lunedì 31 agosto 2009

Scampia, coca coltivata in appartamento Armi sotto la statua di Padre Pio




Scampia, coca coltivata in appartamento
Armi sotto la statua di Padre Pio




Maxioperazione dei carabinieri, trovati 3000 semi e fertilizzanti
Gli scissionisti «taroccavano» persino i panetti con marchi
falsi per far credere che arrivavano dalla Colombia


NAPOLI (31 agosto) - Circa 400 kg di droga (tra cocaina, eroina, hashish e marijuana) per un valore stimato di 15 milioni di euro e 200mila euro in contanti sono stati sequestrati nel corso di una vasta operazione condotta la scorsa notte tra il quartiere napoletano di Scampia e Mugnano.
I militari hanno anche scoperto un appartamento, sempre a Mugnano, dove con molte probabilità si coltivava coca. Infatti sono stati trovati oltre 3mila semi, ora all'esame di esperti botanici, e potenti fertilizzanti. Sono complessivamente sette le persone finite in manette.

Nei due appartamenti di Scampia i carabinieri hanno anche scoperto una sorta di «cassa continua» della camorra dove i pusher versavano il denaro che veniva poi prelevato dai vertici dell'organizzazione. In una piazzetta del lotto G di Scampia, sotto il piedistallo della statua di Padre Pio, in un cassettone a scomparsa sono stati rinvenuti anche un fucile e due pistole che secondo gli investigatori venivano prelevati ed utilizzati in caso di necessità.

L'arsenale degli spacciatori era nascosto sotto la statua di padre Pio posta nella piazzetta del lotto «G». Quando servivano i fucili e le pistole, semmai da utilizzare in qualche agguato, gli uomini del clan spostavano il simulacro e pigiando un telecomando aprivano un vano a scomparsa dove erano celate le armi. Le armi ritrovate - si tratta di un fucile e di due pistole, con relativi caricatori e colpi in canna - sono in perfetta efficienza. Il nascondiglio sarebbe stato utilizzato dagli uomini del clan degli scissionisti, da anni in guerra con i fedelissimi del clan Di Lauro proprio per il controllo delle piazze di spaccio.



A Scampia avevano trovato il sistema di confezionare il panetto di droga «tarocco». Insomma «tagliavano» la cocaina riuscendo a rivenderla come pura ingannando così anche le persone più esperte. È quanto hanno scoperto i carabinieri del nucleo investigativo del gruppo di Castello di Cisterna, coordinati dal tenente colonnello Fabio Cagnazzo, che l'altra notte oltre ad aver sequestrato un ingente quantitativo di stupefacenti e soldi, hanno recuperato anche degli stampi nei quali la droga veniva «allungata». Sui panetti, compressi con l'utilizzo di una potente pressa idraulica, venivano anche apposte le forme, simili a quelle trovate sulle confezioni di droga provenienti dal sud America. Così da 500 grammi di cocaina i trafficanti ne avrebbero ricavato oltre un chilo. La coca pura - di solito un centinaio di grammi su un panetto da un chilo - veniva messa all'estremità in modo da trarre in inganno chiunque interessato all'acquisto volesse assaggiarla.

La soddisfazione del ministro La Russa. «Ho appreso con viva soddisfazione la notizia della brillante operazione condotta dai Carabinieri di Castello di Cisterna in Mugnano di Napoli e nel quartiere "Scampia", nel corso della quale sono stati sequestrati un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti ed armi con il conseguente arresto di sette persone»: così il ministro della Difesa Ignazio La Russa, in un telegramma inviato al Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Leonardo Gallitelli.

«Le esprimo - prosegue il ministro - il mio vivo compiacimento, che La prego di estendere a tutti gli uomini dell'Arma che hanno partecipato all'intervento, fornendo nuovamente prova di determinazione, professionalità, efficienza nella quotidiana azione di contrasto all'illegalità e alla criminalità organizzata, infliggendo un altro duro colpo all'organizzazione camorrista».

domenica 30 agosto 2009

Mafia: Volevano Uccidere Figli Aspiranti Pentiti,4 Arresti



Mafia: Volevano Uccidere Figli Aspiranti Pentiti,4 Arresti


NISCEMI (CALTANISSETTA) - Per indurre due uomini di Cosa Nostra di Niscemi a rinunciare al loro proposito di diventare collaboratori di giustizia, stavano pianificando sequestri e, se necessario, anche l'uccisione di due bambini di 7 e 11 anni e di un ragazzo appena maggiorenne, figli e parenti dei pentiti in pectore. Ma la squadra mobile della questura di Caltanissetta e gli uomini del commissariato di Niscemi e di Vittoria li hanno intercettati, pedinati e fermati, nel corso della notte, su ordine del pubblico ministero Fabio Scavone, della Dda di Catania.

In manette sono finiti i pregiudicati Rosario Lombardo, 48 anni, soprannominato "Saru Cavaddu", già agli arresti domiciliari; Giuseppe Lodato, di 54, detto "Peppi Vureddu"; Alessandro Ficicchia, 42 anni, tutti di Niscemi; Alessandro Aparo, 27 anni, di Vittoria (RG). Per tutti l'accusa è di associazione mafiosa.

