venerdì 26 luglio 2013

Mafia, ok dei pm alla revoca del 41 bis a Provenzano

 
 
PALERMO. Le procure di Palermo, Caltanissetta  e Firenze hanno dato parere favorevole alla revoca del 41 bis  per il capomafia Bernardo Provenzano. Il parere, che ora andrà  al ministro della Giustizia, che decide sulle applicazioni del  regime carcerario duro, era stato sollecitato dal legale del  boss.

Alla base dei pareri c'è la  costatazione che le condizione di salute di Provenzano, non più  in grado di interloquire in modo compiuto, vanificherebbe lo  scopo del 41 bis che è quello di impedire ai capi mafia di dare  ordini e mantenere rapporti con i mafiosi in libertà. 

I pareri delle tre procure, competenti in quanto loro era la  proposta di applicazione del carcere duro, sono stati inviati al  dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che istruirà il  procedimento che verrà poi sottoposto al ministro della  giustizia, titolare a disporre i provvedimenti di applicazione  del carcere duro.

LEGALE DI PROVENZANO: IL PARERE DEI PM E' CONFORME ALLA LEGGE. «Le Procure hanno deciso sulla base di un'istanza che io ho fatto a febbraio dopo avere visionato le perizie che stabilivano l'incapacità di Provenzano. 

Quello dei pm è un parere adottato in base alla legge e tranne se si modifica il codice non credo si possano fare obiezioni». Così l'avvocato Rosalba Di Gregorio, legale del boss Bernardo Provenzano, ha commentato il parere favorevole alla revoca del 41 bis per il capomafia dato dai pm di Caltanissetta, Firenze e Palermo. 

«D'altro canto - ha aggiunto il legale - nel nostro Paese un doppio canale detentivo non è costituzionale. Il 41 bis va applicato ai soggetti socialmente pericolosi. Provenzano è in
stato semi-vegetativo e non credo possa ritenersi tale».

Mafia, archiviazione respinta: nuove indagini su Schifani



PALERMO. Il gip di Palermo, Piergiorgio Morosini, ha respinto la richiesta di archiviazione dell'indagine per concorso esterno in associazione mafiosa a carico del capogruppo del Pdl al Senato, Renato Schifani, fatta dalla procura. Il giudice ha ordinato ai pm di fare nuove indagini.
Con un provvedimento di dieci pagine il giudice ha motivato l'esigenza di ulteriori approfondimenti investigativi e ha stabilito in 120 giorni il termine entro il quale i pm dovranno compierli. Morosini ha sostenuto che, tra l'altro, e' necessario approfondire l'inchiesta sui presunti rapporti tra il senatore e gli uomini del mandamento mafioso di Brancaccio e ha indicato sette pentiti da interrogare.

SCHIFANI: SARÀ CONFERMATA MIA ESTRANEITÀ. "Gli approfondimenti istruttori disposti dal Gip non potranno che confermare la mia totale estraneità a  rapporti collusivi con esponenti mafiosi": lo afferma il capogruppo del Pdl al Senato, Renato Schifani, commentando quanto disposto dal gip di Palermo.
"Dopo tre anni di indagini sulla mia persona - sostiene - mi sarei aspettato che il Gip avesse accolto la motivata richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo e ribadita in udienza. Tuttavia, come ho già dichiarato, gli approfondimenti istruttori disposti dal Gip non potranno che confermare la mia totale estraneità a rapporti collusivi con esponenti mafiosi".
"Del resto, i collaboratori di giustizia indicati dal Gip nella sua ordinanza di integrazione di indagine, nel corso di tutti questi lunghissimi anni, hanno reso numerosi interrogatori e sottoscritto protocolli di collaborazione nei quali non hanno mai fatto riferimenti alla mia persona", conclude.

BERLUSCONI: "SICURO DELLA SUA ESTRANEITA'" - «Sono sicuro che sarà accertata la sua totale e incontrovertibile estraneità a qualsiasi accusa».  Così Silvio Berlusconi, leader del Pdl, sulla decisione assunta dal gip di Palermo  

Mafia, 51 arresti tra Roma e la Sicilia


Nella maxi-operazione della polizia nella capitale sono stati individuati esponenti considerati dagli investigatori “i 'sancta sanctorum' del crimine romano e siciliano”. Colpiti i clan Fasciani, Triassi e D'Agati

 
 
 
ROMA. Cinquantuno arresti della Squadra mobile di Roma nei confronti di un'associazione di stampo mafioso che da anni aveva il controllo delle attività illecite sul litorale della Capitale. L'operazione antimafia è considerata una delle più vaste condotte dalla polizia a Roma.
Nella maxi-operazione della polizia nella capitale sono stati individuati esponenti considerati dagli investigatori “i 'sancta sanctorum' del crimine romano e siciliano”. Colpiti i clan Fasciani, Triassi e D'Agati, che da anni si sono spartiti il malaffare soprattutto sul litorale.
La lunga indagine condotta dalla Squadra Mobile di Roma ha consentito di fornire elementi alla Procura della Repubblica, per contestare ed individuare l'esistenza di un'associazione di stampo mafioso nella Capitale.
Il lavoro svolto dagli agenti ha permesso di seguire tutti i passaggi criminali dei vari affari delle organizzazioni: dall'ingresso di un nuovo appartenente agli accordi tra i capi per la spartizione del territorio, alle riunioni per dirimere le controversie sorte nella gestione del territorio. Ma anche la pianificazione di omicidi o tentati omicidi necessari per garantire e ripristinare la supremazia su qualsiasi attività.

"LEGAME INSCIDIBILE CON COSA NOSTRA". Per quasi un ventennio due gruppi criminali, appartenenti ai clan Fasciani e Triassi, hanno intrattenuto affari a Roma e si sono spartiti il territorio in una sorta di 'pax mafiosa', in base alle quale tutti potevano tranquillamente gestire i loro illeciti traffici. E' quanto emerge dalle indagini della Squadra Mobile della Capitale, che hanno portato all'arresto di 51 persone a Roma.
Sono state quindi colpite le intere famiglie dei Fasciani: in manette sono finiti il capo indiscusso Carmine e i fratelli Giuseppe e Terenzio Nazzareno. Tra i Triassi sono stati arrestati Vito e Vincenzo, appartenenti alla nota famiglia mafiosa dei Cuntrera-Caruana, che da anni si erano trasferiti ad Ostia mantenendo un legame inscindibile con Cosa Nostra siciliana. Della cupola mafiosa faceva parte anche un altro appartenente a Cosa nostra, da anni stanziatosi ad Ostia, considerato il terzo anello del gruppo di comando dell'organizzazione.

'Ndrangheta, 65 arresti tra professionisti e boss

In manette anche politici, indagato parlamentare

 di STEFANIA PAPALEO

CATANZARO - Terremoto giudiziario in Calabria con 65 arresti e decine di indagati eccellenti tra politici, imprenditori, avvocati, medici e appartenenti alla Polizia penitenziaria, nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Catanzaro a carico di boss e picciotti della 'ndrangheta lametina e di una serie di professionisti ritenuti collusi con i clan. "Perseo" il nome in codice dato all'operazione, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli (LEGGI IL COMMENTO DEL PROCURATORE) e dal sostituto procuratore antimafia Elio Romano, che hanno chiesto e ottenuto dal gip distrettuale Abigail Mellace l'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 65 persone (GUARDA L'ELENCO DEGLI INDAGATI)
 
LA POLITICA COINVOLTA NELL'INCHIESTA. Tra le persone arrestate l'ex consigliere provinciale e attuale vice presidente della Sacal, Giampaolo Bevilacqua, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di estorsione nei confronti di un commerciante che avrebbe costretto a cedergli delle tute da ginnastica da mandare ad alcuni detenuti in carcere (LEGGI LE ACCUSE A BEVILACQUA). Nella rete sono finiti anche professionisti insospettabili e un noto parlamentare calabrese, il senatore Piero Aiello, nei cui confronti è stata rigettata la richiesta di arresto avanzata dalla Dda. In particolare, per il parlamentare di centrodestra, l'accusa contestata è quella di voto di scambio in relazione alle elezioni regionali del 2010 (LEGGI LE ACCUSE AD AIELLO).

 
Una operazione di vaste proporzioni quella messa a segno dalla Dda di Catanzaro che ha portato in carcere personaggi di primo piano come l'ex consigliere provinciale di Catanzaro Giampaolo Bevilacqua. Tra gli indagati anche un parlamentare per il quale non è scattato l'arresto. Ipotesi di reato è associazione per delinquere di stampo mafioso
 
 
CATANZARO - Terremoto giudiziario in Calabria con 65 arresti e decine di indagati eccellenti tra politici, imprenditori, avvocati, medici e appartenenti alla Polizia penitenziaria, nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Catanzaro a carico di boss e picciotti della 'ndrangheta lametina e di una serie di professionisti ritenuti collusi con i clan. "Perseo" il nome in codice dato all'operazione, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, e dal sostituto procuratore antimafia Elio Romano, che hanno chiesto e ottenuto dal gip distrettuale Abigail Mellace l'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 65 persone, tra cui l'ex consigliere provinciale e attuale vice presidente della Sacal, Giampaolo Bevilacqua, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di estorsione nei confronti di un commerciante che avrebbe costretto a cedergli delle tute da ginnastica da mandare ad alcune detenuti in carcere. Nella rete sono finiti anche professionisti insospettabili e un noto parlamentare calabrese, nei cui confronti è stata rigettata la richiesta di arresto avanzata dalla Dda. In particolare, per il parlamentare, che risulta essere di centrodestra, l'accusa contestata è quella di voto di scambio.
 
