giovedì 29 agosto 2013

Mafia, la figlia di Messina Denaro si ribella al clan

 Convince la madre a lasciare la casa d'origine


ROMA.  La figlia del boss latitante Matteo Messina Denaro si ribella al clan familiare del padre e a 17 anni convince la madre a lasciare la casa dove è sempre stata.
Lo racconta, nel numero in edicola domani, L'Espresso che pubblica per la prima volta anche le immagini della figlia del padrino di Cosa nostra e quelle di sua madre che è la compagna del boss.   
La ragazza - si legge in un'anticipazione diffusa dal settimanale - «vuole vivere lontano dai familiari del papà. Una scelta rivoluzionaria perché suona come sfida ai codici di Cosa nostra».  «Quanto vorrei l'affetto di una persona e, purtroppo, questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino...», dice la figlia di Matteo Messina Denaro di cui l'Espresso pubblica alcune sue frasi.
 La ragazza non fa mai esplicito riferimento al padre, che secondo gli investigatori non avrebbe mai visto, ma nel giorno del compleanno del boss la figlia pubblica sul suo profilo Facebook un cuore rosso senza alcun commento.   
L'Espresso fa anche il punto della latitanza di Matteo Messina Denaro, ricercato da 20 anni, e rivela alcuni blitz che sono stati effettuati per il tentativo di cattura in una villa di Mondello a Palermo e in un altro sito a Padova.

Uccide il figlio a colpi d’accetta


La tragedia al termine di una lite l’uomo si è consegnato agli agenti
 
Al termine di una lite furiosa, ha ucciso il figlio a colpi di accetta, nella casa al quarto piano della palazzina in cui coabitavano. Poi, sanguinante per essere rimasto ferito a sua volta a un braccio, è sceso in strada, ha detto ai vicini cosa aveva appena fatto, poi al loro arrivo si è consegnato ai Carabinieri. È successo attorno alle 18 a Sant’Alberto, frazione alle porte di Ravenna. L’uomo, Giuseppe Paolino, 72 anni, originario di Torre del Greco (Napoli), ha assassinato il figlio Nunzio, 36 anni, disoccupato, pare per dissapori economici.

L’uomo assassinato da un paio di anni si era trasferito dal Napoletano nell’appartamento del padre pensionato, che si trova in via Nigrisoli 136 a Sant’Alberto, frazione nella campagna di Ravenna. Il 72enne si trova ora ricoverato in stato di arresto all’ospedale di Ravenna in attesa di essere interrogato dal Pm di turno Angela Scorza. Nessun dubbio, secondo i primi rilievi dei carabinieri del Nucleo Operativo, che sia stato proprio lui a uccidere il figlio. Tuttavia non è stata ancora chiarita la dinamica del litigio mortale nel quale, oltre a un’accetta, sarebbero stati usati pure coltelli. Tutto il materiale, così come l’appartamento, è stato sequestrato.
Secondo i vicini di casa, che hanno descritto il 72enne come persona perbene, da tempo i due litigavano spesso per questioni legate a dissapori economici. Oggi sono state sentire urla dal loro appartamento, all’ultimo piano di una palazzina popolare, iniziate verso mezzogiorno. La prima a trovare il cadavere del 36enne è stata la sorella, arrivata assieme a un amico dalla vicina frazione di Savarna, forse avvertita dal padre. La ragazza è stata poi portata all’ospedale in stato di choc. Il 72/enne è sceso di casa solo all’arrivo di carabinieri e ambulanze del 118; quindi - secondo i testimoni - ancora sanguinante ha alzato le braccia al cielo ammettendo di avere ammazzato il figlio.

L’uomo, vedovo e in passato camionista, era stato sposato un paio di volte e ha avuto numerosi figli: il 36enne era nato dalla prima relazione. 

Agguato a Bari ucciso pregiudicato

Agguato a Bari



BARI - Un uomo, Felice Campanale, di 67 anni, con precedenti penali, è morto dopo essere stato raggiunto da colpi di arma da fuoco in un agguato avvenuto poco fa a Bari, in viale De Laurentis angolo viale Ghandi, nel quartiere Poggiofranco.

 L'uomo, a quanto si è saputo, è stato raggiunto da tre colpi di arma da fuoco al petto e da uno alla testa mentre stava entrando in auto dopo aver accompagnato, sembra, un bambino al vicino gomma-park.

La famiglia Campanale è molto conosciuta a Bari in quanto gestisce una serie di parcheggi abusivi della città. Felice Campanale al momento dell'agguato era in compagnia di una donna e di alcuni bambini. Nell'agguato è rimasto ferito un passante ad un polpaccio mentre stava portando a spasso il suo cane. Sembra che i killer fossero a bordo di una motocicletta. Sul posto sono intervenuti i carabinieri.

«Vado a vedere la Juve» e bancario sparisce con la cassa da 400mila €

«Vado a vedere la Juve»


di GIUSEPPE DIMICCOLI
BARLETTA  - Quando nella mattinata di lunedì, dopo un primo controllo, era ben chiaro che circa 400mila euro si fossero volatilizzati, il «quadro» ha cominciato a delinearsi. Del resto, non capita tutti i giorni che il denaro lasciato nel fine settimana non si trovi al medesimo posto alla riapertura del lunedì mattina. Teatro dell’ammanco di fine estate la filiale di via Regina Margherita della Banca Unicredit. Uno sportello posizionato strategicamente nella periferia della città, che ogni giorno ospita non pochi clienti e con una consistente movimentazione di denaro tanto in contanti quanto in altre forme. Pare che i soldi siano stati sottratti da un dipendente che ha fatto perdere le tracce. Irraggiungibile per tutti.

Il denaro sarebbe stato sottratto da una cassaforte interna alla banca e dalla disponibilità del contante posizionato nelle macchinette del Bancomat utili ad erogare denaro durante il giorno e la notte. Sul caso indagano i carabinieri della compagnia di Barletta agli ordini del capitano Marco Vatore. Le ricerche dei militari dell’Arma sono in corso su tutto il territorio nazionale e anche oltre i confini della nazione. Pare che l’impiegato, prima di non dar più notizia di sè, abbia detto alla moglie che lunedì mattina si sarebbe recato direttamente in banca dopo aver assistito a Genova, nella serata di sabato, al debutto in campionato della Juventus con la Sampdoria . Ma, almeno al momento, non si hanno più notizie.

Gli investigatori non fanno trapelare particolari in merito e non tralasciano alcuna ipotesi. Sta di fatto che sarà importante capire come mai e per quali ragioni sia avvenuto questo ammanco. In banca, però, non c’è mai arrivato. Allarmati, direttore e colleghi hanno telefonato a casa, dove l’uomo non era mai tornato. Di qui l’allarme, la scoperta dell’ammanco, la preoccupazione e l’avvìo delle ricerche.

Poliziotto corrotto prende soldi da imprenditore e li nasconde nel commissariato. I colleghi lo scoprono e lo arrestano


L'uomo ha chiesto soldi per "favorire" una pratica. L'imprenditore ha denunciato e ha contribuito alla cattura


 
di Giuseppe Crimaldi
Nella tarda mattinata di oggi, i poliziotti della Squadra Mobile partenopea hanno arrestato per il reato di concussione l’Ispettore Capo della Polizia di Stato A. V., in servizio presso il Commissariato di P.S. di S. Giuseppe Vesuviano.


Infatti un imprenditore denunciava a personale della Squadra Mobile ed ai carabinieri della Stazione di Somma Vesuviana che, per l’evasione di una pratica relativa alla voltura di una licenza per l’esercizio di un’agenzia di scommesse presentata al commissariato di San Giuseppe Vesuviano, l’ispettore, responsabile dell’Ufficio di Polizia Amministrativa, aveva richiesto indebitamente una cifra di denaro, inducendo la vittima ad accettare il compromesso illecito con pretestuosi e ingiustificati rallentamenti burocratici.

Per tale motivo veniva predisposto un servizio di P.G. che riscontrava l’incontro tra le due parti in un bar del paese, durante il quale si consumava la scambio del denaro, in banconote precedentemente fotocopiate.

A seguito di perquisizioni svolte anche nell’ufficio del dipendente, il personale operante rinveniva il denaro nel garage del commissariato ove l’ispettore lo aveva occultato.

Grazie agli elementi raccolti si è proceduto all’arresto del nominato che veniva tradotto presso il carcere militare di S. Maria Capua Vetere.

Inps, i pensionati d'oro sono soltanto 540?


