Squadra di calcio nel mirino
TARANTO – Avrebbe cercato di inserirsi in modo prepotente soprattutto nel mercato del pesce cittadino
condizionando gli altri imprenditori del settore il clan Scarci di Taranto sgominato questa mattina da agenti della Squadra Mobile della Questura di Taranto che hanno eseguito undici delle dodici ordinanze
di custodia cautelare emesse dal giudice per le indagini preliminari di Lecce Antonia Martalò, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Lino Giorgio Bruno della Direzione Distrettuale Antimafia della città salentina.
Le accuse sono, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, porto e detenzione illegale di armi ed esplosivi, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni a fini elusivi della normativa di prevenzione antimafia e agevolazione al riciclaggio, atti di concorrenza compiuti con violenza e minaccia, pesca di frodo con l’uso di esplodenti, tutti reati che sarebbero stati commessi avvalendosi delle condizioni di appartenenza ad una associazione mafiosa ed al fine di agevolarne l’attività.
L'operazione, a cui è sfuggito uno dei destinatari delle misure cautelari, è stata denominata 'Octopus'. Il tentativo di condizionare il settore ittico sarebbe stato facilitato dalla precedente esperienza di pescatori degli affiliati all’organizzazione. Nell’inchiesta sono indagate sette persone a piede libero.
La Polizia ha sequestrato i patrimoni dei componenti del clan, in particolare lo stabilimento balneare 'Lo
Squalo Beach’a Scanzano Jonico (Matera); i due chioschi-bar situati nello stadio 'Jacovonè del capoluogo jonico; un magazzino in Via Cariati, vicino al molo della Città Vecchia, utilizzato come base per la commercializzazione di prodotti ittici, per un valore complessivo di 200 mila euro.
I sequestri si aggiungono a quello già eseguito il 30 novembre del 2010 dell’appartamento e relative pertinenze di proprietà di Francesco Scarci, 59 anni, presunto capo clan, intestato a un suo
prestanome per un valore di 300 mila euro. Quest’ultimo è stato già condannato nei maxiprocessi 'Ellespontò, per associazione mafiosa, detenzione illegale ed importazione di cocaina, e 'Cahors', ancora per associazione mafiosa.
Le indagini sono iniziate a febbraio del 2009. Negli ultimi due anni, il clan sarebbe salito a posizioni di assoluta egemonia criminale e, senza dover necessariamente ricorrere ad esplicite manifestazioni di forza, si è imposto sul resto dell’ambiente delinquenziale locale.
Gli investigatori della sezione criminalità organizzata della Squadra Mobile hanno avviato indagini finalizzate a reprimere le sue attività all’indomani del ritorno in libertà di Scarci scarcerato il 26 febbraio del 2009. Scarci, con la collaborazione del fratello Giuseppe, 55 anni, di Maurizio Petracca, 41, di Salvatore Viviano, 52 e altri esponenti, arrestati stamane, è riuscito a riorganizzare il clan estendendo il suo ambito di influenza dal rione Salinella, tradizionale roccaforte, alla Città Vecchià nella zona del porto dei pescherecci.
Molti i componenti della famiglia Scarci coinvolti nell’operazione di stamane: tra di loro, oltre a Francesco e al suo braccio destro Giuseppe, anche Andrea, 57 anni. Grazie a intercettazioni e video-riprese, sono emersi elementi circa la volontà di egemonia e sopraffazione di Francesco Scarci e dei suoi
affiliati. Insieme avrebbero progettato un sistema che costringesse imprenditori ed esercenti a corrispondere loro un contributo che sulla carta servisse ad affrontare le spese di altri amici detenuti ma che, in realtà era destinato esclusivamente alle loro tasche.
Le intimidazioni, le minacce e le violenze condotte con modalità mafiose avrebbero permesso di incidere sui meccanismi di libera concorrenza del settore, interponendosi nel rapporto commerciale tra i pescatori ed i commercianti all’ingrosso o i ristoratori. Questi ultimi, avvertiti personalmente da Scarci e dai
suoi affiliati dell’interesse del gruppo nella compravendita del pesce, tutelato attraverso l’incombente e continua presenza degli stessi Francesco e Giuseppe Scarci all’interno della zona portuale di Taranto, nelle aree di attracco delle imbarcazioni dei pescatori, hanno dovuto subire pesanti condizionamenti e costrizioni nell’esercizio dell’attività commerciale.
Ed è ancora più significativo, secondo gli inquirenti, che tale inserimento, avvenuto nelle forme di un passamano ovvero della mera interposizione tra i pescatori ed i commercianti, non avesse alla base nessuna autorizzazione o licenza per l’attività d’impresa nè una, seppur minima, adeguata struttura aziendale.
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