CONTESTATE VARIE ESTORSIONI E L'ASSOCIAZIONE MAFIOSA. Associazione a delinquere di stampo mafioso l'ipotesi di reato contestata a gran parte degli indagati dagli inquirenti che, al termine delle indagini sfociate nel blitz di oggi, hanno ritenuto di far luce anche su diversi omicidi verificatisi in una cruenta guerra di mafia che, tra il 2005 ed il 2011, ha lasciato numerose vittime sul campo, a Lamezia Terme. Centinaia gli episodi estorsivi nei confronti di attività imprenditoriali e commerciali ricostruiti nelle carte messe insieme dai poliziotti della Squadra mobile, agli ordini del vice questore Rodolfo Ruperti, nel corso di una dirompente indagine che avrebbe messo a nudo anche lo stratagemma adottato dalla cosca Giampà per finanziare gli acquisti di armi e stupefacenti, nonché per garantire il pagamento degli stipendi ai numerosi affiliati. Ed è qui che entrano in ballo i professionisti coinvolti nell'inchiesta, presunti protagonisti di un vorticoso sistema di truffe assicurative, andato avanti grazie ad una lunga e collaudata catena di complicità che si sarebbe avvalsa della collaborazione di un gruppo composto da assicuratori, periti, carrozzieri, medici e avvocati, operanti sul territorio di Lamezia Terme. Un sistema-truffe che avrebbe portato nelle casse della cosca, ogni anno, milioni di euro di cui beneficiavano anche i professionisti colpiti dal blitz. Ad uno degli avvocati arrestati è stato contestato anche lo scambio elettorale politico-mafioso in quanto avrebbe finanziato la cosca Giampà attraverso un suo autorevole referente per ottenere voti alle elezioni amministrative del Comune di Lamezia Terme del 2010. I dettagli dell'operazione saranno meglio illustrati questa mattina alle 11,30 durante una conferenza stampa presso la Questura di Catanzaro, alla presenza dei vertici della Procura Distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore Vincenzo Antonio Lombardo.

Arcidiocesi di Palermo: sospensione "a divinis" per padre Nuvola




PALERMO. Don Aldo Nuvola è stato sospeso a divinis: lo rende noto l'Arcidiocesi di Palermo commentando il caso del sacerdote fermato dai carabinieri con l'accusa di induzione alla prostituzione minorile.

Il provvedimento è stato preso - spiega la nota - «tenuto conto del fatto che il prete non ha ottemperato a quanto disposto - anche per motivi legati, a suo dire, alle condizioni
di salute e alla necessità di sottoporsi ad un trattamento chirurgico - e in considerazione degli sviluppi delle attuali indagini che hanno evidenziato la reiterazione del reato».

«Don Aldo Nuvola - prosegue - era stato invitato a presentare le dimissioni dalla carica di
insegnante di religione il 4 ottobre 2008 non appena avuta notizia della denuncia per atti osceni in luogo pubblico e a dimettersi da parroco della parrocchia Regina Pacis nel dicembre 2008, allorquando si era avuta la notizia di un procedimento nei suoi riguardi per molestia nei confronti di un giovane di 17 anni».
«Inoltre - continua - gli era stato intimato di soggiornare presso la Casa 'Il Cenacolo' dei Padri Venturini a Barcellona Pozzo di Gotto per un periodo di riflessione e di
accompagnamento spirituale e psicologico. Successivamente è stato stabilito che seguisse un percorso organico e ben strutturato della durata di almeno due anni, che mirasse al consolidamento della maturità umana, affettiva e sacerdotale presso una struttura protetta».
L'Arcidiocesi fa sapere che «nei confronti del sacerdote è già da tempo in corso la procedura canonica per la definizione del caso, non escludendo la dimissione dallo stato clericale e la dispensa dagli obblighi del celibato».
«La comunità diocesana, rimanendo ferita e sgomenta riguardo alle notizie riportate dai mezzi di comunicazione che svelano certamente una personalità fortemente disturbata del sacerdote, - conclude -  esprime in pari tempo vicinanza e solidarietà nei confronti delle vittime di inqualificabili forme di abuso e a quanti hanno sofferto e soffrono per tali incresciosi fatti».
on Aldo Nuvola è stato sospeso a divinis: lo rende noto l'Arcidiocesi di Palermo commentando il caso del sacerdote fermato dai carabinieri con l'accusa di induzione alla prostituzione minorile.

Fotovoltaico abusivo 16 rinvii a giudizio per impianto a Brindisi



BRINDISI – Il gup di Brindisi, Valerio Fracassi, ha rinviato a giudizio sedici persone imputate a vario titolo di lottizzazione abusiva (per l’illecito frazionamento), abusi edilizi, falsi e violazioni ambientali, nell’ambito di un procedimento che riguarda la realizzazione di quattro parchi fotovoltaici dalla potenza complessiva superiore a 10 mw alla periferia di Brindisi, nei pressi all’area Sin (Sito di interesse nazionale) e della riserva naturale delle Saline di punta della Contessa.
Gli imputati sui quali ha indagato il procuratore aggiunto Nicolangelo Ghizzardi sono pugliesi, toscani, siciliani, umbri e spagnoli, imprenditori, tecnici e professionisti, dovranno comparire dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Brindisi il 6 dicembre prossimo. Tra questi ci sono l'imprenditore Paride De Masi, nato a Casarano e residente a Melissano, Simone Azzini, direttore tecnico dei lavori, e Javier Ignazio Ledesma Romero, nativo di Malaga, già coinvolto in altre inchieste analoghe. Diverse le società coinvolte, tra cui la Girasole srl, la Photos srl, la Geos srl.
Le persone coinvolte sono accusate a vario titolo di aver realizzato, nel 2011, impianti di potenza superiore a 1 megawatt senza l’autorizzazione unica regionale, suddividendolo "artificiosamente" in due, pur facente capo alla medesima proprietà, proseguendo comunque i lavori nonostante il Comune di Brindisi avesse imposto la sospensione. Avrebbero attestato falsamente che non v'erano vincoli ricadenti sulle aree, nonostante vi fosse l’obbligo di caratterizzazione e bonifica perché interne al Sito di interesse nazionale, in cui è stata certificata la presenza di inquinanti. In un altro caso avrebbero violato le autorizzazioni paesaggistiche, proseguendo i lavori vicino a un cosiddetto "corridoio ecologico". Avrebbero infine illecitamente smaltito rifiuti, bruciando ingenti quantitativi di legname, imballaggi e metalli, senza alcun permesso.

Mafia, Palermo: sequestrati beni per oltre 40 milioni di euro


PALERMO. Un sequestro di beni riconducibili alla mafia, dal valore complessivo di oltre 40 milioni di euro, è stato eseguito dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo.

L'operazione arriva dopo aver dato esecuzione, lo scorso 3 luglio, a 26 fermi nei confronti di capi e gregari del mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova e di affiliati ai mandamenti di Brancaccio e Mazzara del Vallo, nonché alla Camorra.

Tra i beni sequestrati, anche l’azienda di macellazione e vendita di carne all’ingrosso, “Oinsicula", nel cui patrimonio aziendale, rientrano gli uffici amministrativi di Via Gallo 46 a Palermo, un unità operativa in via Stazzone sempre a Palermo, una seconda unità operativa a Mezzojuso ed un immobile ubicato nel comune di San Gavino Monreale, in Sardegna.
Va ricordato che l’area di Mezzojuso, che si occupa dell’allevamento, macellazione e  successiva vendita all’ingrosso di ovini, suini e bovini, conta su una forza lavoro di 55 dipendenti, rappresentando di fatto una delle più grandi presenti sul territorio siciliano, con un valore di circa 30 milioni di euro.
L’azienda è riconducibile a Antonino Ciresi, arrestato lo scorso aprile perché ritenuto responsabile dell’estorsione allo chef Natale Giunta e denunciato nell’ambito dell’operazione Alexander in quanto considerato reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.
Seppur fittiziamente intestata a terze persone è stato lo stesso boss, nel corso dei suoi colloqui in carcere con i familiari, a svelare il fatto che proprio lui ne fosse il reale proprietario.

Sequestrati anche il pub Day Just di via Nino Bixio, un gommone modello Led 33 e un’imbarcazione modello Saver 330 sport, una Minicooper Country man e un acquascooter.
Beni, questi, appartenenti a Antonino Seranella, braccio destro di Alessandro D’Ambrogio, formalmente dipendente della Sicil Trinacria Onlus, società fornitrice di servizi partecipata della Regione Siciliana, ma di fatto nullafacente.

Ancora, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo hanno messo i sigilli anche alla società denominata Trioil S.r.l, con sede amministrativa a Trani in Puglia, la cui unità operativa comprende un distributore di carburanti, un bar ed un autolavaggio nel comune di Mrtinsicuro in Abruzzo. Beni riconducibili a Ferro, Alessi, Tagliavia e Scimone ed acquisiti con i proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti.

Inoltre, sono stati sequestrati 200 mila euro fra assegni e contanti.