Gli arrestati disponevano di notevoli quantità di armi e di uomini. Uno dei due pentiti delle cosche di Nisceni, che ha già cominciato a fare importanti rivelazioni, aveva subito, l'11 luglio scorso, l'incendio di due auto e ricevuto intimidazioni telefoniche anonime pervenute alla sua convivente. La madre, inoltre, aveva ricevuto una "visita" nella propria abitazione.

Proprio la madre del collaboratore di giustizia è apparsa la più determinata nel denunciare tutto alla polizia e così sono scattate le indagini che hanno portato all'operazione di stanotte, denominata "Crazy Horse". I magistrati titolari dell'inchiesta chiederanno domani la convalida dei tre fermi eseguiti dalla polizia al Gip del Tribunale di Caltagirone.

Il provvedimento, si sottolinea in ambienti giudiziari, è stato disposto per associazione mafiosa ma fa seguito a un'intercettazione telefonica in cui si ascolta l'avvio del piano di uccidere i figli di un 'pentito': i promotori dell'agguato affermavano di essersi già procurate le armi e di avere eseguito sopralluoghi nella casa di campagna dei loro obiettivi.

Le intercettazioni ambientali avevano già evidenziato una 'saldatura' dei nuovi uomini dei clan di iscemi e Vittoria, come avvenuto all'inizio degli anni Novanta, con l'intento di potenziare Cosa nostra anche a Gela.

martedì 25 agosto 2009

CAMORRA: ARRESTATO LATITANTE, IN BUNKER TRA TV E DVD GOMORRA


CAMORRA: ARRESTATO LATITANTE, IN BUNKER TRA TV E DVD GOMORRA

NAPOLI - Ventotto anni, tra i cento latitanti più pericolosi d'Italia. Da quasi un anno viveva in un bunker, nel cuore di Scampia, quartiere della periferia di Napoli nonché una delle più grandi piazze di spaccio d'Italia. E' da lì che Giuseppe Bastone gestiva gli affari, milionari, per conto del clan degli Scissionisti: si occupava, cioé, dell'approvvigionamento e del successivo spaccio di sostanze stupefacenti. Oggi i carabinieri lo hanno arrestato. Bastone, in quel bunker di tre metri per tre, ci viveva molto probabilmente dall'inizio della sua latitanza, dalla fine del 2008. Pochi mobili, un frigo, una tv e tanti lettori dvd, quasi tutti su storie di criminalità organizzata, come 'Il Padrino' e 'Gomorra'. Soprattutto era circondato da telecamere, posizionate in ogni angolo. Al bunker, Bastone, accedeva da una botola posizionata sotto le scale e attraverso una porta d'acciaio. Dal rifugio partiva, poi, un cunicolo di circa 200 metri così stretto e basso da poter esser percorso solo andando carponi, perfino su uno skateboard. Un tunnel che poi sbucava in aperta campagna e che era pieno di microtelecamere.

E' così che Bastone poteva controllare in ogni attimo l'eventuale arrivo di forze dell'ordine. Ed è forse così che stamattina si è reso conto che era inutile tentare la fuga visto che oltre 50 carabinieri avevano letteralmente circondato lo stabile di via Labriola, Lotto G: lì dove in un appartamento, proprio sopra il bunker, viveva anche la sua famiglia. Ed infatti, Bastone non ha opposto resistenza e non era neanche armato. Una cattura, la sua che ha registrato anche la soddisfazione del ministro degli Interni, Roberto Maroni, e della Difesa, Ignazio La Russa. Anche per il presidente della Campania, Antonio Bassolino, si è trattato di un "duro colpo alla camorra in uno dei quartieri più difficili di Napoli". Elemento di spicco degli Scissionisti, Bastone gestiva una delle principali fonti di guadagno del clan: lo spaccio di droga a Scampia. Lo faceva stando in contatto con un cartello sudamericano che faceva arrivare la droga in Spagna; da lì, poi, la camorra la faceva giungere nel quartiere di Napoli. Bastone, per la verità, nella sua famiglia non è l'unico boss. Già il fratello, Antonio, fu arrestato lo scorso 26 maggio e allora anche lui era considerato tra i cento latitanti più pericolosi d'Italia: per lui le manette scattarono per traffico di droga. Anche un altro fratello, Ciro, è stato arrestato lo scorso 2 luglio: anche lui affiliato agli Scissionisti, fu trovato insieme ad un complice in possesso di diversi quantitativi di droga. Oggi è toccato a lui. Due le ordinanze di custodia cautelare a suo carico: traffico internazionale di droga e associazione a delinquere di stampo mafioso, le accuse.

giovedì 20 agosto 2009

MAFIA NEWS NOTIZIE



MAFIA NEWS NOTIZIE

Droga: 14 arresti a Fiumicino

(ANSA) - FIUMICINO (ROMA), 20 AGO - Operazione antidroga della Guardia di Finanza a Fiumicino: 14 narcotrafficanti arrestati ed oltre 55 kg di cocaina sequestrata. La sostanza stupefacente proveniva dall'Argentina e veniva smistata in alcuni Paesi del Nord Europa. Dalla droga, trovata dalla Gdf e dai funzionari doganali dell'aeroporto in intercapedini e doppifondi ricavati nei bagagli, si sarebbero potute ricavare almeno 600mila dosi per un valore complessivo, allo spaccio, di oltre 20 milioni di euro.


