanza mantiene al momento il più assoluto riserbo.

Riappare il nome del giudice Carnevale ,Giuseppina Pesce: In contatto col clan

Secondo giorno di interrogatorio da Rebibbia per la collaboratrice di giustizia che ha portato alla sbarra la sua famiglia. E stavolta dalle sue dichiarazioni emergono accuse contro il magistrato di Cassazione che nel 1993 era stato al centro di un'inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo Giuseppina, il giudice era un referente di suo suocero
LA cosca Pesce della 'ndrangheta aveva rapporti con il giudice della Corte di cassazione Corrado Carnevale, al quale si rivolgeva per ottenere scarcerazioni dei propri affiliati. Lo ha rivelato la pentita Giuseppina Pesce nella deposizione fatta nel corso dell’udienza del processo "All Inside", che proprio grazie alle dichiarazioni della donna ha portato alla sbarra la cosca che fa riferimento alla sua famiglia. L'udienza, la seconda che vede protagonista Giuseppina, si è svolta nell’aula del carcere di Rebibbia. «I contatti con Carnevale – ha detto la pentita – avvenivano tramite mio suocero, Gaetano Palaia, che era suo amico».
Palaia secondo quanto ha riferito Giuseppina Pesce rispondendo alle domande del Pm, Alessandra Cerreti, si sarebbe mantenuto in rapporti con Carnevale fino al 2005. «Dopo che Carnevale lasciò il suo incarico – ha detto la pentita – mio suocero rifiutò qualsiasi altra richiesta di intervento sostenendo che non poteva fare più niente perchè non aveva i contatti di prima con la Cassazione e questo rendeva impossibile qualsiasi tentativo ulteriore di intercessione».
La pentita ha parlato anche dei contatti che la cosca Pesce avrebbe avuto con un funzionario del Dap per ottenere il trasferimento del padre, Salvatore, da un carcere del nord in Calabria. «Mi risulta – ha detto la pentita – che ci sono stati due diversi interessamenti col funzionario del Dap attraverso un avvocato di Milano ed un altro avvocato di Palmi, ma poi il trasferimento non è avvenuto».
Il giodice Carnevale è stato al centro di uno degli scandali più controversi della magistratura italiana: nel 1993 per un'indagine della procura di Palermo venne sospeso e in seguito si aprì un processo a suo carico che portò nel 2001 a una condanna da parte della Corte d'appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, che gli inflisse 6 anni di carcere dopo che in primo grado era stata pronunciata una sentenza di assoluzione. Erano gli anni in cui Carnevale veniva definito "l'ammazzasentenze": era stato il pentito Gaspare Mutolo a dichiarare che Carnevale era "avvicinabile". Dopo di lui altri 11 pentiti hanno fatto il nome del magistrato.
Nel 2002, però, la Cassazione lo ha assolto con formula piena perché "il fatto non sussiste", constatando prove insufficienti a sostenere tali accuse e respingendo anche le deposizioni dei colleghi di Carnevale, magistrati di cassazione, che denunciavano le sue pressioni per influire sui processi: secondo i giudici le loro dichiarazioni erano inutilizzabili in giudizio. Ora il nome di Carnevale torna in ballo. Ma stavolta su un fronte calabrese. Pronta la replica di Corrado Carnevale alle dichiarazioni di Giuseppina Pesce. «Non ho mai conosciuto nessun clan Pesce – ha detto Carnevale – nè alcuna persona che vi appartenga, nè tantomeno il signor Gaetano Palaia, e non mi occupo del settore penale della giustizia dal 1992, quando chiesi di essere trasferito al ramo civile. Nel 1999, poi, sono andato in pensione e sono stato riammesso in servizio solo nel giugno del 2007 con la legge speciale che porta il mio nome. Sono assolutamente tranquillo. Questo accuse non mi spaventano. Sono solo stupito che ancora si parli di me e che ci siano degli interrogatori nei quali qualcuno si interessa alla mia persona sollecitando fantasie».

