venerdì 29 gennaio 2010

Mafia, governo a Reggio Calabria vara piano straordinario


Mafia, governo a Reggio Calabria vara piano straordinario

Il Consiglio dei ministri, che oggi si è riunito a Reggio Calabria, ha dato il via libera al piano straordinario contro la criminalità organizzata. Continua a leggere questa notizia


Lo ha riferito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, precisando che l'esecutivo ha approvato il ddl con le nuove norme antimafia, in dieci punti, e varato un decreto legge che istituzionalizza l'Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati, con sede nel capoluogo calabrese.

Per la prima volta il governo si è riunito nella città calabrese, presidiata per l'occasione da un imponente dispositivo di sicurezza dopo i recenti episodi intimidatori messi a segno dalla criminalità organizzata -- dalla bomba contro la Procura generale al ritrovamento dell'auto con esplosivo e armi durante la visita del capo dello Stato Giorgio Napolitano nel capoluogo calabrese.

All'arrivo del premier non sono mancate le proteste. Da un assemblamento di circa duecento persone è stato sentito partire il coro: "Fatti processare, fatti processare", mentre davanti alla prefettura, dove si è svolta la riunione straordinaria del Cdm, troneggiavano bandiere dei sindacati Cgil, Cisl e Uil e striscioni con le scritte: "Baciamo le mani, scudo fiscale, processo breve, vendite beni confiscati, la mafia ringrazia".

LE MISURE DEL PIANO

Tra le misure previste nel ddl, l'istituzione di un codice antimafia -- un testo unico che raccoglie e razionalizza tutte le leggi approvate in materia --, la realizzazione di un sistema di informazione sulle cosche tramite un desk interforze e interventi contro le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti.

"Rispetto a quello che avevamo annunciato, il piano antimafia in dieci punti contiene qualcosa in più. E cioè un codice di leggi antimafia che potrà essere utilizzato da tutte le forze dell'ordine che si occupano di combatterla", ha detto nel corso della conferenza stampa seguita al Cdm il premier, affiancato dai responsabili di Interno e Giustizia Roberto Maroni e Angelino Alfano, sottolineando che il cuore della lotta alla criminalità sarà basato "sull'aggressione al patrimonio dei mafiosi".

In base al piano saranno inoltre introdotte nuove misure di sostegno alle vittime del racket e dell'usura ("creeremo uno scudo assicurativo"), si istituirà una mappa informatica della criminalità organizzata e sarà varato un piano internazionale contro le criminalità transnazionale.

Nel corso della conferenza stampa Berlusconi e i due ministri hanno sottolineato i "risultati straordinari" raggiunti dal governo sul fronte della lotta alla criminalità che passa anche per i successi sul fronte immigrazione clandestina: "la riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali", ha spiegato il presidente del Consiglio.

Il premier ha quindi snocciolato alcuni dati: come le 427 operazioni di polizia, le 4.236 persone arrestate e i 310 latitanti catturati, un dato quest'ultimo in aumento dell'85% "rispetto ai precedenti governi della sinistra".

Secondo Maroni, la nuova Agenzia sarà operativa in 15 giorni e avrà il compito di rendere "immediatamente utilizzabili" i beni confiscati alla criminalità organizzata.

mercoledì 27 gennaio 2010

Arrestato a Barcellona, in Spagna, Paolo Di Mauro, boss del clan Contini


Arrestato a Barcellona, in Spagna, Paolo Di Mauro, boss del clan Contini

Fermato Di Mauro, inserito fra i 30 più ricercati. In manette anche Luigi Mocerino, entrambi del clan Contini

NAPOLI

Altri due grossi calibri della camorra finiscono nella rete della polizia, che ha interrotto in Spagna la latitanza di Paolo Di Mauro, considerato il reggente del clan Contini ed incluso tra i 30 latitanti più pericolosi, e del cugino Luigi Mocerino, che figurava tra i 100 super-ricercati. Di Mauro e Mocerino sono stati bloccati poco prima delle 14 a Barcellona, in Carrer Gelabert. Erano appena usciti dallo studio di un avvocato. Ben vestiti, Di Mauro aveva con sè anche una ’24 orè, i due sembravano uomini di affari. Ma sono montati con troppa disinvoltura su uno scooter, percorrendo un tratto di marciapiede, e questo ha definitivamente convinto i due agenti della sezione catturandi della Squadra mobile di Napoli, che li stavano pedinando da giorni, che si trattava dei due esponenti della camorra.

A bloccarli materialmente sono stati gli agenti del Gruppo 5 dell’ Unità crimine organizzato del Comando della Polizia di Catalogna, che adesso aspettano l’ autorizzazione della magistratura spagnola per perquisire il quartier generale dell’ organizzazione in Spagna, al civico n. 100 del Paseo de Bellavista a Casteldefells, nei pressi di Barcellona, dove abitava Mocerino. La notizia dell’arresto ha raggiunto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, alla Camera durante il question time. «Congratulazioni alla squadra Catturandi della squadra mobile di Napoli - ha detto Maroni -, si tratta di un altro duro colpo alla criminalità organizzata». Gli ha fatto eco il ministro della giustizia, Angelino Alfano, che parla di «ennesimo straordinario successo a coronamento di una altrettanto straordinaria giornata nella lotta dello Stato alla criminalità organizzata ed alla vigilia del consiglio dei ministri di domani a Reggio Calabria, nel quale sarà varato il nuovo piano antimafia».

Alla «filiale spagnola» del clan Contini, attivo nei quartieri Vasto, Arenaccia e Poggioreale, ormai decimato dagli arresti degli anni scorsi ma ancora presente sul territorio, nel luglio scorso sono stati sequestrati preventivamente beni per circa 10 milioni di euro tra Spagna ed Italia.

Il clan - affermano gli uomini della squadra mobile di Napoli, diretta da Vittorio Pisani - ha una dimensione transnazionale. Lo conferma l’ intercettazione nell’agosto del 2008 al largo dell’ Andalusia di un gommone con un carico di 1800 chili di hashish destinati all’ organizzazione. A gestire il traffico di droga era Mocerino, latitante dal 2008. Quanto a Paolo Di Mauro, soprannominato «l’ infermiere», e latitante dal 2002, era diventato il reggente dei Contini dopo l’ arresto del boss Eduardo Contini, ed in passato era il responsabile del gruppo di fuoco del clan. Fu lui - secondo gli investigatori - ad organizzare nel febbraio 2008 l’ agguato contro il boss rivale Vincenzo Mazzarella, che stava uscendo dal carcere di Poggioreale. Nella sparatoria rimase ucciso Francesco Mazzarella. La latitanza in Spagna dei due esponenti del clan Contini era stata interrotta più volte da rientri in Italia. Lo conferma un particolare riferito dalla responsabile della squadra catturandi della Mobile, Cristiana Mandara, che ha seguito a Barcellona le tracce di Di Mauro e Mocerino. Alla notizia dell’ arresto, la moglie di Di Mauro si è presentata in questura con abiti e biancheria. Non sapeva neanche che Di Mauro era stato bloccato in Spagna.

Mafia, sequestrati beni per 550 milioni al cassiere del boss Messina Denaro



Mafia, sequestrati beni per 550 milioni
al cassiere del boss Messina Denaro


PALERMO (27 gennaio) - La Direzione Investigativa Antimafia e il Gico della guardia di finanza di Palermo hanno sequestrato il patrimonio aziendale, societario e personale di un imprenditore agrigentino, condannato, con sentenza definitiva, per associazione mafiosa. Il provvedimento, che ha portato al sequestro di beni per un valore che supera i 550 milioni di euro, è stato adottato dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Agrigento, su proposta del direttore della DIA e della Dda di Palermo.

L'imprenditore agrigentino colpito dal provvedimento di sequestro è Rosario Cascio, 75 anni, di Santa Margherita Belice già condannato, in via definitiva, per associazione mafiosa in seguito al processo scaturito dalle accuse del pentito Angelo Siino.

Cascio, che è residente a Patanna, viene considerato dagli inquirenti uno dei «cassieri» del boss latitante Matteo Messina Denaro. Secondo gli investigatori l'uomo, proprietario di diversi impianti per la lavorazione del calcestruzzo, sarebbe a capo di una vera e propria holding mafiosa che era già stata colpita un anno fa da un altro provvedimento di sequestro di beni per un valore complessivo di 400 milioni di euro.

Tra i beni sequestrati dalla Dia e dalla Guardia di finanza all'imprenditore agrigentino Rosario Cascio ci sono 15 tra ditte individuali e società di capitali che operano nel settore edilizio e intestatari di 200 appezzamenti di terreno, che si trovano nelle province di Agrigento e Trapani, 90 fabbricati, 9 stabilimenti industriali tra cui diversi silos e 120 automezzi.

Sotto sequestro sono finiti anche i seguenti beni intestati a Rosario Cascio e alla moglie, anche attraverso prestanomi: 60 appezzamenti di terreno, 80 tra ville, appartamenti, palazzine e magazzini, 50 veicoli e un'imbarcazione da diporto.



Mafia: Traffico Di Droga, In Manette 20 Del Clan Mazzei Di Catania

(ASCA) - Roma, 27 gen - La Polizia di Stato di Catania sta eseguendo 20 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone ritenute responsabili di associazione per delinquere di stampo mafioso, quali affiliati al clan Mazzei, nonche' associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e spaccio di droga. Gli arrestati sono accusati di traffico di stupefacenti, acquistati in Campania ed in Olanda e spacciati a Catania e nelle piazze di spaccio dell'hinterland etneo.


Mafia, il malore in "diretta" del boss

PALERMO - Il boss Rosario Gambino ha avuto un malore in "diretta", durante la videoconferenza del processo che lo vede imputato per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, in uno stralcio del processo "Pizza connection" in corso davanti alla terza sezione del Tribunale di Palermo.

Gambino, che da tempo sostiene di essere malato e che dopo la sua espulsione dagli Usa ha già chiesto invano la scarcerazione per motivi di salute, ha preso la parola e ha detto di "avere il cuore che mi sale fino in gola".

"Più volte - ha aggiunto rivolgendosi al presidente Gaetano La Barbera - sono caduto per terra e mi sono fatto male. Chi è il responsabile di tutto questo?".

