sabato 12 ottobre 2013

Emergenza Lampedusa: 50 milioni di euro arrivano dal fondo di solidarietà per le vittime della mafia e dell'usura



Per affrontare l'emergenza immigrazione a Lampedusa sono stati previsti, all'interno della manovrina varata dal governo, 210 milioni di euro di cui 50 milioni di euro provengono dalla riduzione del «Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura.


Proprio quando la crisi economica continua a strozzare, mordendo la fiducia degli italiani con tassi di interesse elevati, calo dei redditi e dei consumi, disoccupazione e timori di perdere o non trovare il posto di lavoro, diminuire il fondo per il sostegno alle vittime di mafia, di estorsione e usura a favore dell'emergenza immigrazione non appare rassicurante anzi potrebbe rivelarsi una misura poco rassicurante sul fronte della sicurezza sociale.

Le Associazioni
Qualche numero sulle vittime di usura e di mafia Nel tredicesimo rapporto Sos impresa l'unico segno positivo registrato nel comparto occupazionale è quello usuraio con una cifra che svetta da 25 mila a 40 mila; e, dal 2010 al 2102 sono 245 mila le imprese costrette a chiudere a causa del sovraindebbitamento e all'usura: 200 mila i commercianti coinvolti in rapporti usurai e 600 mila le posizioni debitorie. di Manuela Vento - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/121H7C
 

giovedì 10 ottobre 2013

Due milioni di euro dal Viminale: ai parenti del boss il risarcimento per le vittime di mafia

Ai parenti del boss il risarcimento per le vittime di mafia

Andando a caccia della primula rossa del crimine organizzato, quel Matteo Messina Denaro da Trapani (foto) succeduto a Bernardo Provenzano nella leadership mafiosa, si possono fare scoperte sensazionali. Ad esempio, trovare su un conto corrente bancario due milioni di euro versati a titolo di risarcimento da parte dello stato in favore degli eredi di una vittima di mafia, ed accorgersi solo dopo che i beneficiari erano essi stessi impastati con le cosche.


Si è trattato di mero errore materiale da parte degli addetti ai lavori oppure dell’estrema abilità dei beneficiari a mimetizzarsi tra la «folla» delle vittime di mafia? Nessuna ipotesi è da escludere. In ogni caso la notizia è emersa ieri dalle risultanze del blitz “Casus belli bis” chiesto dalla procura antimafia di Palermo al tribunale di Trapani e da questo ordinato al Ros e al comando provinciale dei carabinieri, prosecuzione «patrimoniale» della prima tranche dell’azione repressiva della magistratura e delle forze dell’ordine di meno di due anni fa, il “Casus belli”Al centro del provvedimento, la solita rete di affiliati, prestanome, portatori d’acqua, insospettabili e imprenditori considerati a vario titolo legati a Messina Denaro: cui, ovviamente, forniscono coperture ed appoggi. Insomma, il cuore del problema del crimine organizzato.

Nel caso in questione si è trattato di un sequestro di beni mobili ed immobili per circa 38 milioni di euro. Gli accertamenti bancari delegati dalla Distrettuale antimafia del capoluogo siciliano in danno dei familiari dell’imprenditore Cataldo La Rosa (uno degli arrestati nel precedente blitz) hanno fatto emergere la stravagante circostanza. Ossia che 2 milioni erano stati elargiti a membri della famiglia mafiosa per risarcirli della perdita di tal Salvatore Stallone, affiliato ucciso sul finire degli anni ’80 a Campobello di Mazara del Vallo. Quattro miliardi di vecchie lire col timbro del ministero dell’Interno, messi nelle mani proprio di chi il danno addirittura lo produceva. Dal Viminale fanno già sapere che le procedure per la revoca del beneficio sono state attivate immediatamente, appena venuti a conoscenza delle risultanze investigative. 

Più che «belli» qui pare che il caso sia «limite»: nel senso che se gli inquirenti non vi avessero battuto il naso contro incidentalmente, quel danaro sarebbe stato l’ennesima beffa nei confronti della collettività. In particolare delle vittime vere della criminalità organizzata. Che in Sicilia, a quanto pare, neppure vivono un momento tranquillo. Con lo stesso governatore Crocetta i rapporti sono tesi a causa di un presunto disinteresse di costui per la causa della equiparazione normativa delle vittime di mafia a quelle del terrorismo. Per non dire dell’agitazione nazionale di inizio settembre delle varie sigle a Roma contro la paventata ipotesi del governo Letta di ridurre i fondi nell’ottica della solita spending review. Che non ha però impedito di mettere sul conto di mafiosi due milioni di euro che, a quest’ora, saranno già diventati chili di eroina e cocaina, a loro volta ritrasformati in milioni e milioni di euro. 

Peppe Rinaldi (dal quotidiano "Libero" del 10 ottobre 2013)

mercoledì 9 ottobre 2013

Maxi-sequestro di beni per 38 milioni

Si stringe il cerchio su Messina Denaro




Il blitz a Trapani, Varese e Milano tra aziende, immobili e conti bancari riconducibili al super-capo mafioso
Beni per un valore di 38 milioni di euro, riconducibili al boss latitante Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, sono stati sequestrati dai Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani. Il provvedimento è stato emesso dal tribunale di Trapani, su richiesta della Dda di Palermo.   
Il sequestro avviene dopo l’arresto di esponenti di spicco dell’organizzazione criminale e l’individuazione di un ingente patrimonio comprendente aziende olearie, attività commerciali, abitazioni, terreni e numerosi rapporti bancari.
L’intervento si è concentrato nelle province di Trapani, Varese e Milano. 

L'omicidio di Simonetta, 11 anni: il killer pentito avrà lo sconto.

 «Ho un macigno sulla coscienza»



Salerno. Il pentito di camorra Antonio Pignataro ha confermato stamattina dinanzi al Gup del tribunale di Salerno Sergio De Luca, di aver partecipato all'omicidio di Simonetta Lamberti, figlia dell' allora procuratore della Repubblica di Sala Consilina, Alfonso Lamberti, uccisa il 29 maggio 1982. Il gup, su richiesta del suo avvocato, ha accordato a Pignataro il rito abbreviato, ed ha aggiornato l'udienza all' 8 gennaio 2014. Pignataro nel corso dell' udienza ha chiesto perdono ed ha consegnato una lettera ai familiari di Simonetta Lamberti.

Negli ultimi mesi al pm della Dda di Salerno Vincenzo Montemurro ha raccontato quanto accaduto il 29 maggio 1982 ed ha espresso la volontà di «liberarsi di un macigno».

Anche stamattina ha confermato di aver preso parte a quell'agguato, che suscitò grande indignazione. Simonetta Lamberti tornava a casa con il padre a Cava de 'Tirreni, dopo una giornata trascorsa al mare.

Nel corso dell'udienza la mamma di Simonetta, Angela Procaccini, ed i suoi tre figli si sono costituiti parte civile. A Salerno è giunto anche Don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione Libera. «Sono qui per un atto d'amore e di responsabilità - ha detto - voglio stare vicino ad Angela e alla figlia Serena. Anche perché oggi si comincia a ricostruire un percorso di verità». Don Ciotti ha ricordato che «il 70% delle famiglie delle vittime delle mafie non conosce ancora la verità nel nostro Paese».

Napoli, il quartiere popolare in mano ai boss

 Ai capi una tassa del 30% su tutto il pil della droga


Napoli. Il clan Veneruso-Rea controllava un intero quartiere a Casalnuovo, la cosiddetta area 219, in parte occupata abusivamente: è recintata e fortificata come una cittadella autonoma dove, secondo la Direzione distrettuale antimafia, tutto ruota attorno al traffico ed allo spaccio di stupefacenti sotto il controllo del clan Veneruso Rea.


Una vera e propria organizzazione "statale", con i vertici del clan che sovrintendevano tutte le attività, dal traffico allo spaccio, e ritiravano dai livelli medi e bassi il trenta per centro dell'introito del "prodotto interno lordo" del narcotraffico. Coca, hashish e marijuana , ogni mese ingenti quantità di stupefacente passavano per il quartiere. Nove spacciatori sono stati arrestati sul fatto.

Smantellata organizzazione che gestiva droga a Cosenza

Numerosi arresti tra la città e la fascia ionica

 
 
In azione polizia e carabinieri con due indagini parallele su disposizione della Direzione distrettuale antimafia. Le attività delle forze dell'ordine hanno consentito di rintracciati i canali di provenienza degli stupefacenti e di neutralizzare una fitta rete di spacciatori 


COSENZA - E' scattata alle prime ore dell’alba, una vasta operazione per l’esecuzione di numerosi provvedimenti di fermo emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Smantellata un’organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti attiva nel capoluogo e nell’alto ionio cosentino.