Missing, in appello confermati 11 ergastoli

I giudici di secondo grado della corte d'assise di Catanzaro hanno sostanzialmente confermato gran parte delle condanne comminate nel primo giudizio nei confronti delle 47 persone coinvolte a vario titolo nella guerra di mafia delle cosche cosentine
Undici ergastoli e la conferma della gran parte delle altre condanne di primo grado. È questa la sentenza di secondo grado emessa dai giudici della Corte d’appello d’assise di Catanzaro nei confronti delle 47 persone imputate nel processo scaturito dall’inchiesta chiamata Missing contro le cosche cosentine. La sentenza è stata emessa in serata al termine di una camera di consiglio durata oltre dieci ore. I giudici di secondo grado hanno accolto la gran parte delle richieste avanzate dal sostituto procuratore generale, Eugenio Facciolla. Le condanne all’ergastolo riguardano Giancarlo Anselmo, Lorenzo Brescia, Giuseppe Ruffolo, Gianfranco Bruni, Giulio Castiglia, Silvio Chiodo, Domenico Cicero, Giovanni Abbruzzese, Edgardo Greco, Francesco Perna e Gianfranco Ruà. In primo grado il processo si era concluso con quattro condanne all’ergastolo nei confronti di Romeo Calvano, Gianfranco Ruà, Pasquale Pranno e Franco Perna, altre 32 condanne a pene variabili dai 12 ed i 29 anni di reclusione ed undici assoluzioni. L’inchiesta Missing, condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e dal Ros dei carabinieri, riuscì a far luce su decine di omicidi di 'ndrangheta commessi in provincia di Cosenza.

Dopo il giudice, tocca ai legami politici Giuseppina Pesce: «Il clan sostenne Fuda»

Continua l'interrogatorio a Roma nell'ambito del processo All Inside alla famiglia Pesce. La pentita fa riferimento all'appoggio dato dal boss all'ex assessore regionale e fa anche il nome dell'ex sindaco di Rosarno e attuale assessore provinciale Gaetano Rao: «La cosca aveva il controllo totale delle elezioni comunali»

REGGIO CALABRIA – Ha parlato dei condizionamenti politici che riusciva ad esercitare la cosca Pesce, rispondendo alle domande dei pm Alessandra Cerreti e Giulia Pantano, la pentita Giuseppina Pesce nella deposizione fatta oggi nell’udienza del processo All Inside svoltasi nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia. Dopo la magistratura, per la quale ha fatto il nome del giudice Corrado Carnevale (il quale ha subito smentito), la rete della cosca descritta dalla pentita si allarga al mondo politico. Nelle altre deposizioni sono stati affrontati anche il tema del ruolo delle donne nel clan e gli interessi negli appalti e nel racket delle estorsioni.
Secondo Giuseppina, nelle elezioni comunali di Rosarno, il clan appoggiava i candidati che promettevano di aiutare il gruppo criminale. I Pesce, inoltre, secondo la pentita, avrebbero assicurato sostegno elettorale all’ex assessore regionale Pietro Fuda - ex presidente della Provincia di Reggio Calabria ed attuale consigliere provinciale - e all’ex sindaco di Rosarno negli anni '80 Gaetano Rao, attualmente assessore provinciale. Dei presunti collegamenti di Rao con la cosca Pesce aveva già parlato, in passato, un altro pentito, Salvatore Facchinetti, anch’egli ex esponente della cosca di Rosarno. I Pesce, a detta della pentita, avevano «il controllo totale delle elezioni comunali, indicando in maniera precisa chi bisognava votare». La cosca attuava un vero e proprio “controllo militare» del seggio elettorale. «Mio cugino Francesco (figlio del capo della cosca Antonino, ndr) – ha detto la pentita – accompagnava materialmente fino a dentro il seggio ciascun elettore ed imponeva quali candidati votare».
Giuseppina Pesce, nella deposizione, è tornata anche sui motivi che l’hanno indotta a collaborare con la giustizia. «Non ho ricevuto – ha detto – nessuna pressione da parte dagli organi inquirenti, nè nella prima fase della collaborazione nè quando l'ho ripresa nel luglio del 2011. È stata una scelta che mi è costata molta sofferenza e che ho deciso di assumere per evitare che i miei figli diventassero anche loro dei mafiosi». Alla domanda dei pm se teme per la sua vita Giuseppina pesce ha risposto di sì sostenendo che il fratello Francesco «non si rassegnerà mai».
Nel pomeriggio, dopo la conclusione dell’esame di Giuseppina Pesce da parte dei pm, è cominciato il controesame ad opera dei difensori degli imputati. Hanno posto domande alla pentita i legali di Antonino Pesce e Francesco Pesce, Francesco Di Marte, che è latitante, e Andrea Fortugno. Il controesame proseguirà anche sabato sempre a Roma. Nella stessa giornata, sulla base delle richieste dei difensori, si deciderà se proseguire nella prossima settimana il controesame sempre a Roma oppure in videoconferenza a Palmi.