Agguato Nell'Agrigentino, Gestore Bar Sfugge a Killer

(AGI) - Agrigento, 19 ago. - Tentato omicidio in serata a Porto Empedocle (Agrigento). La vittima designata e' Giuseppe Filippazzo di 51 anni, gestore di un bar, contro cui un killer, a bordo di un'auto, ha sparato diversi colpi di pistola calibro 7.65. Filippazzo, che si trovava nella zona dei Lidi, in via Nereo, con il suo cane, si e' accorto della presenza del killer e della pistola, visibile dal finestrino, e si e' riparato dietro un'auto in sosta. L'uomo e' rimasto illeso. Indagano i poliziotti del commissariato di Porto Empedocle.

Vibo: Nell'Auto Con Pistola, Cc Arrestano Pregiudicato

(AGI) - Vibo Valentia, 19 ago. - In manette un giovane pregiudicato trovato in possesso di una pistola calibro 7,65 con matricola abrasa e colpo in canna. Ad arrestare Francesco Antonio Pardea, 23 anni, di Vibo Valentia, sono stati oggi i carabinieri del Nucleo Investigativo e della Compagnia di Vibo, nel corso di mirati servizi finalizzati al controllo di soggetti pregiudicati e sottoposti a misura di prevenzione, disposti dal Comando Provinciale di Vibo in seguito alla recrudescenza di atti intimidatori e danneggiamenti nei confronti di attivita' commerciali e imprenditoriali. Il giovane, in passato arrestato per il reato di estorsione aggravato dalle modalita' mafiose, e' stato notato mentre al volante di un'auto cercava di allontanarsi da un'azienda agricola gestita da un noto pregiudicato e in passato coinvolto in svariate indagini di criminalita' organizzata coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro e attualmente sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di P.S., e attualmente risulta irreperibile. Accortosi della presenza dei carabinieri, Pardea ha tentato di allontanarsi con l'auto ma veniva immediatamente bloccato dai militari gli impedivano qualsiasi tentativo di reazione, che avrebbe potuto essere messo in atto utilizzando la pistola rinvenuta, arma custodita in maniera da poter essere immediatamente utilizzata.

Camorra: Reggente Clan Napoletano Arrestato In Calabria

(AGI) - Napoli, 19 Ago. - La squadra mobile della Questura di Napoli ha arrestato in Calabria Vincenzo D'Alessandro, 33 anni, figlio del boss Michele, considerato il reggente dell'omonimo clan attivo a Castellammare di Stabia, nel napoletano. D'Alessandro era a Rende, nel cosentino, ed e' stato fermato insieme ad altre due persone, sempre di Castellammare di Stabia, in un centro commerciale, senza documenti. Nei suoi confronti pendeva il ripristino di una misura cautelare di un anno in casa lavoro, emessa dal tribunale di Napoli nel luglio del 2009. D'Alessandro ha gia' due condanne in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso e per traffico di stupefacenti.

Mafia: Contrada Torna Nella Sua Casa Dopo Malore

Catania, 19 ago. (Adnkronos) - Il legale dell'ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, Giuseppe Lipera, ha reso noto che il suo assistito "dopo il malore della notte scorsa'' che lo ha ''costretto a ricorrere alle cure del pronto soccorso dell'ospedale 'Cervello' di Palermo, ha preferito non ricoverarsi decidendo di andare nuovamente nella propria abitazione dove si trova da ormai un anno in detenzione domiciliare".

Gdf: sequestrati beni per 475 mln

(ANSA) - ROMA, 19 AGO - La gdf ha sequestrato nel 2009 beni patrimoniali per 475,8 mln di euro nel corso della lotta al riciclaggio e alla criminalita' organizzata. L'azione di contrasto - informa un comunicato - ha portato anche a 141 arresti, 533 denunce, al sequestro di 431 kg di sostanze stupefacenti e valuta per 1,28 mln di euro. Nell'anno in corso il nucleo speciale polizia valutaria ha contestato 103 violazioni alla normativa valutaria, di cui 60 di natura penale.