GUARDA IL VIDEO DELLE PERQUISIZIONI
Sono complessivamente quindici le ordinanze di fermo emesse dalla Dda di Catanzaro nei confronti dei componenti di una organizzazione dedita al traffico di droga. Undici sono stati gestiti dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza e quattro dagli agenti della polizia di Stato: i primi fanno riferimento all'area ionica e al clan Abbruzzese, gli altri al clan degli zingari di via Popilia a Cosenza. I provvedimenti sono stati emessi dopo le indagini condotte dal Reparto Operativo provinciale di Cosenza in sinergia con la Compagnia carabinieri di Corigliano Calabro Scalo.
Solo sette delle persone accusate sono finite però in carcere. Si tratta di Antonio Abbruzzese di 55 anni; Antonio Abbruzzese di 29 anni; Celestino Abbruzzese, 31 anni; Rocco D'Amato, 23 anni; Vincenzo D'Amati, 45 anni; Leonardo D'Amati, 34 anni; Francesco Malomo, 41 anni. Altri otto sono riusciti a dileguarsi.

GUARDA LE FOTO DEGLI ARRESTATI
Sin dal dicembre 2011 gli investigatori avevano individuato una fitta rete di trafficanti e spacciatori di droga. In passato erano state già arrestate 12 persone e sequestrati circa 16 chili di sostanze stupefacenti, sei pistole e due fucili ed erano state segnalate quali assuntori di droghe oltre cinquanta persone. Le indagini ora hanno consentito di rintracciati i canali di provenienza della droga e di neutralizzare una fitta rete di spacciatori operanti nel capoluogo e nel comprensorio dell’alto ionio cosentino. L’attività investigativa dei carabinieri ha avuto punti di collegamento con un'analoga attività coordinata dalla stessa Procura Distrettuale di Catanzaro e condotta dalla Questura di Cosenza che ha dato esecuzione ad altri quattro provvedimenti di fermo nei confronti di elementi coinvolti nello stesso traffico di stupefacenti.

La 'ndrangheta aveva colonizzato la Toscana: estorsioni

E droga per finanziare attività del clan in Calabria

Un calabrese emigrato in provincia di Lucca era a capo della ramificazione che gestiva due diversi filoni criminali, con intimidazioni e violenze sulle vittime. Il ricavato veniva reinvestito nel reggino e copriva i bisogni delle famiglie degli 'ndranghetisti arrestati


LA 'NDRANGHETA reggina aveva colonizzato la Toscana. Ma per le cosche è arrivato un duro colpo. I carabinieri del Comando provinciale di Lucca hanno eseguito, tra Toscana e Calabria, all’esecuzione di 13 ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip del Tribunale di Firenze, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia. Gli indagati, nelle province di Lucca, Pistoia, Crotone e Reggio Calabria, sono accusati di far parte di due distinte associazioni per delinquere: una finalizzata ad estorsioni, minacce, incendi e detenzione di armi, l’altra al traffico di stupefacenti. 
A quello che gli investigatori indicano come capo delle due diverse organizzazioni criminali, Giuseppe Lombardo, un calabrese residente ad Altopascio da diversi anni, appartenente ad una storica famiglia di 'ndrangheta, è contestata l’aggravante di aver agevolato la cosca Facchineri, operante a Cittanova, in provincia Reggio Calabria, e con ramificazioni in Lombardia. Lombardo infatti, secondo il giudice, non solo consegnava parte dei proventi dell’attività dell’organizzazione criminale ai parenti liberi dei Facchineri ma usava metodi mafiosi per sfruttare il potere intimidatorio della cosca di alla quale diceva di appartenere. 

Agli arrestati sono contestati diversi episodi di incendi e danneggiamenti ai danni di imprenditori locali (furgoni, abitazioni, capannoni), ai quali tentavano di estorcere il pizzo, e altri incendi, violenze e minacce a mano armata nei confronti di chi tardava a pagare le partite di stupefacenti acquistate. L’organizzazione criminale, infatti, controllava il traffico della droga in zona, droga importata dalla Calabria e poi rivenduta sul mercato toscano. Le indagini hanno permesso anche il recupero di numerose armi da fuoco nella disponibilità della banda e di ingenti quantitativi di droga. Tra gli episodi al centro delle indagini c'è il lancio di una molotov contro l’abitazione di un imprenditore di Altopascio (Lucca), l’incendio dell’auto di un piccolo impresario edile, sempre ad Altopascio, e l’incendio del magazzino di una ditta di articoli industriali, a Santa Croce sull'Arno (Pisa).
Nell'ambito dell'operazione di stamattina sono stati sequestrati beni per un milione e mezzo di euro, fra case, terreni e auto.  La Guardia di finanza ha evidenziato nel corso della conferenza stampa l’alto tenore di vita della famiglia Lombardo, segnalando i ripetuti viaggi in Calabria, la villeggiatura che dura almeno 2 mesi, le vacanze sulla neve a Natale, il possesso di una villa, attribuita dallo stesso Lombardo di un milione di euro e di un’auto, la Bmw, di almeno 70mila euro. E nel 2011, Lombardo aveva dichiarato appena 4mila 500 euro di reddito annuo, la moglie 10mila 200.

martedì 8 ottobre 2013

Ingroia indagato per fuga notizie su Provenzano



 
PALERMO (Reuters) - L'ex procuratore aggiunto di Palermo e candidato premier alle scorse elezioni, Antonio Ingroia, è indagato dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta per la fuga di notizie relativa alla pubblicazione di un interrogatorio di Bernardo Provenzano.
Lo riferisce una fonte giudiziaria.

Tutto nasce dalla denuncia dei figli del boss, Angelo e Francesco Paolo che, attraverso il loro legale, l'avvocato Rosalba Di Gregorio, avevano puntato il dito contro Ingroia e un altro ex procuratore aggiunto di Palermo, Ignazio De Francisci. L'ipotesi era violazione del segreto istruttorio.
Le indagini dei pm nisseni hanno escluso responsabilità da parte di De Francisci, oggi avvocato generale a Palermo.

Nessun commento, per ora da Ingroia. L'indagine riguarderebbe l'interrogatorio di Provenzano, avvenuto a fine maggio 2012 da Ingroia e De Francisci.
Due giorni prima della trascrizione dell'interrogatorio ampi stralci furono pubblicati da un quotidiano.
Nella cella c'erano solo i due magistrati e l'anziano boss era senza avvocato che, appunto, ha sporto denuncia.

Piano per congelare le pensioni d’oro

Il ministro Giovannini: le riforme presentate in Parlamento in termini di maggiore flessibilità in uscita sono incompatibili con i conti
Il governo sta valutando l’ipotesi di congelare le pensioni più elevate, riducendo l’indicizzazione degli assegni che superano di 6 volte l’importo minimo, e di destinare gli eventuali risparmi «in un’ottica di solidarietà». Lo afferma il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, in audizione nella commissione Lavoro della Camera. Il governo, spiega Giovannini, «è intenzionato a mantenere» anche per il 2014 il meccanismo che «rappresenta un significativo aumento» per le pensioni nel 2013, e che prevede «l’indicizzazione per importi fino a 3 volte minimo». Per gli anni successivi l’indicizzazione sarà al 75% anche per gli superiori a 6 volte. Il governo, spiega il ministro, sta valutando una rivalutazione del sistema, per «ridurre l’indicizzazione delle pensioni più elevate». Il risparmio generabile, che sarà limitato visto il basso numero di pensioni elevate, «potrebbe essere utilizzato in ottica solidarietà».
«L’uso della deindicizzazione parziale per le pensioni molto elevate è uno strumento che contiamo di usare, a partire dal 2015», sottolinea il ministro. Avrà un «effetto significativo per i singoli» soggetti interessati dal provvedimento ma, ribadisce Giovannini, sarà «relativamente piccolo per il complesso perché stiamo parlando di un numero di pensioni limitato». Pertanto i risparmi che potrebbero essere generati dal parziale congelamento delle pensioni più elevate, conclude, «da soli non sono sufficienti a spingere verso alto le pensioni base».  

Mafia, Cuffaro: chiesti i servizi sociali

L'ex governatore della Sicilia forse a casa a Natale



PALERMO. Rinchiuso a Rebibbia da 33 mesi, l'ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro condannato in via definitiva a sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato alla mafia, potrebbe tornare a casa a Natale.

I suoi legali hanno avviato l'istruttoria per la richiesta di affidamento ai servizi sociali e il Tribunale di sorveglianza di Roma, come scrive il Giornale di Sicilia, verificherà la posizione di Cuffaro il prossimo 17 dicembre. Se i giudici dovessero accogliere l'istanza, l'ex presidente della Regione, che dopo la condanna si dimise da senatore senza aspettare la decisione della giunta sulla decadenza, potrebbe svolgere il servizio sociale nel centro "Speranza e Carità" di Biagio Conte, il missionario laico che da anni accoglie nella sua struttura, a Palermo, emarginati e indigenti.