Sopra i cinquemila euro al mese ce ne sono 136mila

Tra paperoni e furbetti c'è chi non si lamenta e attende l'arrivo di un contributo di solidarietà. Dall'altra parte pensioni al minimo da fame, esodati e disoccupati senza Cig


walter passerini
E adesso che l’Inps ci dice che i Paperoni con una pensione superiore ai 20mila euro lordi al mese sono “solo” 540 possiamo dormire sonni tranquilli? Niente affatto: al di là della componente mediatica, il problema resta con tutta la sua zavorra di iniquità. Su oltre 16,5 milioni di pensionati, il 99,2% (16,4 milioni) percepisce una pensione sotto i 5.291 euro mensili. “Solo” 136.499 stanno sopra questa cifra. Tra i dieci e i 15mila euro al mese ci sono quasi 8mila pensionati. Sono 1.354 quelli che prendono più di 10mila euro al mese. Pochi numericamente, che portano a casa però oltre 1,5 miliardi l’anno.
 
Se a questi aggiungiamo il reddito pensionistico dei 127mila che si trovano tra i cinque e i 10mila euro al mese, che valgono oltre 10,7 miliardi l’anno, il malloppo sale a poco meno di 12 miliardi annui, un importo pensionistico davvero rilevante. Saranno questi i pensionati (d’oro e d’argento) sui cui calerà la scure (o il bisturi o il cesello) del governo per il famoso contributo di solidarietà? Ora non è dato saperlo, ma intanto salgono le attese, le preoccupazioni, le speranze e anche diverse iniziative. Lungi dal poter mettere in discussione tutta la riforma Fornero, le proposte fioccano, alcune in verità molto costose, altre più alla portata.
 
Una di queste l’ha messa in campo per esempio un quarantenne, di mestiere consulente, che ha aperto un gruppo su Facebook, per raccogliere cinquemila firme di cinquemila persone, per realizzare una manifestazione davanti al Parlamento. Il gruppo è non politico e aperto a tutti. Si chiama: Tagliamo pensioni e stipendi d’oro – La marcia dei 5mila a Roma. In un paio di settimane ha già raccolto 730 firme e conta di raggiungere a breve i 5mila iscritti. “L’obiettivo – spiega il promotore, Giovanni Cafaro - è quello di far sentire dal basso, in modo civile ma forte, la propria voce, di non passare necessariamente dai partiti politici, per ottenere qualcosa di dovuto, di concreto, di decoroso e dignitoso, una sorta di giustizia sociale che dovrebbe essere scontata ma che purtroppo nel nostro Paese non è facile ottenere”. Nel mirino le pensioni al di sopra dei 5mila euro al mese. Dall'altra parte ci sono tanti pensionati che percepiscono un assegno sotto i 500 euro al mese, i disoccupati senza cassa integrazione, gli esodati senza stipendio e senza pensione e i precari alla ricerca di una qualche stabilizzazione.

martedì 27 agosto 2013

La figlia di Riina in un’intervista tivù


“Sono onorata del cognome che porto”






Lucia si racconta a un’emittente svizzera: se uno ama i genitori
non cambia nome. Le associazioni delle vittime: dovrebbe inorridire
«Dispiaciuta» per le vittime, ma «onorata» di portare il nome del padre: così si è detta Lucia Riina, figlia del capomafia Salvatore (Totò) Riina, alla televisione svizzera, che ha pubblicato sul suo sito un video della «prima intervista televisiva» della donna.

«Io sono onorata di chiamarmi così, e felice» perché «è il cognome di mio padre e immagino che qualsiasi figlio che ama i suoi genitori non cambia il cognome. Corrisponde alla mia identità», afferma Lucia Riina intervistata a Ginevra. Nell’intervista, doppiata in francese e così diffusa, Lucia Riina si dice «dispiaciuta» per le vittime del padre, ma -aggiunge - «penso che siamo tutti figli di qualcuno» e non bisogna restare nel passato ma andare avanti per noi, per le generazioni future.

Parlando della sua famiglia, la figlia del boss dice: «Sono i miei genitori, siamo cattolici e devo dell’amore a mio padre e mia madre», afferma, ricordando che a casa pregavano tutte le sere e che il momento più brutto della sua vita fu l’arresto di suo padre. «Nostra madre è stata estremamente importante, poiché non abbiamo potuto andare a scuola. È lei che ci ha insegnato a leggere e a scrivere», ha affermato. La figlia del boss, che ha compiuto in Svizzera il suo primo viaggio all’estero, afferma, infine, che non le dispiacerebbe vivere e lavorare in Svizzera.

Immediata la polemica. «La figlia di Riina la sua favoletta di brava figlia che ama quell’assassino di suo padre, ma che le dispiace tanto per le vittime di mafia la vada a raccontare a qualcun altro» e «inorridisca una buona volta davanti a tanto sangue innocente versato». Questa la presa di posizione dell’Associazione tra i familiari della strage di via dei Georgofili in merito all’intervista rilasciata alla televisione svizzera da Lucia Riina.
«La prossima volta che rilascia una intervista del genere - aggiunge in una nota l’Associazione - penseremo seriamente a cercare la possibilità di querelarla per lesa memoria dei nostri morti». «Inoltre - conclude la nota - bastano le nostre di televisioni che esaltano i figli dei criminali, non ci si mettano anche quelle svizzere». 

Assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione

PA, mobilità nei tribunali e assunzione dei testimoni di giustizia



Arriva il pacchetto di misure per la Pa, dalle norme per i precari (con stabilizzazione e futura stretta) all'ulteriore taglio del 20% delle spese per auto blu e consulenze fino all'istituzione dell'Agenzia per la coesione, ed all’assunzione "per chiamata diretta nominativa" per i testimoni di giustizia. Parte anche la mobilità verso i tribunali. Il Consiglio dei ministri di ieri, senza incertezze dovute alle tensioni politiche, ha dato il via libera ai due provvedimenti, un Dl e un Ddl.

E il governo promette un giro di vite a partire dalla lotta al precariato, con "una soluzione strutturale", come affermato dal premier Enrico Letta, al termine del Cdm, riducendo le forme di lavoro flessibile e mettendo "barriere" per evitare le "scorciatoie per le assunzioni senza concorso in passato fin troppo presenti".

Non ci saranno "mai più contratti a termine che non siano eccezionali e temporanei", assicura infatti il ministro della Pa, Gianpiero D'Alia. Intanto si dà il via alla stabilizzazione dei precari ma solo di quelli a tempo determinato: misura ritenuta insufficiente dai sindacati, già pronti alla mobilitazione, che - avvertono - non riuscirà a 'salvare’ tutti i 150mila in scadenza a fine anno. 

Ecco in sintesi le misure:

Testimoni giustizia assunti nella PA
Assunzione "per chiamata diretta nominativa" per i testimoni di giustizia. E secondo il viceministro dell'Interno, Filippo Bubbico (che presiede la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciale misure di protezione, organismo che ha il compito di definire le speciali misure di protezione per i testimoni e collaboratori di giustizia) la misura riguarderà potenzialmente un'ottantina di persone. 

L'obiettivo, spiega Bubbico, "è quello di mettere in campo strumenti di premialità per i testimoni in modo da incoraggiare un atto di responsabile cittadinanza da parte di chi ha potuto assistere a vicende criminose".

Naturalmente, sottolinea, "la priorità è quella di garantire la sicurezza di queste persone, perché un testimone per fatti di mafia corre rischi. Con questo provvedimento - aggiunge - si estende ai testimoni di giustizia la norma già in vigore per vittime del terrorismo e della criminalità organizzata che prevede un percorso preferenziale per l'assegnazione di un posto di lavoro nella Pubblica amministrazione".  I testimoni di giustizia, ricorda il viceministro, "sono costretti a lasciare il luogo dove vivono e lavorano, ad abbandonare le attività economiche, a subire il trauma dello sradicamento e dunque è giusto sostenerli con un'opportunità occupazionale che consenta loro di ricostruire un proprio profilo professionale superando la precarietà in cui spesso sono costretti a vivere".  Sarà successivamente un decreto del ministero dell'Interno a stabilire le modalità di attuazione del provvedimento.

Mobilità nei tribunali
Per sopperire alle gravi carenze di personale negli uffici giudiziari, si introduce la possibilità di un passaggio diretto presso il Ministero della Giustizia per ricoprire i posti vacanti del personale amministrativo: questo avviene mediante cessione del contratto di lavoro e previa selezione secondo criteri prefissati dallo stesso Ministero della Giustizia. A questo proposito il ministro Cancellieri ha commentato: "Abbiamo una carenza di circa 8 mila unità. Prendere personale da altri enti porterà risultati alla macchina della giustizia. Ora pubblicheremo i bandi e speriamo di avere molte risposte”.

Salva-precari, riserva 50% concorsi

È prevista una riserva del 50% dei posti a concorso, fino al 2015, per chi ha avuto un contratto di lavoro a termine per tre anni negli ultimi cinque. Chance che, secondo i sindacati, comunque non consentirà la stabilizzazione neppure di tutti i 90 mila contratti a tempo determinato. Serve "una soluzione complessiva", dice la Cgil.  Fino al completamento delle procedure concorsuali (non oltre il 2015) sarà possibile prorogare i contratti.