I Lo Giudice collettori di voti

l boss pentito Nino racconta agli inquirenti il sostegno elettorale che sarebbe stato fornito a Scopelliti, Flesca e Rappoccio. A Catanzaro le dichiarazioni del collaboratore agli atti del processo sulle bombe
REGGIO CALABRIA - «Abbiamo votato per Scopelliti, Rappoccio e Flesca». Il faldone è il numero 30. Depositato agli atti del processo che da qui a poco partirà nei confronti del clan Lo Giudice, alla sbarra per aver organizzato la stagione delle bombe e delle intimidazioni a Reggio Calabria. Un faldone al quale spuntano tutta una serie di nuovi elementi relativi alle dichiarazioni del boss Nino Lo Giudice, ormai da tempo collaboratore di giustizia. Nelle carte c’è un pò di tutto. Ci sono atti direttamente connessi all’inchiesta condotto dalla Dda di Catanzaro, ma anche altro. C’è ad esempio il verbale illustrativo della collaborazione. Nel quale, per legge, devono essere sommariamente contenuti tutti gli argomenti che il pentito può affrontare anche in futuro, attraverso verbali successivi è più approfonditi. Un atto dovuto, per evitare che i collaboratori possano utilizzare in maniera scorretta quanto sanno. In altri termini, nel verbale iniziale Nino Lo Giudice, alias “il nano”, aveva l’obbligo di dire tutto ciò di cui era a conoscenza. Tutto e subito, fermo poi la possibilità di riaprire l’argomento in maniera più puntale e approfondita.
Detto questo c’è quindi un intero capitolo dedicato alla politica, alle elezioni amministrative e regionali. E’ bene chiarire che su tali dichiarazioni la Procura dovrà, non ha già fatto, trovare riscontri oggettivi. Un lavoro che segnerà eventualmente la decisione di aprire fascicoli a cari dei singoli soggetti. Decisione che passa dai riscontri per alcuni versi e dall’individuazione di fattispecie di reato specifici dall’altra.
Secondo quanto scritto sul verbale Nino Lo Giudice ha riferito «sui voti raccolti per Giuseppe Scopelliti in occasione della sua prima elezione a sindaco di Reggio Calabria, su richiesta di tale Romeo di Santa Caterina dell’Ufficio del Capo Gabinetto a tale Stillitano Giovanni (fotografo della zona di Tre Mulini), il quale aveva poi chiesto a Lo Giudice Antonino». Si legge ancora: «Quest'ultimo, Lo Giudice Domenico, Giovanni ed altri loro parenti di Ravagnese avevano dato i voti, e in cambio i cugini di Lo Giudice Antonino avevano ricevuto qualche favore, quale un impiego lavorativo».
In corso di giornata arriva una dichiarazione con la quale Rappoccio afferma: «Apprendo dai giornali, che il pentito Nino Lo Giudice avrebbe riferito di avergli chiesto un incontro per ricevere voti in cambio. Voglio puntualizzare di non aver mai conosciuto il signore in questione e di non avergli mai chiesto incontri, né in prima persona né tramite altri».

GIUSEPPE BALDESSARRO

Riaperte le indagini sull'omicidio di Placido Rizzotto

L'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e dal pm Francesca Mazzocco, è a carico di ignoti. Ieri a Corleone sono stati celebrati i funerali solenni del sindacalista, rapito nel 1948 e poi ucciso, alla presenza del capo dello Stato Napolitano

PALERMO. La procura di Palermo ha riaperto le indagini sul rapimento e omicidio del sindacalista di Corleone Placido Rizzotto. L'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e dal pm Francesca Mazzocco, è a carico di ignoti. Rizzotto, ex partigiano, socialista e segretario della Camera del lavoro di Corleone, venne rapito dalla mafia la sera del 10 marzo 1948 massacrato di botte e buttato in una foiba. Nel 2009 i suoi resti sono stati riconosciuti solo pochi mesi fa, grazie al confronto effettuato dalla polizia scientifica col dna del padre, il cui cadavere è stato riesumato. È stato accertato che le ossa ritrovate erano sue. Ieri a Corleone sono stati celebrati i funerali solenni di Rizzotto alla presenza del capo dello Stato.