Saviano in tribunale: "Libero solo all'estero"

Ma i legali degli imputati lo attaccano Il pm lo difende. Cancellieri: il Paese è con lui
      
Lo scrittore è in tribunale per testimoniare al processo per le minacce ricevute durante l'appello di "Spartacus" dai boss del clan dei casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Iovine. Parla della sua vita sotto scorta, ma gli avvocati degli imputati lo attaccano facendo riferimento a una recente causa per plagio

di CONCHITA SANNINO
Lo scrittore Roberto Saviano va in tribunale a Napoli come testimone al processo per le minacce ricevute durante l'appello di "Spartacus" dai boss del clan dei casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Iovine tramite i loro legali.

Il dibattimento è in corso davanti alla terza sezione del Tribunale, collegio A. Comincia il pm : "Teste Roberto Saviano, dica al tribunale qual è la sua attività e quali sono le fasi salienti che l'hanno portata a diventare il giovane autore di Gomorra". Sono le 11.36. Lo scrittore, circondato da quattro carabinieri, entra nell'aula 115 del tribunale. Saviano è parte lesa nel processo che vede imputati per "minacce aggravate dall'articolo 7", ovvero dalla finalità mafiosa,  i superboss Bidognetti e Iovine, e gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D'Aniello.

"La mia vita comincia a cambiare dopo che a Casal di Principe, invitato dall'allora presidente  Bertinotti e dall'ex assessore regionale Gabriele, dico ad alta voce i nomi dei boss che nessuno aveva mai pronunciato da un palco: i nomi di Schiavone, di Bidognetti, di Iovine. In piazza, mentre io parlavo agli studenti,  in pubblico, di quei nomi che devastavano il territorio , qualcosa successe: il figlio di Schiavone-Sandokan mi fissa, parla e dice delle cose in strada, la gente si gira, non guarda più noi ma guarda lui".


"COSI' EBBI LA SCORTA" - L'aula ascolta in silenzio, Saviano continua. "Già quel giorno avrei dovuto prendere da solo un treno per andare a Napoli a ritirare il Premio Siani. Invece la scorta di Bertinotti o Gabriele mi prende da parte, "il ragazzo viene con noi". Saviano racconta poi, dettaglio per dettaglio, data per data, intimidazioni o messaggi singolari a lui destinati, che segnalano la sua trasformazione da esordiente di successo a simbolo non solo nazionale della testimonianza antimafia. Così si arriva a quelle minacce del 2008.

L'episodio su cui si svolge il dibattimento napoletano  risale infatti al marzo di quell'anno, quando - davanti alla Corte d'Assise di Appello - era in corso il processo Spartacus 2 - l''avvocato Santonastaso, (oggi in carcere per associazione mafiosa) che all'epoca assieme a D'Aniello assisteva Bidognetti e Iovine (quest'ultimo all'epoca ancora latitante) lesse in aula una lunga nota, che in calce recava addirittura la firma dei due padrini, con cui si avanzava la richiesta di trasferire quel mastodontico processo al gotha dei casalesi in un'altra città per legittima suspicione. Il testo della lettera conteneva parole ed espressioni minacciose nei confronti dello scrittore (oltre che dei magistrati Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho, e della giornalista, oggi senatrice Pd, Rosaria Capacchione).

Appena due mesi dopo la lettura di quella lettera in aula in cui si indicava Saviano come presunto autore del condizionamento dei giudici , sarebbe cominciata la stagione di sangue dello stragista dei casalesi Giuseppe Setola: oltre venti omicidi di innocenti nella primavera di sangue di Gomorra.

LE MINACCE DEI BOSS
- Continua Saviano: "Ricordo bene quel giorno del 13 marzo 2008. Era la prima volta in assoluto nella storia delle mafie italiane che due boss della pericolosità di Bidognetti e Iovine, peraltro quest'ultimo latitante, si esponevano in un'aula con le firme proprie a indicare il "pagliaccio" per loro responsabile a livello nazionale mediaticamente dei riflettori accesi su di loro, da parole che erano state oggetto di un clamoroso, del tutto imprevedibile passaparola. E fecero lo stesso con la cronista Capacchione , con i magistrati Cafiero de Raho e Cantone".

Chiede il pm Antonello Ardituro: come comprese che qualcosa di nuovo o preoccupante era accaduto? "La prima cosa che mi colpì fu che gli altri avvocati del corposo collegio difensivo presero le distanze da questa iniziativa: ma se era una legittima istanza tecnico-legale , perché dissociarsi subito, in fretta, pubblicamente? Mi accorsi poi di un allarme dal tenore delle telefonate che ebbi ad esempio proprio da Cantone, tutti gli addetti lessero qualcosa di strano in quella missiva, ricordo mi chiamò anche Repubblica: "Ehi che sta succedendo?". Non ho avuto paura di Bidognetti o Iovine, figuriamoci... Ma ho avuto paura che si potesse fare una cosa del genere in un'aula di giustizia".

"LIBERO SOLO ALL'ESTERO" - "Immagino - prosegue Saviano - che la mia vita possa essere libera solo all'estero, in Paesi che possano darmi un'altra identità, così che possa permettermi una vita nuova che comincia da zero".

"Ho la sensazione - aggiunge  - di essere un reduce dopo una battaglia. Vivevo a Napoli e immaginavo la possibilità di una carriera universitaria. I rapporti con i miei familiari sono diventati complicati. Il progressivo aumento della scorta rende difficilissima la vita quotidiana. Non esistono passeggiate, nessuna forma di vita normale, non posso prendere il treno né la metropolitana o scegliere un ristorante senza concordarlo con la scorta".

L'ATTACCO DEGLI AVVOCATI  - Ma mentre prosegue la testimonianza dello scrittore, il processo sembra prendere un'altra piega. I legali dei quattro imputati intervengono, fanno riferimento alla recente causa per plagio allo scrittore, alle querele subite. Il duello si fa acceso al punto che il pm Ardituro interviene richiamando gli avvocati: "Questo non è il processo a Saviano, lui è qui oggi in qualità di testimone".

CANCELLIERI: IL PAESE E' CON LUI - "Tutto il Paese è con Roberto Saviano": lo ha detto il ministro della Giustizia
Anna Maria Cancellieri, che si sente "legata a lui da un rapporto direi di amicizia". "Ho grande stima e considerazione di Saviano - ha affermato a Lussemburgo - Certo, non è facile trovarsi a dover accusare la camorra, ma non dimentichiamo che grazie al suo intervento sono state compute operazioni molto significative. Chiaramente - ha osservato - quando ci si pone in certe posizioni i problemi arrivano, però credo che tutto il Paese sia con lui".

Due carabinieri arrestati per concussione:spuntano altri 4 episodi




BARI – Sono almeno quattro gli episodi "sospetti" nei confronti dei due carabinieri del reparto Radiomobile di Modugno arrestati sabato per concussione, su cui indaga la Procura di Bari. I due militari, Vincenzo Ninivaggi di Altamura e Erasmo Di Pietro del Casertano, sono accusati di aver preteso il pagamento di 800 euro (di cui cento effettivamente consegnati e gli altri 700 promessi) da due ragazzi fermati per un controllo sulla Statale 96 tra Toritto e Palo del Colle il 16 agosto scorso. Il denaro serviva per evitare una denuncia per sfruttamento della prostituzione.
Ma nell’ordinanza di arresto il giudice riporta una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali "che risultano sospette in quanto finalizzate, con toni frettolosi e assertivi, a fissare con altri interlocutori appuntamenti in orari in cui i due militari erano in servizio di pattugliamento". Conversazioni "di tenore simile" a quelle relative all’unico episodio accertato, "certamente funzionali – scrive il giudice – a stabilire luoghi e orari dove sarebbe dovuta avvenire la consegna del denaro indebitamente preteso".

I quattro episodi al vaglio degli inquirenti baresi si riferiscono ai giorni 17 e 30 agosto, 4 e 5 settembre. Le conversazioni sembrerebbero lecite "se non fosse – scrive il giudice – per le condizioni di assoggettamento evidente degli interlocutori, tanto da lasciar supporre l’attuazione di una nuova azione concussiva". Il primo episodio, quello del 17 agosto, è stato anche denunciato dalla presunta vittima. L’uomo, fermato per un controllo nei pressi della stazione ferroviaria di Toritto, sarebbe stato costretto a consegnare a due Carabinieri – le cui caratteristiche somatiche corrispondono agli indagati – 150 euro per evitare una multa per mancanza di contrassegno assicurativo".

Che avessero qualcosa da nascondere, lo si evince anche da alcune conversazioni in cui i due militari dicono uno all’altro: "Sai di cosa ho paura, che questo qua se la canta" e ancora "quella cartellina la devi far sparire". La "cartellina", stando alla ricostruzione fatta dagli investigatori, conteneva "falsa modulistica, sulla quale annotavano i dati delle persone fermate e successivamente concusse, volta a far credere al malcapitato cittadino controllato che sarebbe stata inoltrata una denuncia nei suoi confronti per non meglio precisati reati o violazioni". I due militari, difesi dall’avvocato Antonio La Scala, sono attualmente detenuti nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere e saranno sottoposti domani a interrogatorio di garanzia per rogatoria.