Dopo questa dichiarazione, l'imputato si è steso per terra nella saletta della videoconferenza del carcere romano di Rebibbia ed è stato poi accompagnato in infermeria. L'udienza è stata aggiornata all'11 febbraio.

sabato 23 gennaio 2010

Cuffaro condannato a 7 anni di reclusione





Cuffaro condannato a 7 anni di reclusione

PALERMO - L'ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, ora senatore dell'Udc, è stato condannato, in appello, a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato dall'avere agevolato Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio.

In primo grado i giudici avevano escluso la sussistenza dell'aggravante mafiosa e avevano condannato il politico a 5 anni di reclusione. Il processo è stato celebrato davanti la terza sezione della Corte d'Appello di Palermo.

La Corte d'Appello, condannando il senatore Udc Salvatore Cuffaro a sette anni di carcere per favoreggiamento e rivelazione di segreto istruttorio (2 anni di pena in più rispetto al primo grado), ha riconosciuto, come chiesto dal pg, la sussistenza dell'aggravante dell'avere agevolato l'associazione mafiosa Cosa nostra. L'aggravante era stata negata nel primo giudizio.



CUFFARO REALISTA. "L'avevo già detto e lo ripeto rispetterò la sentenza con grande serenità". Lo ha detto il senatore dell'Udc Salvatore Cuffaro condannato in appello a sette anni per favoreggiamento aggravato per avere agevolato la mafia. "So di non aver mai voluto favorire la mafia - prsoegue Cuffaro - e di essere culturalmente avverso a questa piaga, come la sentenza di primo grado aveva riconosciuto. Prendo atto però della sentenza della Corte d'Appello.

In conseguenza di ciò lascio ogni incarico di partito. Mi dedicherò, con la serenità che la Madonna mi aiuterà ad avere, alla mia famiglia e a difendermi nel processo, fiducioso in un esito di giustizia".

PENE AUMENTATE ANCHE AD AIELLO E RIOLO. La terza sezione della Corte d'Appello di Palermo oltre alla condanna di Cuffaro, ha riformato le pene inflitte all'ex manager della sanità privata Michele Aiello, condannato a 15 anni e 6 mesi contro i 14 del primo grado per associazione mafiosa e ha modificato in concorso esterno all' associazione mafiosa l'accusa di favoreggiamento contestata all'ex maresciallo del Ros Giorgio Riolo, condannandolo a 8 anni di carcere. In primo grado Riolo aveva avuto 7 anni.

La Corte ha dichiarato prescritto il reato contestato ad Adriana La Barbera per morte dell'imputata. Per il resto la sentenza di primo grado è stata interamente confermata.

venerdì 22 gennaio 2010

Mafia Arresti Eccellenti 2009

Boss comandava dal carcere, presa la figlia



Boss comandava dal carcere, presa la figlia

CATANIA - Francesca Porto, 29 anni, figlia del presunto boss detenuto Carmelo per conto del quale faceva da "portaordini" all'esterno del carcere, ritenuta il "collettore" delle estorsioni compiute dal clan Cintorino è stata arrestata all'aeroporto di Catania.

La donna, ricercata dal 12 gennaio scorso, quando sfuggì all'operazione "Grease" contro la cosca etnea, è stata bloccato al suo rientro in Italia dalla Germania allo scalo internazionale di Fontanarossa.

Secondo l'accusa, Francesca Porto approfittava degli incontri in carcere con il padre per ricevere ordini da passare agli affiliati all'esterno della prigione. Ma non solo. Per la Dda della Procura di Catania la donna, per le sue doti "manageriali", aveva assunto il ruolo primario di esattore e collettore delle estorsioni.

Nei suoi confronti era pendente un ordine di carcerazione emesso dal Gip di Catania, Carlo Cannella, su richiesta dei sostituti Giovannella Scaminaci e Pasquale Pacifico, che ipotizza i reati di associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti.

La sfida della 'ndrangheta allo Stato


La sfida della 'ndrangheta allo Stato
Esplosivo sulla strada di Napolitano


L'auto trovata vicino all'aeroporto.
Le cosche alzano il tiro nel giorno
della visita del Capo dello Stato a
Reggio Calabria: «Intimidazione»

REGGIO CALABRIA


Un’auto con esplosivo e armi a bordo, come pronta per un’estorsione, fatta ritrovare nei pressi dell’aeroporto di Reggio Calabria il giorno della visita del presidente della Repubblica. Una casualità troppo particolare per gli investigatori dell’Antimafia, secondo i quali non c’è dubbio che si tratti di un «segnale allo Stato», anche se non certo diretto alla persona di Giorgio Napolitano. Ma altre fonti investigative escludono espressamente l’ipotesi del «messaggio» della ’ndrangheta.

Fatto sta che la visita di Napolitano in Calabria si è tinta di giallo con un allarme che non è certo stato sottovalutato. Anzi, dal fronte politico sono venuti attestati di solidarietà al presidente, sia da parte del governo, con il ministro Rotondi, sia dalle opposizioni con l’Udc Rocco Buttiglione e il Pd Vannino Chiti. E c’è che come il senatore Franco Bruno, coordinatore regionale di Alleanza per l’Italia, collega la «concomitanza dell’accaduto con la visita del presidente Napolitano, la precedente bomba al Tribunale di Reggio e gli stessi fatti di Rosarno». La vettura, una Fiat Marea rubata a Reggio Calabria, è stata trovata da una pattuglia dei carabinieri ad alcune centinaia di metri dall’aeroporto. Era regolarmente parcheggiata, ma non chiusa e con un finestrino semi aperto. All’interno due fucili semiautomatici da caccia calibro 12, con le canne tagliate. Sotto il sedile del guidatore c’erano due pistole, una calibro 7.65 ed una 38 a tamburo, e due ordigni rudimentali, uno composto da un tubo di una trentina di centimetri e largo 12 ed un altro di 15 centimetri per 12, collegati con una miccia a lenta combustione, e tre passamontagna di colore verde. Nel bagagliaio, inoltre, è stata trovata una tanica da due litri con liquido infiammabile con attaccati fiammiferi antivento.

Secondo fonti dell’antimafia, non è da escludere che la macchina con esplosivo e armi «fatta trovare su segnalazione di una fonte confidenziale proprio stamattina, quando Reggio Calabria era presidiata dagli uomini delle forze dell’ordine per la visita del presidente Napolitano, sia un segnale di minaccia e intimidazione nei confronti dello Stato. Forse in un primo momento - aggiungono le stesse fonti - si è voluto minimizzare questo ’ritrovamentò per non ammettere che nel sistema di sicurezza qualche "smagliatura" c’è stata». Tesi che si pone in netta antitesi con quella sostenuta dalla Dda di Reggio Calabria. Secondo il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, uno dei magistrati più esperti nella lotta contro la ’ndrangheta, «il ritrovamento dell’automobile non è assolutamente un segnale lanciato alle istituzioni. Se qualcuno avesse voluto attuare un’azione in tal senso, l’automobile sarebbe stata lasciata davanti ad un ufficio pubblico o giudiziario. In realtà quelli nell’auto erano soltanto "attrezzi" per attuare un’intimidazione collegata, presumibilmente, ad un tentativo di estorsione. Nulla di più».

I carabinieri, che hanno avviato le indagini, riferiscono che l’esplosivo sarebbe potuto servire per un attentato di matrice estorsiva da compiere contro un imprenditore ed un commerciante. Il materiale ritrovato passerà adesso al vaglio degli specialisti del Ris per verificare, in particolare, se sia possibile estrarre tracce di dna dai passamontagna. I militari, che hanno sottolineato come il punto in cui era parcheggiata l’auto non si trova lungo il percorso seguito dal Presidente della Repubblica, stanno attentamente esaminando la situazione per decifrare il "messaggio" che si cela dietro il ritrovamento dell’auto con l’esplosivo. L’episodio, tra l’altro, s’inserisce nella situazione di tensione determinatasi a Reggio Calabria dopo l’attentato del 3 gennaio contro la Procura generale e per questo viene valutato con estrema attenzione. A Reggio Calabria, dunque, la situazione si mantiene tesa. Una condizione di cui si fa interprete anche il Procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, secondo il quale «il ritrovamento dell’auto con esplosivo conferma la situazione di difficoltà che si sta vivendo in città. I carabinieri hanno avviato le indagini ed a breve contiamo di ottenere maggiori elementi di valutazione per capirne di più».

"Addio Pizzo", condanne a Palermo


"Addio Pizzo", condanne a Palermo
per 141 anni di carcere


Sentenza nella notte, in carcere
tredici dei 17 imputati alla sbarra
Trent'anni ai boss Lo Piccolo
PALERMO


Pene per 141 anni di carcere sono state inflitte a 13 dei 17 imputati del processo denominato «Addio Pizzo» di Palermo che ha visto alla sbarra boss e gregari del pizzo di San Lorenzo. La sentenza è stata emessa nella notte, dopo quattro giorni di Camera di consiglio, dai giudici della seconda sezione del Tribunale di Palermo presieduta da Bruno Fasciana. Assolti i due commercianti, Maurizio Buscemi e Salvatore Catalano, che avevano negato davanti ai giudici di avere pagato il pizzo a Cosa nostra. Per loro i pm avevano chiesto due anni ciascuno.



Le pene più pesanti sono state inflitte ai boss mafiosi Salvatore e Sandro Lo Piccolo: 30 anni a testa, quanti chiesti dalla Procura di Palermo alla fine della requisitoria. I magistrati della Dda che hanno rappresentato l’accusa nel processo, i pm Marcello Viola, Gaetano Paci, Francesco Del Bene e Annamaria Picozzi, del pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, avevano chiesto complessivamente condanne ad oltre due secoli di carcere. Riconosciuti anche i danni alle associazioni antiracket di Palermo che si erano costituite parti civili: "Addio Pizzo", da cui prende il nome il processo, "Sos Impres", Comune e Provincia di Palermo e altri commercienti che avevano denunciato il pizzo.