Agrigento: Protezione Civile, Entro 22/10 Conclusi Studi Su Ospedale

(ASCA) - Roma, 19 ago - Le valutazioni di carattere tecnico-scientifico relativamente alle caratteristiche strutturali e alla conseguente resistenza sotto il profilo statico dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento saranno concluse entro il 22 di ottobre, e quindi entro i sessanta giorni concessi dalla proroga per l'esecuzione dell'ordine di sgombero inizialmente fissata per il 23 agosto. Lo riferisce in una nota la Protezione Civile. Alla luce delle risultanze dei rilievi effettuate dai tecnici del Dipartimento della Protezione Civile sara' quindi possibile definire, ognuno per il proprio ruolo e competenze, le iniziative da adottare per il futuro del polo ospedaliero agrigentino.

mercoledì 19 agosto 2009

LE 10 MINCHIATE DELLA MAFIA I Dieci Comandamenti


Palermo, 7 nov 2007. - (liliumjoker)


E' un vero e proprio 'decalogo' del 'perfetto uomo d'onore' (Testa di Minchia) quello rinvenuto dagli investigatori tra le carte della villetta in cui due giorni fa sono stati arrestati i boss mafiosi latitanti



Il perfetto uomo d'onore phallus impudicus

 I Dieci Comandamenti della mafia

1) Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro se non è un terzo a farlo.

2) Non si guardano mogli di amici nostri.

3) Non si fanno comparati con gli sbirri.

4) Non si frequentano né taverne né circoli.

5) Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a Cosa Nostra. Anche se c’è la moglie che sta per partorire.

6) Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti.

7) Ci si deve portare rispetto alla moglie.

8) Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità.

9) Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie.

10) Non può entrare a far parte di Cosa Nostra chi ha un parente stretto nelle varie forze dell’ordine, chi ha tradimenti sentimentali in famiglia e chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali.


Il Mafioso Pentito Phallus impudicus Il vero volto del mafioso (foto, aspetto e habitat)

Il Phallus impudicus è sicuramente il MAFIOSO più conosciuto della curiosa famiglia della Cosca Phallaceae essenzialmente per due motivi:
1. per via della particolare faccia da Minchia "fallica" che ricorda un vero e proprio "pene",
2. perché lo stesso emana un caratteristico e pungente odore cadaverico che può essere avvertito anche a diversi metri di distanza.
L' odore sgradevole viene emanato da una "gleba mucillaginosa" contenente le spore che è ubicata sulla parte superiore del carpoforo; il suo scopo è quello di attirare su di sé mosche ed altri insetti che ne resteranno imbrattati e che, di conseguenza, diffonderanno le spore nel fango anche a grande distanza dal luogo di origine.

Corpo fisico

A forma di ovetto, inizialmente avvolto dalla volva chiusa, di colore bianco, poi aperta, liberando un gambo cilindrico, vuoto, spugnoso, bianco, forato alla sommità (uno pseudo-cappello), con superficie esterna alveolata, ricoperta da glutina (gleba) giallo-verde, poi verde-oliva scuro deliquescente e maleodorante.
Spesso raggiunge dimensioni considerevoli, fino a 1.90 cm di altezza.
La gleba, come già detto, è preda degli insetti che col tempo l' asportano completamente, lasciando la sommità traforata scoperta; quest' ultima può ricordare, alla lontana, il favo di una spugnola.
Il meccanismo di propagazione è identico a quello di altre specie e generi vicini, ad esempio il capo dei capi ,il killer ,il latitante , il ricercato , il boss, il politico , il lecca coglioni.

Habitat

Fruttifica bene nella politica, diffusissimo nell’economia locale, regionale e nazionale.
Prolifera in tutte le stagioni calde e piovose, su terreni da cementificare, appalti, sanità, racket e omicidi .

Angelo Vaccaro Notte

martedì 18 agosto 2009

Arrestato Giuseppe De Stefano capocosca della 'ndrangheta



'Ndrangheta, preso il boss De Stefano
Era fra i 30 latitanti più pericolosi


ROMA (18 agosto) - La polizia ha arrestato in Sicilia il presunto boss della 'ndrangheta Paolo Rosario De Stefano, 33 anni, inserito nell'elenco dei 30 latitanti più pericolosi dal ministero dell'Interno. Ha una condanna confermatagli in appello ad otto anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso.

De Stefano, irreperibile dal 2005, è stato bloccato dalla Squadra mobile di Reggio Calabria mentre era in vacanza a Taormina con la moglie e le tre figlie: era in una casa che aveva preso in affitto. Paolo De Stefano è figlio di Giorgio De Stefano, ucciso nella guerra di mafia che si scatenò negli anni '80 a Reggio Calabria, fratello di Paolo, anch'egli assassinato.

Paolo Rosario era l'ultimo dei latitanti della cosca De Stefano, un gruppo criminale che ha fatto la storia della 'ndrangheta, contrapposto al gruppo Imerti in una guerra di mafia che
negli anni '80 ha provocato centinaia di morti, tra cui i due capi storici della cosca, i fratelli Giorgio, padre di Paolo Rosario, e Paolo.