Estorsioni per mantenere uomini del clan in carcere

Arrestato il reggente della cosca Giampà di Lamezia


I detenuti di 'ndrangheta affiliati alla cosca e le loro famiglie venivano mantenuti a spese dei commercianti lametini. La Squadra Mobile di Catanzaro ha fatto luce sulla lunga sequenza di intimidazioni ed esplosioni che aveva indotto molti a chiudere l'attività
 
di STEFANIA PAPALEO
CATANZARO - Avevano trovato il modo di mantenere gli affiliati ristretti in carcere a spese dei commercianti della zona. Ma, alla fine, in carcere ci sono finiti anche loro, boss e picciotto del temibile clan operante nel lametino. Si tratta del ventenne Gianluca Notarianni (che ha raggiunto dietro le sbarre il padre Aldo, la madre e il fratelli) e di Antonio Giampà.

Quei danneggiamenti ormai a cadenza regolare, seguiti da furti e perfino esplosioni, non potevano sfuggire ai poliziotti della Squadra Mobile di Catanzaro che, al comando di Rodolfo Ruperti, non stanno girando gli occhi neanche per un attimo dal territorio del lametino. Così alle prime luci di questa mattina le manette sono scattate ai polsi delle due persone, colpite da un ordine di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro, rappresentata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dal sostituto Elio Romano.

Uno degli arrestati è considerato il nuovo reggente della cosca Giampà. Le accuse sono associazione a delinquere di stampo mafioso e tentata estorsione ai danni di esercenti di Lamezia Terme, ai quali boss e picciotto avrebbero, in più occasioni, richiesto somme di denaro per conto degli affiliati, tutti in stato di detenzione, ad attività commerciali con sede nel lametino, minacciando i titolari delle stesse anche dell’utilizzo di ordigni esplosivi. Le richieste, puntualmente preannunciate da furti e danneggiamenti, servivano appunto per foraggiare i numerosi detenuti del clan arrestati nei mesi scorsi. "Tale pressione estorsiva, che si realizzava a carico dei titolari di attività commerciali o di loro fornitori, stava minando alla base la libera economia di quel centro, tanto che qualche vittima aveva deciso di recedere dalle attività commerciali in essere", osservano dalla Questura, nella cui sede, alle 10,30, si svolgerà una conferenza stampa per illustrare i dettagli dell'operazione.

Scatta da Cosenza maxioperazione contro truffe e doping

Nel mondo del body building: arresti e perquisizioni

Più di ottanta perquisizioni e numerosi provvedimenti restrittivi in tutto il Sud Italia, al termine di indagini che hanno portato a scoprire un giro di sostanze per il doping che ha causato un danno erariale milionario al sistema sanitario nazionale


COSENZA - E' partita da Cosenza una maxi operazione delle forze dell'ordine che sta scandagliando il mondo di palestre e appassionati di body building. I carabinieri stanno eseguendo in diverse province del Sud Italia arresti, divieti ed obblighi di dimora e 80 perquisizioni nei confronti di un’associazione per delinquere ritenuta responsabile di truffe in danno al Servizio sanitario nazionale (Ssn), ricettazione e falso.

NOME IN CODICE GANIMEDE - Al centro della vicenda ci sarebbe un giro di anabolizzanti e dopanti e il meccanismo studiato per ottenerli e trafficarli avrebbe causato un presunto danno erariale di circa 1 milione di euro.L’operazione è svolta dalle prime ore del mattino da 220 carabinieri dei Nas e dei comandi provinciali dell’Arma territoriale su disposizione del gip del Tribunale di Cosenza, Salvatore Carpino. L’indagine è coordinata dal procuratore della Procura di Cosenza, Dario Granieri. Si tratta di un incartamento molto voluminoso, redatto dai pm Cozzolino e Donato. Il nome in codice scelto per l'operazione è "Ganimede", per rievocare la figura mitologica descritta dagli antichi greci come il coppiere degli dei.

AGLI ATLETI I FARMACI PER CANI - Secondo quanto verificato, alcune ricette venivano falsificate, scritte su ricettari rubati e firmate a nome di medici ignari. E i farmaci prescritti venivano utilizzati per gli atleti. Un caso, in particolare, ha richiamato l'attenzione degli inquirenti. Una ricetta, trovata in una farmacia, indicava farmaci per un cane, mentre i medicinali sono finiti nella rete dello smercio in palestra. Per questo episodio, tra l'altro, è indagata la proprietaria del cane, un noto avvocato di Cosenza, che avrebbe commesso il reato di favoreggiamento attestando falsamente che era stato l'animale a usare i prodotti. Alcuni dei prodotti dopanti usate sono a base di somatotropina, una sostanza prescritta per favorire la crescita ma utilizzabile anche per far aumentare la massa muscolare, che ha però gravi effetti collaterali. 
Tra i farmaci dopanti sequestrati nel corso dell’attività investigativa, ad uso umano e veterinario, vi sono l’Humatrope 12 mg 36 UI, il Norditropin Simplexx, il Saizen 8 mg, lo Stargate, il Winstrol, il Boldenone, il Sustanon ed il Proviron.

COINVOLTE FARMACISTE - La prescrizione avveniva, in alcuni casi, a beneficio di pazienti detenuti. Diverse le farmacie ispezionate. In Calabria ma non solo. In quasi tutti i casi si tratta di parti lese, ignare della truffa. Ma la procura ha accertato che in un caso, a Cosenza, le farmaciste erano a conoscenza del raggiro e per questo sono finite sotto inchiesta. 

Ottanta le perquisizioni eseguite in diverse città dell’Italia centro-meridionale nell’ambito di un’indagine condotta dai NAS di Cosenza e diretta dalla Procura della Repubblica della città calabrese. Nove gli arresti eseguiti ( a due dei destinatari sono stati concessi gli arresti domiciliari); 5 le misure di di vieto di dimora, due gli obblighi di dimora. Attraverso la falsificazione di ricette mediche, gli indagati riuscivano ad approvvigiorìnarsi nelle farmacie di alcune sostanze dopanti a base di somatotropina, una sostanza prescritta per favorire la crescita ma utilizzabile anche per far aumentare la massa muscolare, che ha però gravi effetti collaterali. Le ricette erano scritte su ricettari rubati e firmate a nome di medici ignari. Il danno per le casse pubbliche ammonta a circa 1 milione di euro. La prescrizione avveniva, in alcuni casi, a beneficio di pazienti detenuti. Le indagini sono state avviate dal Nas di Cosenza tre anni addietro. Tra gli indagati titolari di palestre e atleti, non necessariamente professionisti, ma desiderosi di esibire un fisico muscoloso. Al riguardo gli inquirenti parlano di una vera e propria dipendenza psicologica da parte di alcune delle persone coinvolte, che non potevano fare a meno di esibire un fisico da culturista. (AGI)
(AGI) - Cosenza, 7 ott. - Nel corso delle attività di perquisizione sono state rinvenuti e sottoposti a sequestro ingenti quantitativi di sostanze dopanti e di ricette mediche del servizio sanitario nazionale di provenienza illecita. Dall’attività investigativa, avviata dal 2011 e svolta attraverso acquisizioni documentali, appostamenti e strumenti di natura tecnica, è emersa l’esistenza di un’associazione per delinquere, composta da diverse cellule operative dislocate sul territorio nazionale e soprattutto su quello calabrese. Le sostanze dopanti venivano vendute non solo ad atleti dediti all’attività di body building, ma anche a pugili. I prodotti dopanti venivano acquisiti attraverso il circuito farmaceutico - in alcuni casi con la complicità dei farmacisti - e mediante canali di approvvigionamento clandestini, anche esteri. 
La capillare commercializzazione delle sostanze dopanti, talvolta somministrate direttamente dagli stessi indagati, veniva agevolata dalla disponibilità, da parte di alcuni di loro, di palestre dislocate su tutto il territorio nazionale - Sibari (Cs), Avellino, Lamezia Terme (Cz), Cosenza, Crotone, Foggia, Napoli, Taranto, Messina e Roma - con gravissimo pericolo per la salute pubblica a causa dell’assenza totale di controllo medico. Tra i farmaci dopanti sequestrati nel corso dell’attività investigativa, ad uso umano e veterinario, vi sono l’Humatrope 12 mg 36 UI, il Norditropin Simplexx, il Saizen 8 mg, lo Stargate, il Winstrol, il Boldenone, il Sustanon ed il Proviron. (AGI)
LA RETE DELLE PALESTRE - Sono nove gli arresti eseguiti  a due dei destinatari sono stati concessi gli arresti domiciliari); 5 le misure di divieto di dimora, due gli obblighi di dimora. Tra gli indagati titolari di palestre e atleti, non necessariamente professionisti, ma desiderosi di esibire un fisico muscoloso. Al riguardo gli inquirenti parlano di una vera e propria dipendenza psicologica da parte di alcune delle persone coinvolte, che non potevano fare a meno di esibire un fisico da culturista. Nella rete, però, ci sono anche alcuni pugili. La capillare commercializzazione delle sostanze dopanti, talvolta somministrate direttamente dagli stessi indagati, veniva agevolata dalla disponibilità, da parte di alcuni di loro, di palestre dislocate su tutto il territorio nazionale: Sibari, Avellino, Lamezia Terme, Acri, Cosenza, Crotone, Foggia, Napoli, Taranto, Messina e Roma

Dall’attività investigativa, avviata dal 2011 e svolta attraverso acquisizioni documentali, appostamenti e strumenti di natura tecnica, è emersa l’esistenza di un’associazione per delinquere, composta da diverse cellule operative dislocate sul territorio nazionale e soprattutto su quello calabrese.