I pm hanno contestato agli imputati circa 40 episodi estorsivi tra i quali quello ai danni dell’imprenditore Rodolfo Guajana che, nel 2008, subì un gravissimo attentato in cui andò distrutta la sede della sua ditta di ferramenta. Sono stati assolti Tommaso Contino, per il quale era stata chiesta la pena di 18 anni di reclusione, e Gaetano Fontana per il quale erano stati chiesti 12 anni. Queste le condanne: Luigi Giovanni Bonanno a 9 anni (per lui la Procura ne aveva chiesti 18); Francesco Paolo Di Piazza 12 anni; Massimo Giuseppe Troja, 16 anni; Vittorio Bonura a 9 anni e quattro mesi, Giuseppe Bruno, 3 anni e sei mesi; Antonino Ciminello 5 anni e 4 mesi; Rosolino Di Maio, 9 anni e 4 mesi; Stefano Fontana 4 anni; Giovan Battista Giacalone 9 anni e 4 mesi: Francesco Paolo Liga 3 anni.

mercoledì 20 gennaio 2010

Intitolata a Mimmo Iacono la palestra comunale


Intitolata a Mimmo Iacono
la palestra comunale



La chiesa Madre di Sant’Angelo Muxaro è diventata troppo piccola per accogliere tutta quella gente che ha voluto salutare per l’ultima volta l’amico Mimmo Iacono. Gente comune, giunta da ogni parte della provincia di Agrigento e da altre province siciliane, molti politici, per dimostrare il loro affetto ad una persona speciale, che lascia un vuoto difficilmente colmabile nei cuori di chi ha avuto il privilegio di conoscerlo.

La funzione religiosa è stata celebrata dall’arciprete del paese , ed ha visto la partecipazione del clero di Casteltermini dove lo zio di Mimmo, padre Filippo Bonanno è titolare della chiesa dell’Itria. Presente alla funzione religiosa anche Carmelo Petrone, sacerdote e direttore dell’Amico del Popolo. In prima fila, la moglie, i figli, i genitori, il fratello.

Una cerimonia cattolica, che era stata preceduta da una funzione evangelica celebrata per volontà della moglie, nella chiesa Adi di Raffadali. Commovente, l'intervento della moglie di Mimmo, Erika, la quale in una lettera ha riepilogato la storia di una coppia colpita dalla malattia ma allo stesso tempo rimasta saldamente unita. Non da meno della mamma, Ivan, il figlio diciassettenne dell'amico, il quale dal pulpito ha ringraziato tutti coloro i quali erano intervenuti alla funzione religiosa, sottolineando come quella massiccia presenza testimoniasse l’affetto della gente verso il padre.

Poi l’intervento del sindaco di Sant’Angelo Muxaro, , il quale ha ricordato lo spessore culturale e giornalistico e contestualmente ha dato annuncio dell’intitolazione a Mimmo Iacono della palestra comunale del paese. La bara subito dopo la benedizione è stata trasferita al cimitero di Sant’Angelo Muxaro accompagnata da un lungo applauso, spontaneo e sincero di quelle persone che hanno amato e continueranno ad amare Mimmo.

Maxi-blitz contro la camorra a Napoli


Maxi-blitz contro la camorra a Napoli

Impegnati 800 militari, 85 arresti
Coinvolto anche il direttore
dell'ospedale psichiatrico di Aversa

NAPOLI


Beni sequestrati per 65 milioni, 86 arresti, 800 militari impegnati. Sono i numeri imponenti di un megablitz contro la camorra a Napoli. Oltre 600 finanzieri del Comando Provinciale di Napoli e 200 Carabinieri del Ros hanno arrestato una ottantina di presunti appartenenti al clan Gallo-Limelli-Vangone, sequestrando beni per oltre 65 milioni di euro. Le forze dell’ordine si sono mosse sulla scorta di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Napoli, e l’operazione è stata coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia. Nell'indagine sono rimasti coinvolti anche due impiegati del tribunale di Torre Anunziata e uno psichiatra, che si sarebbero adoperati per favorire uno dei capi clan.

Nel mirino degli investigatori è finito anche Adolfo Ferraro, 59 anni, direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta). E' tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare: è accusato di favoreggiamento per aver agevolato la latitanza del boss Giuseppe Gallo,
attraverso false perizie su patologie mentali. La Guardia di finanza ha anche ricostruito i canali utilizzati dall’organizzazione camorristica attiva nell’area vesuviana per riciclare i proventi dei traffici illeciti. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati oltre 737 chili di cocaina, 27 hashish e 62 marijuana.

Gela, la mafia preparava nuovo attentato contro ex sindaco: 5 arresti


Gela, la mafia preparava nuovo attentato contro ex sindaco: 5 arresti

GELA (20 gennaio) - L'ex sindaco di Gela, Rosario Crocetta, è da lungo tempo nel mirino della mafia, per il forte impegno contro racket e usura e per i protocolli di legalità adottati negli appalti di opere pubbliche e nelle forniture comunali. Già nel 2003 la Stidda aveva deciso di ucciderlo, assoldando un killer lituano. Nel 2006, altra condanna a morte, stavolta di Cosa Nostra. Crocetta aveva licenziato la moglie di Daniele Emmanuello da dipendente del Comune e aveva respinto la domanda per le case popolari presentata dai genitori.

«Offese», queste, che il boss non gli perdonò mai, fino a quando non cadde sotto il fuoco della polizia, nel dicembre del 2007, a Enna, durante le operazioni della sua cattura. Anche nel 2009 fu sventato un piano per uccidere Crocetta. Le armi erano state fatte arrivare da Busto Arsizio, dove vive una folta colonia di gelesi.

La vendetta trasversale contro il giudice, Giovanbattista Tona, invece sarebbe stata decisa dalle cosche gelesi perchè il magistrato, in qualità di Gup in sede di giudizio abbreviato sta seguendo con il suo consueto impegno professionale una tranche importante del processo «Genesis» a carico di tutto il «gruppo di fuoco» del clan Emmanuello (durante gli anni di piombo della faida '88-'92) compresi i fratelli del boss, Davide e Alessandro Emmanuello.

Non sono state ancora rivelate le modalità degli agguati con i quali la mafia avrebbe dovuto colpire Crocetta e la cugina (scambiata per la sorella) del giudice Tona, che è vice direttore in una banca di Mussomeli. In questi giorni, sia all'ex sindaco, Rosario Crocetta, che al giudice, Giovanbattista Tona, sarebbe stata potenziata la scorta.

Napoli, l'indagine sulle spie della Dia Scomparsi centinaia di fascicoli


Napoli, l'indagine sulle spie della Dia
Scomparsi centinaia di fascicoli


NAPOLI (20 gennaio) -.Aveva un sistema di catalogazione molto preciso, nulla affidato al caso, tutto ingabbiato in protocolli a prova di manomissioni. Numeri e codici secondo logiche ordinate, fotografia di una casa archivio teatro due giorni fa di un nuovo sopralluogo. È la casa di Giuseppe Savarese, poliziotto laureando in psicologia, sostituto commissario in forza alla Dia, tecnico di provata esperienza, grande accusato nell’inchiesta sulla presunta centrale di spionaggio clandestino, sull’asse Napoli-Roma. Dopo l’ultimo blitz, va avanti lo spulcio di pratiche e documenti, mentre è stata affidata una maxiperizia a un consulente tecnico d’ufficio per svelare eventuali segreti dai computer sequestrati. Ne sono tredici, possono contenere - tra steccati creati ad hoc da gente esperta in campo informatico - la chiave di volta di un’inchiesta che ipotizza l’esistenza di una gang finalizzata a manomissioni, violazioni, intrusioni nella vita degli altri. Ma cosa viene fuori dall’ultimo blitz in casa Savarese?

Dall’analisi del «cartaceo», emergerebbe che mancano alcune pratiche: seguendo la numerazione, sembra che qualcosa è sparito nel corso degli ultimi mesi, a partire dall’arresto del sostituto commissario. Accertamenti in corso, indaga la Dda dell’aggiunto Rosario Cantelmo, con i pm Enzo D’Onofrio, Raffaello Falcone e Pierpaolo Filippelli. Inchiesta in corso, a partire da un paio di premesse che vale la pena ribadire sempre: il sostituto commissario Giuseppe Savarese e gli altri colleghi indagati (ce ne sono altri due alla Dia di Napoli, uno in Procura, due a Roma, senza contare un disoccupato amico di Savarese) vanno considerati innocenti fino a prova contraria. Il caso non è chiuso, tutte le persone coinvolte potranno replicare alle accuse nel corso del procedimento.

Vicenda complessa, che vede il capo della Dia Maurizio Vallone agire in piena sintonia con la Procura per isolare eventuali illegalità. Il resto riguarda le ipotesi al vaglio degli inquirenti. L’ultima si basa sulla presunta scomparsa di pratiche, di fascicoli cartacei nel lungo elenco di documenti riscontrato in casa Savarese: chi ha fatto sparire quelle carte? E cosa contenevano? Domande che rimandano a un altro tassello della «spy story» napoletana: quando Savarese venne interrogato per la prima volta in Procura, qualcuno entrò nel suo appartamento, rovistò negli atti e si mise al computer.

Probabile - è questa l’ipotesi degli inquirenti - che qualcuno abbia coperto le spalle all’agente, facendo sparire carte ritenute scottanti, annullando file e tracciati telematici, chiudendo gli sbocchi a un’inchiesta che stava decollando dopo mesi di gestazione. Un’ipotesi, nulla più. Al momento suffragata da una perizia di un tecnico che ha accertato la presenza di qualcuno al computer di Savarese proprio mentre il sostituto commissario era in Procura, al cospetto dei pm. Nessuno si sbilancia, ma c’è un sospetto: quello di un possibile legame tra il gruppo Savarese e le falle che hanno scandito la storia giudiziaria recente.

Qualche esempio: il suicidio di Nugnes, l’assessore «informato» dell’esistenza di una inchiesta sul suo conto da un impiegato comunale, a sua volta proprietario di una casa data in fitto a Savarese; e le grandi fughe di notizie che hanno colpito le indagini sugli appalti del sistema sicurezza napoletano. Vicende per cui non è stato trovato alcun riferimento nelle indagini a carico di Savarese e dei suoi presunti complici. Nulla di concreto, dunque, solo qualche sospetto: qualcuno ha portato via, in extremis, atti dalla casa della presunta talpa Dia?

martedì 19 gennaio 2010

E' morto il giornalista Mimmo Iacono


Lutto nel giornalismo agrigentino
E' morto il giornalista Mimmo Iacono


Grave lutto nel giornalismo agrigentino.
E’ morto prematuramente, stroncato da una grave malattia, l'amico Mimmo Iacono, 43 anni, brillante giornalista professionista, autore di numerose pubblicazioni, gia’ Direttore di Tv Europa e segretario provinciale dell’Assostampa, impegnato in uno stage al Corriere della Sera ci ha privato dell’affettuosa presenza e della cortese professionalità dell’AMICO giornalista Mimmo Iacono che a soli 43 anni è venuto a mancare nel cuore della notte all’ospedale di Agrigento dove da tempo si trovava ricoverato.