Cronaca'Ndrangheta: arrestato il boss De Stefano, era in vacanza a Taormina con la famigliaLa Polizia ha arrestato in Sicilia il presunto boss della 'ndrangheta Paolo Rosario De Stefano, di 33 anni, inserito nell'elenco dei 30 latitanti più pericolosi del ministero dell'Interno. De Stefano, irreperibile dal 2005, è stato bloccato dalla Squadra mobile di Reggio Calabria nella località turistica siciliana di Taormina dove stava trascorrendo le vacanze in compagna della moglie e delle tre figlie. È stato bloccato in una casa che aveva preso in affitto. Non era armato e non ha opposto resistenza all'arresto.

La famiglia - Paolo Rosario De Stefano era l'ultimo dei latitanti della cosca De Stefano. Un gruppo criminale che ha fatto la storia della 'ndrangheta, contrapposto al gruppo Imerti in una guerra di mafia che negli anni '80 ha provocato centinaia di morti tra cui i due capi storici della cosca, i fratelli Giorgio, padre di Paolo Rosario, e Paolo. De Stefano ha una condanna confermatagli in appello ad otto anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso ed era latitante da 4 anni.

Il procuratore di Reggio: "Decapitata l'ala operativa della cosca" - "Un ulteriore successo dell'attività investigativa degli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria, impegnati, al pari delle altre forze di polizia, nel contrasto alle grandi famiglie che hanno fatto la storia della 'ndrangheta''. Questo il commento del procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, ha commentato. ''In quest'ultimo anno - ha aggiunto Pignatone - lo Stato ha ottenuto grandi risultati contro la 'ndrangheta, catturando un consistente numero di grandi latitanti, dagli Strangio ai Pelle ed ai Condello, assi portanti che raffigurano plasticamente l'autorità mafiosa sul territorio che lo Stato è riuscito a colpire duramente, acquisendone definitivamente in molti casi quei patrimoni che rimanevano spesso, malgrado le confische, nella loro disponibilità". Secondo il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, l'arresto di Paolo Rosario De Stefano "rappresenta il risultato un'attività investigativa complessa che non si è arrestata neppure nel periodo delle ferie. Con questa cattura possiamo dire che l'ala operativa della cosca De Stefano è stata decapitata".

I complimenti di Maroni - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, il capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, per congratularsi dell'operazione compiuta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, che ha portato all'arresto di Paolo De Stefano, appartenente alla 'ndrangheta calabrese, inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi e ricercato dal 2005.

Minniti (Pd): "Un arresto dal valore straordinario" -
''L'arresto di Paolo De Stefano, ultimo boss libero di gran peso dell'omonima e potentissima cosca, è una buona notizia e ha un valore straordinario". Lo afferma in una nota il responsabile sicurezza del Partito Democratico, Marco Minniti. "Straordinario, soprattutto - prosegue - perché si colloca dentro una strategia di scompaginamento dei gruppi dirigenti della 'ndrangheta che ha gia' assicurato alla giustizia molti grandi latitanti. Grazie alla magistratura e alla Squadra mobile di Reggio". "Arresto dei latitanti - conclude Minniti - e confisca dei patrimoni di origine mafiosa sono insieme due delle chiavi di volta per liberare la Calabria e il Mezzogiorno dal peso condizionante della criminalità organizzata".

18 agosto 2009

domenica 16 agosto 2009

Calabria, sequestrati beni per 50 milioni all'ex-Udc Inzitari


Calabria, sequestrati beni per 50 milioni all'ex-Udc Inzitari

La magistratura di Reggio Calabria ha disposto il sequestro di beni per un valore di 50 milioni di euro nella disponibilità dell'imprenditore Pasquale Inzitari, arrestato nel maggio 2008 -- quando ricopriva la carica di dirigente dell'Udc calabrese dopo essere stato candidato al Senato -- attualmente ai domiciliari con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Continua a leggere questa notizia

"Il quadro indiziario mette in evidenza la figura di un imprenditore non solo colluso con la criminalità organizzata ma addirittura legato alla stessa da accordi di reciproco vantaggio, attraverso i quali è stato consentito un anomalo sviluppo delle sue imprese nel libero mercato", si legge nell'ordinanza del tribunale, visionata da Reuters.

"Tali accordi hanno indubbiamente prodotto un plusvalore, conseguito grazie alla capacità intimidatoria del sodalizio criminale, che ha consentito alle imprese di Inzitari di imporsi sul mercato".

Al momento non è stato possibile raggiungere i legali di Inzitari.

Il valore del patrimonio, spiegano gli investigatori, è di circa 50 milioni di euro. Sono stati sequestrati gli interi capitali sociali delle società Indefin sas, Nifral sviluppo srl, di cinque aziende con sede a Rizziconi (RC), quattro appartamenti, cinque grossi magazzini, due terreni, un fabbricato, oltre ad auto, moto, conti correnti, libretti di deposito, azioni, obbligazioni e certificati di deposito.

Inzitari -- che dopo il suo arresto, nell'ambito dell'operazione "Saline", è stato sospeso dall'Udc -- era titolare del 33% del capitale sociale anche delle società Devin property srl, Devin King srl, e Crazy red srl e il provvedimento del tribunale spoglia lui e la moglie anche di quelle partecipazioni.