Chiesta la conferma a 400 anni di carcere

Per i "locali" delle 'ndrine in Piemonte

 
 
Il procuratore generale piemontese ha chiesto al conferma delle pene per gli imputati coinvolti nel processo "Minotauro", l'operazione che aveva decapitato le cosche calabresi. In appello, per le persone che avevano scelto l'abbreviato, solo una piccola riduzione per 3 dei 58 detenuti che erano stati condannati nel primo processo


TORINO - La conferma delle condanne inflitte in primo grado - per un totale di circa 400 anni di reclusione - salvo una leggera riduzione per tre imputati è stata chiesta dal pg Elena Daloiso al processo d’appello su Minotauro, relativo alla presenza della 'ndrangheta nel Torinese. Ad essere chiamate in causa sono 62 persone che avevano scelto il rito abbreviato. 
 
Il primo grado, per quanto attiene gli imputati che avevano scelto l'abbreviato, si era concluso con 58 condanne. Al termine del processo le assoluzioni erano state in tutto quattordici, ma solo sette erano gli imputati scagionati dal reato di associazione di stampo mafioso. Le condanne inflitte dal gup Trevisan nel primo grado di giudizio ammontano a un totale di 400 anni di carcere (la più elevata è tredici anni e mezzo di carcere). Nel primo grado per diversi imputati le pene sono state calcolate sulla base di sentenze precedenti. Nella sentenza di allora era anche contenuto la confisca di mezzo milione di euro di cui il gup Roberto Trevisan aveva ordinato la confisca. La stessa misura riguardava anche 28 immobili a Torino e provincia, quote societarie, titoli azionari, terreni, automobili. Oltre al carcere in alcuni casi il giudice aveva disposto, a fine pena, un periodo di libertà vigilata. Secondo le motivazioni della sentenza di primo grado (LEGGI L'ARTICOLO), la presenza della 'ndrangheta nel Torinese «riproduce pedissequamente le note strutturali interne tipiche della 'ndrangheta calabrese», evidenziando anche i rapporti tra mafia e politica.
 
I LOCALI DELLE 'NDRINE A TORINO. Con l'inchiesta Minotauro, sfociata lo scorso anno in 142 arresti, era stata smantellata la decina di bande (i cosiddetti "locali" nel lessico della 'ndrangheta) che operavano a Torino e nel circondario e che avevano tentato anche di tessere legami con gli ambienti politici di alcuni paesi. In seguito agli accertamenti del pool guidato dal procuratore aggiunto Sandro Ausiello i consigli comunali di Leinì e Rivarolo erano stati sciolti per infiltrazioni mafiose. 
Nel processo ordinario sono coinvolte 75 persone. Fra esse Nevio Coral, ex sindaco di Leinì, e Antonino Battaglia, segretario comunale a Rivarolo (Torino). 

Blitz contro gang di latinos, 25 arresti

Maxi operazione a Milano dopo tre anni di indagini, coinvolti anche 7 minorenni. «La banda strutturata come un’organizzazione criminale»
Milano
Una baby-gang strutturata in modo gerarchico e impegnata in una lotta senza quartiere contro le bande rivali per il predominio del territorio. La polizia di Stato di Milano, nelle province di Milano, Brescia, Cremona, Novara, Pavia e Monza, ha eseguito 25 provvedimenti restrittivi nei confronti di ragazzi ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di associazione per delinquere, rapina, lesioni personali aggravate e porto illegale di armi da taglio. Le indagini, avviate nel 2010, hanno consentito di raccogliere gravi elementi indiziari a carico dei componenti - prevalentemente giovani di origine latino-americana, 7 dei quali minorenni - di una “banda giovanile”, attiva nel capoluogo meneghino, che dovranno rispondere di reati di tipo predatorio e aggressioni contro esponenti di bande rivali.

In particolare le investigazioni hanno evidenziato che gli arrestati, appartenenti alla gang di origine salvadoregna Ms13, si erano strutturati in modo gerarchico, attribuendo a ciascun partecipe ruoli ben definiti in relazione alle attività illecite da realizzare.

Scandalo Ciapi, convalidati i sequestri


 Sottratti beni per quindici milioni


Corte dei conti. In dodici fra dirigenti e funzionari dell’ente e della Regione sono stati citati in giudizio per il danno erariale
 
PALERMO. Nuova puntata nello scandalo Ciapi. Convalidato, infatti, il sequestro dei beni da 15 milioni di euro ai dodici tra dirigenti dell'ente, dirigenti e funzionari regionali citati in giudizio dalla procura della Corte dei conti. Sono ritenuti a vario titolo responsabili della truffa ai danni dell'erario commessa con il progetto Co.Or.Ap, che avrebbe dovuto formare figure professionali da avviare al lavoro e che invece sarebbe servito a distribuire denaro agli amici di Faustino Giacchetto. Il manager è finito in carcere assieme all'ex presidente del Ciapi Francesco Riggio e altre cinque persone.

Truffa per il porto di Molfetta


 Indagato sen. Azzollini (Pdl) Due gli arresti   


TRANI – Il presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama, sen. Antonio Azzollini (Pdl), è indagato nell’indagine sulla presunta maxifrode da 150 milioni per la costruzione del nuovo porto di Molfetta. Azzollini è stato per molti anni sindaco della cittadina del Barese.

DUE GLI ARRESTI - Per una presunta maxitruffa di circa 150 milioni di euro legata alla costruzione del nuovo porto commerciale di Molfetta (Bari), appaltato nel 2007 ma non ancora realizzato, Guardia di finanza di Bari e Corpo forestale dello Stato hanno arrestato ai domiciliari un funzionario pubblico e di un imprenditore.
I due arrestati sono l’ex dirigente comunale ai lavori pubblici, Vincenzo Balducci, e il procuratore speciale della Cmc di Ravenna (azienda che si è aggiudicata l’appalto) e direttore del cantiere, Giorgio Calderoni.

Le indagini sono state avviate dopo una segnalazione del dirigente generale dell’Authority per la Vigilanza sui contratti pubblici, per presunte irregolarità relative all’appalto per l’ampliamento del porto commerciale marittimo di Molfetta. L’Authority era stata invitata a verificare la regolarità dell’appalto su denuncia della 'Società Italiana per Condotte d’Acqua spa' che ipotizzava una limitazione della concorrenza. La denuncia si basava sul fatto che in una clausola del bando di gara del Comune di Molfetta veniva imposto il possesso o la disponibilità di una «daga stazionaria aspirante-refluente dotata di disgregatore, con potenza installata a bordo non inferiore ad Hp 2.500». L’Authority ritenne fondata la denuncia e dichiarò illegittimo il bando di gara disponendo un nuovo monitoraggio sull'appalto. Questa verifica si concluse con la contestazione di molteplici irregolarità, poi sottoposte al vaglio della magistratura penale e contabile.

UN FIUME DI DENARO - Le indagini, coordinate dalla procura di Trani, hanno accertato che per la realizzazione della diga foranea e del nuovo porto commerciale di Molfetta è stato veicolato in favore del Comune, all’epoca dei fatti guidato da Antonio Azzollini, un ingente fiume di danaro pubblico: oltre 147 milioni di euro, 82 milioni dei quali sino ad ora ottenuti dall’ente comunale, a fronte di un’opera il cui costo iniziale era previsto in 72 milioni di euro.

L'opera (appaltata nell’aprile del 2007 con consegna lavori nel marzo 2008) non solo non è stata finora realizzata a causa della presenza sul fondale antistante il porto di migliaia di ordigni bellici, ma non vi è neppure la possibilità che i lavori possano concludersi nei termini previsti dal contratto di appalto assegnato ad un’Ati composta da tre grandi aziende italiane: Cmc (capofila), Sidra e Impresa Cidonio.

Secondo l’accusa, dal Comune di Molfetta, pur sapendo dal 2005 (circa due anni prima dell’affidamento dell’appalto) che i fondali interessati dai lavori erano impraticabili per la presenza degli ordigni, hanno attestato falsamente che l’area sottomarina erano accessibile. In questo modo si è consentita illegittimamente la sopravvivenza dell’appalto e l’arrivo di nuovi fondi pubblici, sono state fatte perizie di variante ed è stata stipulata nel febbraio 2010 una transazione da 7,8 milioni di euro con l’Ati appaltatrice.