In arrivo 35mila posti in sanità Tra medici, personale infermieristico e tecnici sarà possibile stabilizzare circa 35.000 persone del settore sanitario attraverso procedure concorsuali specifiche, come spiegato dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. 

Al via stretta flessibilità Nel decreto si limita il ricorso al lavoro flessibile circoscrivendolo a "esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale".

Assunzione vincitori concorso Prevista anche una norma che "obbliga ad assumere tutti i vincitori di concorso", sottolinea D'Alia. E "in parte questo riguarderà anche gli idonei, ma solo per le graduatorie più recenti". Prorogate al 2015 le attuali graduatorie. 

Per esuberi proroga al 2015 regole pensioni pre-fornero per la gestione degli esuberi (7-8 mila quelli ad oggi rilevati nelle amministrazioni centrali), viene prorogata la possibilità di andare in pensione con le regole antecedenti la riforma Fornero, portando da fine 2014 a fine 2015 il limite per il raggiungimento dei requisiti.

Mobilità per partecipate Si punta alla mobilità per le società partecipate dal pubblico ma non quotate, da attivare tra società diverse, anche di diverse regioni. Per le amministrazioni prevista anche la mobilità per coprire le "gravi carenze di personale" degli uffici giudiziari.

Nuovo taglio 20% per auto blu e consulenze Per auto di servizio e consulenze dal 2014, nelle amministrazioni pubbliche e per le Authority, scatta un tetto di spesa pari all'80% dei costi sostenuti nel 2012, ed è prorogato a fine 2015 il blocco di acquisto o leasing di autovetture.

Agenzia per la coesione Arriva la nuova Agenzia, fortemente voluta dal sottosegretario alla presidenza, Filippo Patroni Griffi, per "rafforzare l'azione di programmazione, coordinamento, sorveglianza e sostegno della politica di coesione". Non si tratta, ha sottolineato il ministro Trigilia, di "neocentralismo", ma di una gestione migliore dei Fondi strutturali Ue che per il ciclo 2014-2020 ammontano a 30 miliardi. Un modo per utilizzare tutte le risorse a disposizione, come sottolineato da Letta. Domani mattina è prevista una riunione operativa.

Arrivano 1.000 vigili del fuoco In arrivo 1000 assunzioni, con una dotazione di circa 75 milioni di euro tra 2013-2015. 

Sistri e Ilva Semplificazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (che riguarderà principalmente i rifiuti pericolosi). Presenti anche alcune norme di dettaglio sull'Ilva, dalla gestione dei rifiuti alle forniture.

Napoli. Tombe scoperchiate e lapidi distrutte

Al cimitero il degrado degli «uomini illustri»


Poggioreale, tradite storia e memoria. Scene choc dal «quadrato»: sepolcri profanati e arredi danneggiati

di Giuseppe Crimaldi
C’è un luogo in ogni angolo del mondo e in ciascuna città che meriterebbe, per il solo fatto di essere destinato a ospitare i morti, un rispetto e un’attenzione particolare.

Come tutti i luoghi delle memoria e degli affetti perduti il cimitero resta una di quelle cartine di tornasole che dovrebbero dimostrare anche la cura, l’attenzione e l’efficienza di una pubblica amministrazione.

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Se questo è vero, allora viene da chiedersi dove sia finito il senso della misura di chi - istituzionalmente chiamato a tutelare memoria, ricordo e decoro - si ostina a non vedere in quale stato vergognoso versa il quadrato degli uomini illustri di Poggioreale.

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Che a Napoli il confine tra sacro e profano sia un diaframma perennemente labile e oscillante è cosa nota. Ma qui siamo ben oltre quel limite: ed è bastata una visita di un paio d’ore per documentarlo, per quanto più che le parole parlano in questo caso le immagini: l’inno stonato a una vergogna che si perpetua, all’incuria e al degrado in cui è sprofondata questa porzione di «terrasanta» che - per il fatto stesso di ospitare il sonno eterno dei suoi più illustri rappresentanti - meriterebbe semmai un’attenzione ancora maggiore.

Avellino, la strage del vigilantes


 In condizioni disperate la ragazza incinta



Napoli. Carolina Sepe, la 25enne al quinto mese di gravidanza ferita ieri sera dall'ex vigilantes Domenico Aschettino a Lauro, in provincia di Avellino, non darebbe segni di attività cerebrale. Ma i medici non disperano ancora. Tanto è vero che, come precisa la direzione sanitaria del Cardarelli, «non è iniziata la procedura di osservazione» La procedura di osservazione inizia nel momento in cui i medici ritengono, fondatamente, che il cervello non risponderà più all'elettroencefalogramma. Scatta un periodo di sicurezza durante il quale si attende un pur debolissimo segno di attività cerebrale.

Carolina è ricoverata all'ospedale Cardarellì di Napoli dove è arrivata ieri sera già in coma. I medici avevano subito parlato di condizioni «gravissime» che, nella notte sembrano peggiorata. La ragazza è stata ferita mentre il padre Vincenzo Sepe è stato ucciso.


La follia di Domenico Aschettino che ha fatto fuoco sui vicini per rancori personali rischia di avere un'altra vittima. Le notizie ufficiali dal Cardarelli dicono che Carolina è in «condizioni disperate», ma che non è stata al momento avviata la procedura di dichiarazione di morte cerebrale. Lo si apprende direttamente da Ciro Coppola, direttore sanitario dell'ospedale Cardarelli di Napoli, dove la ragazza è ricoverata. Era stata diffusa la notizia che Carolina non ce l'avesse fatta e che la morte cerebrale fosse già stata dichiata al termine del periodo di osservazione. Un filo di speranza, dunque, regge ancora. Non è chiaro se anche per il suo bambino.

Caserta, incassa 50mila euro della pensione della madre morta: denunciata



Caserta Continuava a percepire la pensione della madre, nonostante la donna fosse morta nel febbraio del 2009. Scoperta dalla guardia di finanza, la donna, A. G., di anni 54, residente a Castelvolturno, è stata denunciata per truffa alla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere.

La donna, munita di delega, riscuoteva la pensione di oltre 900 euro che mensilmente veniva accreditata sul libretto postale cointestato con la defunta, per un importo complessivo di circa 50 mila euro. Le indagini hanno consentito di individuare e sottoporre a sequestro il c/c postale e tutta la documentazione utilizzata per la truffa. In particolare, è stato trovato il libretto cointestato tra madre e figlia utilizzato per percepire indebitamente la pensione e sul quale sono stati rilevati tutti gli accrediti.

Nino Lo Giudice nomina un pool di avvocati

In una lettera consegnata dalla moglie alla Dda

Sono quattro i legali che seguiranno "il nano" dopo la sua decisione di interrompere la collaborazione. Intanto, sono in corso le indagini e le verifiche sul secondo memoriale fatto recapitare dall'ex collaboratore di giustizia. Differenze nelle firme e nel video qualcuno sistema la luce per le riprese
 
 
di GIOVANNI VERDUCI
REGGIO CALABRIA - Sarà un pool di avvocati a seguire le nuove vicende giudiziarie che coinvolgeranno Nino Lo Giudice: l’ex pentito di ‘ndrangheta che ha fatto perdere le proprie tracce dal mese di giugno. Il “nano”, infatti, ha scelto di affidare il mandato nelle mani di Lorenzo Gatto, Giacomo Iaria, Giuseppe Nardo ed in quelle dell’avvocato Tersitano. Dopo aver lasciato Fernando Catanzaro, legale che cura le vicende dei collaboratori di giustizia, ed averlo attaccato dalle pagine del suo secondo memoriale, Nino Lo Giudice ha fatto una scelta, per alcuni aspetti, in linea con il suo recente passato nel momento in cui ha scelto di richiedere l’impegno legale di Lorenzo Gatto. 
La scelta del nuovo pool di legali è stata comunicata da Nino Lo Giudice alla moglie attraverso una lettera fatta recapitare direttamente a casa della sua consorte. Alla donna era stata affidata una consegna: la missiva doveva essere consegnata nelle mani del procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia Federico Cafiero de Raho o, in assenza di questi, al suo sostituto Giuseppe Lombardo. Nella giornata di venerdì, quando la donna si è recata presso gli uffici del Procura antimafia, ne De Raho ne Lombardo erano presenti. La moglie di Nino Lo Giudice, quindi, avrebbe scelto di prendersi ancora un giorno prima di consegnare la lettera del marito. Sabato mattina, da quello che si è potuto apprendere, la donna ha ricontattato gli uffici al sesto piano del Cedir e avrebbe avuto modo di interloquire con il procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza, al quale dopo qualche minuto avrebbe consegnato la busta con i nomi dei quattro avvocati difensori. La Distrettuale antimafia, intanto, sta lavorando sul secondo memoriale.
 