"Appaiono sussistere sufficienti indizi in ordine all'appartenza di Pasquale Inzitari all'associazione di tipo mafioso denominata cosca Mammoliti Rugolo, clan di 'ndrangheta che opera nel territorio della piana di Gioia Tauro".

Secondo la Dda antimafia di Reggio Calabria, l'ex politico stringeva patti coi mafiosi del clan Rugolo per sbaragliare la concorrenza e fare affari.

sabato 15 agosto 2009

'Ndrangheta, agguato nel Reggino, ucciso nipote di un boss


'Ndrangheta, agguato nel Reggino, ucciso nipote di un boss

Il nipote di un boss della 'Ndrangheta è stato ucciso questa notte in un agguato nella Piana di Gioia Tauro. Lo riferiscono gli investigatori.

Giuseppe Gioffrè, del 1959, è stato ucciso con due colpi d'arma da fuoco a Seminara, in provincia di Reggio Calabria.

Era nipote di Rocco Gioffrè, boss dell'omonima cosca arrestato nell'ambito di un'operazione del novembre 2007 che si concluse con lo scioglimento del consiglio comunale di Seminara e l'arresto del sindaco e del vicesindaco.

Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria era emerso che la cosca Gioffrè gestiva i voti di Seminara e la distribuzione degli incarichi istituzionali.

Il clan Gioffrè si contende il controllo del territorio di Seminara con la cosca rivale Caìa.

giovedì 13 agosto 2009

La 'ndrangheta all'assalto della Germania


La 'ndrangheta all'assalto della Germania

Secondo gli inquirenti tedeschi, 900 persone appartenenti a 229 clan della 'Ndrangheta risultano attive in Germania nel settore del traffico di armi e di droga, nel riciclaggio di denaro sporco, nello smaltimento di rifiuti tossici e nell'imposizione del pizzo.

Berlino, 12-08-2009

La criminalita' organizzata italiana, in particolare la 'Ndrangheta, ha ormai messo non solo radici, ma anche le mani su molte attivita' in Germania. Lo rivela un rapporto di quasi 400 pagine del "Bundeskriminalamt", l'Ufficio federale anticrimine, di cui il settimanale 'Die Zeit' pubblica domani un ampio resoconto.


Secondo gli inquirenti tedeschi, 900 persone appartenenti a 229 clan della 'Ndrangheta risultano attive in Germania nel settore del traffico di armi e di droga, nel riciclaggio di denaro sporco, nello smaltimento di rifiuti tossici e nell'imposizione del pizzo. Solo da San Luca sono arrivati in Germania e qui hanno preso la residenza 200 affiliati alla 'Ndrangheta, con la maggior parte di essi che vive in Nordreno-Westfalia, Assia, Baviera e Baden Wuerttemberg.

Il rapporto contiene anche una lista con centinaia di ristoranti italiani in Germania appartenenti alle organizzazioni mafiose, 61 dei quali di proprieta' del clan Pelle-Romeo e 9 del clan Nirta-Strangio. Il settimanale di Amburgo definisce il rapporto del Bka la "Guida Michelin del crimine organizzato in Germania".

venerdì 7 agosto 2009

Denise Pipitone


Denise Pipitone

Aggiornamenti di Noi Cerchiamo Denise Pipitone

Oggi denise Pipitone è una bimba di nove anni.. potrebbe assomigliare alla foto della bambina che trovate quì sotto secondo una ricostruzione fatta dai RIS dei Carabinieri.. aiutateci a divulgare questa foto..condividetela sulla vostra bacheca ed invitate tutti i vostri amici.. http://www.facebook.com/photo.php?pid=1903348&id=101428779463&ref=mf



Oggi denise potrebbe assomigliare alla foto della bambina secondo una ricostruzione fatta dai RIS dei Carabinieri

martedì 4 agosto 2009

Agrigento L'ospedale non chiuderà



Alfano, Bertolaso e Russo
"L'ospedale non chiuderà"


AGRIGENTO - "Agrigento non può e non deve perdere l'ospedale. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi mi ha dato incarico, essendo io agrigentino, di seguire personalmente l'emergenza. Il premier mi ha assicurato l'intervento, con ogni mezzo, pur di risolvere questa drammatica vicenda". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel corso della conferenza stampa che si è svolta in Prefettura, ad Agrigento, sul sequestro dell'ospedale San Giovanni di Dio.

"Abbiamo fatto una richiesta di rimodulazione del provvedimento giudiziario di sequestro - ha spiegato Alfano - ossia stiamo cercando di capire se lo sgombero potrà essere scongiurato. Questa richiesta seguirà un iter parallelo alle istanze presentate al Tribunale del riesame".

Il Guardasigilli ha sottolineato i "tre punti fermi del Governo: primo non spostare l'ospedale; secondo non fare deperire le apparecchiature tecnologiche in caso di sgombero; terzo tentare di rasserenare la popolazione perché Agrigento non perderà il suo ospedale. Queste intenzioni si concretizzano con la discesa in campo, a partire da oggi, della Protezione civile nazionale".