Catania, 3 anni senza pagare Iva: scoperta evasione da 5 milioni


CATANIA. Rinviava di anno in anno il pagamento dell'Iva occultando i pagamenti ricevuti dagli Enti pubblici o simulando di aver effettuato operazioni commerciali con lo Stato, quando in realtà i suoi clienti erano ditte private. È meccanismo che ha consentito a una società catanese di evadere, dal 2008 al 2011, quasi 5 milioni di euro.
Ispettori della Direzione provinciale dell'agenzia delle entrate etnea hanno contestato l'evasione alla società, che ha presentato istanza di adesione al verbale di verifica, versando la prima parte del proprio debito con il fisco.
La società era riuscita a garantirsi un'evasione milionaria abusando del cosiddetto regime Iva ad esigibilità differita.
Questo sistema, infatti, nato per agevolare le società che intrattengono rapporti commerciali con gli enti pubblici, prevede la possibilità di posticipare il versamento dell'imposta al momento dell'effettivo pagamento dei corrispettivi, anche se l'operazione commerciale è avvenuta ed è stata contabilizzata in anni di imposta precedenti. La società applicava alle operazioni commerciali con clienti privati il sistema di fatturazione e
dichiarazione Iva riservato alle transazioni con enti pubblici, mentre quando il cliente era lo Stato fingeva di non avere mai percepito le somme regolarmente pagate. Con questo doppio stratagemma, è riuscita a evadere in un quadriennio quasi 5 milioni euro, che gli '007' del Fisco sono riusciti però a recuperare.

giovedì 25 luglio 2013

Padre Nuvola, il sacerdote si definiva «professore di baci»


PALERMO. «A solo o tutti e due assieme, come volete si fa, ed io ho quella bella soddisfazione... ogni tanto, ripeto, ogni tanto, perché tu sei zito, quello è zito, io capisco tutte cose, io sono prete, ognuno ha i suoi impegni, ma ogni quindici giorni, una volta al mese, che io anche mi posso organizzare qualche bello regalino bello significativo che io vi posso dare un aiuto bello cattolico e però io mi posso rilassare, si potrà fare questa cosa?». Un po’ parrino, un po’ maestro di vita, «professore di baci», come si definisce lui stesso, «ho 49 anni, potrei essere tuo padre», un po’ amico, un po’ fidanzato. Avrebbe cercato di essere tutto questo, don Aldo Nuvola per i ragazzini coi quali avrebbe consumato rapporti omossessuali in cambio di regali o di un aiuto economico. Al di là dei bei discorsi sulla vita e «sull’amore vero, quello con la A maiuscola, l’amore disinteressato, che non conosce umiliazioni... quando uno ama così non ci si umilia mai ed io non mi sento umiliato per niente, anche se tu sei più piccolo, io sono sempre un parrino e non me lo scordo», dalle intercettazioni dei carabinieri, specie quelle compiute nella Toyota Yaris del sacerdote, emerge un quadro agghiacciante. Squallido. In alcuni casi si sentono chiaramente i rapporti consumati, il suono dei baci. Alcuni ragionamenti su misure e posizioni, odori e sapori, sono irripetibili. A maggior ragione se si pensa che a sostenerli è un prete.

Padre Nuvola, come si deduce dai tanti sms inviati alle sue presunte piccole vittime (cinque quelle che sono già state identificate), avrebbe cercato di essere molto affettuoso e comprensivo. Convincente: «È chiaro che le conoscenze ce l’ho, non ti posso promettere mari e monti - dice a uno degli adolescenti - ma io ho avuto un’educazione, ho studiato, ho un ruolo (...) Non sono cose terrificanti quello che io desidero. A me basta che la persona, chiaramente con l’intimità, con l’esperienza, con il conoscersi, ci spogliamo, ti ripeto, col tempo conoscendoci...». Conoscendosi, secondo padre Nuvola, si sarebbe potuti andare sempre oltre, dal bacio alle carezze, ai rapporti orali. Anche perché in cambio, per questi ragazzini di borgata, tra un funerale e una messa nella cappella della Stazione, ci sarebbero state ricariche telefoniche e buste piene di spesa.

Avrebbe chiesto però «sincerità e affidabilità», «perché di questi tempi un prete con un minorenne... alle 3 di notte... sono c...». E non avrebbe ammesso scorrettezze, appuntamenti saltati o di essere trattato come «un cretino, un bancomat, un limone da spremere». S’infuria quando un ragazzino pretende 50 euro per incontrarlo e si sfoga: «Fai capire che tu veramente non hai il valore dei soldi, mi devi scusare, non capisci neanche il periodo che stiamo attraversando... avrebbe dovuto dirmi: “Caro padre Aldo sei stato già così gentile, visto che già mi hai favorito tanto senza fare un kaiser, ma magari mi sembra brutto dire una cifra, fai tu!” e invece “perché io ci tengo a te, 50”, perché se era un altro gli chiedeva 100? Ma ha lavorato mai? Ha cognizione dei soldi? Vuole fare il gigolò che gli sembra che le persone sono tutte Berlusconi che gli danno mille o 500 euro per una marchetta? Ma tu lo sai quanto mi danno a me per un funerale? Quando io vado al cimitero a fare le sostituzioni? Un funerale dura un’ora, la predica, tutto sistemato, piripì, piripì... sai quanto mi danno? Spara quanto mi danno e io sono laureato, ho due lauree... quanto mi danno per un funerale secondo te, di un’ora? A me, al celebrante, la persona più importante? Venti euro (...) messa, predica, tutto, stare in piedi, stancarmi, l’impegno, sai quanto mi danno? 25 euro... Arriva lui...». E ne pretende cinquanta. SA. FI.

Napoli violenta. Agguato in pieno giorno a Soccavo


Uomo ucciso a coltellate in un garage

L'uomo, un pregiudicato, era ritenuto vicino al clan camorristico Grimaldi, attivo nel quartiere
 

NAPOLI - Agguato in pieno giorno a Soccavo: un uomo è stato ucciso in un garage.

La vittima è Clemente Rubino, di 52 anni, pregiudicato, ucciso a coltellate in via Croce di Piperno. L'uomo era ritenuto vicino al clan camorristico Grimaldi, attivo nel quartiere.

Gli investigatori della Squadra Mobile di Napoli stanno cercando di ricostruire le ultime ore del pregiudicato e di identificarne il ruolo nella nomenclatura della criminalità organizzata dell' area occidentale della città.

La scoperta del cadavere è stata fatta poco prima delle 13.30 in seguito ad una telefonata anonima al 113. La morte risalirebbe a poco prima. Sul posto è intervenuta la polizia scientifica per i rilievi. Le modalità con cui il pregiudicato è stato ucciso lasciano dubbi su un possibile movente di camorra, ma al momento gli investigatori non escludono alcuna pista.

Le 'ndrine controllavano Marina di Gioiosa Jonica

L'ex sindaco Femia condannato a dieci anni

Concluso il processo abbreviato per l'operazione "Circolo Formato" nata da un'inchiesta della Dda di Reggio Calabria che aveva ipotizzato il controllo da parte della cosca Mazzaferro sull'operato dell'amministrazione comunale. Tra le condanne 9 anni anche per un ex assessore. Tra i reati contestati anche l'associazione mafiosa
 
di PASQUALE VIOLI
LOCRI - Dieci anni per l'ex sindaco di Marina di Gioiosa Jonica, Rocco Femia. E' questa la condanna inflitta nell'ambito del processo "Circolo Formato", il dibattimento nato da un'inchiesta della Dda di Reggio Calabria che aveva ipotizzato il controllo da parte della cosca Mazzaferro sull'operato dell'amministrazione comunale di Marina di Gioiosa Jonica guidata dall'allora sindaco Femia. All'ex assessore Vincenzo Ieraci è stata inflitta una pena a 9 anni. 
Queste tutte le decisioni del collegio presieduto da Amelia Monteleone: Cosimo Agostino 14 anni e 3 mesi; Domenico Agostino 21 anni; Fabio Agostino 17 anni; Francesco Agostino 6 anni; Giuseppe Agostino 7 anni; Massimiliano Agostino 7 anni; Rocco Agostino 7 anni; Vincenzo Agostino 9anni e 6 mesi; Giuseppe Aquino 1 anno e 6 mesi; Franco Avenoso 2 anni; Rocco Femia 10 anni; Francesco Ieraci 15 anni e 6 mesi; Vincenzo Ieraci 9 anni e 4 mesi; Salvatore Larosa 1 anno e 6 mesi; Ernesto Mazzaferro 18 anni; Francesco Salvatore Mazzaferro 15 anni; Rocco Piero Mazzaferro 11 anni; Nicola Pignatelli 13 anni e 6 mesi; Giuseppe Tuccio 18 e 2 mesi. Sono stati, invece, assolti: Giuseppe Coco, Salvatore Lucà, Gianluca Manno, Vincenzo Mazzaferro, Arturo Mittica, Vincenzo Primerano, Giuseppe Sfara e Daniele Tassone. Tra i reati contestati, a vario titolo, associazione mafiosa, traffico di droga e turbativa d'asta. 

Esplosivo per un attentato

Paura per il pm Di Matteo
 
Lo ha rivelato un confidente che ha parlato di alcuni incontri fra boss che avrebbero sollecitato anche un attentato. Il dispositivo di sicurezza che riguarda il magistrato del processo Mori è stato portato ora al massimo
 
 

PALERMO. Pronti esplosivo e telecomando per preparare un attentato nei confronti del pm della Dda di Palermo, Nino Di Matteo. Lo ha rivelato un confidente che ha parlato di alcuni incontri fra boss che avrebbero sollecitato anche un attentato.
Il dispositivo di sicurezza che riguarda il magistrato del processo Mori, come rivela il Giornale di Sicilia oggi in edicola, è stato portato ora al massimo, il livello uno, e nella scorta che lo protegge sono entrati tre carabinieri del Gruppo intervento speciale dell’Arma, le teste di cuoio. Tre auto blindate, una quarta a fare da staffetta, gli specialisti, tutti anziani ed esperti, a coordinare le squadre.