Droga tra Sicilia e Calabria: i nomi degli arrestati

MESSINA. Le quarantacinque persone colpite da ordine di custodia cautelare stamani in Sicilia e Calabria coinvolte in un' inchiesta antidroga dei carabinieri di Messina sono: Giacomo Beltrani, 31 anni, Maria Luisa Billeci, 26, Domenico Bonasera, 33, Cristian Alessandro Burrascano, 34, Giuseppe Burrascano, 42, Angelo Cacocciola, 35 Antonino Cacocciola, 58, Giuseppe Caccocciola, 51, Angelo Cannavò, 30, Marco Cappuccio, 26, Benedetto Cassarà, 24, Letterio Costa, 34, Giuseppe Cotugno, 57, Francesco Cotugno, 25, M.G, 23, Angelo di Fazio, 24, Giuseppe Giannusa, 30, Lorenzo Mario Giuliano, 24, Claudio Lanza, 30, Sara Lo Prinzi, 24, Giuseppe Luparello, 30, Luana Rita Nicosia, 31, Antonino Rampulla, 24, Vincenzo Ribuffa, 24, Antonino Ribuffo, 28, Giovanni Repinto, 26, Sergio Sangiorgio, 27, Andrea Scaffidi, 24, Giovanni Scarfò, 24, Emil Skenderovic, 28, Giuseppe Scruci, 26, Giovanni Traina, 33, Salavatore Traina, 36, Francesco Valenti, 24, Antonino Accardi, 26, Giuseppe Citrano 36, Lirio Di Marco, 30, Rosa Filippone, 74,
Luigi Mammana, 24, Salvatore Nava, 27, Antonio Scruci, 25,Salvatore Torcivia, 23, Ignazio Volo, 26, S.G, 22, e M.T.,21. I primi 34 sono stati portati in carcere gli altri sono stati posti ai domiciliari. Tre degli arrestati all'epoca dei fatti oggetto d'inchiesta erano minorenni. Altre due persone sono ricercate

Diciassette arresti in Abruzzo, Marche e Umbria per giro prostituzione

L'Aquila, 25 mag. (LaPresse) - Dalle prime ore del mattino ha avuto inizio una vasta operazione che ha interessato le regioni Abruzzo, Marche ed Umbria. I carabinieri del comando provinciale de L'Aquila, insieme al personale dei comandi di Ascoli Piceno, Macerata, Perugia, Teramo e Terni, hanno dato esecuzione ad una ordinanza di misure cautelari nei confronti di 17 persone, una delle quali arrestata in carcere, le altre agli arresti domiciliari. Gli arrestati sono indagati per il reato di associazione a delinquere finalizzata a favorire l'ingresso irregolare in Italia di cittadine extracomunitarie di origine sud americana ed asiatica nonché sfruttamento della prostituzione. Con la medesima ordinanza, sono inoltre stati apposti i sigilli a 3 agenzie di affari artistici e teatrali e 4 locali notturni a L'Aquila, Macerata, Ascoli Piceno e Terni. Quattro impresari artistici e 9 gestori di locali notturni erano attivi sin dal 2010 in Abruzzo e la loro associazione presentava ramificazioni in Lazio, Marche ed Umbria. I soggetti, avvalendosi dell'intermediazione di alcuni residenti in paesi del centro e sud America, ottenevano, attraverso la falsificazione della documentazione necessaria il visto d'ingresso, e l'introduzione nel territorio dello Stato italiano di giovani donne provenienti da Cuba, Venezuela e Filippine, avviate successivamente all'attività di prostituzione all'interno di alcuni locali notturni.

Aziende per tre milioni sequestrate

Aziende per tre milioni sequestrate a pregiudicato del clan Pecoraro-Renna

SALERNO - Beni per un valore di tre milioni e centomila euro sono stati sequestrati dai carabinieri ad un pregiudicato di 57 anni di Eboli, già condannato nel 1997 per associazione a delinquere mafiosa.
L'uomo avrebbe ricoperto un ruolo di primo piano all'interno del Clan Pecoraro-Renna, per anni egemone nell'area sud della provincia di Salerno.

I carabinieri del reparto operativo della compagnia di Battipaglia hanno eseguito il provvedimento di sequestro anticipato emesso dal tribunale di Salerno richiesta della locale DDA.

Dalle indagini svolte sarebbe stata dimostrata la sproporzione del valore rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica svolta dal pregiudicato, risultata praticamente nulla.