L'IMPEGNO DI BERTOLASO. Anche il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, ha assicurato il massimo impegno affinché Agrigento non perda il suo ospedale. "Da giovedì - ha detto - cominceranno i controlli sulla staticità della struttura da parte della Protezione civile nazionale, il tutto in attesa della decisione del Tribunale del riesame.

Stiamo lavorando per tentare di evitare lo sgombero dell'ospedale, instaurando un clima di collaborazione fra tutte le parti". Lo ha detto, a margine del vertice operativo svoltosi in Prefettura ad Agrigento, il capo della protezione civile Guido Bertolaso.

L'intenzione del tavolo operativo istituito stamani è di chiedere alla magistratura di lasciare in custodia l'ospedale alla Protezione civile nazionale e non al commissario straordinario dell'azienda ospedaliera, Mario Leto.

L'OTTIMISMO DI RUSSO. "Ero ottimista già nei giorni scorsi - ha aggiunto Russo - lo sono ancora di più oggi dopo una riunione operativa che ha prodotto una straordinaria sintesi. Chiederemo, nelle dovute forme processuali, che il provvedimento della magistratura venga rimodulato, non nella parte concernente il sequestro, ma limitatamente all'ordine di sgombero.

Poiché si tratta di un sequestro preventivo - ha proseguito - finalizzato ad evitare che possano essere commessi ulteriori reati, per esempio quelli connessi ad un eventuale crollo, si è pensato che le giuste esigenze valutate dalla magistratura possano essere comunque salvaguardate affidando la custodia giudiziaria dell'ospedale San Giovanni Di Dio alla Protezione civile.

Con i suoi tecnici, essa effettuerà ulteriori verifiche sulla stabilità della struttura, completando il lavoro fatto dai tecnici della Procura, predisponendo contemporaneamente un piano di messa in sicurezza delle partii a rischio e utilizzando quelle che dovessero risultare a norma".

LUNEDì DECISIONE DEL TRIBUNALE. Si terrà lunedì prossimo, davanti ai giudici del Tribunale di Agrigento, presieduto da Franco Messina, l'udienza di riesame sul sequestro preventivo dell'ospedale "San Giovanni di Dio". A presentare ricorso era stato da un lato la stessa azienda ospedaliera e dall'altro il collegio difensivo dei 28 indagati.

La decisione dovrà essere adottata entro il 13 agosto. Lo sgombero è previsto, invece, entro la mezzanotte del 23 agosto.

La priorità è la lotta alle mafie


La priorità è la lotta alle mafie

Interviste - Ministro Roberto Maroni
03.08.2009
«La priorità è la lotta alle mafie»

Intervista del ministro dell'Interno Roberto Maroni al quotidiano 'Il Sole 24 ore'. Bilancio del contrasto alla criminalità: nel 2008 i delitti sono diminuiti del 8,1%, aumentano i soggetti denunciati (+ 5%) e arrestati (+ 10%). «Per la riduzione dei reati è decisivo il patto con i sindaci», i prefetti daranno l'abilitazione ai volontari per la sicurezza ma la scelta finale spetterà ai primi cittadini


di Marco Ludovico

I reati sono in calo: nel 2008, il Viminale registra una riduzione dell'8% dei delitti. È soddisfatto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Che annuncia: «Adesso dedicherò l'8o% del mio impegno per battere la mafia».

Tra i cittadini la paura delle criminalità resta elevata. Eppure secondo i dati del Viminale il calo dei delitti riguarda tutti i reati. Lei come spiega questi risultati?
Con tutte le misure che abbiamo messo in camoo in questi mesi. Ci sono almeno tre indirizzi da considerare strategici. Il primo, e il più importante, è la lotta alla clandestinità. Poi, l'azione sui campi nomadi. Inoltre, il modello di forze dell'ordine messo in campo a Caserta per combattere la camorra.

Contro gli immigrati irregolari il suo simbolo è stato il reato di clandestinità. Si è portato dietro, però, un mare di polemiche e questo non aiuterà le espulsioni.
Quelle polemiche alla fine hanno prodotto un effetto mediatico eccezionale. Con risultati concreti: da maggio gli sbarchi sono praticamente azzerati.

Non teme che possano riprendere?
L'assetto realizzato con la Libia, che ha rispettato tutti gli impegni, è efficiente ed efficace.

Diversi clandestini, però, riescono ancora a sbarcare sulle coste della Sicilia o della Calabria.
A Lampedusa non più, come avevo detto. Ci sono, in realtà, pochi casi di immigrati che arrivano con un passaggio, se vogliamo chiamarlo così, di qualche peschereccio italiano. Un passaggio pagato, probabilmente. Stiamo facendo accertamenti.

Perché attribuisce tanta importanza all'azione sui campi rom?
Ha inciso notevolmente sull'andamento di certi reati. Abbiamo, inoltre, intercettazioni di soggetti che hanno deciso di non venire più in Italia. E alcune decine di migliala sono andati via, in Spagna, tanto che mi ha telefonato il collega di Madrid.