LE INDAGINI PARTITE DA UN SUICIDIO - Nell’ambito dell’inchiesta su presunti abusi legati all’appalto per la costruzione del nuovo porto di Molfetta, la procura di Trani ha in corso indagini per risalire ai motivi che, nel marzo 2013, hanno spinto al suicidio Vincenzo Tangari, dirigente del settore Contratti e appalti del Comune di Molfetta. Il dirigente si tolse la vita gettandosi con la sua Fiat Panda proprio nel porto della cittadina del Barese. «Contiamo di capire – ha detto il procuratore di Trani, Carlo Maria Capristo – perché questo funzionario così corretto e preciso abbia deciso di gettarsi con l’auto proprio nel porto di Molfetta».

«UN NUOVO PORTO CHE NON VEDRA' MAI LA LUCE» - «Riteniamo che difficilmente il nuovo porto di Molfetta potrà vedere la luce a causa della presenza delle migliaia di ordigni bellici che si trovano sul fondale interessati dai lavori di dragaggio». Ha spiegato Capristo. «Ci ha particolarmente turbato il fatto – ha detto il procuratore – che le attività poste in essere per sminare queste bombe non siano state svolte nel modo previsto. Nel recupero degli ordigni c'è stata imprudenza, sciatteria che ha portato alla creazione di una discarica nel porto».

domenica 6 ottobre 2013

Roma, agenti arrestati per stupro. Una vittima: «Lui mi slacciava i pantaloni, per la paura non ho reagito»

Diciotto anni, costretta a più rapporti. «Chiusa nella stanza con lui fino all’alba» L’altra donna li ha inchiodati registrando «Mi sono opposta, ma temevo le ritorsioni»


 
di Sara Menafra
ROMA - Per non rovinarle la vita con una denuncia per detenzione di stupefacenti, il sostituto commissario Massimo Selva aveva chiesto qualcosa in cambio alla ragazza, poco più che diciottenne. Un rapporto sessuale consumato in fretta, dopo averla separata dagli amici e dal fidanzatino. Un anno dopo, sempre a giugno, altri due agenti di polizia dello stesso commissariato avrebbero abusato sessualmente di una prostituta detenuta ai domiciliari.

 IL COMMISSARIATO
Sono glacialmente simili le due ordinanze di custodia cautelare che ieri hanno portato ai domiciliari tre poliziotti tutti in servizio a San Basilio. Nella prima, il gip Tiziana Coccoluto spiega come la ragazza, appena diciottenne, che un anno fa ha subito la violenza in commissariato ci ha messo un po’ prima di decidersi a raccontare la notte passata nella stanza del sostituto commissario Selva che l’avrebbe obbligata a più rapporti sessuali: «Sono certa di aver percepito che la mia disponibilità - ha detto lei a verbale - ad essere accondiscendente alle sue richieste sarebbe stata apprezzata, lo avevo già percepito nel suo continuo rassicurarmi sul fatto che lui avrebbe potuto sistemare le cose, confermo di non essere riuscita in nessun modo a reagire, tranne il fatto di cercare di allontanarmi». La ragazza avrebbe acconsentito al rapporto «in virtù della situazione di evidente compromissione», precisa il gip: «Gli ho detto che preferivo rimanere in quegli uffici e che avrei atteso le conclusioni degli accertamenti - prosegue il verbale - ero spaventata e intimorita dal suo atteggiamento ho cercato di allontanarmi da lui ma, sempre da dietro, ha iniziato a slacciarmi i pantaloncini corti». Quindi, il sostituto commissario l’avrebbe costretta a restare con lui «fino alle prime ore del mattino».
AI DOMICILIARI

Più complessa la vicenda della prostituta agli arresti domiciliari. La donna ha registrato la violenza e proprio quel nastro ha convinto i pm ad ascoltarla più volte prima di credere alla sua versione dei fatti. A convincere il gip Anna Maria Fattori che la ragazza stesse dicendo la verità le altre tracce audio trovate sul registratore. In una, di due settimane prima la violenza vera e propria, i poliziotti avrebbero fatto pesanti ironie a sfondo sessuale e, anche se il nastro si interrompe, le avrebbero abbassato i pantaloni. Poi, il 2 giugno, la visita fuori programma: «I due erano in borghese ed ho notato che erano arrivati con un’auto di colore grigio scuro. Mi hanno detto che sarebbero tornati più tardi. Io all’inizio mi sono opposta ma ho avuto timore che potessi subire da loro ritorsioni».

Fini, Cicciolina, Rutelli & Co Trombati con pensione d'oro

Fino a 5mila € al mese

I conti in tasca a chi è restato fuori dal Parlamento dopo le elezioni di febbraio. Nella lista c'è pure Di Pietro. A pagare siamo noi


Trombati ma con le tasche piene. Chi è rimasto fuori dal Parlamento, dopo il voto dello scorso febbraio, non se la passa male. Un vitalizio da 6000 euro può bastare per affrontare la dura vita da onorevole in pensione. A spulciare nei conti dei politici (ed ex) è stato il settimanale L'Espresso che ha pubblicato la lista delle buste paga dei parlamentari. Tra questi c'è anche chi supera i 6 mila euro al mese. Netti, ovviamente. E chi sono i Paperoni in pensione? Alcuni sono davvero dei "baby pensionati".

Per Fini e Rutelli quasi 6000 euro -  Ad esempio Gianfranco Fini è tra i più ricchi. L'ex presidente della Camera si può consolare con 5.614 euro al mese di vitalizio. Vita dura anche per Francesco Rutelli. "Cicciobello", l'ex sindaco di Roma ed ex vicepremier del governo di Romano Prodi, è il politico di centrosinistra che riceve il vitalizio più alto: 5.755 euro al mese. Una bella somma per il leader di Alleanza per l'Italia che ha scelto di non candidarsi alle ultime elezioni politiche.

Per Veltroni e D'Alema 5000 euro - E Veltroni? Anche lui (nell'attesa di aprire quel famoso ospedale in Kenya), ha le tasche piene. L 'ex segretario del Partito Democratico Walter Veltroni riceve ogni mese 5.373 euro. Come altri del suo partito, l'ex sindaco di Roma ha deciso di non ricandidarsi alle ultime elezioni politiche rimanendo fuori dal parlamento. Ma anche Massimo D'Alema si gode la vita fuori dal Palazzo. "Baffino" ha scelto di non ricandidarsi alle elezioni politiche di febbraio, rimanendo fuori dalle Aule. Il leader Maximo, però, si può consolare con 5.283 euro al mese di vitalizio. Claudio Scajola, ex ministro dei governi di Silvio Berlusconi, riceve invece ogni mese 4.656 euro di vitalizio. A causa delle vicende giudiziarie che lo vedevano implicato, a gennaio ha deciso di non ripresentare la sua candidatura in parlamento.

Povero Tonino -  Antonio Di Pietro invece è uno dei baby pensionati della Casta. Alle elezioni di febbraio si era presentato con la Rivoluzione arancione di Antonio Ingroia, ma i risultati del partito non hanno consentito alla lista di entrare in parlamento. E Tonino si deve accontentare di 3.702 euro al mese. Infine c'è la pensione pure per Ilona Staller. Cicciolina ha fatto una sola legislatura da parlamentare e riceve un assegno mensile di 2.120 euro. Un affare. 

Concorsi pilotati alle Università

Ombre sui «saggi»


di GIOVANNI LONGO BARI - Da una minuscola università telematica al Gotha del mondo accademico italiano. Una intercettazione dietro l’altra: così la Procura di Bari ha individuato una rete di docenti che potrebbe avere pilotato alcuni concorsi universitari di diritto ecclesiastico, costituzionale e pubblico comparato. I finanzieri del nucleo di polizia tributaria del comando provinciale di Bari avevano iniziato a indagare sulla «Giustino Fortunato» di Benevento. Gli accertamenti si sono poi estesi: basti pensare che i pm baresi Renato Nitti e Francesca Pirrelli stanno valutando le posizioni di un ex ministro, dell'ex garante per la privacy, di cinque dei 35 saggi nominati dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’ipotesi è che qualcuno possa avere influenzato i concorsi.

Tra i 38 docenti coinvolti nell'inchiesta che da Bari potrebbe fare tremare il mondo accademico italiano ci sono infatti Augusto Barbera (Università di Bologna), Beniamino Caravita di Toritto (Università La Sapienza Roma), Giuseppe De Vergottini (Università di Bologna), Carmela Salazar (Università di Reggio Calabria) e Lorenza Violini (Università di Milano), nominati da Napolitano per affiancare l’esecutivo sul terreno delle riforme costituzionali. La loro posizione, al pari di quella dell'ex ministro per le Politiche Comunitarie Anna Maria Bernini e di Francesco Maria Pizzetti, ex Garante della Privacy, è al vaglio della Procura di Bari che dovrà verificare se ci sono elementi per esercitare l’azione penale.