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Falso cieco scoperto dalla Finanza nel catanzarese

Da anni percepiva la pensione di invalidità

La Guardia di finanza ha scovato l'uomo e ha avviato l'iter per recuperare le somme indebitamente percepite per la malattia risultata inesistente. Le indagini delle Fiamme gialle hanno permesso di verificare che il finto invalido si muoveva da solo e senza alcun problema, nonostante risultasse completamente non vedente


SOVERATO (Catanzaro) - Da anni percepiva indebitamente pensione di invalidità fingendosi cieco. Il protagonista è un uomo di Soverato, centro balneare del catanzarese. A scoprire la truffa gli uomini della Guardia di Finanza, che ha denunciato l’uomo ed avviato le procedure del caso ai finid el recupero di quanto indebitamente intascato dal finto invalido. Secondo quanto attestato nella documentazione sanitaria e previdenziale, l’uomo non potrebbe svolgere le normali azioni quotidiane. 
Invece, secondo quanto documentato dai finanzieri, esce da solo, gode di ampia libertà ed autosufficienza nei movimenti, trasporta rifiuti con un carrello manuale porta-colli a due ruote; su una strada provinciale trafficata, evita tranquillamente camion parcheggiati sulla carreggiata, raggiunge il contenitore in cui scarica i rifiuti e torna indietro, il tutto con assoluta semplicità e naturalezza. Nulla, insomma, farebbe pensare ad un deficit visivo ancorché alla cecità assoluta.

venerdì 23 agosto 2013

Falsi invalidi e finti poveri


La Finanza: in 7 mesi scoperti danni erariali per 1,5 miliardi

Denunciate oltre 3 mila persone. Segnalati alla Corte dei Conti
3.350 responsabili di sperperi e cattiva gestione di denaro pubblico

 
Danni erariali e sprechi per un totale di un miliardo e mezzo di euro sono stati scoperti dalla Guardia di Finanza nei 12.500 interventi a tutela della spesa pubblica eseguiti dall’inizio dell’anno. In 7 mesi, inoltre, le Fiamme gialle hanno scoperto finanziamenti ed aiuti indebitamente richiesti o percepiti per 1 miliardo di euro e denunciato 3.160 tra falsi invalidi e beneficiari di indebite erogazioni previdenziali ed assistenziali. E ancora: oltre 8.000 responsabili di truffe ai danni delle casse pubbliche sono stati denunciati all’autorità giudiziaria, 51 arrestati, mentre altri 3.350 responsabili di sperperi e cattiva gestione di denaro pubblico sono stati segnalati alla Corte dei Conti.

L’azione di contrasto dei reparti della Guardia di Finanza - spiega una nota - si sviluppa sia nei confronti delle forme di frode più sofisticate ed insidiose che nei cosiddetti fenomeni `di massa´, tra cui rientrano i controlli sull’esenzione dai ticket sanitari e sulla percezione di prestazioni sociali agevolate quali assegni per il nucleo familiare, buoni libri e mense scolastiche, agevolazioni per tasse universitarie: oltre metà dei casi controllati sono risultati irregolari ed i benefici non dovuti perché concessi sulla base di false attestazioni reddituali. Si tratta di importi di entità limitata per singolo caso, ma che sottraggono i benefici a soggetti realmente bisognosi.

Più consistenti sono invece - riferisce la Guardia di Finanza in una nota - le frodi al bilancio nazionale e comunitario che sottraggono risorse stanziate per la crescita e lo sviluppo economico del Paese. Le casistiche più ricorrenti riguardano progetti finanziati dallo Stato o dall’Unione Europea non realizzati o completati, ma anche truffe ai danni dell’Inps e degli altri enti previdenziali in relazione ad erogazioni percepite in assenza dei requisiti. Tra i casi più recenti si segnalano: a Catanzaro, una società aveva presentato un progetto a carattere scientifico per la produzione di integratori dietetici ed alimentari da alghe marine coltivate con gli scarti di lavorazione dell’industria lattiero - casearia. La società aveva già percepito contributi per 5 mln di euro, ed altrettanti dovevano essere erogati, ma, di contro, non aveva mai avviato la produzione né tantomeno completato gli stabilimenti, trovati semivuoti ed in stato d’abbandono. A Sassari, invece, in collaborazione con personale dell’Esercito Italiano, è stata scoperta una truffa da parte di un’officina meccanica che riparava automezzi militari, anche impiegati nelle missioni di pace all’estero, con pezzi di ricambio usati spacciati come nuovi oppure fatturava interventi non eseguiti. A Merano, il titolare di una malga destinata ad alloggiare animali d’alpeggio ha usato i fondi erogati dalla Provincia Autonoma per realizzare un’abitazione, mentre a Cremona, i finanzieri hanno scoperto una frode nel settore fotovoltaico con una società che avrebbe beneficiato indebitamente di decine di milioni di euro di incentivi senza averne diritto.

Per quanto riguarda le frodi previdenziali ed assistenziali, la Gdf evidenzia inoltre il piano di controlli del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie, grazie al quale sono stati individuati in tutta Italia 5.600 «falsi braccianti agricoli» che hanno ricevuto indennità di disoccupazione, per malattia o maternità non dovute per 20 milioni di euro. Si tratta - spiega la nota - di personale per lo più inquadrato in aziende agricole «senza terra», che hanno ottenuto i benefici esibendo falsi contratti di affitto dei terreni, all’insaputa dei reali proprietari, come accaduto a Cosenza o nel caso scoperto in provincia di Crotone dove firmatari dei contratti risultavano proprietari terrieri già deceduti da anni; a Ragusa, sono stati denunciati 197 responsabili di associazione a delinquere, truffa aggravata e falso ideologico, di cui 114 falsi invalidi, 74 medici e 9 tra politici e collaboratori. In molti casi - spiega la Gdf - le invalidità riconosciute dalle 4 commissioni mediche sono risultate artificiosamente aggravate a seguito delle «raccomandazioni» di alcuni politici locali mentre in altri casi era stata attivata una «corsia preferenziale» per il riconoscimento delle invalidità. Incaricate di raccogliere le segnalazioni erano le segreterie dei politici, che poi attivavano i medici di riferimento, ricompensati con incarichi ben remunerati per sé o per i familiari. A Verona sono stati scoperti 15 piloti d’aereo che hanno ricevuto trattamenti previdenziali, tra cassa integrazione guadagni, indennità di mobilità e fondo trasporto aereo, per complessivi 850.000 euro, ma che allo stesso tempo prestavano «in nero» attività lavorativa per vettori aerei mediorientali, con retribuzioni mensili di svariate migliaia di euro. Dall’inizio dell’anno sono stati sequestrati ai responsabili delle frodi alle erogazioni pubbliche beni per oltre 200 milioni di euro, oltre il 40% in più rispetto all’anno precedente e «bloccati» contributi non ancora erogati per 450 milioni di euro.  

Falsi invalidi, sotto inchiesta in 197:


 Ci sono due ex parlamentari e 74 medici




RAGUSA - Sono 197 tra falsi invalidi, medici e politici, gli indagati nell'inchiesta «Guido Tersilli» della guardia di finanza di Ragusa coordinata dalla procura di Modica che riguarda una presunta truffa all'Inps e un danno erariale di un milione di euro, per concessioni di pensioni di invalidità in realtà non spettanti. L'inchiesta era stata resa nota nel giugno scorso quando la Procura di Modica presentò ricorso al Tribunale del riesame di Catania contro il rigetto da parte del Gip dell'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare per due ex parlamentari regionali, Innocenzo Leontini (Pdl) e Riccardo Minardo (Mpa) oltre alla richiesta di sequestro di beni, anch'essa rigettata.

Secondo gli investigatori «la spartizione clientelare degli incarichi in seno alle diverse commissioni dell'ASP 7 da parte delle diverse forze politiche, permetteva ai rispettivi uomini di riferimento, nel caso specifico politici locali e gli allora parlamentari regionali Minardo e Leontini di avere una corsia preferenziale per il riconoscimento delle invalidità». «I medici - dice la Gdf - che spesso si proponevano in prima persona o suggerivano propri familiari per ricoprire i prestigiosi e lucrosi incarichi, non perdevano poi occasione per ringraziare e dichiararsi a totale disposizione del loro sponsor.

Le segreterie dei due politici raccoglievano in maniera scientifica le richieste di aiuto del proprio elettorato ed attivavano i medici compiacenti perché riconoscessero invalidità inesistenti o percentuali d'infermità più alte di quelle reali, permettendo ai 'falsi invalidi' di godere benefici sociali ed economici non dovuti. Gli indebiti riconoscimenti permettevano, infatti, di ottenere ex novo o di veder aumentare l'importo degli assegni mensili erogati dall'Inps, nonché di usufruire di servizi pubblici in esenzione, posti di lavoro riservati alle categorie protette o, più semplicemente, di ottenere agevolazioni ai fini assistenziali da parte dei propri familiari».