Tangenti al comune di Lampedusa


 Condannato l'ex sindaco De Rubeis



AGRIGENTO. La seconda sezione del tribunale di Agrigento ha condannato l'ex sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, a 5 anni e 3 mesi di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per corruzione, induzione alla concussione ed abuso d'ufficio.

Condannati anche l'ex direttore generale del Comune di Lampedusa, Salvatore Caffo e l'ex capo dell'ufficio tecnico Alfonso Averna alla pena di un anno e un mese di reclusione ciascuno (pena sospesa). Assolto l'ex consigliere comunale Santino Brischetto. La sentenza è stata emessa dopo circa tre ore di camera di consiglio. 

Riconosciuto il risarcimento del danno, da quantificare in altra sede, in favore di Legambiente. Il pubblico ministero Luca Sciarretta e l'aggiunto Ignazio Fonzo avevano chiesto la condanna ad 8 anni e 6 mesi di reclusione per De Rubeis, a 6 mesi per Caffo, a 2 anni per l'ex consigliere Santino Brischetto, ed un anno per l'ex capo dell'Utc Averna.

L'inchiesta risale al 2009, a quando alcuni imprenditori che si occupavano dello smaltimento dei rifiuti denunciarono delle pressioni subite e delle richieste di mazzette per ottenere il
pagamento delle spettanze.

«Un processo che è stato un  lungo calvario. La sentenza di primo grado mi condanna a 5 anni  e tre mesi. Sono molto soddisfatto, ringrazio la Madonna di  Porto Salvo, i miei pochi amici rimasti, la mia famiglia e gli  avvocati Silvio Miceli, Vincenzo Caponnetto e Mormino». Lo  scrive, su Facebook, l'ex sindaco di Lampedusa Bernardino De  Rubeis, pochi minuti dopo la lettura della sentenza.  «I pm avevano chiesto una condanna ad 8 anni e 6 mesi per  diversi capi di imputazione - continua De Rubeis - . Assolto per  diversi reati di abuso d'ufficio, assolto per la vicenda acqua  che mi vede imputato anche per danno erariale alla Corte dei  conti. Assolto per il reato di peculato e vicenda canile e  randagismo ed altri reati. Non condannato a risarcimento di  danni ad eccezione di Legambiente. Leggeremo le motivazioni e  andremo in appello. Giustizia è stata fatta - conclude De Rubeis 

martedì 23 luglio 2013

Riciclaggio da 1 mld l'anno a S. Marino

 Per indagine coinvolti 1.500 tra bancari e imprenditori



ROMA (Reuters) - La Procura di Roma ha concluso le indagini preliminari su un presunto riciclaggio da oltre un miliardo di euro l'anno tra l'Italia e San Marino, riferisce oggi una fonte investigativa.
Secondo i primi risultati, circa 1.500 clienti - indicati come industriali, dirigenti di banca e immobiliaristi - consegnavano i soldi, frutto di evasione fiscale, a un gruppo che li depositava a San Marino dopo averli fatti passare per conti di società con sede in alcuni "paradisi fiscali".
La cifra depositata, dice la fonte, ammonta a circa un miliardo di euro l'anno a partire dal 2000.
L'indagine è coordinata dal sostituto procuratore Perla Lori ed è stata condotta dagli agenti del nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza. Sul sito it.reuters.com le notizie Reuters in italiano.

Ciapigate, un imprenditore: «Pagavo pubblicità fasulle»

Il titolare di un’azienda coinvolto nell’indagine sul Ciapi agli investigatori: «Giacchetto lavorava e faceva lavorare». La sua confessione: finanziati programmi mai trasmessi e striscioni piazzati in campi di periferia

 

PALERMO. Pietro Messina, imprenditore nel settore della comunicazione ma anche titolare del ristorante Burro, fa ammissioni in serie.  Messina, indagato della vicenda Ciapigate, titolare di due aziende, la Fmr Team e la Fmr Group, è stato arrestato con altre 16 persone il 19 giugno scorso. Davanti al Gip Luigi Petrucci e ai pm Pierangelo Padova e Maurizio Agnello parla degli acquisti che si facevano con i soldi dell’Unione europea e della Regione: c’erano tra l’altro un programma contro l’alcolismo giovanile, «Non solo alcol», e un’altra trasmissione, «360 gradi». Ma, come si legge nell’articolo di Riccardo Arena sul Giornale di Sicilia, non tutto andava in onda. Al manager Giacchetto toccava la parte più significativa: lui faceva costare tutto di più e aveva diritto al surplus. Tanto, pagava la Regione. Grazie a Giacchetto, dice Messina, «facevo un 70 per cento in più. Partivo da un milione e 200 mila, più il 70... Io penso di avere fatturato 5-6 milioni». Le pubblicità magari nemmeno uscivano, ma «io avevo il progetto approvato dal Ciapi e pagavo...». Intanto,  si scioglie il consiglio di amministrazione di Jumbo Grandi Eventi, società e gruppo al centro della bufera giudiziaria partita da Palermo, con l’inchiesta denominata proprio «Grandi eventi» e gestita dal pool pubblica amministrazione della Procura. Una decisione che azzera il vertice del gruppo, leader in Italia nell’organizzazione di eventi sportivi, istituzionali e «corporate».

"Truffa allo Stato", sequestro da 24 milioni a imprenditore di Palermo



Si tratta di Antonio Fabrizio, titolare della Rts consulting srl. Sotto sequestro un'azienda, quote societarie, beni immobili e disponibilità bancarie

 
 

PALERMO. La Guardia di finanza di Palermo ha sequestrato un'azienda, quote societarie, beni immobili e disponibilità bancarie del valore di circa 24 milioni di euro, nella disponibilità di un imprenditore palermitano di 45 anni, Antonio Fabrizio, titolare della Rts consulting srl, accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato e dell'Unione europea, malversazione, falso e fittizio aumento di capitale sociale. Le indagini hanno riguardato ingenti contributi pubblici, di provenienza sia nazionale, sia comunitaria, ammontanti nel complesso a 5 milioni, di cui 1 già erogato, nel quadro del "Bando industria 2015 - settore innovazione industriale - efficienza energetica", destinati alla realizzazione e messa in opera di un impianto per la produzione di biocombustibili utilizzando gli scarti della lavorazione del legno e i rifiuti organici provenienti dal comparto industriale e agroalimentare. Dagli accertamenti delle Fiamme gialle è emerso che Fabrizio, avvalendosi di documentazione ideologicamente falsa, aveva certificato il possesso di competenze tecnico-scientifiche in realtà inesistenti e dei requisiti economici e finanziari prescritti per l'ammissibilità a finanziamento della domanda di contributo. E aveva inviato falsi curricula del personale che
avrebbe assunto, all'insaputa degli interessati. Le indagini bancarie svolte dalla Gdf hanno poi evidenziato altri falsi: il rappresentante della società non aveva apportato capitali propri, ma aveva posto in essere artificiose operazioni sul conto corrente personale e su quello della società al solo fine di procurarsi la documentazione bancaria per attestare un apporto di capitale proprio, in realtà mai avvenuto. L'anticipazione di un milione di euro per il progetto era stato in parte dirottato su conti correnti personali di Fabrizio. La Procura di Palermo ha sequestrato in via d'urgenza i beni e le disponibilità finanziarie dell'indagato per un valore corrispondente al finanziamento indebitamente percepito, l'intero complesso aziendale, del valore di oltre 22 milioni di euro e le relative quote societarie per oltre 200 mila euro. Il Gip ha convalidato il decreto di sequestro preventivo.

È morto Schoep, il cane che aveva commosso il mondo



La foto di John Unger che tiene tra le braccia un addormentato Schoep nelle acque tiepide del Lake Superior del Wisconsin - l'unica cura naturale in grado di dare sollievo ai fortissimi dolori causati dall'artrite che impedivano di dormire al cane di 19 anni - aveva commosso il mondo. Tanto che sulla pagina di Facebook dedicata a John e Schoep i "like" sono arrivati a quota 290mila. Tra loro anche numerosi donatori, che avevano inviato una somma totale di 25mila euro per aiutare il cane a essere curato. Molti di più dei soldi necessari per alleviare la sua artrite, tanto che John aveva dato vita alla Schoep’s Legacy Foundation, per aiutare i cani di padroni non in grado di affrontare cure costose.
E dopo le cure, l'animale aveva iniziato a migliorare, come spiegato dal medico: "Schoep sta migliorando a vista d'occhio. Con le terapie donate dalle persone è come se il suo orologio biologico fosse tornato indietro di un anno e mezzo".

Guarda anche: L'ultima foto inviata alla moglie prima di morireL'impresa di Yoichiro, scala l'Everest a 80 anni - Viaggio a Kiribati, il paradiso che sta scomparendo

Ma anche se l'artrite era migliorata, restava l'età avanzata di Schoep: 140 anni in termini umani. E così, quasi un anno dopo lo scatto di quella foto che aveva commosso il mondo, Schoep è morto; un mese prima di compiere 20 anni. La triste notizia l'ha data direttamente il suo padrone attraverso la pagina di Facebook: "Io respiro, ma non riesco a riprendere fiato … Schoep è morto…". Come ultimo ricordo, la foto dell'impronta che la sua zampa aveva lasciato sulla sabbia del Lake Superior.