Il sequestro ha riguardato un capannone industriale che sorge nel comune di Eboli, del valore commerciale di 2.339.920 euro; un'azienda di commercializzazione di calzature all'ingrosso del valore stimato inotrno ai 500mila euro; una società di gestione di servizi per bar denominata, del valore di 200mila euro; cinque autovetture del valore complessivo di circa 65mila euro.

venerdì 25 maggio 2012

Approvato il decreto correttivo al Codice delle leggi antimafia

La soddisfazione dei ministri dell'Interno Cancellieri e della Giustizia Severino: uno strumento in più nella lotta contro la mafia e contro la criminalità organizzata

I ministri dell’Interno, Annamaria Cancellieri, e della Giustizia, Paola Severino, hanno espresso soddisfazione per l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto correttivo al Codice delle leggi antimafia.
«Era un impegno che ci eravamo assunte nei primi mesi del nostro mandato – hanno dichiarato i ministri Cancellieri e Severino - e che, grazie al consenso di tutto il Governo, è stato portato a termine ed ora andrà all’esame del Parlamento. Queste norme – hanno concluso i ministri dell’Interno e della Giustizia - consentono di anticipare di oltre due anni l’entrata in vigore della legge. Siamo convinte che siano un importante strumento in più nella lotta contro la mafia e contro la criminalità organizzata».

Le novità al Codice delle leggi antimafia

1. Immediata entrata in vigore delle nuove norme sulla documentazione antimafia
Al fine di contrastare efficacemente i tentativi di infiltrazione mafiosa, con il decreto approvato oggi, le norme che regolano l’emissione della documentazione antimafia entrano immediatamente in vigore, mentre prima erano subordinate al decorso dei due anni dall’emanazione dei regolamenti sul funzionamento della Banca dati nazionale.
Fino alla realizzazione della Banca dati, le Prefetture continuano ad utilizzare i collegamenti già in uso con i sistemi informatici realizzati sulla base della precedente normativa.
2. Ampliamento dell’area dei controlli e delle situazioni “indizianti”
Vengono estesi i casi di controlli antimafia anche ai membri del collegio sindacale e degli organismi interni destinati a vigilare sul rispetto dei modelli comportamentali delle imprese.
Considerata, inoltre, l’apertura degli appalti pubblici ad investitori esteri, viene per la prima volta introdotta una procedura di controllo “antimafia” sulle imprese straniere, anche senza una sede in Italia. Tale procedura è già stata positivamente sperimentata, con le buone prassi seguite per la ricostruzione in Abruzzo e per l’EXPO 2015.
Infine, vengono ampliati i casi di tentativi di infiltrazione mafiosa, ricomprendendovi anche le reiterate violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti da appalti pubblici.

3. Circolazione delle interdittive antimafia.
Il provvedimento estende l’obbligo di comunicazione in tutti i casi delle interdittive antimafia ad altri soggetti istituzionali interessati, tra cui l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, in vista della realizzazione del cd. rating di impresa, nonchè l’Autorità Giudiziaria, titolare del potere di proporre l’adozione di misure di prevenzione.

4. Attuazione del processo di decertificazione.
Le modifiche apportate oggi al Codice delle leggi antimafia attuano una completa decertificazione del procedimento di rilascio della documentazione antimafia.
Ciò per ribadire che il sistema dei controlli antimafia non è “nemico” delle imprese, ma un presidio per realizzare, a loro tutela, un ambiente favorevole alla sana concorrenza tra gli operatori,
In pratica, tale procedimento verrà avviato sulla sola base delle autodichiarazioni rese dall’operatore economico all’amministrazione interessata, che provvederà, a sua volta, a fornire i dati auto dichiarati alla Prefettura competente ad emettere la documentazione antimafia.

mercoledì 23 maggio 2012

Capaci vent’anni dopo, 20 mila ragazzi a Palermo



Le manifestazioni per non dimenticare la strage a vent'anni di distanza dal terribile attentato mafioso in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Al porto la nave della legalità con a bordo 2.600 studenti. Ecco tutti gli eventi in programma