Settantaquattro medici e dipendenti dell'Azienda Sanitaria, e 9 tra politici e personale di segreteria, sono accusati di associazione per delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e falso ideologico, mentre i 114 falsi invalidi sono accusati di concorso in truffa aggravata, e dovrebbero risarcire il milione di euro fino ad oggi indebitamente percepito.

Incidente a Venezia, il gondoliere risultato positivo agli stupefacenti




Stefano Pizzaggia è stato iscritto nel registro degli indagati. Nello scontro tra gondola e vaporetto ha perso la vita un turista tedesco
 
Il gondoliere coinvolto nell’incidente in Canal Grande costato la vita al turista tedesco Jaochim Vogel è risultato positivo ai test sugli stupefacenti, precisamente per cocaina e hascisc. Lo si apprende dalla Questura di Venezia. Il giovane, Stefano Pizzaggia, è stato iscritto a sua volta nel registro degli indagati.

Nell’incidente ha perso la vita Joachim Reinhard Vogel, un affermato criminologo, docente di diritto penale in un ateneo di Monaco. Ferita anche la figlioletta di 3 anni, ricoverata all’ospedale di Padova per un trauma facciale, e poi dimessa.

Le polemiche restano roventi, perché l’incidente mette comunque sotto la lente la delicatezza e la complessità della città sull’acqua, dove anche il “Canalazzo” è intasato come un’autostrada a Ferragosto.

Le barche, a remi o a motore, sono troppe, e sono in sovrannumero i pontili privati per i natanti, che “strozzano” la larghezza del canale riducendo gli spazi di sicurezza: lo dicono da anni i gondolieri, lo sa anche il Comune che, non a caso, ha installato dal 2008 il sistema di monitoraggio “Argo”, con 14 telecamere, per tenere sott’occhio i flussi dei natanti. La tragica conferma di un problema di `viabilità´ acquea non più rinviabile a Venezia l’ha data lo scontro tra la gondola e il vaporetto, avvenuto vicino al Ponte di Rialto, nodo fra i più intasati.  

Napoli violenta. Ucciso nella notte, 22enne giustiziato a Torre Annunziata, scintille di guerra tra i clan

Soccorsi allertati nella notte da una telefonata anonima per un falso incidente stradale: inutile la corsa in ospedale



di Mary Liguori

Torre Annunziata. Si indaga nel mondo della droga per l'omicidio di Salvatore Cimmino, il giovane di 22 anni ucciso con due colpi di pistola al petto stanotte nella zona del porto di Torre Annunziata.

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Benché la vittima sia incensurata, la polizia segue la pista della guerra per il controllo dello spaccio di stupefacenti che da anni insanguina periodicamente le strade oplontine che vede fronteggiarsi il clan Gionta e quello dei Gallo Cavalieri.

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Come detto, Cimmino non aveva precedenti penali, tuttavia sarebbe stato fermato più volte sia dalla polizia che dai carabinieri in compagnia di pusher della zona: ciò fa ipotizzare agli investigatori che il giovane fosse in qualche modo coinvolto nel giro e nell'ambito dello stesso possa avere fatto qualche passo falso. Questo potrebbe avere armato la mano dei killer, peraltro in un momento in cui la geografia criminale di Torre Annunziata vive una delicata fase di riassetto dopo le recenti scarcerazioni eccellenti, prima fra tutte quella che ha visto tornare a piede libero il figlio di Valentino Gionta.

Carmine Schiavone: «Oggi non mi pentirei più


Sono stato distrutto per la mia scelta»














Napoli. «Se potessi tornare indietro non mi pentirei. Non lo farei più perché le istituzioni ci hanno abbandonato. Quando non sono riusciti ad ammazzarmi materialmente, hanno cercato di distruggermi economicamente, moralmente». Lo ha detto a Sky TG24 uno dei boss del clan di camorra dei Casalesi, Carmine Schiavone, pentito dal 1993.

Uno scoop, un'intervista che ferisce come una lama. Particolarmente scioccante quando parla della scoperta di suo figlio Francesco, arrivato alla maggiore età, di chiamarsi Schiavone e non con il nome di copertura.
«Lui - dice il pentito - credeva che il padre lavorasse per i servizi segreti e che avesse un altro cognome. Gli ho detto, tu sei uno Schiavone e dovevi diventare un camorrista». La reazione? «Mi ha risposto, papà hai fatto bene. Mio figlio ragiona come un ragazzo del nord». Dal che si evince che Schiavone ritenga essere del sud una sorta di marchio genetico. Ma non c'entrano i marchi genetici con gli sversamenti di rifiuti industriali tossici - per inciso del nord Italia - che l'hanno spinto a pentirsi. Racconta: «Decisi di uscirne quando vidi che uccidevano anche i bambini prima di nascere con tutti quegli sversamenti». Sversamenti sui quali Casalesi ed industrie del nord hanno fatto valanghe di soldi.

«Ero uno dei capi della cupola - dice Schiavone - ma mi sono pentito davvero perché altrimenti quelle carte lì non le avrei mai scritte. Il mio guaio è stato proprio quello di essermi pentito veramente perché in Italia non c'era una giustizia, una legge, un politico che sappia capire questo. Chi me lo ha fatto fare di vivere in questo mondo di cani rognosi - afferma - perché è vero che noi abbiamo sparato, ma i ministri, i carabinieri, i magistrati, i poliziotti sono più responsabili di me perché hanno permesso questo».

«Io - ammette Schiavone - ho sbagliato nella mia vita e ho cercato di rimediare quando la mia coscienza si è ribellata a certi soprusi commessi da altri. Tutti quanti hanno fatto facile carriera sulla mia pelle».

Nell'intervista Schiavone parla anche dei rifiuti tossici interrati dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli e aggiunge che «la mafia non sarà mai distrutta perché ci sono troppo interessi, sia a livello economico, sia a livello elettorale. L'organizzazione mafiosa - conclude - non morirà mai».

Non ha la patente ma "possiede" 300 autovetture

Storia di un calabrese re delle intestazioni fittizie

L'uomo ha 57 anni ed è originario della Calabria, ma vive in Lombardia. Risulta intestatario di tantissimi autoveicoli, alcuni anche di grossa cilindrata, ma è un disoccupato. E' lui stesso ad ammettere di farsi pagare per prestare il suo nome a bande criminali che poi utilizzano i mezzi per compiere reati di ogni genere


NON ha la patente ma 'possiede' 300 auto: Dionigi Crogliano, 57 anni, di origini calabresi ma residente a Milano, è disoccupato ma in realtà un’occupazione ce l'ha perchè il suo nome, come riporta il Corriere della Sera nelle pagine milanesi, viene usato dalla criminalità per intestargli in tutta Italia vetture che poi vengono utilizzate per commettere reati anche all’estero. 
“Lo faccio per soldi, sono stato contattato da alcuni zingari che mi hanno offerto dagli 80 ai 150 euro per ogni intestazione”, ha spiegato Crogliano alla Polizia che nei suoi confronti ha emesso tutti i provvedimenti possibili, dal ritiro della patente fino alla sorveglianza speciale in attesa che inizi un processo. Le vetture a lui intestate, da Bmw a piccole utilitarie, vengono poi cedute a clandestini, persone senza patente, semplici sconosciuti e criminali che le hanno utilizzate per commettere centinaia di reati in Italia e in Europa, come ricostruito dagli agenti guidati dal vicequestore aggiunto Angelo De Simone che hanno sequestrato decine di automobili e ripercorso tutti i passaggi di proprietà in un fascicolo di centinaia di pagine.