Orrore a Salerno: uccide la madre e la fa a pezzi

Viveva con la madre. L'ha uccisa, sezionata e si preparava a metterla in alcune pentole. Una fuga di gas allerta i vicini
 
Salerno. Un uomo con problemi psichici ha ucciso questa sera la madre a Salerno e l'ha fatta a pezzi. Da quanto si è saputo, l'uomo, di 45 anni, che viveva con la madre dopo averla fatta a pezzi aveva intenzione di metterla in alcune pentole. Brandelli di interiora sarebbero stati ritrovati anche sulla griglia in cucina. L'episodio è avvenuto a Torrione in via Martuscelli.

 La donna di 70 anni, Maria Pia Guaraglia, è stata trovata tagliata a pezzi nella propria abitazione in via Martuscelli, al rione Torrione, a Salerno. I vicini di casa avevano avvertito la polizia, subito intervenuta sul posto. Il figlio della donna, 45 anni, Lino Renzi, sofferente di problemi mentali, è stato condotto negli uffici della squadra mobile per essere interrogato, ma non avrebbe saputo dare alcuna spiegazione di quel che è accaduto. Orrore e raccapriccio alla scoperta del cadavere, tagliato a pezzi, ritrovati in varie parti della casa, tra la camera da letto, il corridoio e la cucina. Lo scempio del cavadavere, secondo i primi rilievi, sarebbe avvenuto in bagno.

Prudenti gli inquirenti. Si vuole valutare anche l'ipotesi che la signora, stroncata da un malore, sia stata sezionata qualche giorno dopo la sua morte. Sono stati i vicini di via Martuscelli a chiamare la polizia. Dalla casa si sprigionava un forte odore di gas.

Napoli. Assenteisti, bimbo faceva il palo. Anche 400 «strisciate» in un mese

Il figlio di uno specialista della truffa usato come sentinella. Il gip scarcera gli indagati: domiciliari o obbligo di firma
 
 
 
di Leandro Del Gaudio
Un po’ spaesato, un po’ incuriosito, a tratti anche divertito. Sta lì in attesa, ogni tanto dà una sbirciata verso i locali che portano all’esterno, poi rivolge lo sguardo al padre: osserva il «lavoro» del genitore che sembra invece darsi un gran daffare, lì con quei cartelli marcatempo, a strisciare sulla scatola magica, quella destinata a segnare l’orario di ingresso di chissà quanti impiegati comunali. Una presenza discreta, quella del ragazzino di undici anni «immortalato» da una telecamera nascosta nel palazzo comunale di piazza Cavour 42 dove di recente sono stati arrestati tredici dipendenti municipali, più una impiegata di Napoli servizi e una sorta di recordman del badge clandestino. Se lo sono chiesti anche gli inquirenti, scorrendo le immagini dopo oltre un mese di osservazione sotto traccia: chi era quel ragazzino?


Stando alla lettura degli atti, lì al centro della scena, intorno alle 7,45 del mattino, c’è anche il figlio di uno degli specialisti nella truffa degli assenteisti seriali.

Finita la scuola, era lì a «far da palo», spaesato, incuriosito, un po’ divertito a vedere il padre che si affatica a «smanettare» con quelle tessere magnetiche. Inchiesta per truffa condotta dal pool mani pulite dell’aggiunto Francesco Greco e del pm Giancarlo Novelli, ieri il primo snodo dinanzi al gip Francesco Cananzi.

Parziali ammissioni da parte di qualcuno, vengono scarcerati tutti i quindici indagati, scattano misure cautelari meno afflittive: dalla cella agli arresti domiciliari Oreste Esposito, il recordman del badge abusivo, ritenuto responsabile di aver marcato oltre quattrocento volte in un mese, favorendo così decine di potenziali fannulloni; obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria invece (due o tre volte alla settimana, a seconda dei casi) per gli altri indagati. L’inchiesta regge, anche se cambia la valutazione delle esigenze cautelari.

Agli atti pesano le immagini raccolte dalla sezione investigativa della polizia municipale. Indagine fortemente voluta dal sindaco De Magistris e dal capo di gabinetto Attilio Auricchio, cosa emerge dopo arresti e interrogatori? Centrale il ruolo di Oreste e Esposito e di una donna. I due - secondo quanto emerge dalle indagini - si sarebbero spalleggiati nella gestione dei clienti, con una scansione di tempi e mansioni da catena di montaggio.

Gli orari, prima di tutto. Sette e un quarto, sette e venti al massimo: compare la sagoma della donna che caccia un pacchetto di tessere magnetiche e dà inizio al lavoro. Poi i documenti vengono nascosti in un cassetto, dove verranno presi da Oreste Esposito, che entra in scena anche tre volte nella stessa giornata: alle 10,30 per la prima pausa pranzo e intorno all’una per il secondo break dal lavoro. Dinanzi al giudice, Esposito si è limitato a un’alzata di spalle, ricordando le proprie condizioni di indigenza, limitandosi a confermare lo stretto necessario.

Diverso l’approccio dei presunti beneficiari, che hanno fornito una versione alternativa (come nel caso dell’impiegato Salvatore Riccio, difeso dal penalista Francesco Paone): hanno ammesso sì di aver affidato i propri badge a qualche professionista del marcatempo, ma hanno anche giurato di essere stati sempre e comunque presenti al lavoro nei giorni attenzionati. Qualche ora di ritardo, niente più - hanno chiarito -, come sarebbe possibile verificare sul registro delle firme al settimo piano del Palazzo di piazza Cavour.

Inchiesta in corso, nel fascicolo i nomi di oltre cinquanta indagati, sono dipendenti comunali in una struttura che ne ospita duecento: uno su quattro è un fannullone? Sarà lo sviluppo delle indagini a chiarirlo, in uno scenario in cui occorre verificare chi ha fatto cosa e chi ha avuto la forza di mettere un bimbo di undici anni a far da palo alla badgiata clandestina.

L'imprenditore e i legami con la cosca Labate

Blitz a Reggio, Dia sequestra beni per 25 milioni

 
 
Nel mirino della Direzione investigativa antimafia è finito un imprenditore edile che avrebbe rapporti con la cosca reggina, dalla quale si sarebbe fatto sponsorizzare per ottenere appalti e quant'altro. Sigilli al patrimonio aziendale di una ditta individuale e a quasi un centinaio di immobili tra appartamenti, villette a schiera, cantine, garages, lastrici solari e terreni e molto altro


REGGIO CALABRIA - Beni per 25 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Reggio Calabria ad un imprenditore edile, Giuseppe Malara, a Reggio Calabria. Malara, 59enne di Reggio e imprenditore operante nel settore edilizio nella zona sud della città, il 25 luglio del 2007 era stato arrestato con altre 37 persone dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, nell’ambito della nota Operazione "Gebbione", le cui indagini avevano consentito di scoprire le infiltrazioni criminali della cosca Labate nelle attività economiche imprenditoriali nella zona-sud della città, in particolare nei quartieri Sbarre e Gebbione.  
E’ stato quindi disposto il sequestro del patrimonio stimato in circa 25 milioni di euro, tra cui figurano, in particolare:il patrimonio aziendale di una ditta individuale con sede in Reggio Calabria operante nel settore edilizio; quasi un centinaio di immobili tra appartamenti, villette a schiera, cantine, garages, lastrici solari e terreni in parte adibiti ad uso personale ed in parte ad uso aziendale siti a Reggio Calabria; tre autovetture; disponibilità finanziarie aziendali e personali ammontanti a circa 500 mila euro. 
Il gruppo otteneva profitti attraverso l’estorsione consistente nel pagamento della classica "mazzetta" e nella fornitura di beni e servizi, da parte di imprese controllate dagli associati, ovvero, attraverso la protezione in favore di imprenditori collusi tra i quali c'era appunto Giuseppe Malara. In quell'occasione la vicenda si era conclusa con l’assoluzione del Malara. Tuttavia l'organo giudicante, nella sentenza, aveva espresso delle riserve nei confronti dell’appaltatore edile definito testualmente: " .. imprenditore abituato a convivere con i mafiosi, dei quali è amico e dai quali si fa blandire, ottenendo in cambio il permesso di svolgere la propria attività lavorativa nel quartiere di Gebbione..". 
In sostanza, dalle indagini la figura del Malara era emersa come di un imprenditore colluso con la cosca locale dei Labate, con la quale aveva instaurato una sorta di relazione clientelare stabile, continuativa e foriera di vantaggi reciproci. Giuseppe Malara, secondo gli inquirenti risulta soggetto appartenente in senso lato ad una cosca della quale può usufruire di un tipo di protezione attiva, fondata non sulla soggezione ma sui legami di fedeltà e motivata dalla prospettiva di un vantaggio economico di tutti gli appartenenti. In particolare il Malara avrebbe portato avanti lavori nella zona di competenza dei Labate, investendo capitali di dubbia provenienza e nello stesso tempo avrebbe aiutato i loro uomini di fiducia a sottrarre immobili alle iniziative di confisca. Per il Tribunale in definitiva l’imprenditore reggino è ritenuto un soggetto socialmente pericoloso: attraverso la sua appartenenza alla 'ndrangheta ha ottenuto protezione e partecipazione alla spartizione dei lavori, così incrementando a dismisura, ma del tutto illecitamente, i profitti della propria impresa, la quale ha conquistato importanti fette di mercato e si è alimentata grazie ai proventi di attività illecite. Le determinazioni della Sezione Misure di prevenzione sono scaturite da una articolata attività di indagine patrimoniale, condotta dal Centro Operativo D.I.A. di Reggio Calabria su input del Direttore De Felice, volta a verificare le modalità di acquisizione dell’ingentissimo patrimonio societario e personale riconducibile all’imprenditore, il quale negli ultimi anni aveva incrementato la propria attività con la costruzione di numerosi immobili nella zona sud della città dello stretto. Gli accertamenti, oltre all’evidente incremento del volume d’affari della azienda con una concorrenza sleale a danno degli onesti imprenditori hanno evidenziato un’evidente sproporzione tra gli acquisti e, più in generale, gli investimenti effettuati dal Malara sin dagli anni ottanta rispetto a quanto personalmente dichiarato