Cum philosophus philomathes

Brillante professionista, ricco di voglia di vivere, aveva lavorato per numerose testate. Esprimo a nome proprio e della mia famiglia sentite condoglianze alla moglie Erika, ai figli Ivan, Jacopo e Julia ai genitori, al fratello Aldo, ai familiari tutti e a quanti soffriranno per questa prematura scomparsa. I funerali di “Mimmo” Domenico Claudio Iacono, si svolgeranno domani a Sant’Angelo Muxaro città d’origine della famiglia. La perdita di un grande amico che lascerà un grande vuoto ciao Mimmo.

Angelo Vaccaro Notte

Traffico di rifiuti pericolosi Nord-Sud


Traffico di rifiuti pericolosi Nord-Sud
diretto da boss campano: dieci arresti


MILANO (19 gennaio) - Un'altra organizzazione specializzata nel traffico illecito di rifiuti pericolosi è stata sgominata in Lombardia dai carabinieri del Gruppo Tutela Ambiente che, dalle prime ore di oggi, sta eseguendo in regione 10 provvedimenti restrittivi, una quarantina di perquisizioni, sequestri di sette aziende, e decine di mezzi, oltre ad aree e impianti di stoccaggio di rifiuti. Nell'operazione sono impegnati circa 200 militari dell'Arma del Gruppo Tutela dell'Ambiente di Treviso, con il sostegno dei carabinieri dei Comandi provinciali di Varese, Monza, e Milano e del 2/0 E il nucleo di Orio al Serio (Bergamo).

Gli ordini di custodia cautelare sono stai emessi dal gip Nicoletta Guerrero, su richiesta del pm Sabrina Ditaranto del tribunale di Busto Arsizio (Varese). Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, falsità documentale e riciclaggio.

A capo dell'organizzazione un campano legato alla famiglia siciliana di Giuseppe Onorato, più volte arrestato (l'ultima nel luglio 2008) per riciclaggio in Lombardia di denaro appartenente a cosche mafiose.

Tra gli indagati anche vertici locali di alcuni istituti bancari compiacenti. L'organizzazione, secondo quanto accertato dai carabinieri, operava attorno ad un sito di Fagnano Olona (Varese), noto come 'La Valle', formalmente adibito a ricovero di mezzi, ma di fatto utilizzato illecitamente come base di stoccaggio e trattamento di rifiuti pericolosi.

Processo Spartacus, brindisi al Plebiscito per festeggiare le condanne


Processo Spartacus, brindisi al Plebiscito
per festeggiare le condanne


NAPOLI (19 gennaio) - Un brindisi per festeggiare le condanne e gli ergastoli a carico dei sedici esponenti del clan dei Casalesi; striscioni «Stato 16 - camorra 0» per manifestare il pieno sostegno alla magistratura. È così che Napoli ha voluto ribadire il suo no alla criminalità organizzata.

Lo ha fatto con un'iniziativa che si è svolta oggi in piazza del Plebiscito e per la quale gli organizzatori sostengono di aver ricevuto anche delle intimidazioni. Oltre un centinaio di persone si sono presentate con bottiglie di champagne, spillette anticamorra e striscioni per brindare in pubblico alla sentenza della Cassazione emessa nell'ambito del processo Spartacus.

Ad organizzare l'evento sono stati un gruppo di cittadini, imprenditori, studenti ed associazioni. «Noi ci mettiamo la faccia contro la camorra - spiegano l'ex assessore Francesco Emilio Borrelli e lo scrittore Maurizio De Giovanni, tra gli organizzatori - e vogliamo esporci in prima persona perché ci siamo stancati di omertà e connivenze sui nostri territori. Ci avevano addirittura sconsigliato di fare l'iniziativa o di coprirci il volto per non essere identificati. Noi invece vogliamo urlare a tutta l'Italia che c'è una Napoli che disprezza i camorristi e che gioisce se vengono arrestati e condannati».

«Noi vogliamo lanciare una nuova stagione di impegno civile contro i clan sopratutto adesso che si apriranno le "guerre" di successione - hanno concluso- questo è il momento in cui il governo dovrebbe mandare seriamente l'esercito in determinati territori campani».

Palermo "Mafiosi farete tutti questa fine"







"Mafiosi farete tutti questa fine"

PALERMO - Manifesti con le foto dei boss Gianni Nicchi e Domenico Raccuglia in manette e la scritta "Farete tutti questa fine" rivolta ai mafiosi ancora in libertà sono comparsi stamani in varie zone di Palermo, soprattutto davanti le scuole e le facoltà universitarie.

L'iniziativa è della Giovane Italia, il movimento giovanile del Pdl (ex An), che ha voluto così simbolicamente augurare buon compleanno a Paolo Borsellino, il magistrato assassinato nella strage di via D'Amelio, di cui oggi ricorre l'anniversario della nascita.

Stamattina il movimento Giovane Italia presenta nell'aula Rostagno del comune di Palermo un documento con alcune proposte "per colpire definitivamente Cosa Nostra", tra cui "vietare la candidatura per chi è in odore di mafia, l'istituzione del seggio unico per bloccare il controllo del voto e la creazione di presidi permanenti delle forze dell'ordine nei quartieri a rischio".

lunedì 18 gennaio 2010

Napoli, talpe Dia: spiate dagli 007 fuorilegge anche due aziende



Napoli, talpe Dia: spiate dagli 007 fuorilegge anche due aziende

NAPOLI (17 gennaio) - Anche due aziende erano finite nel mirino di indagini clandestine. Una ha gli uffici in una lussuosa strada di Chiaia, l’altra invece ha a che vedere con i cantieri impiantati a Bagnoli.
È questa una delle ipotesi battute dagli inquirenti, nel corso delle indagini sulla presunta rete di 007 clandestini.
Tredici computer da passare al setaccio, decine di potenziali testimoni da ascoltare nel corso di una vicenda che vede al momento coinvolti poliziotti della Dia e un agente del nucleo di polizia giudiziaria in forza alla Procura di Napoli. In tutto, al momento, ci sono sette agenti indagati, che devono difendersi dall’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’illecita interferenza nella vita privata e all’accesso abusivo nel sistema informatico. Un presunto «sistema» di intelligence illegale, in grado di mettere al servizio del migliore offerente informazioni segrete sulla vita di cittadini comuni. Informazioni - spiegano i pm del pool anticamorra - raccolte illegalmente, grazie a mezzi e know-how che dovrebbero essere messi al servizio dello Stato.

Si parte da alcuni spunti investigativi, come il «tariffario» trovato in casa di Giuseppe Savarese, il sostituto commissario Dia in cella dallo scorso ottobre, nel corso delle indagini su appalti e malaffare. Esplicito un manoscritto sequestrato: 2400 euro per un sopralluogo in un’azienda di Chiaia, 3300 per un report in quel di Bagnoli. Probabile che si tratti di compensi per indagini su spionaggio industriale, secondo l’ipotesi del pool guidato da Rosario Cantelmo e dai pm Enzo D’Onofrio, Raffaello Falcone e Pierpaolo Filippelli.

Ma ci sono altri elementi ancora da approfondire: tanto che in queste ore la Procura ha deciso di iscrivere nel registro degli indagati anche due imprenditori. Si tratta di due probabili committenti di indagini clandestine. Erano interessati al lavoro svolto da aziende concorrenti e tra gli atti finiti sotto sequestro c’erano anche profili aziendali, orari di lavoro e curriculum acquisiti dai competitors. Messi con le spalle al muro, di fronte a intercettazioni e filmati su mandati specifici, non hanno potuto far altro che ammettere le accuse. Ora rispondono di concorso negli stessi reati del presunto gruppo di Savarese, associazione a delinquere, indagini e accessi illeciti.

Poi ci sono i casi di infedeltà coniugale, come il caso di una donna filmata 35 volte all’ingresso di un albergo. In queste ore è stata anche identificata la presunta vittima della lunga attività di spionaggio: la donna ha riconosciuto la sua voce in una delle tante intercettazioni nelle clip audio finite sotto sequestro. Ora è pronta a testimoniare nel corso di un probabile processo contro la presunta gang degli 007 clandestini. Inquietanti, anche i dati cronologici: Savarese avrebbe agito dal 2001, quanto basta ad accumulare dati riservati sulle vite di tantissimi ignari cittadini.

Sott’accusa, anche gli agenti della Dia di Napoli Davide Di Paoli e Catello Coppola; l’agente in forza alla Procura Domenico Salemme; due sottoufficiali di pg in servizio a Roma; e il disoccupato Antonio Marcello Migliore, indicato come amico dello stesso Savarese. Ma i nodi da sciogliere sono altri. Come facevano a controllare tabulati e traffico telefonico dei propri clienti? Domanda inevitabile, dal momento che nel tariffario sequestrato ci sono dei riferimenti economici su importi finiti a gestori di telefonia mobile: «Omissis 2.500; intestazioni telefoniche 300 euro; 35 euro ad ora per operatore».

A cosa si riferiscono gli appunti di Savarese sequestrati? Possibile - è l’ipotesi investigativa - che ci fossero impiegati disonesti pronti a fornire tabulati al gruppo guidato da Savarese, anche se non si esclude una seconda possibilità: quella di utilizzare per fini privati fascicoli legalmente aperti. Interventi mirati, formalmente corretti, inseriti in fascicoli su delicate indagini in corso in questi mesi a Napoli. Nodi da sciogliere, accertamenti a stretto giro, mentre si attende la decisione del Riesame sulla richiesta di scarcerazione di Savarese, avanzata dai legali Francesco Cioppa e Dario Russo.

sabato 16 gennaio 2010

Casalesi, processo Spartacus La Cassazione conferma 16 ergastoli


Casalesi, processo Spartacus
La Cassazione conferma 16 ergastoli


Processo Spartacus, la Cassazione:
carcere a vita per i boss di Gomorra.
Saviano: «I clan si possono battere»


ROMA

A quindici anni dal primo blitz contro i Casalesi cala il sipario su Spartacus, il maxiprocesso contro la più potente cosca della camorra. Stasera la prima sezione della Corte di Cassazione, dopo una camera di consiglio di quattro ore, ha emesso il suo verdetto. Una sentenza che non fa sconti e che chiude una pagina tra le più cruente della storia criminale del nostro Paese.