Frode milionaria per falsi braccianti agricoli

Nel crotonese denunciato imprenditore e 141 operai

Grazie a fittizi contratti di affitto di alcuni terreni, spesso con contratti sottoscritti anche da persone decedute, l'imprenditore dichiarava di assumere gli operai che godevano di tutte le agevolazioni previste. La truffa ha permesso di mettere in piedi un sistema contro Inps e Agea per un importo complessivo di circa un milione di euro


PETILIA POLICASTRO (Crotone) - Sono 142 le persone denunciate dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Crotone che, coordinato dalla locale Procura della Repubblica, ha posto fine ad una frode perpetrata da un imprenditore agricolo di Petilia Policastro (KR) ai danni dell’Inps, attraverso la fittizia instaurazione di rapporti di bracciantato agricolo, e dell’Agea (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura), per ottenere indebitamente contributi comunitari e regionali. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Gabriella De Lucia hanno impegnato i militari in una complessa attività, che si è sviluppata anche attraverso il coinvolgimento diretto degli Enti erogatori. 
Dalle indagini è emerso che l’imprenditore agricolo petilino – accusato dei reati di truffa ai danni dello stato e di falso e ritenuto il principale artefice del sistema di frode – insieme ai 141 falsi braccianti, avrebbe creato i presupposti necessari per accedere sia ai finanziamenti pubblici che ai sussidi erogati dall’Inps, stipulando fittizi contratti di affitto e/o di comodato di fondi rustici, producendo autocertificazioni e dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, contraffacendo la firma di ignari proprietari terrieri – alcuni di essi, peraltro, deceduti ben prima della data in cui risulta sottoscritto l’atto negoziale.
L’imprenditore stesso, per garantire un’apparente regolarità dei rapporti, non ha esitato a produrre ed esibire documenti di identità risultati falsificati mediante l’alterazione delle date di rilascio e di scadenza del documento. Nel corso delle indagini sono stati acquisiti elementi tali da far ritenere che ci si trovava di fronte ad un’azienda agricola assolutamente priva della disponibilità di terreni agricoli, che assumeva solo “sulla carta” i numerosi braccianti agricoli. Del resto, anche l’esiguo volume d’affari conseguito, secondo una corretta logica imprenditoriale, non poteva in alcun modo giustificare l’oneroso costo del lavoro asseritamente sopportato dal titolare. I successivi approfondimenti, svolti sulla notevole mole di documentazione acquisita, hanno confermato l’esistenza del sistema truffaldino, grazie al quale i fasi braccianti agricoli hanno potuto beneficiare illecitamente di indennità previdenziali ed assistenziali (assegni di maternità, indennità di disoccupazione e di malattia).  
Il sistema fraudolento, incentrato sul diffuso fenomeno del bracciantato fittizio, ha arrecato all’Inps un danno pari ad oltre 653.000 euro erogati a titolo di indennità di malattia/maternità e di disoccupazione agricola nei confronti dei 141 falsi braccianti agricoli; la truffa per il conseguimento delle erogazioni dei contributi in agricoltura a favore dell’imprenditore, fondata sul medesimo meccanismo artificioso, ha cagionato all’Agea un danno per complessivi 365.000 euro. Si è accertato, infine, che per l’assunzione fittizia dei braccianti agricoli, l’imprenditore petilino, non aveva neppure provveduto a versare all’Inps i contributi-previdenziali per un importo complessivo di 116.783 euro.

martedì 20 agosto 2013

Turista in viaggio nella bella Italia

 


 
Un viaggio nella bella Italia, amata dai turisti di tutto il mondo, può avere una controindicazione non trascurabile: l'extra è sempre in agguato.
Che si tratti di un conto shock per un cappuccino al bar, per un gelato pagato a peso d'oro o per una corsa in taxi di pochi minuti al prezzo di una notte in albergo, non sono pochi i turisti che si sono trovati il portafoglio alleggerito.

In alcuni casi si è trattato di vere e proprie truffe, in altri semplicemente di prezzi considerati troppo elevati per il bene offerto. Ma caro affitto, tasse e costi del personale di certo non trascurabili in Italia, difficilmente si potrà pretendere un prezzo "calmierato" nel centro storico di una grande città.

Lasciamo quindi decidere a voi, caso per caso, se le storie più eclatanti balzate alle cronache negli ultimi anni siano davvero sintomatiche di un pessimo comportamento italico verso i turisti o solo dei casi isolati che hanno purtroppo avuto una grande eco mediatica.
Voi cosa ne pensate? Fatecelo sapere commentando le singole storie.
 
 
 
Turista in vacanza a Venezia? Attenzione al supplemento musica.
Il 17 agosto 2013, sette romani in vacanza hanno pensato di prendere un caffè al "Lavena" di Piazza San Marco. Le voci di spesa riportate nello scontrino - prontamente fatto girare attraverso Facebook - lasciano pochi dubbi: 4 caffè a 6 euro (di cui uno con correzione nazionale a 4,20 euro) e tre amari al prezzo di 10 euro l’uno. Conto finale: 100,80 euro. Cosa c'è nel mezzo? 42 euro di "supplemento musica" (6 euro a persona).
Scontrino sicuramente shock ma del tutto regolare. "Ai turisti viene dato il listino nel quale sono indicati tutti i prezzi, compreso il supplemento per la musica" spiegano dal locale. Insomma, turista avvisato...
La polemica però - non del tutto nuova - sui costi delle consumazioni nella Venezia più "in" si è riaccesa. E come di consueto i commenti si sono divisi tra coloro che dicono che i prezzi non sono giustificati e che è una vergogna per l'immagine della città e chi replica che se si vuole sorseggiare caffè ascoltando musica in una delle piazze più famose del mondo si deve essere disposti a spendere. Nel mezzo ci sono gli esercenti, che sicuramente avranno dei costi non indifferenti in cui rientrare per quella posizione ammirata in tutto il mondo.
 
 
 
Nel giugno 2013 una famiglia dell'est Europa in vacanza a Roma si è fermata in un bar-gelateria nella centralissima via Cavour, a pochi passi dal Colosseo. Ha ordinato tre cappuccini e tre tiramisù con consumazione al tavolo. Il conto? 71,30 euro.
Il turista, che ha denunciato la vicenda al Codacons, dopo aver letto il prezzo della sua consumazione ha chiesto lumi ai camerieri del locale. Ha scoperto così che gli avevano addebitato 15 euro ogni fetta di torta, 5 euro a cappuccino e 12 euro di una non precisata tassa per il servizio.
 
 
Nel maggio 2013 è rimbalzato su tutti i principali siti inglesi il caso dei quattro turisti inglesi che vicino Piazza di Spagna avevano pagato 64 euro per quattro coni gelato. Mangiati in piedi. La denuncia era partita dall'Independent (che titolò niente meno che "Rome's ice-cream 'mafia': The family dynasty with a stranglehold on Italy's street food") che in un articolo durissimo aveva approfittato del caso (legato a un nome noto del cibo d'asporto romano) per sparare a a zero su presunti monopoli commerciali e sul "mercato grigio" italiano, definito come "huge “grey economy” that was not run by organised crime, but was not entirely legitimate, either".
In breve la notizia era stata ripresa anche dagli altri quotidiani online. Nello screenshot l'articolo pubblicato sul noto DailyMail con tanto di foto dei turisti che mostrano mestamente lo scontrino incriminato.
La gelateria si è giustificata dicendo che i prezzi erano esposti ovunque (alcuni coni arrivavano anche a 20 euro l'uno) e che comunque all'interno si trovavano 7 etti di gelato.
 
 
Nel febbraio 2013 due turisti danesi, in vacanza a Venezia, hanno pagato per una cena in un ristorante-pizzeria vicino a campo Santa Maria Formosa a Venezia ben 600 euro. Gli era stato chiesto se volevano anche degli scampi nella frittura, un extra all'apparenza innocente che però ha fatto lievitare notevolmente il conto.
A quanto pare nel menù era indicata la "frittura speciale" ma né il cuoco né i camerieri avevano specificato che l'aggiunta degli scampi trasformava la "normale frittura" in quella superlusso.
I due turisti hanno fatto scoppiare un vero e proprio caso diplomatico, coinvolgendo l'ambasciata italiana in Danimarca, il ministero degli Esteri e, ovviamente, i Carabinieri.
 
 
 
Nel 2011 è stata Firenze a dare il via all'estate dei raggiri ai turisti. Le vittime si chiamavano Sara e Hans Peter Ehrlich, due cittadini tedeschi di Friburgo in visita nel capoluogo toscano. Il loro errore è stato quello di aver scelto la gelateria sbagliata per fare una pausa nel corso della loro passeggiata a Ponte Vecchio. E hanno pagato 27 euro per un cono maxi e una coppa di gelato presi al bancone.
A raccontare la vicenda è stata Caroline Wasserfuhr, la proprietaria del bed&breakfast dove stavano i due turisti tedeschi, in Valdera. "Mi hanno mostrato lo scontrino e ho capito che era tutto vero", ha detto la donna, che ha poi deciso di offrire alla coppia una bottiglia di vino rosso per fargli dimenticare la sgradevole esperienza. Tutto regolare comunque: la gelateria in questione aveva i prezzi regolarmente esposti.
 