Quei dipendenti "fannulloni" della Regione

Inchiesta per assenteismo, acquisita documentazione

 
 
La Procura della Repubblica di Catanzaro ha avviato una indagine sulla posizione di decine di dipendenti che, secondo alcuni riscontri, timbravano il cartellino in ufficio per poi dedicarsi alle proprie faccende. La guardia di finanza ha già fatto visita al Dipartimento personale per acquisire tutta la documentazione necessaria per comprovare la reale presenza
 
di STEFANIA PAPALEO
CATANZARO – Cartellino timbrato e via... a fare la spesa, dal parrucchiere o solo due passi per sgranchirsi le gambe. Della serie: il lavoro può attendere. Oggi io, domani tu, secondo un modus operandi andato avanti per anni all'interno di alcuni uffici della Regione Calabria, a Catanzaro, e sotto gli occhi di chi, alla fine, è sbottato denunciando tutto e tutti alla Procura. Una denuncia lunga e dettagliata che, approdata tra le mani del sostituto procuratore, Carlo Villani, è adesso confluita in un fascicolo d'indagine aperto contro ignoti, al fine di verificare la fondatezza delle accuse lanciate contro le decine di dipendenti che, a quanto pare, non avrebbero proprio indossato i panni dei lavoratori “indefessi”. Tutt'altro. 
A dirlo sarà ovviamente il magistrato solo al termine degli accertamenti delegati ai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Catanzaro (Gruppo tutela spesa pubblica), che, al comando del tenente colonnello Simonluca Turriziani, decreto alle mani, hanno già bussato alla porta degli uffici del Dipartimento al Personale della Regione Calabria per acquisire tutta la documentazione ritenuta di interesse investigativo. Lo scopo, infatti, è quello di verificare la presenza effettiva dei dipendenti in questione dietro la rispettiva scrivania, nei giorni e negli orari in cui il firmatario della denuncia li ha indicati in posti diversi e ben lontani dagli uffici regionali presso i quali prestano servizio a Catanzaro.

Falsi incidenti: 149 denunce tra Como, Cagliari e Palermo


MONDOVI'. Centotrenta falsi incidenti stradali scoperti fra l'albese, il cagliaritano e Palermo, 149 persone denunciate ed un giro di falsi rimborsi per scontri inesistenti di circa 350 mila euro. Questo il bilancio dell'operazione "Torta" conclusa dopo due anni di indagini dalla sottosezione della Polizia Stradale di Mondovì.

"L' inchiesta coordinata dalla Procura di Alba - ha spiegato il comandante provinciale della Polstrada, Vice questore aggiunto Franco Fabbri, unitamente al comandante di Mondovì, sostituto commissario Angelo Di Palma - ha fatto emergere un intreccio di persone, molte fra loro parenti che scambiandosi le parti e le vetture di volta in volta inscenavano falsi incidenti, per importi fra i mille e duemila euro.".

Gli investigatori hanno ricostruito il percorso cartaceo delle contestazioni amichevoli dopo la denuncia di una assicurazione albese. Fra gli indagati (15 ad Alba, 133 a Cagliari ed uno a Palermo) una persona è comparsa ben 77 volte in altrettanti eventi infortunistici.

"In alcuni casi - è stato spiegato - quando le Assicurazioni tardavano a pagare perché' avevano subodorato qualche inghippo, veniva presentata denuncia tramite uno studio legale, davanti al giudice di Pace che, in più' occasioni ha condannato le stesse e rifondere i falsi danni patiti". Tutto l'impianto accusatorio è stato provato dalla documentazione trovata in 40 perquisizioni domiciliari effettuate ad Alba, Cagliari, Palermo.

L’inchiesta include casi di rimborso agli enti di formazione per contratti su immobili non pronti. Per l’accusa società di comodo gestivano gli acquisti e i centri pagavano canoni fuori mercato

 

di EMILIO PINTALDI
PALERMO. Avrebbero acquistato, secondo la procura, come Centro servizi 2000, il rustico di un immobile, pagandolo in parte con i soldi dell'Aram, ente di formazione professionale e, dopo averlo completato, lo avrebbero dato in affitto a cifre considerate fuori mercato dai periti dei pubblici ministeri, allo stesso ente professionale. E in più avrebbero siglato, sempre secondo la procura, i contratti di affitto con due enti professionali, prima che l'immobile, acquistato a rustico, venisse completato. Ci sono una serie di singolari episodi e di scatole cinesi all'interno dell'inchiesta su tre centri di formazione di Messina.
Ricco di particolari è il capitolo relativo all'Aram, l'ente che fa riferimento ad uno degli indagati finiti agli arresti domiciliari, Elio Sauta, ex consigliere comunale Pd, dell'area Genovese. Nel 2004 la centro Servizi 2000, società che secondo i magistrati rappresentava un'istituzione di comodo rispetto agli enti di formazione Aram e Lumen, acquistò il rustico di un immobile nella zona di Cristo Re dalla congregazione dei padri rogazionisti. L'edificio è ora finito tra i beni sequestrati dalla guardia di finanza. A richiedere alla banca, spiegano i magistrati, probabilmente per conto del marito Elio Sauta, 7 assegni circolari per 325 mila euro in favore della congregazione dei padri rogazionisti è un'altra delle persone indagate, Graziella Feliciotto, amministratrice della Centro servizi 2000. I soldi serviti, a coprire gli assegni emessi dalla banca, secondo gli investigatori, sarebbero arrivati in parte dai conti dell'Aram. Anzi, 58 mila euro sarebbero addirittura stati prelevati in contanti dai due coniugi. Sauta e la moglie, durante i primi accertamenti, avrebbero invece spiegato che quei soldi servirono a pagare delle consulenze effettuate per conto dell'ente di formazione. Secondo la guardia di finanza, invece, i soldi, che venivano dalla Regione per finanziare i corsi, sarebbero stati utilizzati per l'operazione immobiliare. E avrebbero finanziato l'acquisto della Centro servizi 2000. Ma quello che ha attirato ancora di più l'attenzione è il fatto che quegli appartamenti del viale Principe Umberto, lo stesso immobile acquistato con fondi presumibilmente arrivati dall'Aram, sarebbe stato poi ceduto a prezzi considerati esorbitanti, in affitto, alla stessa Aram. La Regione quindi avrebbe pagato in maniera salata quello che poi veniva presentato sotto forma di costi di gestione. L'immobile veniva venduto alla cifra di 671 mila euro. I soldi rimanenti li metteva la Centro servizi. Si trattava però di un ampio immobile ancora allo stato rustico. Il completamento avveniva successivamente, con altri 652 mila euro che la Centro servizi pagava alla società Geimm Srl, amministrata da Francesco Rinaldi, deputato regionale del Pd e cognato del parlamentare Francantonio Genovese. Secondo il pubblico ministero, la Centro servizi, sarebbe stata amministrata da Graziella Feliciotto e Chiara Schirò, moglie di Genovese. Tutte le fatture della Geimm sarebbero state pagate per cassa, cioè in contanti. C'è da dire che la Geimm è socia a sua volta della Centro servizi 2000.
L'immobile sarebbe stato completato nel 2008 ma la procura segnala che mai avrebbe ricevuto il certificato di agibilità né mai avrebbe richiesto la certificazione dei vigili del fuoco di prevenzione incendio. La comunicazione di fine lavori sarebbe stata data il 4 febbraio 2008 ma i contratti di affitto tra Centro servizi, Aram e Lumen sarebbero invece partiti nel 2006. La Centro servizi avrebbe dunque ceduto una parte di quell'immobile, teoricamente ancora non completato, ai due enti di formazione. Con il contratto registrato nel settembre del 2006, la Centro servizi affittava in uso esclusivo all'Aram, per il periodo compreso tra l'agosto del 2006 e l'agosto del 2012, un totale di 14 aule non arredate e l'uso dei servizi igienici al canone annuo di 130 mila euro più Iva compresi i consumi idrici ed elettrici. L'affitto veniva rinnovato il 10 agosto del 2012 dalla Centro servizi, che intanto aveva cambiato amministratore, per altri sei anni, al prezzo di 157 mila euro annui. Altro contratto alla Lumen, 5 aule non arredate dal 2006 per sei anni a 50 mila euro annui. Il 2 gennaio del 2009 il contratto veniva rinnovato, aggiungendo all'offerta altri tre vani e portando il prezzo a 70 mila euro annui.
L'avvocato Nino Favazzo, che difende le sorelle Chiara ed Elena Schirò (quest’ultima moglie di Rinaldi), preferisce non fare dichiarazioni, ma assicura: «Chiariremo ogni cosa che riguarda l'acquisto di quell'immobile durante la fase degli interrogatori». L'avvocato Alberto Gullino, che difende Sauta è sulla stessa lunghezza d'onda, ma aggiunge. «Dobbiano leggere migliaia di pagine. Valutare con calma e controbattere. Ci sono delle incongruenze. Abbiamo bisogno di tempo».

sabato 20 luglio 2013

Napoli. Arrestati 14 comunali assenteisti: blitz tra i dipendenti di piazza Cavour

Operazione coordinata dalla polizia municipale che ha seguito e filmato i lavoratori di piazza Cavour del servizio fognature che timbravano per altre persone
 
di Leandro del Gaudio -
Quattordici dipendenti comunali di Napoli sono stati arrestati dalla polizia municipale al termine di una lunga e complessa operazione di pedinamenti e controlli: a turno alcuni si presentavano al lavoro e timbravano il cartellino anche a nome degli altri. Gli arresti sono scattati ieri e riguardano dipendenti degli uffici di piazza Cavour a Napoli.