Gli accertamenti non sono legati agli incarichi istituzionali dei docenti, ma riguardano la loro attività di commissari in concorsi da ricercatore e da professore associato e ordinario, banditi nel secondo semestre del 2008. Quella tessuta pazientemente nel tempo dalle fiamme gialle, coordinate dalla Procura di Bari, sarebbe stata una vera e propria «rete» che per anni avrebbe agito su tutto il territorio nazionale e che a Bari avrebbe avuto una sponda significativa. Quattro i professori baresi sui quali sono da tempo in corso accertamenti: Aldo Loiodice, all’epoca ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Bari, Gaetano Dammacco, ordinario di diritto canonico ed ecclesiastico alla facoltà di scienze politiche; Maria Luisa Lo Giacco e Roberta Santoro, ricercatrici di diritto ecclesiastico. Le ipotesi di reato a vario titolo sono associazione per delinquere, corruzione, abuso d'ufficio, falso e truffa.

E’ una élite di studiosi di diritto che si conoscono da sempre, che si incontrano a seminari e convegni di studio e che, anche in quel contesto, pianificano i concorsi universitari in tutta Italia. Questa è l’ipotesi. Il quadro emerso dalle centinaia di intercettazioni e dalle decine di perquisizioni eseguite negli anni scorsi in abitazioni, studi professionali, istituzioni universitarie, da Milano a Roma, da Teramo a Bari è da tempo al vaglio della Procura. Nove gli Atenei coinvolti. Almeno una decina i concorsi universitari espletati tra il 2006 e il 2010 finiti sotto la lente d’ingrandimento delle Fiamme Gialle. A quanto pare non sarebbe emersa una vera e propria cabina di regia, quanto piuttosto una sorta di «circolo privato» in grado di decidere il destino di concorsi per professori di prima e seconda fascia in tre discipline afferenti al diritto pubblico.

Gli investigatori ritengono che questi concorsi nascondano un sistema di favori incrociati. Dopo il sorteggio delle commissioni giudicatrici previsto dalla riforma Gelmini, sarebbe insomma scattato un patto della serie: «tu fai vincere il mio “protetto” nella tua commissione ed io faccio vincere il tuo nella mia». «Accordi», «scambi di favore», «sodalizi e patti di fedeltà» per «manipolare» l’esito di molteplici procedure concorsuali pubbliche, bandite su tutto il territorio nazionale in quel quadriennio. Dall’accusa iniziale, evidenziata in uno dei decreti di perquisizione, in oltre due anni, si sarebbero aggiunti molti altri riscontri trovati dagli investigatori. E pensare che l’inchiesta era partita dagli accertamenti sull'università telematica «Giustino Fortunato », considerata dalla Finanza una sorta di «titolificio» dove si poteva diventare professori in men che non si dica. Dietro quella pagliuzza sarebbe spuntata una trave molto più grande.

«Beccato» con tangente arrestato funzionario

Sovrintendenza di Taranto


TARANTO – Avrebbe chiesto una tangente per agevolare una pratica relativa all’esecuzione di lavori di ristrutturazione di una villa in località Rosa Marina, a Ostuni (Brindisi), per i quali era indispensabile un nulla osta: con l’accusa di concussione è finito in carcere M. G., di 58 anni, funzionario della Sovrintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Taranto.
Gli agenti della Squadra Mobile di Taranto e del Commissariato di Ostuni, lo hanno arrestato in flagranza di reato, nel Comune di Martina Franca, mentre riceveva il denaro pattuito con il geometra incaricato dei lavori di ristrutturazione, che ha presentato la denuncia alla polizia.

All’appuntamento, fissato in un’area di servizio, erano presenti anche gli investigatori della Squadra mobile, coordinati dal vice questore Roberto Pititto, che dopo aver accertato e documentato l’avvenuta consegna dei documenti in cambio di denaro, hanno bloccato l'uomo, trovandolo in possesso della somma di 300 euro in banconote di piccolo taglio, appena intascate. Gli agenti hanno recuperato anche il plico contenente tutte le autorizzazioni promesse. Successivamente sono state eseguite numerose perquisizioni con l’acquisizione di materiale ritenuto 'estremamente interessante ai fini della ricostruzione di tutta la vicenda.

Latina. A giudizio il padre che violentò la figlia di 15 anni



LATINA - Sarà processato con giudizio immediato il 13 dicembre il padre 38enne che ha confessato di aver stuprato la figlia di 15 anni in auto. Lo ha deciso il giudice Lorenzo Ferri accogliendo a richiesta della Procura di Latina . Accusa e difesa, rappresentata dagli avvocati Angelo Palmieri e Sinuhe Luccone, si fronteggeranno davanti al giudice.

Il padre 38enne ha già confessato, sia davanti al sostituto procuratore Gregorio Capasso che al gip Costantino De Robbio, di aver abusato della figlia a fine maggio, quando la violentò nell’auto in un parcheggio a Tor Tre Ponti dopo averla convinta a uscire con una scusa.

L’uomo ha addirittura aggiunto che non era la prima volta che violentava la giovane.

Una vicenda di estremo squallore venuta alla luce solo grazie alle parole della ragazza che si presentò al pronto soccorso di Latina, lamentando dolori addominali, e poi raccontando tutto ciò che era successo in quel parcheggio poco prima.

Napoli, sorpresi nel cimitero mentre depredavano le tombe


A seguito di una segnalazione giunta al Comando di Polizia Municipale sono stati disposti controlli mirati nel Cimitero Monumentale di Poggioreale, per contrastare il fenomeno dei furti di oggetti sacri facenti parte di arredo funerario.

Il personale del Reparto Tutela Attività Cimiteriali, coordinato dal Vice Comandante Ciro Esposito , nella notte scorsa, ha sorpreso alcuni malintenzionati che stavano trafugando numerosi oggetti sacri, costringendoli alla fuga.

Gli agenti agli ordini del Capitano Luigi Avolio hanno poi rinvenuto nei pressi dell’ingresso del Quadrato Monumentale del Cimitero di Poggioreale un ingente quantitativo di oggetti asportati all’interno di cappelle private come candelabri, ornamenti e basi in marmo nonché varie attrezzature utilizzate per la forzatura dei monumenti funerari.

Gran parte della refurtiva ritrovata, è stata già riconsegnata ad alcuni dei legittimi proprietari.

Morto a Milano il boss Gaetano Fidanzati



MILANO. È morto nella sua casa di Milano,  dove era in detenzione domiciliare per problemi di salute da  qualche mese, lo storico boss palermitano Gaetano Fidanzati, 78  anni. A confermare la notizia è il suo avvocato, Giuseppe  Scozzola.  Dopo essere stato colpito da un grave ictus, il capomafia  dell'Arenella era stato trasferito in un centro di  riabilitazione a Bologna; l'aggravarsi delle sue condizioni di  salute aveva indotto i magistrati ad acconsentire alla  detenzione a casa.  Condannato a 12 anni di carcere nel primo maxi processo a  Cosa nostra, Fidanzati portò fiumi e fiumi di cocaina sulla  piazza milanese. E nel 2009, dopo essere scappato da Palermo  dove era ricercato come mandante dell'omicidio del compagno  della figlia, venne arrestato proprio a Milano. Alcuni agenti  della Mobile, liberi dal servizio, lo riconobbero mentre,  ricercato dalle forze dell'ordine, passeggiava nel centro della  città dove continuava ad avere interessi economici e contatti.

venerdì 4 ottobre 2013

Estorsioni e armi, sei arresti a Cosenza

Fucili e pistole destinate a gravi crimini

 
Sono state arrestate sei persone a Cosenza e in alcuni paesi dell'hinterland con l'accusa, a vario titolo, di traffico d'armi e di estorsione. Secondo gli inquirenti, che hanno effettuato gli arresti dopo sei mesi di indagine, le armi sarebbero state destinate alla commissioni di reati di particolare gravità


COSENZA - Importante operazione in mattinata messa a segno dai carabinieri della Compagnia di Cosenza. I militari, infatti, hanno arrestato sei persone accusate, a vario titolo, di estorsione e di traffico di armi. Gli arresti sono stati fatti in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Cosenza su richiesta del pm Giuseppe Casciaro in relazione ad una indagine più ampia svolta nel corso degli ultimi 6 mesi. Alcuni degli arrestati sono accusati di un’estorsione commessa ai danni di un procacciatore d’affari, mentre ad altri viene contestato il traffico di armi anche clandestine. Nel corso dell'attività investigativa, avviata nello scorso mese di marzo, i carabinieri hanno sequestrato numerose armi che si pensa potessero essere destinate alla commissione di gravi reati. Gli arresti sono stati eseguiti a Cosenza ed in alcuni centri dell’hinterland.