Diventano così definitivi i 16 ergastoli inflitti a boss e luogotenenti: Francesco Schiavone, detto Sandokan, il capo indiscusso, il suo (ormai ex) braccio destro Francesco Bidognetti, soprannominato Cicciotto è mezzanotte, e i due boss latitanti che avrebbero acquisito in questi anni il ruolo di reggenti dell’organizzazione, ovvero Antonio Iovine e quel Michele Zagaria che si fece costruire la villa sul modello di quella di Scarface interpretato da Al Pacino. Il processo Spartacus, dal nome dello schiavo che capeggiò la rivolta contro l’Impero romano e che nelle intenzioni dagli inquirenti anti-mafia doveva simboleggiare la ribellione allo strapotere della cosca, racconta soprattutto una lunga catena di omicidi avvenuti tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta.

Delitti, spesso portati a termine con la tecnica della lupara bianca, compiuti allo scopo di acquisire il potere all’interno del clan, rimarcare il predominio nella gestione degli affari illeciti e ridurre alla ragione quegli alleati che aspiravano ad accrescere il proprio ruolo entrando in conflitto con i capi storici. L’inchiesta dalla quale è scaturito il dibattimento, sulla scorta delle rivelazioni di diversi pentiti tra i quali Carmine Schiavone, ha consentito di svelare i segreti della potente cosca: si parte dal momento cruciale che è l’eliminazione del capo carismatico, Antonio Bardellino, ucciso in un agguato in Brasile (il cadavere non è stato mai ritrovato) e si prosegue con l’ascesa ai vertici dell’organizzazione del gruppo capeggiato da Francesco Schiavone, noto come Sandokan e con il successivo conflitto con le fazioni che tentavano di ostacolare il predominio dei camorristi di Casal di Principe, come i De Falco e i La Torre. Scontri generati dall’obiettivo di esercitare il controllo degli affari illegali gestiti da quella che è stata definita «camorra imprenditrice», che converte cioè in attività apparentemente lecite (come l’edilizia e il commercio del calcestruzzo) i proventi delle estorsioni e altri reati.

Un processo che ha incontrato non pochi ostacoli: il solo dibattimento di primo grado, davanti ai giudici della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, è durato sette anni. Gli ergastoli sono stati confermati dalla Corte di Cassazione, che ha accolto le richieste del pg Mario Fraticelli anche nei confronti di Giuseppe Caterino, Mario Caterino (latitante), Cipriano D’Alessandro, Giuseppe Diana (latitante), Enrico Martinelli, Sebastiano Panaro, Giuseppe Diana, Francesco Schiavone, detto ’Cicciariellò, Walter Schiavone, Luigi Venosa, Vincenzo Zagaria e Alfredo Zara. Il processo riguardava varie accuse tra cui associazione mafiosa, omicidio, porto abusivo d’armi e estorsione, tutte confermate dal verdetto della Suprema Corte. I Casalesi incassano oggi una pesante sconfitta, ma la partita per l’affermazione della legalità nel Casertano non è affatto chiusa. Negli ultimi tempi infatti la cosca, decimata dagli arresti e dalla decisione di collaborare con la giustizia di altri boss e gregari, appare in cerca di nuovi equilibri ma non affatto rassegnata a deporre le armi.

Per decenni le attività di questo clan, dalla struttura e dalla mentalità più mafiosa che camorristica (che preferiva agire sotto traccia rinunciando per quanto possibile ad azioni eclatanti, tipiche invece della fazione stragista di Giuseppe Setola, anch’egli finito in manette), sono state gestite al riparo dai «riflettori». L’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sui Casalesi si è accesa improvvisamente solo in seguito al successo planetario del libro "Gomorra" di Roberto Saviano, in cui le imprese criminali del clan costituiscono il fulcro della narrazione. L'autore del libro ha espresso parole di soddisfazione: «Le condanne definitive dimostrano che la camorra non è imbattibile». «Spero che questo sia solo l’inizio e non la fine di una battaglia necessaria» ha detto Saviano. «Bisogna ricordare che i reati per i quali la Corte ha confermato le condanne emesse dai giudici del merito risalgono al 1996, quindi si è fatta giustizia per il passato - sottolinea Saviano - ma per il presente e per il futuro la strada è ancora lunga. Tuttavia, è anche su questa pronuncia definitiva che dovrà costruirsi l’azione di contrasto alle mafie, che solo attraverso il diritto potranno essere sconfitte».

venerdì 15 gennaio 2010

Il pentito Vara presente in tribunale: “Ecco perchè avvenne la strage di San Giovanni Gemini”


Il pentito Vara presente in tribunale: “Ecco perchè avvenne la strage di San Giovanni Gemini”

Ciro Vara, il collaboratore di giustizia di Vallelunga Pratameno, è arrivato al tribunale di Agrigento con tre poliziotti in borghese che lo scortavano. In pochi, fra i corridoi, avranno sospettato che quell’anziano distinto, in passato era un killer di mafia reo confesso del sequestro del piccolo Di Matteo. Ieri mattina ha deposto al processo sulla strage di San Giovanni Gemini. Il 29 settembre del 1981 in un bar furono uccisi il presunto boss Calogero Pizzuto (detto Gigino) e due avventori del locale assaltato dal commando mafioso, Michele Ciminnisi e Vincenzo Romano. “Pizzuto – ha detto Vara “circondato” dai poliziotti – è stato ammazzato dopo che non si presentò alla convocazione della commissione di Cosa Nostra. Nell’assalto al bar restarono uccisi due innocenti”. In video collegamento ci sono i tre imputati. Gli ex capi dei capi Totò Riina e Bernardo Provenzano e l’ex “cassiere” Pippo Calò. “Eravamo in piena guerra di mafia – racconta ancora Vara – e Pizzuto era entrato in contrasto con la corrente corleonese per via della vicinanza col gruppo di Bontade e Inzerillo. Vincenzo Privitera un giorno mi disse che doveva essere ucciso. All’epoca era a capo del mandamento di Castronovo di Sicilia anche se viveva a San Giovanni Gemini. Si era allontanato dalla Sicilia per un mese, ormai era in aperto contrasto con l’ala di Cosa Nostra riconducibile a Riina. Cercava solo un pretesto – dice ancora Vara – per farlo uccidere e lo trovò quando non si presentò alla convocazione della commissione”. Il 16 febbraio sarà interrogato il pentito Salvatore Facella, ultimo teste dei pubblici ministeri Giuseppe Fici e Adriano Scudieri. Nessun teste della difesa, subito dopo si passerà alla requisitoria.

giovedì 14 gennaio 2010

Catania sgominato un traffico di droga


Catania sgominato un traffico di droga

CATANIA - Una vasta operazione antidroga della polizia di Stato è in corso dalla notte scorsa in cinque regioni italiane. Oltre 400 agenti, con l'ausilio di reparti cinofili ed elicotteri, stanno eseguendo ordini di carcerazione per 84 indagati tra la Sicilia, la Campania, l'Emilia Romagna, il Piemonte e il Veneto.

Il blitz fa seguito alle indagini della squadra mobile della Questura di Catania che hanno permesso di sgominare tre diverse organizzazioni criminali tra loro rivali che gestivano un esteso traffico di sostanze stupefacenti.

Sono complessivamente 83 gli ordini di carcerazione emessi dai tre Gip di Catania (Caruso, Mirabella e D'Arrigo) per traffico di droga. Per undici di loro sono stati disposti gli arresti domiciliari. Ad un 84/o indagato è stato imposto l'obbligo di firma. Tra le città interessate dall'operazione, oltre Catania, ci sono Napoli, Venezia, Caserta, Forlì, Ferrara e Biella. Secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile della questura del capoluogo etneo, le tre presunte organizzazioni agivano separatamente e in concorrenza tra loro.

Avrebbero avuto anche legami con esponenti della criminalità organizzata e in particolare con affiliati del clan Cappello, della cosca dei Cursoti milanesi presenti nel rione Lineri di Catania e della 'famiglia' Santapaola. Durante l'operazione, coordinata dalla Dda della procura di Catania, e denominata Ouverture, sono stati eseguiti anche sequestri preventivi di beni patrimoniali, compresa una villa privata del capoluogo etneo e diverse auto.

Napoli gli spioni dentro l'Antimafia


Napoli gli spioni dentro l'Antimafia

Napoli, scoperta centrale illecita: intercettazioni e controlli abusivi
ANTONIO SALVATI

NAPOLI

Adesso sarà interessante capire chi veniva spiato, perché e soprattutto per conto di chi. Perché dell'esistenza di una struttura all'interno della Direzione investigativa antimafia di Napoli in grado di raccogliere informazioni sulla vita privata di alcune persone i magistrati sospettavano da tempo. E con le perquisizioni ordinate ieri gli inquirenti della Procura di Napoli hanno ottenuto già i primi riscontri.

Tutto parte l'estate scorsa, esattamente il 14 agosto, quando uno degli uomini in servizio alla Dia partenopea scopre che in un'area non protetta del sistema informatico è stata creata una cartellina con all'interno dei file riguardanti le nuove indagini nate dall’inchiesta Magnanapoli, che rivelò i rapporti tra l'imprenditore Alfredo Romeo e diversi esponenti della giunta comunale di Napoli.
Le notizie coperte da segreto erano relative a presunte irregolarità negli appalti inseriti nel cosiddetto Piano Sicurezza a Napoli e in provincia. Per l'amministratore del sistema informatico ricostruire il percorso dei dati fu un gioco da ragazzi. Venne individuato anche il computer e il giorno in cui fu avviato quel tipo di lavoro. E in quella data era in servizio un sostituto commissario, 45 anni, allontanato qualche mese prima proprio dal gruppo ribattezzato Fedra, che indagava appunto sulla vicenda Global Service.