GUARDA IL VIDEO DI "STRISCIA LA NOTIZIA"

Tra i quattordici arrestati ci sono anche tre presunti "professionisti del badge". Tre timbratori di professione, specialisti del badge, che ogni mattina ripetevano sempre lo stesso movimento: sveglia alle sette, un passaggio in piazza Cavour, solita routine, che consisteva nel timbrare per decine di assenteisti.

È questa l'inchiesta condotta dal pool mani pulite del l'aggiunto Francesco Greco e del Pm Giancarlo Novelli, che ha fatto emergere anche il ruolo di uno specialista del ramo: tra gli arrestati, un soggetto estraneo alla pubblica amministrazione, filmato in un mese mentre timbrava oltre quattrocento volte per decine di dipendenti del servizio fognature.

Truffa e violazione della legge Brunetta, quella antifannulloni, i reati contestati.

Sembra che le indagini siano scaturite da un servizio televisivo realizzato dalla trasmissione "Striscia la notizia".

Soldi in cambio di un lavoro nel polo fotovoltaico, 3 indagati a Gela



PALERMO. Soldi in cambio della promessa di un posto di lavoro. A Gela, la Guardia di Finanza, in un'inchiesta coordinata dalla Procura, ha scoperto una presunta truffa che ruotava attorno al personale che sarà impiegato per la costruzione del più grande polo fotovoltaico d'Europa e che sta per realizzare la cooperativa Agroverde. Tre professionisti sono stati iscritti nel registro degli indagati con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa.

I tre, secondo gli inquirenti, per la "messa a posto della pratica" non avrebbero esitato a farsi consegnare delle consistenti somme di denaro. Le fiamme gialle hanno perquisito e sequestrato, presso gli studi professionali e nelle abitazioni dei tre indagati, all'incirca 800 curricula. Sono finiti agli atti anche centinaia di codici fiscali e documenti personali di riconoscimento. 

La presunta organizzazione, con l'inganno, avrebbe lasciato intendere a centinaia di disoccupati che, tramite la loro mediazione, c'erano delle ottime probabilità per essere assunti, da imprese che avrebbero avuto in sub-appalto i lavori di costruzione dell'impianto fotovoltaico. In molti, per assicurarsi la tempestiva comunicazione telefonica non appena avessero avuto inizio i lavori, avrebbero già versato delle consistenti somme di denaro.

San Leone, inquinamento del mare: sequestrate le condotte


 


AGRIGENTO. Il gip del tribunale di Agrigento, Ottavio Mosti, ha disposto il sequestro preventivo delle condotte sottomarine dei «Padri vocazionisti» e dello stabilimento di Ps, a San Leone, e delle relative centraline di sollevamento, nonché delle aree - del litorale e del mare - antistanti, con relativo di divieto di accesso e di balneazione. Dagli accertamenti svolti dall'Arpa, dall'Asp, dalla guardia costiera e dai carabinieri risulta che «la rete fognaria a servizio della zona Sud-Est di Agrigento immette reflui in mare tramite le condotte, i cosiddetti »pennelli a mare«, in assenza di autorizzazione allo scarico, essendo scaduto e mai rinnovato il titolo originario».

A monte delle condutture, inoltre, «non vi è idoneo sistema di depurazione, facendo sì che i reflui confluiscano direttamente in mare». Ne consegue, secondo l'inchiesta della Procura, il danneggiamento del demanio marino, ossia flora, fauna, causato dall'inquinamento. Iscritto nel registro degli indagati l'ex amministratore delegato della Girgenti Acque, Giuseppe Giuffrida che è accusato di danneggiamento, «getto pericoloso di cose», violazione del codice dei beni culturali perché gli impianti sono in zona A, inadempimenti di pubbliche forniture violazione normativa ambientale. 

Il litorale e il mare, antistante alle condotte della Girgenti Acque, non sono stati sequestrati. La Procura aveva chiesto il sequestro preventivo dei «200 metri a destra e a sinistra di entrambe le condotte, con relativo divieto di accesso e di balneazione, con contestuale nomina di custode nella persona del sindaco pro tempore di Agrigento», ma il gip Ottavio Mosti non ha accolto la richiesta. 

Sottolineata, però, «l'opportunità di nuovi accertamenti investigativi in merito alla configurabilità di rischi concreti per la salute umana ed alla specifica distribuzione di tale rischi nell'area interessata».

Crimine, richieste ridimensionate dal collegio

 A Gangemi 19 anni e mezzo, 15 ad Antonio Commisso

Il tribunale collegialedi Locri ha emesso la sentenza di primo grado nell'ambito del processo scaturito dall'operazione Crimine. In prima battuta appaiono parzialmente ridimensionate le richieste di condanna avanzate dall'accusa. diverse le assoluzioni, le pene maggiori per Domenico Gangemi e Ernesto Mazzaferro
 
di PASQUALE VIOLI
LOCRI - E' stato letto pochi minuti fa il dispositivo della sentenza "Crimine", per il troncone processuale in rito ordinario che si è celebrato a Locri. Rispetto a quanto era stato chiesto dalla pubblica accusa il Tribunale in sentenza ha leggermente ridimensionato le pene. Il processo scaturisce dalla maxi operazione Crimine-Infinito che nel luglio di tre anni fa portò al fermo di trecento persone. La Dda di Reggio Calabria ipotizza l’esistenza di un’organizzazione mafiosa unitaria, governata da un organismo centrale chiamato “provincia” che risiede in Calabria e prende le decisioni che riguardano tutti i locali di 'ndrangheta anche fuori dalla regione e all’estero. Oltre cento posizioni erano state già definite in abbreviato. Proprio ieri è iniziata la requisitoria dell’accusa al processo d’appello che si sta svolgendo a Reggio Calabria
Queste le decisioni dei giudici presieduti da Alfredo Sicuro dopo un giorno di camera di consiglio: Anna Maria Agostino: non luogo a procedere, Franca Agostino: non luogo a procedere, Francesco Agostino: assolto,  Rocco Agostino: assolto,  Vittorio Barranca: 8 anni,  Francesco Bonarrigo: 12 anni, Giuseppe Bruzzese: 9 anni e 6 mesi, Giuseppe Caccia: 3 anni e 8 mesi, Giuseppe Capasso: assolto, Domenico Rocco Cento: 9 anni, Antonio Angelo Cianciaruso: 8 anni, Antonio Commisso (classe '25): 15 anni,  Roberto Commisso: 8 anni, Antonio Figliomeni: 11 anni, Giuseppe Chiera: Assolto, Michele Fiorillo: 8 anni, Vincenzo Fleres: 2 anni, Antonio Futia: 11 anni, Domenico Gangemi: 19 anni e 6 mesi, Francesco Gattuso: 16 anni, Giuseppe Giampaolo: 9 anni e 6 mesi, Francesco Marzano: assolto, Ernesto Mazzaferro: 18 anni, Marzia Mazzaferro: non luogo a procedere, Vincenzo Nunnari: 2 anni, Nicola Perrotta: 2 anni, Giuseppe Antonio Primerano: 13 anni, Mario Giuseppe Stelitano: 15 anni, Rocco Bruno Tassone: 13 anni, 
 Salvatore Pepè: assolto, Giuseppe Siviglia: assolto, Giuseppe Velonà: assolto
Carmelo Ferraro: assolto, Guido Cillo: assolto, Michele Capasso: 2 anni,  Antonio Cuppari: 9 anni,
Salvatore Pepè: assolto, Giuseppe Siviglia: assolto, Giuseppe Velonà: assolto, Carmelo Ferraro: assolto, Guido Cillo: assolto, Michele Capasso: 2 anni,  Antonio Cuppari: 9 anni,

Pagava i dipendenti la meta del dovuto

 Arrestato imprenditore di Lamezia Terme

Un imprenditore di Lamezia Terme, Fortunato Greco, è stato arrestato con l'accusa di pagare i propri dipendenti la metà di quanto a questi spettava. L'uomo aveva assunto i suoi lavoratori con contratti part time ma li faceva lavorare full time con la minaccia di licenziarli in caso di proteste.