 
Nell’agosto del 2011, il conto è andato di traverso ai magnati russi della chimica Shami Gabdullin e Irek Boguslavsky, che in Sardegna hanno pagato 2 mila 123 euro per un pranzo a cui erano presenti tre famiglie con bambini. 15 persone in tutto. I due milionari si sono rivolti all' Unione dei consumatori di Olbia e hanno sporto denuncia. Sostenevano anche che i prodotti non fossero poi così freschi e di aver ordinato solo tre bottiglie di vino e un’insalata. Pretendevano le scuse del proprietario ma non un risarcimento. Secondo la versione del proprietario del locale di Baja Sardinia , le cose sono andate diversamente, ed è stato lui a decurtare di 400 euro il costo del pranzo, chiedendo alla comitiva di andarsene. Per il ristoratore avrebbe chiesto svariati primi, e 12 kg di pesce fresco
 
 
 
Nel febbraio 2011 un turista americano che alloggiava in un albergo romano ha chiamato la reception chiedendo soccorsi per la moglie. Arrivato in ospedale con l'ambulanza privata, è stato raggiunto dall'autista e dal barelliere, che gli hanno presentato un conto di 1300 euro da saldare sull'unghia e in contanti. Il turista ovviamente non aveva quella somma con sé e, intimorito dall'aggressività dei due, gli ha dato gli 85 euro di cui disponeva. Di tutta risposta si è visto sottrarre il portfolio, che è stato alleggerito dei restanti 100 euro.
Tornati in albergo sono continuate le minacce al resto della famiglia e a quel punto è intervenuta la polizia. Si è scoperto così che dalla reception era stata chiamato un numero di emergenza sanitaria privata e che "fiutando l'affare", non è stato comunicato ai malcapitati turisti che il tutto era a pagamento. La somma truffata è stata restituita al turista americano dal proprietario dell'albergo.
 
 
 
È successo in un bar di piazza del Popolo. "I prezzi sono esposti", si è difeso il proprietario del locale
Lo "scontrino della vergogna" spopola sul web con tanto di foto. Il cliente ha provato a dire la sua e a contestare il conto, ma non c'è stato nulla da fare. E ha dovuto pagare 10 euro per due caffè, cinque euro per la bottiglietta d'acqua e, come se non bastasse, 2,55 euro per il servizio al tavolo. "I prezzi sono esposti", si è difeso il proprietario del bar.
 
 

domenica 18 agosto 2013

Ricorso per dei beni mafiosi dissequestrati a Canicattì




CANICATTI'. Ricorso alla Corte  d'appello di Palermo è stato presentato dalla Direzione  distrettuale antimafia del capoluogo siciliano contro il  provvedimento di dissequestro di parte dei beni mobili ed  immobili di Angelo Di Bella e Vincenzo Leone, entrambi di  Canicattì, zio e nipote, ritenuti organici alla mafia locale. Il  provvedimento era stato emesso nelle scorse settimane dai  giudici della sezione Misure di prevenzione del tribunale e  riguardava la quasi totalità dei beni - per un valore di 70  milioni - su cui gli investigatori avevano messo i sigilli. Leone - di recente scarcerato dopo una sentenza di  annullamento con rinvio della Cassazione ad altra sezione della  Corte d'appello di Palermo, dopo una prima condanna a 9 anni di  reclusione - e Di Bella erano rimasti coinvolti nell'operazione  antimafia «Agorà» relativa alla costruzione di un centro  commerciale in provincia di Agrigento. 

«Tracce di mafia» e la Finanza arriva alla Bcc di Alberobello



Bankitalia: «Gravi violazioni e irregolarità»

Quelle operazioni «estremamente rischiose sotto il profilo del riciclaggio del denaro». La crisi del Credito cooperativo di Alberobello e Sammichele, istituto commissariata da Bankitalia, forse sta tutta in questa definizione, che spiega l’origine di una inchiesta nata Trapani, in Sicilia, dal sequestro nel settembre del 2012 di ben 25 milioni di euro in beni mobili ed immobili, quote societarie e conti correnti.

A Trapani la Divisione anticrimine della Questura e il Gico della Guardia di finanza stavano cercando di definire i contorni dell’impero economico creato dall’imprenditore trapanese Vito Tarantolo, 67 anni, considerato dall’antimafia di Palermo in contatto con i diversi capisaldi dell’organizzazione mafiosa trapanese e palermitana, da Francesco Pace a Matteo Messina Denaro sino ai Lo Piccolo. Di Tarantolo hanno parlato diversi collaboratori di giustizia, raccontando come sarebbe riuscito ad allacciare nell’arco degli ultimi 12-13 anni una serie di rapporti con società imprenditoriali che gli avrebbero permesso di «mettere il naso» all’interno di un imponente giro di appalti. Una figura di primo piano, dietro la quale, secondo la Procura antimafia, per lungo tempo si sarebbe nascosta la mafia.

Tra i beni che la Questura di Trapani sequestra a settembre ci sono le quote societarie della «Smg Costruzioni» costituita nel febbraio del 2005 e per un breve periodo intestata alla signora di Alberobello Maria Grazia Susca, consigliere di amministrazione della Banca di credito cooperativo di Alberobello e Sammichele, istituto già sotto la lente di ingrandimento di Bankitalia. Inquieta un altro dato che emerge dalla relazione con la quale sempre Bankitalia, a giugno di quest’anno, propone lo scioglimento del consiglio di amministrazione della banca: la sorella della Susca, di professione impiegata, è titolare di un conto corrente con una liquidità che negli ultimi 7 anni è lievitato fino a raggiungere quota 2 milioni di euro.
Un «fenomeno» che però la banca non segnala al centro antiriciclaggio. Da dove proviene tutto questo contante? È forse denaro riciclato dalla mafia siciliana? Per il momento non c’è nulla che lo dimostri e a carico delle due donne non è stato elevato alcuno provvedimento.

Gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria del Gico della Finanza stanno cercando di dare una risposta agli interrogativi, ai quali se ne aggiunge un terzo che getta nuovamente un’ombra di forte sospetto sul criteri adottati dall’istituto di credito in materia di valutazione del «rischio riciclaggio». Mese di marzo, anno corrente, il Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Brindisi, nell’ambito di una inchiesta sullo sbarco della Sacra corona unita nel business delle scommesse, esegue il sequestro anticipato, con conseguente nomina di amministratori giudiziari di alcune società, compresa la «Scommettendo srl» di Ceglie Messapica, considerata dagli investigatori in rapporti di affari con la «Fast Service Line» priva di autorizzazione dei Monopoli di Stato per la gestione del gioco d’azzardo legale e riconducibile alla famiglia Prudentino.

Tra le operazioni classificate «ad altro rischio riciclaggio» ed effettuate dalla Bcc di Alberobello e Sammichele, sono stati rilevati grossi bonifici proprio della «Scommettendo srl» a favore di una società maltese. Operazione condotta in porto in barba alle perplessità manifestate dall’Unità di informazione finanziaria. [l. nat.]

Gallipoli, stop a parcheggi sono «in odor di mafia»



di GIUSEPPE ALBAHARI
GALLIPOLI - Possibile esposizione all’influenza della criminalità organizzata di stampo mafioso. È la dirompente motivazione per la quale il Comune ha disposto la chiusura di cinque aree di parcheggio stagionale. Sul versante pratico, l’ente, e nello specifico il dirigente del comparto delle politiche territoriali, l’ingegnere Giuseppe Cataldi, ha dichiarato decadute le «Segnalazioni certificate d’inizio attività» relative alle aree che, appartenenti a ditte catastali diverse, erano state presentate allo Sportello unico per le attività produttive, tra lo scorso 31 luglio e il 9 agosto, da un unico interlocutore.
Si tratta della società cooperativa «Lu rusciu te lu mare», con sede a Gallipoli, che non ha superato il vaglio della Prefettura di Lecce, dove le istanze sono state inviate per le verifiche connesse alla vigente normativa antimafia.

I rilievi sono stati immediati: innanzitutto, l’impossibilità giuridica per la cooperativa di gestire i parcheggi, perché ciò non è previsto nel suo statuto; inoltre, e tutt’altro che secondario, per la possibile influenza della criminalità organizzata sulla cooperativa, «atteso che l’ex amministratore è stato colpito da una misura patrimoniale di cui all’articolo 20 del Codice antimafia, convalidata in data 12 gennaio 2013 dal presidente della prima Sezione penale del Tribunale di Lecce. In tale pronunciamento, peraltro, l’autorità giudiziaria acclarava la contiguità di interessi dell’ex amministratore con un noto clan mafioso».

Di conseguenza, il Comune ha avviato il procedimento amministrativo finalizzato alla decadenza delle Scia e, in mancanza di riscontri, lo ha concluso. Ma la cooperativa ha presentato nuove segnalazioni d’inizio attività, per le quali gli uffici hanno ripetuto il medesimo iter, avendo anche la Prefettura reiterato il contenuto della precedente segnalazione. L’ultimo atto del Comune, pertanto, è stata la dichiarazione di decadenza di qualsivoglia Scia e la diffida alla cooperativa ad esercitare l’attività.
I parcheggi, quindi, che probabilmente erano stati attivati nelle more delle decisioni e delle notifiche, come consente di fare la procedura mirata proprio a snellire l’iter burocratico, dovranno essere chiusi. A quanto si è appreso, una delle aree interessate si trova all’ingresso della città, per chi proviene dalla Statale 101, mentre le altre sono tutte ubicate sul litorale sud cittadino.