PALERMO. A Palermo le due "Navi della legalità", messe a disposizione dalla Snav, con a bordo circa 2.600 studenti per partecipare alle celebrazioni organizzate nel ventennale della strage di Capaci in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Alle manifestazioni, secondo le stime degli organizzatori, dovrebbero partecipare complessivamente circa 20 mila giovani insieme al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al presidente del Consiglio Mario Monti e a diversi ministri.
Gli studenti, che hanno partecipato al concorso nazionale del Miur promosso d'intesa con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, ricorderanno non solo Falcone ma anche Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio del 1992. Dei due magistrati parlerà anche la mostra fotografica realizzata dall'agenzia ANSA a Palazzo Branciforte, che riapre i battenti dopo i restauri curati da Gae Aulenti. La mostra, intitolata "Falcone e Borsellino vent'anni dopo. Non li avete uccisi, le loro idee cammineranno con le nostre gambe", sarà inaugurata dal capo dello Stato alle 17.
Assieme ai ragazzi saranno sulla nave di Civitavecchia il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo e il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e sulla nave di Napoli i due sottosegretari all'Istruzione, Marco Rossi Doria ed Elena Ugolini e il presidente di Libera don Luigi Ciotti. E' prevista anche la presenza di una delegazione dell'Istituto "Morvillo Falcone" di Brindisi, dove sabato scorso è morta in un attentato la sedicenne Melissa Bassi.
Ad attendere i loro compagni, al porto, le delegazioni di centinaia di studenti delle scuole di Palermo e di tutta la Sicilia. Dopo la cerimonia di benvenuto i ragazzi si divideranno: mille andranno verso l'Aula Bunker del carcere Ucciardone di Palermo per assistere al momento istituzionale della manifestazione che inizierà alle 10, mentre gli altri si recheranno in luoghi simbolo della città di Palermo (Piazza Magione, Parco Ninni Cassarà).
Tra le 9 e le 10, mentre gli studenti raggiungeranno l'Aula Bunker, si terrà l'inaugurazione del Memorial dedicato a tutte le vittime della mafia siciliana presso il Giardino della memoria di Ciaculli nel terreno confiscato al boss Michele Greco. Una manifestazione promossa dall'Unci, l'Uniona nazionale cronisti. Nel pomeriggio partiranno i due tradizionali cortei: uno dall'Aula Bunker e l'altro da Via d'Amelio. I due cordoni si riuniranno sotto l'Albero Falcone in via Notarbartolo, dove troveranno ad attenderli Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso, e il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, per celebrare insieme il momento solenne del Silenzio suonato dal trombettiere della Polizia di Stato all'orario della strage (17.58). Un altro momento di ricordo e solidarietà concluderà la giornata allo Stadio comunale "Renzo Barbera" di Palermo dove si disputerà la Partita del Cuore tra la Nazionale Cantanti e la Nazionale Magistrati in diretta su Rai Uno.

Anniversario Falcone: l'uomo che lo Stato prima abbandonò e poi pianse

Ogni sabato, o quasi, il giudice Giovanni Falcone rientra in aereo da Roma a Palermo. In stretto collegamento con il ministro guardasigilli, il socialista Claudio Martelli, Falcone prosegue il suo incessante lavoro, nonostante la bocciatura della sua candidatura a superprocuratore di Palermo, bocciatura decisiva, che finirà per isolarlo. E la solitudine, per chi lotta contro la mafia, equivale a una condanna a morte.

Lo disse il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e lo aveva ribadito proprio Falcone: quando un uomo dello Stato, un uomo che lotta contro la mafia, viene isolato, lasciato solo, ebbene, quello è il momento in cui diventa una vittima certa della mafia. Quel sabato, il 23 maggio 1992, Falcone arriva all’aeroporto di Punta Raisi con un volo da Roma, sale su una Fiat Croma bianca in compagnia della moglie, Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e dell’autista che viene mandato sul sedile posteriore. È Falcone che vuole guidare, vuole arrivare a casa in fretta e riposare; guidare lo aiuta a scaricare la stanchezza e la tensione accumulate. Ma a casa, Falcone non ci arriverà. Qualcuno sta osservando la scena del suo arrivo all’aeroporto. Vede anche le altre due auto di scorta del giudice. Partono: davanti una Fiat Croma, colore marrone, con tre agenti di scorta. In mezzo, l’auto del magistrato, ancora una Croma, bianca. In coda, la terza auto. In genere, dopo la partenza, le vetture si affiancano per impedire qualsiasi contatto tra il giudice e altri veicoli. Ma il pericolo non sono le auto, stavolta. Coloro i quali stanno seguendo la scena, sono pronti a mandare un messaggio a chi attende il passaggio delle tre vetture. Un tratto autostradale controllato dall’alto di una collinetta, all’altezza dello svincolo per Capaci.