LAMEZIA TERME (CZ) - Pagava i dipendenti per 4-5 ore di lavoro al giorno in base ad un contratto part-time, ma li costringeva a lavorarne almeno 8-10 con l’implicita minaccia di licenziarli in caso di rifiuto. E' l'accusa mossa dalla Procura di Lamezia Terme ad un imprenditore del settore degli autotrasporti, Ferdinando Greco, 38 anni, arrestato per estorsione dai finanzieri del Gruppo di Lamezia. Secondo l’accusa, così facendo, l’imprenditore avrebbe guadagnato 270 mila euro. L’arresto, disposto dal Gip, è giunto a conclusione di un’indagine svolta d’iniziativa dai finanzieri del Gruppo di Lamezia Terme che hanno acquisito una serie di elementi indiziari sulle modalità di pagamento degli stipendi da parte dell’imprenditore. Ulteriori accertamenti hanno portato gli investigatori a concludere che lo sfruttamento dei lavoratori andava avanti almeno dal 2007. Inoltre, nonostante la ritrosia di quasi tutte le vittime nel riferire le reali condizioni lavorative per il timore di essere licenziate, i finanzieri hanno stabilito che, grazie al pagamento ridotto degli stipendi, Greco avrebbe guadagnato circa 270 mila euro. Greco era già stato arrestato dalla finanza nel novembre del 2011 nell’ambito di un’operazione anti usura e condannato, il 31 gennaio scorso, a tre anni di reclusione al termine di un processo con rito abbreviato.

Vibo, maxi sequestro da 4 milioni di euro

A imprenditore ritenuto socialmente pericoloso

Un sequestro innovativo alla prima applicazione in Calabria e una delle prime in Italia quello compiuto dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia ai danni di un imprenditore vibonese, Rosario Lo Bianco. Le fiamme gialle, infatti, hanno messo i sigilli ai beni di un imprenditore del settore edile considerato soggetto socialmente pericoloso


VIBO VALENTIA - Quello eseguito oggi è un provvedimento innovativo che in tutta Italia era stato applicato soltanto altre 3 volte. A ribadirlo il Comando della Guardia di finanza di Vibo Valentia che spiega come il provvedimento sia stato eseguito quale applicazione di misura di prevenzione nei confronti di un imprenditore vibonese, Rosario Lo Bianco, operante nel settore edile, considerato "persona socialmente pericolosa". Il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Vibo Valentia ha, quindi, eseguito il sequestro di beni immobili, mobili, di un’azienda, di diversi conti correnti bancari e auto per un valore complessivo di 4 milioni di euro.
Il provvedimento è stato assunto ai sensi del Codice Antimafia approvato nel 2011. Il collegio, con sentenza datata 11 luglio 2013, «ha accolto - fa sapere la Finanza - l’impostazione “innovativa” della Procura Vibonese che, nell’alveo dei presupposti soggettivi previsti per le misure di prevenzione, inserisce da pochissimo tempo una nuova figura quella dell’“evasore fiscale socialmente pericoloso”. Tale provvedimento è il quarto della specie che viene applicato in Italia». Il Tribunale di Vibo Valentia, accogliendo la richiesta del Procuratore Mario Spagnuolo su proposta delle Fiamme Gialle vibonesi, ha applicato, per la prima volta in Calabria, la misura di prevenzione patrimoniale su numerosi beni (disponibilità finanziarie, patrimoniali, immobili, mobili registrati, mobili) intestati anche a terzi, nei confronti di un ”imprenditore”, ritenuto dedito a traffici delittuosi e che vive con proventi derivanti da attività criminali orbitanti nel campo dell’evasione fiscale e delle violazioni finanziarie in genere, avviando anche l’iter per l’applicazione di misure di prevenzione personali. In questo caso è lo stile di vita criminale del prevenuto a decretarne la pericolosità sociale: condotte delittuose gravitanti nelle fattispecie penali di evasione fiscale, attuate con sistematicità e abitualità e rappresentanti l’attività principale del proposto, la “professione” da cui trarre sostentamento. 

Cosenza, chiedeva sesso alle sue clienti


Mago Sapienza condannato a 2 anni e 2 mesi

Due ventenni si erano rivolte a lui per problemi di coppia e il sedicente mago, Antonio Sapienza, aveva avviato il proprio rito chiedendo alle due di amoreggiare davanti a lui per poi tentare di allungare le mani sulle giovani. Immediata è scattata la denuncia cui è seguito il processo e la condanna per violenza sessuale a 2 anni e 2 mesi
 
 
di ROBERTO GRANDINETTI
COSENZA - Non ha previsto l’arresto, e neanche la condanna. E’ la vicenda giudiziaria del sedicente mago Antonio Sapienza, 70 anni, originario di Aci Castello (Catania), ieri condannato dai giudici del tribunale collegiale di Cosenza (Marletta, Pingitore, Ianni) a due anni e due mesi di reclusione per violenza sessuale e lesioni. Vittime due ventenni che a lui si erano rivolte per risolvere i loro problemi d’amore. Il mago, secondo l’accusa, ne avrebbe approfittato, invitandole prima ad amoreggiare davanti a lui, per poi allungare morbosamente le mani verso di loro, tentato un approccio sessuale. Una storia che si sarebbe materializzata in un piccolo studiolo di via Piave, dove Sapienza riceveva i suoi clienti e alla quale misero fine i carabinieri di Cosenza Principale, agli ordini del capitano Satriano e del luogotenente Saponangelo. I militari dell’Arma entrarono in azione lo scorso 18 dicembre. Notificarono al mago, praticamente colto in flagranza di reato, un'ordinanza di arresti domiciliari ed effettuarono una perquisizione all'interno del suo studio dove riceveva clienti desiderosi soprattutto di risolvere i loro problemi d'amore. «Il mago - commentò ironicamente Satriano - questa volta non è riuscito a prevedere il suo arresto e la fine delle sue malefatte.». Tutto ha avuto inizio dalla denuncia di una delle giovani (che si è poi costituita parte civile tramite l’avvocato Cristian Cristiano). Ha raccontato che lei e la sua amica si rivolsero al mago siciliano per risolvere i loro problemi d'amore. Videro la pubblicità, annotarono il numero di telefono e presero appuntamento in via Piave. Seguirono i primi incontri, col presunto esperto di magia che chiese loro 2000 mila euro per eliminare il maligno. Le due giovani furono poi invitate a fare altre sedute, dal costo di 100 euro l'una, in quanto - a detta sempre del mago - gli influssi negativi arrivavano da più persone. Dopo un periodo di semplice lettura delle carte e di batuffoli di cotone utilizzati per assorbire il sudore Sapienza iniziò ad avanzare strane richieste alle ragazze, come quelle di accarezzarsi davanti a lui e di toccarle. Una si ribellò e non andò più da lui. L'altra invece, come ammaliata, continuò a frequentarlo, fino a quando il mago non le mise le mani addosso con l'intento di consumare un atto sessuale. A questo punto la giovane si rivolse ai carabinieri, coi quali si mise d'accordo per cogliere in flagranza di reato il mago Sapienza. La ventenne prese un nuovo appuntamento in via Piave. E anche in quell'occasione l'uomo tentò un nuovo approccio. La giovane scappò e i carabinieri entrarono, denunciando il mago. Il suo studio fu perquisito. Trovarono tutto l'occorrente per la magia, teschio compreso. Ieri la condanna per Sapienza, coi giudici che hanno in parte accolto la richiesta (quattro anni di reclusione) avanzata dalla Procura, ieri rappresentata dal pm Assumma. I giudici, per come sollecitato dall’avvocato difensore Nicola Rendace, hanno infatti escluso la recidiva e riconosciuto l’ipotesi lieve. «Siamo moderatamente soddisfatti», ha commentato a caldo lo stesso Rendace, che impugnerà comunque la sentenza per puntare a un ulteriore riduzione della pena. Antonio Sapienza era in aula e ha assistito alla lettura della sentenza.

Roma, scoperto in un box arsenale del killer di Vincenzo Femia

La Mobile ha trovato una vera e propria Santa Barbara all'interno di un box a Roma riconducibile a Gianni Cretarola, l'uomo arrestato perché ritenuto uno dei killer che uccise Vincenzo Femia lo scorso gennaio. All'interno del box trovate varie armi ma anche un giubbotto antiproiettile e uno scooter rubato circa un anno fa




ROMA - La Squadra Mobile di Roma ha fatto irruzione all’interno di un box trovando un vero e proprio arsenale riconducibile al killer della 'ndrangheta arrestato tre giorni fa per l'omicidio di Vincenzo Femia. Il lavoro investigativo svolto dalla Squadra Mobile di Roma nelle ore immediatamente successive all’arresto di Gianni Cretarola, autore dell’omicidio di Vincenzo Femia, ha consentito, infatti, di risalire ad un box che di via di Torrevecchia nella disponibilità dell’uomo, che lo aveva affittato utilizzando documenti falsi. Nel corso dell’irruzione i poliziotti della Squadra Mobile hanno trovato una vera e propria “santa barbara”: sei pistole, un fucile, una notevole quantità di munizionamento dello stesso calibro della armi utilizzate sul luogo dell’eccidio, un giubbotto antiproiettile, un passamontagna, uno scooter, rubato circa un anno fa, con caschi integrali. Sono in corso accertamenti degli investigatori per verificare se tra le armi sequestrate ci sia anche l’arma che ha ucciso nel gennaio scorso Femia, oppure se sono state utilizzate per altri omicidi.