Catanzaro, chieste condanne per 45 persone

Coinvolte nel traffico e spaccio di droga

Il pm distrettuale ha avanzato la sua richiesta di condanna per 45 persone che hanno chiesto il giudizio abbreviato nell'ambito dell'indagine Double Fault condotta dalla Squadra Mobile di Catanzaro e tesa a colpire il traffico e il successivo spaccio di stupefacenti allestito da una vera e propria associazione per delinquere


CATANZARO - Una requisitoria senza clemenza ma molto puntuale e diretta quella del pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ha chiesto 45 condanne per un totale di poco superiore ai 500 anni e a pene comprese fra 20 e 1 anno e 4 mesi di reclusione, nell’ambito del giudizio abbreviato a carico di altrettante persone coinvolte nell’operazione antidroga denominata "Double fault", condotta dalla polizia contro una presunta associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti.  I giudizi abbreviati proseguiranno il 19 ottobre, e poi il 4 e 11 novembre. Riprenderà il 9 ottobre, invece, il processo dibattimentale per gli ultimi 5 imputati di "Double fault", rinviati a giudizio lo scorso 5 luglio. Con l'operazione "Double Fault", portata a termine dalla Squadra Mobile di Catanzaro, sono stati sequestrati oltre un chilo di cocaina, 400 grammi di eroina, una pistola calibro 22, una pistola a tamburo calibro 38, un fucile mitragliatore Ak-47 kalashnikov e un fucile da caccia calibro 12. Le indagini, secondo quanto reso noto, hanno permesso di far luce sull'intera organizzazione che si nascondeva all’interno del quartiere Germaneto, a Catanzaro, e si avvaleva di una fitta rete di spacciatori e numerose donne che spesso occultavano la droga in carrozzine e passeggini. Gli investigatori hanno parlato di una piazza dello spaccio che poteva contare su oltre cento clienti al giorno, provenienti anche da fuori provincia, che era controllata dai rom catanzaresi, e con giovani armati di pistola a fare la guardia sulle due uniche strade di accesso. Una sorta di "fortino" che però le forze dell’ordine sono riuscite ad espugnare, piazzando telecamere che hanno ripreso le operazioni di smercio degli stupefacenti, e costruendo un impianto accusatorio confermato anche dalle dichiarazioni degli acquirenti. 

Cadavere di una donna trovato nel Cosentino

Il corpo è in avanzato stato di decomposizione

 
 
Il cadavere di una donna è stato trovato a Mirto Crosia nel Cosentino in avanzato stato di decomposizione. Secondo i primi accertamenti apparterrebbe ad una donna senza fissa dimora con problemi di alcolismo. L'esame sommario effettuato al momento del rinvenimento del cadavere non avrebbe evidenziato prove di violenza

CROSIA (CS) - Il cadavere in avanzato stato di decomposizione di una donna è stato trovato in un terreno a Mirto Crosia. Le condizioni del corpo non consentono, al momento, di risalire nè all’età, nè all’identità della donna o di fare ipotesi sulle possibili cause del decesso. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, che hanno avviato le indagini. Secondo i primi accertamenti apparterrebbe ad una donna straniera senza fissa dimora e che sarebbe dedita all’alcol. Il cadavere non presenterebbe, secondo quanto emerso da una prima valutazione fatta dai carabinieri, segni evidenti di violenza e il decesso potrebbe essere intervenuto per cause naturali. Il corpo è vestito ed ha accanto una borsetta. La morte, secondo i primi accertamenti medico-legali, potrebbe risalire ad una decina di giorni addietro

Preso l'assassino della coppia trovata a Reggio

Ha confessato duplice omicidio avvenuto dopo lite

 
 
Risolto in poche ore il caso dei due corpi rinvenuti nel portabagagli di un'autovettura in bilico sul molo di Reggio Calabria. La squadra Mobile reggina è risalita al possibile autore: si tratta di unreggino che avrebbe ucciso i due rumeni, secondo quanto ha raccontato, dopo avere subito un'aggressione

REGGIO CALABRIA - Ha confessato di essere l'autore del duplice omicidio di due romeni, Gianrocco Foti, l'uomo di 38 anni fermato dalla squadra mobile di Reggio Calabria. Nel corso dell’interrogatorio l’uomo ha raccontato di aver sparato dopo aver subito un’aggressione da parte delle due vittime e di altre persone. Il racconto di Foti in merito all’ aggressione ed alla presenza di altre persone, secondo gli inquirenti, sarebbe tutto da verificare. 

La polizia lo ha fermato con l'accusa di essere responsabile dell’omicidio di un uomo e una donna, i cui cadaveri sono stati trovati mercoledì mattina nel bagagliaio di un’automobile sul molo del porto. Nel corso dell'operazione, la polizia ha sequestrato anche la possibile arma del delitto, una pistola calibro 9. Dagli accertamenti è risultato che i bossoli trovati nell’automobile di Joan Lacatus e la pistola calibro 9 sequestrata dagli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria nell’abitazione di Foti sono compatibili. E’ stato proprio l’esito della comparazione tra i bossoli e la pistola uno degli elementi alla base del provvedimento di fermo emesso dalla Procura di Reggio Calabria nei confronti di Foti. Gli agenti della squadra mobile hanno da subito imboccato la pista investigativa che ha portato all’individuazione di Foti. Sul luogo del delitto, inoltre, sono stati trovati altri elementi che hanno consentito di ricostruire la dinamica dell’accaduto. Tra le ipotesi da verificare, anche quella che la vittima fosse il protettore della prostituta di cui Foti si era innamorato.
 
Secondo il racconto fornito da Foti, lui avrebbe avuto una relazione con una prostituta rumena, alla quale, convinto di poter avviare una relazione stabile, aveva prestato 25mila euro. Quando, però, la relazione tra i due era finita, aveva chiesto la restituzione del denaro e si era rivolto a Lacatus, trovato ucciso nell'auto, per una sorta di mediazione. Da qui era nato l'appuntamento nei pressi del molo di Reggio. Dove Foti racconta di essere stato aggredito da cinque persone, compreso le due vittime. A quel punto avrebbe estratto la pistola ed avrebbe fatto fuoco per difendersi. Una tesi su cui la polizia sta effettuando approfondimenti, con l'obiettivo di comprendere se possano esserci stati anche dei complici dell'assassino.
 
I CORPI NEL BAGAGLIAIO. Joan Lacatus, di 28 anni, e Jonela Hololea, di 35, erano stati uccisi con alcuni colpi di pistola. I loro cadaveri erano stati poi lasciati nel vano portabagagli dell’Alfa Romeo 146 di proprietà di Lacatus e che gli assassini avevano tentato invano di fare sparire in mare. La Squadra mobile di Reggio Calabria, diretta da Gennaro Semeraro, ha identificato il presunto responsabile del duplice omicidio a conclusione di indagini che si sono protratte per tutta la giornata di ieri e che si sono concretizzate la scorsa notte con l’esecuzione del fermo emesso dalla Procura della Repubblica. 
Le indagini sono state coordinate dal Procuratore della Repubblica, Federico Cafiero De Raho. Investigatori e inquirenti mantengono il riserbo, per il momento, sul movente del duplice omicidio, in attesa di una conferenza stampa che avrà luogo in mattinata, anche se ieri era trapelato che s'indagava negli ambienti della prostituzione

Operazione antidroga tra Puglia e Campania

Venti arresti a Taranto


TARANTO – Militari del Comando provinciale della Guardia di finanza di Taranto, in collaborazione con i comandi provinciali di Bari e Napoli e della sezione Aerea di Bari, stanno eseguendo una ordinanza di custodia cautelare in carcere (tranne che per un indagato, ai domiciliari) nei confronti di 20 persone, 17 delle quali residenti a Taranto, due a Bari e una a Napoli. Gli indagati avrebbero fatto parte di una presunta associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Sequestrati beni per 220mila euro.

Il provvedimento restrittivo è stato firmato dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo salentino. Le indagini sono state avviate nell’ottobre del 2011 quando gli accertamenti dei finanzieri si sono concentrati sulla figura di un 38enne tarantino, che lavorava nel settore delle pompe funebri (da qui il nome dell’operazione denominata 'Undertaker', ovvero 'becchinò), il quale, oltre ad essere in contatto con il clan Taurino radicato nella città vecchia di Taranto, aveva instaurato rapporti con altri due tarantini, di 35 e 33 anni, già conosciuti dalle forze dell’ordine per reati in materia di stupefacenti. E' quindi emerso che il 38enne si approvvigionava di hascisc da Bari e Milano e di cocaina da Napoli. La droga veniva poi consegnata ai due complici e ad esponenti del clan Taurino per lo spaccio, per la cui attività venivano utilizzati vedette e corrieri.

Nel corso delle indagini, tra giugno e ottobre 2012, i finanzieri hanno arrestato tre persone sequestrando 20 chili di hascisc. I militari hanno anche raccolto prove a carico di alcuni pregiudicati, i quali avrebbero trasferito in maniera fraudolenta beni a terze persone per eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali. Il sequestro preventivo di beni ha riguardato un complesso aziendale, due immobili, due auto, una imbarcazione e un motociclo.