Roma, scoperti due ettari coltivati a canapa

 Sequestrate 20 mila piante e arrestati 4 calabresi

Ventimila piante e oltre 2 ettari di terreno dedicati alla coltivazione di canapa sono stati scoperti a Roma. Qui gli agenti sono stati attirati dal forte odore proveniente da un capannone in cui hanno trovato la marijuana ad essiccare. Dietro il caseggiato si estendevano due ettari di terreno dove il granturco copriva la canapa. Arrestate 4 persone originarie del Vibonese


ROMA - E’ stato il forte odore proveniente da un casale su via Lunano, in zona Casilino a Roma, ad attirare l'attenzione degli agenti a bordo della volante, durante il normale servizio di pattugliamento della zona. Quando sono entrati nella proprietà hanno trovato, all’interno di un capannone, una serie di fili dove erano appese le piante di marijuana per l’essicazione, a terra, invece, le cassette di legno accatastate in cui veniva conservata l’erba già pronta. Su ogni cassetta era indicata la diversa tipologia della medesima pianta, su alcune era apposta l’etichetta “Relax” e sulle altre il tipo indicato era “Big Devil”. Alle spalle del caseggiato invece si estendevano circa due ettari di terreno coltivato all’apparenza a granturco, stratagemma usato per nascondere la vera destinazione del campo. Infatti ai piedi di ciascuna pianta di granturco, al riparo da occhi indiscreti, cresce una pianta di marijuana, il che ha fatto stimare che il totale dovrebbe aggirarsi intorno alle 20mila piante, con tanto di sistema di irrigazione ad hoc. I poliziotti hanno trovato i quattro responsabili della piantagione intenti a stendere decine di altri fili all’interno di un secondo capannone, segno evidente che l’attività aveva dimensioni quasi industriali. I quattro uomini sono stati arrestati con l’accusa di produzione e traffico di sostanze stupefacenti, sono tutti originari della provincia di Vibo Valentia B.G. e L.P., di 23 anni, F.L., di anni 21, e B.D., 46enne unico senza precedenti di polizia.

Rossano, incassa la pensione della madre

 Ma la donna è morta dal 2009, arrestato

Una persona è stata arrestata a Rossano con l'accusa di truffa ai danni dell'Inps per aver incassato dal 2009 ad oggi la pensione della madre malgrado la donna sia deceduta da 4 anni. Secondo i calcoli della finanza la truffa ammonterebbe a circa 65 mila euro. A beneficiare del trattamento il figlio e un altro familiare


COSENZA - Nonostante la madre fosse morta dal 2009, ha continuato a percepirne la pensione, intascando fraudolentemente circa 65.000 euro. La truffa ai danni dell’Inps, di cui si è resa protagonista una persona di Rossano (Cs) di cui non sono state rese note le generalità, è stata scoperta dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Cosenza che hanno avviato le indagini effettuando una serie di controlli, incrociando i dati dell’ente previdenziale in possesso e focalizzando l’attenzione su alcune posizioni sospette. I finanzieri hanno così individuato una posizione pensionistica ancora attiva sebbene la titolare del rapporto risultasse defunta dal 2009. A beneficiare del trattamento, il figlio ed un altro familiare che sono riusciti a intascare illegittimamente gli emolumenti mensili grazie al concorso di altre 5 persone (una delle quali nel frattempo deceduta), mediante una serie di ingegnosi artifici consistiti in false certificazioni di esistenza in vita, singole deleghe predisposte ad hoc, nonché false dichiarazioni attestanti che la firma "segno di croce" inserita nel modello di delega al prelevamento fosse stata apposta in presenza degli indagati. Gli autori della truffa ai danni dell’ente previdenziale sono stati segnalati, a vario titolo, alla Procura della Repubblica di Rossano. Il Gip ha disposto la misura della custodia cautelare degli arresti domiciliari per il figlio della pensionata defunta ed il sequestro preventivo del libretto postale sul quale erano accreditate le mensilità della pensione, nonché di due autovetture nella disponibilità dell’arrestato.

Omicidio di ferragosto a Corigliano, quattro fermi

Scontro tra romeni e albanesi per alcune prostitute

Quattro persone sono state fermate per l'omicidio del cittadino romeno Dumitrache Ciobanu avvenuto la notte di ferragosto all'uscita da una discoteca di Schiavonea. Secondo la ricostruzione degli inquirenti i 4 avrebbero atteso l'uomo all'uscita colpendolo a fucilate e uccidendolo una volta fuori dal locale


CORIGLIANO CALABRO (CS) - 
E’ maturato nello scontro tra due bande contrapposte, una di romeni ed una di albanesi, l’omicidio di Dumitrache Ciobanu, il cittadino romeno di 43 anni assassinato all’alba di ieri a Schiavonea di Corigliano, per il quale i carabinieri hanno sottoposto a fermo quattro persone, tre albanesi ed un connazionale della vittima. E' questa la convinzione della Procura della Repubblica di Rossano che ha disposto il fermo, con l’accusa di concorso in omicidio e rissa con altri soggetti da identificare, di Dritan Ruko (33), Sokol Seferi (39), Kadri Mona (32), tutti albanesi, e Claudiu Florin Tighikliu (24), romeno.
A sparare materialmente, secondo il pm della Procura di Rossanno Vincenzo Quaranta che d’intesa con procuratore Eugenio Facciolla, ha emesso il di fermo, è stato Ruko.
All’origine dell’omicidio, secondo la ricostruzione dei carabinieri del reparto operativo di Cosenza e della Compagnia di Corigliano Calabro, una lite scoppiata all’interno di un lido-discoteca della costa tra i due gruppi. In particolare, Ruko e Seferi avrebbero avvicinato due ragazze romene che si prostituiscono chiedendo loro 50 euro al giorno per esercitare la loro attività nel tratto di statale 106 in cui si trovano. Richiesta che i due avevano rivolto già alcune settimane fa alle due ragazze e che le stesse avevano denunciato ai carabinieri pur non sapendo fornire l’identità degli uomini che le avevano avvicinate. Su questo aspetto della vicenda, le indagini erano ancora in corso.
Ruko e Saferi, all’interno del locale, avrebbero anche strattonato le due ragazze provocando la reazione del gruppo dei romeni. A farne le spese, secondo la ricostruzione degli investigatori, è stato Tighikliu, che pur essendo romeno, era nel gruppo degli albanesi, e che ha riportato diverse contusioni. La vittima, Dumitrache Ciobanu, vedendo le ragazza in difficoltà, sarebbe intervenuto in loro difesa colpendo Ruko, il quale si è allontanato per andare a prendere un fucile da caccia che aveva nascosto nella sua auto e facendo poi fuoco contro Ciobanu che lo stava inseguendo e colpendolo al fianco ed al ginocchio sinistro. 
E’ maturato nello scontro tra due bande contrapposte, una di romeni ed una di albanesi, l’omicidio di Dumitrache Ciobanu, il cittadino romeno di 43 anni assassinato all’alba di ieri a Schiavonea di Corigliano, per il quale i carabinieri hanno sottoposto a fermo quattro persone, tre albanesi ed un connazionale della vittima. E' questa la convinzione della Procura della Repubblica di Rossano che ha disposto il fermo, con l’accusa di concorso in omicidio e rissa con altri soggetti da identificare, di Dritan Ruko (33), Sokol Seferi (39), Kadri Mona (32), tutti albanesi, e Claudiu Florin Tighikliu (24), romeno. A sparare materialmente, secondo il pm della Procura di Rossano, Vincenzo Quaranta, che d’intesa con il procuratore Eugenio Facciolla, ha emesso il di fermo, è stato Ruko. All’origine dell’omicidio, secondo la ricostruzione dei carabinieri del reparto operativo di Cosenza e della Compagnia di Corigliano Calabro, una lite scoppiata all’interno di un lido-discoteca della costa tra i due gruppi. In particolare, Ruko e Seferi avrebbero avvicinato due ragazze romene che si prostituiscono chiedendo loro 50 euro al giorno per esercitare la loro attività nel tratto di statale 106 in cui si trovano. Richiesta che i due avevano rivolto già alcune settimane fa alle due ragazze e che le stesse avevano denunciato ai carabinieri pur non sapendo fornire l’identità degli uomini che le avevano avvicinate. Su questo aspetto della vicenda, le indagini erano ancora in corso. Ruko e Saferi, all’interno del locale, avrebbero anche strattonato le due ragazze provocando la reazione del gruppo dei romeni. A farne le spese, secondo la ricostruzione degli investigatori, è stato Tighikliu, che pur essendo romeno, era nel gruppo degli albanesi, e che ha riportato diverse contusioni. La vittima, Dumitrache Ciobanu, vedendo le ragazza in difficoltà, sarebbe intervenuto in loro difesa colpendo Ruko, il quale si è allontanato per andare a prendere un fucile da caccia che aveva nascosto nella sua auto e facendo poi fuoco contro Ciobanu che lo stava inseguendo e colpendolo al fianco ed al ginocchio sinistro.