Facciamo un passo indietro: Giorgio Nugnes, l'assessore comunale morto suicida nel 2008 dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta nata in seguito agli scontri scoppiati dopo l'apertura della discarica di Pianura, fece alcune confidenze a un colonnello dell'Arma. L'uomo politico temeva di essere finito nel mirino della magistratura che indagava su una delibera per l'appalto della manutenzione delle strade cittadine. Parlò di un impiegato comunale in rapporti con un uomo della Dia in grado di fargli ascoltare anche le intercettazioni telefoniche a suo carico.

Le forze dell'ordine indagarono sul dipendente del Comune di Napoli e scoprirono che un appartamento intestato a quest'uomo venne affittato in passato proprio al sostituto commissario in servizio alla Dia che, a scanso di equivoci, fu allontanato dal gruppo investigativo che si occupava di quella delicata inchiesta. Poi la scoperta dei file segreti violati e i magistrati Falcone, D'Onofrio e Filippelli decisero di convocarlo e di sottoporlo ad interrogatorio, alla fine del quale fu arrestato e accusato di accesso abusivo ai sistemi informatici della Procura per acquisire informazioni riservate sulle indagini in corso.

Ma già all'epoca i magistrati ebbero la sensazione dell'esistenza di una più ampia rete di soggetti coinvolti in quella vicenda. Da qui alle perquisizioni di ieri il passo è breve: l'ipotesi investigativa è che all'interno della Dia ci fosse una vera e propria centrale di spionaggio in grado di operare in maniera stabile per conto di chiunque potesse mettersi in contatto con essa. Un sodalizio composto da alcuni agenti che acquisivano notizie riservate e svolgevano attività di investigazioni illecite per conto di privati. Con tanto di foto, video e pedinamenti. Che naturalmente avevano un costo, visto che durante i controlli sarebbe stato sequestrato una sorta di «tariffario» che era in possesso di uno degli agenti coinvolti nell'inchiesta.

Si farebbe riferimento anche a una tariffa di 50 euro all’ora relativa a un pedinamento. Gli inquirenti ipotizzano il reato di associazione per delinquere finalizzata alla interferenza illecita nella vita privata e all'accesso abusivo al sistema informatico. E fino a tarda sera negli uffici del procuratore aggiunto Rosario Cantelmo sono state interrogate le quattro persone che hanno subito le perquisizioni: si tratta di un altro sostituto commissario della Dia di Napoli, di un agente di polizia e di due cittadini.

mercoledì 13 gennaio 2010

Blitz contro la droga dello sballo


Blitz contro la droga dello sballo

PALERMO - Oltre 100 carabinieri del comando provinciale di Palermo sono stati impegnati, dalle prime ore del mattino, in un'operazione antidroga. I militari stanno eseguendo otto misure cautelari emesse, dal gip, a carico di una banda di trafficanti e spacciatori.

Il blitz, denominato "Walt Disney", è l'epilogo di una complessa attività investigativa su un'organizzazione criminale i cui componenti, per comunicare, usavano soprannomi collegati ai personaggi dei cartoni animati: Paperino, Pippo, Pluto.

Le indagini hanno interessato una vasta area della provincia occidentale di Palermo e hanno portato alla scoperta di un esteso traffico di ecstasy da distribuire nei pressi dei locali notturni diffusi lungo il lungomare. Al vertice dell'organizzazione c'era un giovane di 29 anni di Carini, incensurato, che gestiva, insieme a un ragazzo di 24 anni di Palermo il traffico di ingenti quantitativi di pillole di ecstasy dalla Germania all'Italia.

Le pasticche viaggiavano a bordo di Tir, nascoste in scatole di caramelle imballate in grosse confezioni destinate alla vendita all'ingrosso. La distribuzione sul territorio, presso i principali locali notturni, avveniva anche attraverso pusher adolescenti.

Per il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, Teo Luzi "l'operazione Walt Disney è l'ulteriore dimostrazione di come purtroppo l'ecstasy si stia diffondendo tra i giovani. Dalla scorsa estate in Sicilia si è registrato un notevole incremento nello spaccio di questo tipo di stupefacente, soprattutto nella fascia giovanile 16-22 anni".

"Il fenomeno - continua - che da diversi anni è presente nell'Italia centro-nord si sta ora diffondendo anche nella nostra provincia, in alternativa all'uso di marijuana, hashish e cocaina. Gli arresti eseguiti in queste ore sono solo l'epilogo di attività condotte a partire dalla scorsa estate, quando la stazione carabinieri di Terrasini, recuperò oltre 2.000 pasticche destinate ad essere spacciate nei pressi di discoteche del litorale".

"Le indagini - spiega - evidenziano che lo stupefacente proviene dal nord Europa, in particolare dalla Germania e Olanda, e viene venduto al dettaglio a basso prezzo. Una pasticca di ecstasy costa sui 10 - 20 euro ma (il costo di produzione non supera i 50 centesimi). L'ecstasy viene ceduta in genere sotto forma di compresse colorate su cui è impresso un nome o disegni originali (ad esempio una mezzaluna, un cuore, un delfino) che le contraddistingue sul mercato e ne indica i differenti effetti".

Queste le persone arrestate: Alessandro Bono, 30 anni; Salvatore Castigliola, 25 anni; Gaetano Garofalo, 26 anni; Francesco Conigliaro, 29 anni; Emanuele Barone, 28 anni; Vanessa Martello, 25 anni; Giuseppe Ganci, 22 anni e Giampiero Papavero, 19 anni.
Tredici persone sono state, invece, denunciate.

"Dell'Utri trattò dopo mio padre"


"Dell'Utri trattò dopo mio padre"

Dalle carte di Ciancimino jr nuove accuse: «Favorì l’accordo fra Stato e mafia»

FRANCESCO LA LICATA
ROMA
Ci furono diverse fasi della «trattativa» fra Stato e mafia. Una iniziale, condotta da Vito Ciancimino che «parlava» a distanza con Totò Riina, attraverso il contatto del medico-boss Nino Cinà.

In questa delicata operazione l’ex sindaco di Palermo veniva «assistito» da due consiglieri d’eccezione: l’amico Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, e il misterioso «signor Franco», uomo dei servizi che non si perdeva una sola tappa di quella inquietante vicenda. Poi la «trattativa» cambiò connotazione e personaggi, fino a giungere alla fase finale, caratterizzata dalla cattura del capo di Cosa nostra, Totò Riina, e dalla comparsa di un nuovo «mediatore» che Massimo Ciancimino - teste della Procura di Palermo - identifica nel senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri.

Questa la sintesi della montagna di carte depositate ieri nel processo sulla cosiddetta «mancata cattura di Provenzano», che vede imputati il generale Mori («non perquisì il covo di Riina per un precedente accordo con mio padre») e il colonnello Obinu. Ma non è, la «trattativa», il solo argomento trattato nei ventinove interrogatori confluiti nel dibattimento. Massimo Ciancimino, che alla fine di dicembre ha goduto di uno sconto di pena nel processo d’appello che lo vede imputato di riciclaggio, ha parlato di tangenti, di politici ed ha offerto anche una rilettura di alcuni dei grandi misteri del passato.

Ciò che colpisce di più, scorrendo le sue deposizioni, è il racconto della decennale frequentazione del padre con Bernardo Provenzano e col fantomatico «sig. Franco», di cui sostiene di non sapere l’identità ma che riconoscerebbe, se glielo mostrassero. Il famigerato «Papello» di Totò Riina, con le richieste che la mafia avanzava allo Stato per far cessare le stragi, dopo l’attentato di Capaci, Vito Ciancimino lo ricevette direttamente dall’emissario Cinà, ma immediatamente lo sottopose a Provenzano e a Franco, presenti anche quando si preparava una controproposta più accettabile della lista di Cosa nostra che lo stesso Provenzano riteneva «irricevibile» per l’enormità delle pretese.

E poi c’è la spiegazione della corrispondenza fra Provenzano e Vito Ciancimino, portata avanti con il collaudato sistema dei «pizzini» che Massimo riceveva spesso dalle mani del boss corleonese, quando il padre e l’amico latitante non riuscivano a incontrarsi per intuibili impedimenti. Chi è il «sen.» indicato su uno degli ultimi bigliettini recapitati a don Vito? Massimo, all’inizio cerca di svicolare, chiede addirittura se si può avvalere della facoltà di non rispondere, poi, costretto, dice: «E’ il sen. Dell’Utri, me lo ha detto mio padre. L’unico, secondo lui, in grado di scavalcarlo nella gestione della trattativa». E a Dell’Utri, secondo Ciancimino jr., era indirizzata la lettera minacciosa con la quale si chiedeva a Berlusconi di «mettere a disposizione una rete televisiva».

Una richiesta, «di amici di Provenzano di avere spazio, di voler dire la loro». E perché? Perché il «destinatario finale era irriconoscente, si stava scordando di certe situazioni». Il destinatario chi? «Il dott. Berlusconi». In quel pizzino si parla anche del «nuovo presidente» - secondo Massimo Ciancimino -, l’ex governatore Cuffaro in qualche modo impegnato attraverso il suo partito a «spingere» per l’amnistia, nel pizzino di Provenzano a don Vito definita «la sua sofferenza». Un lavoro politico corale rivolto a sostenere leggi favorevoli alla mafia, di cui Provenzano sembra essere addirittura il regista capace di mobilitare forze, sempre a sentire la versione del giovane Ciancimino.

Anche sull’origine dell’imprenditore Berlusconi il teste dà una versione che si intuisce faccia riferimento a soldi della mafia (Stefano Bontade ed altri) confluiti a Milano, nella seconda metà degli Anni Settanta. Ma la deposizione è interrotta da un corposo omissis. E le tangenti ai politici? Si parla di somme «consegnate da Romano Tronci all’onorevole Enrico La Loggia» (ex ministro di Forza Italia, ndr) e di 250.000 euro «personalmente consegnate al senatore Carlo Vizzini», che ha querelato Massimo Ciancimino, spiegando che quella cifra era il risultato di un precedente investimento nell’azienda del Gas del prof. Lapis. In chiusura, gli antichi misteri: Mattarella ucciso per un non meglio precisato scambio di favori tra terroristi e boss mafiosi, come spiegarono a Vito Ciancimino i soliti Provenzano e Franco.