In auto si discute della giornata politica, con l’imminente elezione del nuovo presidente della Repubblica, del caldo di un pomeriggio afoso, della bellezza del panorama siciliano, magari anche del giorno dopo. Il corteo non sa che su una strada laterale c’è chi segue con attenzione, da un’altra vettura, il viaggio verso Palermo di Falcone. Poi, il segnale per chi sta sulla collinetta. L’uomo che attende l’informazione si chiama Giovanni Brusca ed è lì su ordine di Totò Riina, il capo dei capi. Quando quel segnale atteso arriva, Brusca fa solo un gesto, preme un timer. Esplode l’autostrada, 500 chili di tritolo che mandano la prima auto a 60 metri di distanza, mentre quella del giudice si ferma sotterrata dalla deflagrazione, sull’orlo del cratere creato da quello scoppio sentito anche a chilometri di distanza. È una scena apocalittica quella che i soccorritori vedono quando arrivano sul posto, con frammenti di lamiere e pezzi di autostrada rinvenuti perfino a 500 metri di distanza. Falcone, sua moglie e gli agenti vengono portati immediatamente in ospedale ma invano. Con Francesca Morvillo e Giovanni Falcone muoiono anche tre uomini della scorta, quelli della prima auto, scaraventata in aria neanche fosse una piuma. L’attacco al cuore dello Stato non arriva stavolta per mano di frange politiche estreme, ma per opera della mafia che ha annusato e capito, come una belva feroce, l’isolamento di quel giudice, il nemico numero uno per gli affiliati mafiosi. Fu proprio Giovanni Falcone, infatti, a trascinare in tribunale gli uomini delle cosche in tribunale, cinque anni prima, nel 1987, per quello che sarebbe passato alla storia come il “maxiprocesso”: 360 anni ai condannati, per 2.665 anni di carcere complessivo e 11 miliardi e mezzo di lire di multe.

Falcone è odiato dalla mafia, certo ma non è amato dallo Stato. Quando arriva la sua candidatura a superprocuratore, ecco che invidie personali, vecchi rancori mai sopiti del tutto, l’involuto scambio tra “essere in prima fila” e “protagonismo” finiscono per decretare la sconfitta del magistrato più celebre del Paese. La protezione che si dovrebbe dare a un giudice di quel calibro, nel mirino della mafia, viene meno, nonostante i precedenti di un attentato di quasi tre anni prima, alla villa di Falcone, nella spiaggia dell’Addaura. Un attentato misterioso, sventato sì, ma che lascerà un alone di sospetti su servizi deviati, connivenze e commistioni fra uomini dello Stato e malavitosi, una vicenda torbida su cui ancora oggi non c’è chiarezza totale anche se appare sempre più incombente l’ombra di un potere che non solo fatica a combattere la mafia ma che talvolta finisce per farsi addirittura complice della piovra, magari in modo involontario o - quand’è peggio - in maniera collusa. La domanda, alla morte del giudice, della moglie e degli agenti di scorta è: perché Falcone è stato lasciato solo? Una domanda che rimbalza nelle ore e nei giorni successivi. Intanto, il Palazzo a Roma elegge Oscar Luigi Scalfaro presidente della Repubblica e tra le prime incombenze c’è proprio quella di onorare i funerali di Falcone e delle altre vittime dell’attentato. Però, a Palermo anche il presidente subisce i fischi di cittadini esasperati e sfiduciati per quell’orrore che li sta accompagnando nella vita di tutti i giorni, per quella speranza che avevano riposto nel modo di indagare e perseguire i colpevoli che Falcone aveva mostrato con fermezza. E mentre fuori dalla cattedrale palermitana i fischi attendono Scalfaro e gli altri politici presenti alle esequie, dentro c’è una giovane donna, Rosaria Costa, che parla al microfono dell’altare: “Io vi perdono però dovete mettervi in ginocchio se avete il coraggio di cambiare”. Ha 22 anni e ha un figlio di quattro mesi; non ha più il marito, Vito Schifani, 27 anni, morto a Capaci, sulla prima auto di scorta a Falcone. Schifani era alla guida, al suo fianco l’agente scelto Antonio Montinaro; dietro, l’agente Rocco Dicillo. Tutti morti. Rosaria Costa, però, non ce la fa a recitare la parte di chi deve cristianamente perdonare e quel foglio su cui sono scritte le parole da recitare non le serve più. Piange all’improvviso e, tra i singhiozzi, dice quello che un po’ tutti pensano: “Ma loro non cambiano, loro non vogliono cambiare”. Parole crude, tristi, vere, tanto vere da far passare solo 58 giorni per un’altra tragedia. Un’autobomba, un’esplosione e la morte di un giudice, l’amico più caro di Falcone, Paolo Borsellino. L’estate di Palermo è l’estate delle bombe, perché ha ragione Rosaria Costa, vedova Schifani: loro, i mafiosi, non vogliono cambiare.