E poi la mafia «mobilitata» «attraverso mio padre» a intervenire per «non fare liberare Aldo Moro», come da input dei vertici della Democrazia cristiana. Ma la novità più sorprendente riguarda il mistero dell’aereo caduto a Ustica. Ricorda Massimo: «Mio padre fu mobilitato dal ministro Ruffini e dai servizi e la tragedia fu motivata con un errore dell’aviazione francese che abbattè il Dc9 per errore».

Rosarno, Maroni al Senato: 'Lo Stato in Calabria c'è e non darà tregua alla 'ndrangheta'


Rosarno, Maroni al Senato: 'Lo Stato in Calabria c'è e non darà tregua alla 'ndrangheta'

Informativa del ministro dell'Interno sui disordini tra extracomunitari e residenti nella cittadina calabrese, dopo il colpo inferto oggi al clan Bellocco. Illustrato il piano d'azione del Viminale: monitorare l'applicazione della Bossi Fini, combattere il lavoro nero e ogni forma di criminalità


Le 17 ordinanze di custodia cautelare eseguite questa mattina a Rosarno contro il clan Bellocco e il sequestro di beni per decine di milioni «sono la prova che lo Stato in Calabria c'è, continuerà ad esserci e non darà tregua alla 'ndrangheta». Lo ha affermato il ministro dell'Interno Roberto Maroni oggi al Senato aprendo l'informativa sui fatti di Rosarno, durante la quale ha illustrato il piano d'azione per contrastare «l'immigrazione clandestina, il lavoro nero e ogni forma di criminalità».

Ricostruendo la dinamica dell'accaduto, il ministro dell'Interno ha voluto per prima cosa sottolineare la tempestività dell'intervento delle Forze dell'ordine, che ha consentito di arginare la situazione. Questa prontezza ha permesso allo stesso ministro di improntare immediatamente una linea d'azione, costituendo una task force con il compito di trovare soluzioni per fronteggiare l'emergenza e, soprattutto, affrontare nel medio-lungo periodo lo stato diffuso di degrado sociale che ha rischiato di trasformarsi in un problema di sicurezza pubblica.

Oltre a fornire informazioni e dati, Maroni ha analizzato le cause della tensione tra immigrati e abitanti del posto sfociata negli scontri. I fatti di Rosarno, secondo il ministro «rendono evidenti le conseguenze negative che derivano dall'immigrazione clandestina, presupposto dello sfruttamento e serbatoio di manodopera per la criminalità organizzata».

È proprio su questo fronte, ha ribadito Maroni, che si sta concentrando l'azione di Governo, sia sul piano operativo (42.595 i rimpatri effettuati negli ultimi 2 anni) che, soprattutto, della prevenzione. L'attuazione degli accordi con la Libia, principale Paese di transito dei flussi migratori dall'Africa sub-sahariana, ha consentito di ridurre gli sbarchi del 90% rispetto al 2008, e di svuotare i centri di accoglienza come quello di Lampedusa, che ha raggiunto in passato picchi di 2.000 ospiti.

Per combattere gli intrecci tra criminalità e immigrazione illegale non servono nuove leggi, è la convinzione del ministro, ma bisogna piuttosto applicare la Bossi-Fini, che lega l'ingresso dei citadini stranieri in Italia al possesso di un contratto di lavoro stabilendo un principio ripreso dalle più evolute legislazioni europee, da ultimo da quella spagnola.

La maggior parte degli immigrati coinvolti nelle manifestazioni di Rosarno, infatti, ha ricordato Maroni, è in possesso di un regolare permesso di soggiorno, ma non di un'altrettanto regolare posizione lavorativa. È dunque fondamentale, ha detto il ministro al Senato, portare avanti contemporaneamente «una capillare attività di contrasto ai fenomeni dell'illegalità e dello sfruttamento del lavoro nero nel settore agricolo», con l'intensificazione dei controlli ispettivi.

L'azione della Task force: coinvolto per la prima volta l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti
La Task force costituita l'8 gennaio scorso dal ministro Maroni ha disposto il giorno stesso dell'insediamento presso la prefettura di Reggio Calabria il trasferimento di un primo gruppo di extracomunitari presso il Centro di accoglienza di Crotone, e ha chiesto, prima iniziativa di questo tipo mai adottata, all'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti l'invio di un'equipe medica per esaminare la situazione igienico-sanitaria delle strutture dove vivevano gli immigrati. Il gruppo operativo ha inoltre incontrato le principali organizzazioni umanitarie per organizzare il più rapidamente possibile il trasferimento degli immmigrati, a tutela della loro sicurezza.

Gli extracomunitari coinvolti, tra loro nessun egiziano: trasferite con il loro consenso 748 persone verso i centri di Bari e Crotone.
Sono 748 in totale i cittadini stranieri trasferiti volontariamente verso i centri di accoglienza di Bari (320) e Crotone (428). Circa 330 stranieri con regolare permesso di soggiorno si sono allontanati con mezzi propri o con i treni verso altre destinazioni.

martedì 12 gennaio 2010

Mafia Arresti Eccellenti 2009

Mafia Arresti Eccellenti 2009




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Catania, duro colpo al clan Cintorino


Catania, duro colpo al clan Cintorino

CATANIA - Un duro colpo è stato inferto dalla Procura di Catania al clan Cintorino. I carabinieri stanno eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 32 presunti appartenenti alla cosca che opera nella riviera ionica, ai confini tra Calatabiano e Taormina. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono traffico di droga ed estorsione.

L'inchiesta si è avvalsa della collaborazione con personale investigativo e giudiziario spagnolo. Secondo l'accusa la cosca si occupava di delitti contro la persona, estorsioni sulle attività imprenditoriali e commerciali, nonché del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti.

In particolare al clan sono state contestate dodici estorsioni e dalle indagini è emersa l'esistenza di un vasto traffico di droga tra Sicilia, Spagna e Colombia.

Nel corso dell'operazione sono stati sottoposti a sequestro preventivo 26 immobili, tra terreni e fabbricati, 40 tra autocarri, autovetture e motoveicoli, 19 tra società e imprese individuali, per un valore complessivo di alcuni milioni di euro.

Gli arresti sono stati eseguiti con il massiccio impiego di un centinaio di ufficiali, militari e mezzi aerei, di entrambe le forze di polizia delegate.

Gela, sgominato un traffico di droga


Gela, sgominato un traffico di droga

GELA (CALTANISSETTA) - Un'organizzazione di trafficanti di droga, che operava tra Gela e le province di Catania, Palermo, Mantova, Milano, Brescia e Frosinone, è stata sgominata dalla Guardia di Finanza, che ha eseguito 36 ordini di custodia cautelare emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Andrea Catalano.

Sono tutti accusati di associazione mafiosa finalizzata al traffico di stupefacenti. I militari impegnati nel blitz in varie regioni italiane sono complessivamente 120. Grazie alle relazioni familiari degli indagati, spiegano gli investigatori, la banda poteva contare su un vasto tessuto organizzativo che disponeva di risorse finanziarie ingenti, di mezzi e di una struttura quasi aziendale con varie specializzazioni che andavano dall'importatore internazionale al trafficante all'ingrosso, al venditore al dettaglio, al pusher.

Al vertice dell'organizzazione familiare, che ha ispirato agli inquirenti il nome dell'operazione antidroga "Family Market", c'erano anche tre donne. In due anni di indagini (dal 2005 al 2007), coordinate dalla Dia di Caltanissetta, le "fiamme gialle" hanno sequestrato varie partite di droga, tra cui 250 grammi di eroina (in parte occultata in ovuli ingoiati dai pusher), numerosi automezzi usati dagli indagati nella loro attività e hanno approfondito gli accertamenti miranti alla confisca dei beni illecitamente acquisiti.

L'ELENCO DEGLI ARRESTATI. Le 36 persone arrestate sono: Luigi Agnello, 50 anni, di Catania; Aurelio Areddia, 38 anni, di Gela; Donata Evelina Barbagallo, 49 anni, di Gela; Fabio Berti, 35 anni, di Catania, detenuto nel carcere di Palmi in Calabria; Modesto Bilardo, 40 anni, di Piazza Armerina, già agli arresti domiciliari; Riccardo Bilardo, 37 anni, di Piazza Armerina; Crocifisso Di Gennaro, 29 anni, di Gela; Rosario Giacchi, 41 anni, di Gela; Alfio Di Marco, 40 anni, di Gela; Gianluca Fiore, 26 anni, di Catania; Giuseppe Giappone, 57 anni, di Palermo, già detenuto nel carcere del capoluogo isolano; Maurizio Giappone, 33 anni, di Palermo; Manuel Ieva, 29 anni, di Gela, già agli arresti domiciliari; Vincenzo Ieva, 26 anni, di Gela; Concetta Liardo, 38 anni, di Gela; Concetta Lucchese, 50 anni, di Gela; Salvatore Mendola, 54 anni, di Palermo già detenuto nel carcere di Erice; Luigi Mineo, 44 anni, di Aci Castello, già agli arresti domiciliari; Giovanni Palermo, 52 anni, di Gela; Benito Peritore, 35 anni, di Gela, già detenuto nel carcere di Caltagirone; Giacomo Peritore, 32 anni, di Gela, già detenuto a Caltagirone; Maurizio Peritore, 26 anni, di Gela, già sorvegliato speciale; Angelo Platania, 35 anni, di Catania, già affidato in prova ai servizi sociali; Davide Prados Ruiz, 26 anni, di Gela; Massimo Trainito, 36 anni, di Gela; Antonino Camiolo, 26 anni, di Gela; Paolo Gandini, 29 anni, di Castiglione delle Stiviere, Mantova; Eddine Salah Kahlouch, 29 anni, marocchino residente a Castiglione delle Stiviere; Luigi Nenna, 26 anni, di Torre del Greco (Napoli) residente a Castiglione delle Stiviere; Francesco Onofrio, 48 anni, di Marcedeusa (Catanzaro) residente a Castiglione delle Stiviere, già detenuto nel carcere di Frosinone; Leando Paterna, 30 anni, di Palermo residente a Castiglione delle Stiviere e detenuto a Bergamo; Ignazio Cocchiara, 34 anni, di Niscemi; Ezio Paterna, 25 anni, di Palermo residente a Montichiari (Brescia).

Sono stati invece sottoposti agli arresti domiciliari: Vincenzo Cannizzo, 32 anni, di Gela; Luciano Ieva, 56 anni, di Gela; Crocifissa Liardo, 28 anni, di Gela.

L'ordine restrittivo non è stato infine notificato ad Antonino Centauro, 50 anni, di Catania, perché si trova in Slovacchia, e a Valentina Liardo, 25 anni, di Gela, in quanto ha un figlio minorenne.

A Rosarno arresti per 'ndrangheta


A Rosarno arresti per 'ndrangheta

Gli inquirenti frenano: nulla a che
vedere con la rivolta degli immigrati
ROSARNO (CALABRIA)
È in corso a Rosarno una operazione deLla squadra mobile di Reggio Calabria per l’esecuzione di 17 ordinanze di custodia cautelare contro altrettanti presunti affiliati alla cosca Bellocco della 'ndrangheta.

L’operazione viene condotta in collaborazione con la squadra mobile di Bologna è non ha nulla a che vedere con gli incidenti accaduti nei giorni scorsi a Rosarno legate alle presenze degli immigrati. Agli arrestati viene contestato il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Eseguito anche un sequestro di beni per alcune centinaia di migliaia di euro. L’operazione prende spunto da un’indagine della polizia che nel luglio scorso aveva portato all’esecuzione di alcuni fermi nei confronti di affiliati all’ ’ndrangheta che avevano realizzato una base operativa criminale a Bologna e in altri centri dell’Emilia Romagna.

Le indagini hanno accertato l’appartenenza degli indagati alla ndrangheta di Rosarno e in particolare all’associazione mafiosa dei Bellocco che esercita il potere criminale in quel comune e nel territorio della Piana di Gioia Tauro avvalendosi della forza di intimidazione che scaturisce dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che, da sempre, caratterizzano il territorio, attuando un capillare controllo di ogni aspetto della vita, specie pubblica ed economica, affermatasi nel corso del tempo. Tra i destinatari delle misure cautelari figura il boss detenuto Carmelo Bellocco, al quale viene contestato il ruolo di direzione dell’associazione, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni delittuose da compiere, degli obiettivi da perseguire e delle vittime da colpire, impartendo direttive alle quali tutti gli altri associati danno attuazione.

Nel corso dell’operazione la polizia ha proceduto al contestuale sequestro preventivo di beni mobili e immobili, attività commerciali, conti correnti, ditte individuali e societarie ed autovetture per un valore complessivo di svariati milioni di euro.

lunedì 11 gennaio 2010

Mafia:l'industria del crimine


Mafia:l'industria del crimine

Prima di iniziare a scrivere questo articolo, mi sono chiesta: "ma cos'è la mafia? Cosa Nostra? Quando è nata? Chi la contrasta?" documentandomi qui e lì, sono riuscita a farmi un quadro generale. Occorre dire che il termine "mafia" viene usato quando si indica un'associazione malavitosa, originariamente siciliana, più precisamente Cosa Nostra. Questa è nata nel diciannovesimo secolo, basandosi sulla mancanza di fiducia nello Stato, sulla corruzione, su attività illecite. Inizialmente veniva addirittura negata la sua esistenza, e fu solo a partire dagli anni Sessanta che le autorità iniziarono ad indagare. Solo nel 1982 venne introdotto il reato di associazione mafiosa nel codice penale. La mafia è così potente non solo per le attività illecite che la riguardano, ma per il potere che ha acquisito: tra alleanze, e collaborazioni anche con funzionari dello Stato, e con l'appoggio di una parte della popolazione, Cosa Nostra si è assicurata un'ottima garanzia d'esistenza, che non è tuttavia invincibile. In tanti hanno cercato di porre fine all'illegalità della camorra, a volte sacrificando la loro stessa vita per la legge. Una vittima della mafia fu Accursio Miraglia, nato in provincia di Agrigento, (1896-1947), sindacalista e presidente della Camera del lavoro a Sciacca. Dopo il diploma iniziò a lavorare in banca a Milano, ma venne licenziato per "contrasti di natura politica": i colleghi non sopportavano la sua continua ricerca di giustizia ed uguaglianza, e le lotte a fianco degli operai. Ma le iniziative di Accursio Miraglia furono tante: fondò la prima Camera del Lavoro di Sciacca, che servì da esempio per i nascenti sindacati, in un epoca nella quale la terra era in mano ai mafiosi. Aiutò parte della popolazione durante la seconda guerra mondiale, fornendo materie prime allora vietate agli artigiani affinchè potessero svolgere il proprio lavoro. L'opera più significativa però, fu la fondazione della cooperativa "Madre Terra", tutt'oggi molto importante, che conta circa mille soci con una superficie di duemila ettari coltivata ad ulivi. Venne ucciso il 4 gennaio 1947, per mano della mafia. Altre vittime di Cosa Nostra furono i fratelli Vaccaro Notte: tornati dalla Germania (dove vissero per alcuni anni), con il denaro risparmiato avviarono un'impresa di pompe funebri, che però creò concorrenza ad un'impresa di altri due fratelli, ritenuti vicini a Salvatore Fragapane, capoprovincia di Cosa Nostra. Un imprenditore edile invitò Vincenzo e Salvatore Vaccaro Notte ad un compromesso con un gruppo mafioso locale (la Cosca dei Pidocchi) che i due fratelli coraggiosamente rifiutarono. Vincenzo venne ucciso il 3 novembre 1999. Salvatore non solo continuò l'attività di pompe funebri, ma indagò sulla morte del fratello con un memoriale. Il 5 febbraio 2000 venne ucciso. Angelo, il terzo fratello, cercò l'aiuto delle forze dell'ordine. Nel 2006 le indagini portarono all'arresto di noti mafiosi, incolpati anche di corruzione politica e traffici di armi e droga. Un ruolo fondamentale nella resistenza a Cosa Nostra va attribuito anche ai pentiti mafiosi, senza i quali clamorose alleanze tra il potere legale e quello illegale, politici e uomini di Cosa Nostra. Il primo pentito, Tommaso Buscetta, ex boss mafioso, fece importanti testimonianze riguardo le strutture e le regole della mafia: una tra le principali è l'omertà, l'implicito dovere di tacere, rivolto a tutti. Centinaia di commercianti, dopo un anno, hanno ammesso d'essere minacciati da squadre di picciotti: non solo pizzi pagati in silenzio per anni, temendo lo "sgarro", ma anche incendi e bombe. Alcuni esempi: "Prima mi hanno detto: Diventiamo soci al 30%. Poi mi hanno alzato il prezzo, e alla fine si sono impadroniti di tutto". "Sono un farmacista. Ho subìto 4 rapine, poi mi è arrivata una telefonata anonima. Mi hanno costretto ad assumere un ex-detenuto che mi fa da guardia". La mafia non solo rapina costantemente negozi, ma impone ai cittadini di comperare un prodotto invece di un altro, o di rivolgersi ad una certa ditta piuttosto di un'altra. Ma ora la gente sta reagendo: la voglia di abbattere questo muro che divide la legalità dall'obbligo del silenzio è presente, anche se è necessaria una maggiore fiducia nelle istituzioni, e una maggiore presenza dello Stato.

Istituto Liceo Statale Giorgio Dal Piaz
Data inserimento 11/01/2010 18.58.11
Regione VENETO
Provincia Belluno
Comune Feltre

Omicidio nelle campagne del Palermitano


Omicidio nelle campagne del Palermitano

Nicolò Romeo è stato ucciso tra Corleone e Monreale. Indagini aperte


PALERMO- Un uomo di 72 anni, Nicolo' Romeo, e' stato assassinato lungo la strada provinciale tra Corleone e Monreale (Palermo).
La vittima, secondo le prime ricostruzioni dei carabinieri della sezione investigativa scientifica e del Gruppo Monreale, sarebbe stata affiancata dagli assassini mentre era alla guida della sua auto, una Volkswagen Tuareg. I killer gli hanno sparato colpendolo in faccia. Romeo ha perso il controllo dell' auto, che e' finita prima contro un palo della Telecom, poi contro la parete di una casa rurale.
Le profonde ferite al volto, completamente devastato, inducono il medico legale e i militari dell'Arma a supporre che i sicari abbiano usato un fucile.
La vittima aveva un piccolo precedente per omessa denuncia di arma da fuoco risalente al 1998. Nato ad Altofonte, Romeo viveva da anni a Palermo.
La presenza del cadavere all'interno del veicolo e' stata segnalata ai carabinieri da una telefonata anonima. L'uomo, al momento dell'agguato, era solo.
L'inchiesta e' coordinata dal pm della direzione distrettuale antimafia di Palermo Marzia Sabella. fratello di Nicolo' Romeo, ucciso nel pomeriggio nel corleonese, nel 1997 venne fatto sparire col metodo della lupara bianca. L'uomo si chiamava Pietro Romeo ed era un imprenditore.
Il particolare, insieme alle modalita' dell'agguato in cui e' stato ucciso Nicolo' Romeo, inducono gli investigatori a ritenere che quello di oggi sia un omicidio di mafia.Uno dei fratelli di Nicolo' Romeo, l'anziano ucciso nel pomeriggio nel corleonese, e' citato in un pizzino indirizzato al boss Bernardo Provenzano, ritrovato, il giorno del suo arresto, nel covo del capomafia.
La vittima era titolare, insieme ai fratelli, di un noto mangimificio che ha la sede principale a Palermo e uno stabilimento a poca distanza dal luogo dell'assassinio.
Nel bigliettino si chiedeva al padrino di intercedere perche' fosse fatto a uno dei Romeo uno sconto sul pizzo. Dalla lettera emergeva che l'imprenditore, fratello della vittima, fosse 'raccomandato' dal boss palermitano Nino Rotolo.
Un altro dei fratelli dell'anziano ucciso, Pietro, e' rimasto vittima della lupara bianca nel 1997.
Gli investigatori non hanno dubbi sulla matrice mafiosa dell'agguato che definiscono 'molto inquietante'. Le indagini sono condotte dai carabinieri del Gruppo di Monreale e coordinate dalla dda di Palermo.