martedì 22 maggio 2012

Mafia, sciolto il Comune di Rivarolo Canavese

Il cdm azzera la giunta a pochi mesi dall'arresto del segretario comunale Antonino Battaglia nelle carte di Dda e carabinieri i legami tra i politici e le 'ndrine

Torino
Giunta azzerata. Il Consiglio dei ministri, previa relazione del ministro dell’Interno, ha sciolto il consiglio comunale di Rivarolo Canavese, in provincia di Torino. Qui, pochi mesi fa, l'operazione anti-'ndrangheta denominata «Minotauro», aveva portato all'estero, tra gli altri, anche del segretario comunale Antonino Battaglia.

Nei documenti e nelle intercettazioni in mano alla Dda e ai carabinieri risultava che Battaglia aveva fatto da tramite tra il sindaco Fabrizio Bertot, candidato alle Europee nel 2009 e alcuni esponenti delle ndrine locali per raccogliere voti e far eleggere l'esponente di An. Bertot, imprenditore e consigliere provinciale, non è mai stato indagato per questa vicenda. Lo scioglimento di Rivarolo arriva pochi mesi dopo quello disposto dal Viminale per il comune di Leini.
La Commissione Antimafia è ancora al lavoro nel comune di Chivasso dove ha chiesto una proroga dei tempi di indagine che scadrà a luglio. Il ministro Cancellieri qualche settimana fa, prima delle elezioni amministrative, aveva rassicurato la politica locale spiegando che il consiglio eletto col ballottaggio di ieri non rischiava lo scioglimento.

LODOVICO POLETTO

L'esponente della "cosca delle montagne" decide di parlare e gli bruciano la casa

Tracce di benzina intorno all'abitazione di Rosario Cappello, andata in fiamme nella notte. Tutta la famiglia aveva lasciato Lamezia dopo che Saverio, figlio di Rosario, ha deciso di collaborare con la giustizia. Anche il padre sembrava volesse pentirsi. La famiglia è ritenuta cardine del clan mafioso denominato appunto Cappello-Arcieri coinvolta nell'operazione Crimine
LAMEZIA TERME - L’abitazione di Rosario Cappello, ritenuto esponente della «cosca della montagna» delle famiglie Cappello –Arcieri, è stata data alle fiamme nella notte fra domenica e lunedì. L’abitazione, una villetta situata nell’area parte alta città, contrada Serra – Annunziata, è disabitata dal mese di novembre scorso dopo che Rosario Cappello e la sua famiglia hanno lasciato la città per via della decisione di Saverio Cappello, figlio di Rosario, di collaborare con la giustizia. E pare che anche Rosario avrebbe deciso di pentirsi seguendo appunto la scelta del figlio (anche se su questi aspetti c’è il massimo riserbo da parte degli inquirenti).
Quello che appare certo in ogni caso è che i carabinieri avrebbero accertato che l’incendio è stato provocato da qualcuno che ha cosparso di benzina l’ingresso dall’abitazione per poi dargli fuoco. Un episodio quindi ancora tutto da inquadrare, anche se la pista privilegiata è quella riconducibile alla decisione di collaborare con la Dda di Catanzaro da parte di Saverio Cappello (che abitava nella stessa casa incendiata) e pare anche del padre Rosario.
Saverio Cappello starebbe collaborando la procura antimafia di Catanzaro ma anche di Milano dopo essere stato arrestato a luglio del 2010 in Lombardia (ma Cappello fu arrestato dopo qualche giorno visto che si rese irreperibile costituendosi poi a Vigevano) nel filone milanese dell’operazione “Il crimine” sfociata in una maxi retata fra la Calabria e la Lombarda. Saverio Cappello avrebbe infatti deciso di collaborare con la giustizia tant’è che i familiari lasciarono la città della Piana subito dopo. I Cappello sono ritenuti esponenti della «cosca della montagna», i Cappello – Arcieri, che risultano affiliati ai Giampà. E che Saverio Cappello fosse collegato ai Giampà risultò proprio dall’inchiesta “Il crimine”. Saverio Cappello infatti finì in manette insieme al cugino Giuseppe. Due giovani ritenuti «picciotti» delle famiglie di ‘ndrangheta che a luglio del 2010 furono coinvolti nella retata milanese. Nella maxi inchiesta erano emersi infatti i collegamenti fra la cosca capeggiata da Antonio Stagno, capo del locale di Seregno, e quella dei Giampà di Lamezia.

 PASQUALINO RETTURA