Anche su questo fronte, scontri e conflitti non sono mancati. Il Tar del Lazio ha bocciato l'identificazione dei campi.
Credo ci sarà appello al Consiglio di Stato. Io comunque guardo ai risultati: prima era tollerata ogni forma di degrado, adesso stiamo mettendo ordine e regole. A Napoli in un campo abusivo abbiamo trovato e arrestato un soggetto a cui erano intestate circa 500 auto di lusso.

Per rimanere in Campania, lei è entusiasta del cosiddetto 'modello Caserta'. Perché?
Non lo dico io, ma il procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Vittorio Lembo: «Sono stati raggiunti risultati strabilianti» nella lotta al clan dei Casalesi.

Sono stati mandati 500 poliziotti e 400 militari.
Sì, ma è il sistema investigativo che si è rafforzato. Mentre poteva accadere il contrario: troppe divise in giro rischiavano di portare alla macchia e alla fuga i camorristi. Invece ne abbiamo arrestati molti. E proseguiremo.

Sul territorio, la sua linea è chiara: i sindaci sono il riferimento principale. Ma questo non sconvolge un sistema che finora ha funzionato?
La legge 121 del 1981, che disciplina l'amministrazione della sicurezza, risale a quasi 30 anni fa: lo scenario era diverso. Non c'era il problema dell'immigrazione, tanto per cominciare. Una revisione si impone.

Così intende portare l'Arma dei Carabinieri sotto l'ala del ministero dell'Interno?
I rapporti con l'Arma sono ottimi e intensi: lo sono stati con il comandante generale Gianfrancesco Siazzu e lo sono ora con il suo successore, Dino Gallitelli, che incontro quasi tutti i giorni. Il problema vero riguarda il personale.

Perché sono attesi forti esodi nei prossimi anni, legati a massicce immissioni di personale che ora giungono alla pensione.
Appunto: una revisione di quella legge si impone.

Intanto il Viminale punta sui sindaci, ora all'appuntamento con le ronde.
Per i volontari della sicurezza, accogliendo le richieste della Conferenza Stato-Città, abbiamo stabilito che i prefetti selezioneranno e abiliteranno le associazioni e i soggetti che si faranno avanti. Ma toccherà poi ai primi cittadini scegliere quali nuclei pattuglieranno le strade.

Lei ritiene che i Comuni abbiano già dato un contributo ai risultati nel contrasto alla criminalità?
Ne sono certo. Con i poteri di ordinanza sono state prese molte decisioni che hanno avuto effetti innegabili. Un intervento anti-bivacco notturno, o contro il commercio clandestino, dispiega i suoi risultati anche oltre. E si riduce, per esempio, lo spaccio di stupefacenti.

I Patti sulla sicurezza, intanto, vanno avanti. Una linea già intrapresa dal suo predecessore, Giuliano Amato.
È vero. Con la differenza, però, che io li sto differenziando a seconda delle esigenze locali: non possono essere tutti uguali.

In quello recente, stipulato per il Garda, ci sono diversi livelli di governo.
Abbiamo riunito i 40 sindaci dei comuni del lago, le province di Brescia, Verona e Trento, le regioni Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Significa coinvolgere e ottenere il contributo di ogni amministrazione interessata. Così, insieme, si combatte la criminalità ma si fa anche prevenzione efficace per la sicurezza stradale, per esempio.

In questo quadro, però, c'è la sensazione diffusa che la percezione di sicurezza, da parte dei cittadini, non sia così migliorata.
In realtà basta un caso a sconvolgere l'ottimo lavoro delle forze dell'ordine. Lo stupro della Caffarella, a Roma, è avvenuto mentre si registrava un calo del 10% di quel reato.

E oltre alla percezione, lei deve fare i conti con risorse economiche scarse.

Non è così. Proprio giovedì ho presieduto una riunione per il Fug, fondo unico giustizia. Abbiamo già recuperato 617 milioni derivanti da conti correnti e altre somme sequestrate alla criminalità organizzata. Entro fine anno dovremo arrivare a un miliardo. Chiederò al Presidente del Consiglio di destinarli al Viminale.

Molti si chiedono che cosa intenda fare Roberto Maroni nei prossimi anni, visto che ha praticamente esaurito il programma annunciato.
Voglio impegnare l'8o% del mio tempo per combattere e sconfiggere le mafie.

In effetti gli unici segnali negativi nell'andamento dei reati arrivano dalla Sicilia.
Non è tanto quello il problema, quei numeri vanno interpretati. Si tratta, semmai, di demolire un sistema criminale organizzato. Il segnale oggi preoccupante è l'incremento dell'usura. Strettamente legato, peraltro, al periodo di crisi economica.

Mafia, Ciancimino:Giallo sul papello


Mafia, Ayala ascoltato in Procura
Ciancimino: non ho consegnato il papello
Il magistrato citato per il presunto incontro Borsellino-Mancino
Il figlio di Don Vito parla ai pm delle stragi Falcone-Borsellino


ROMA (3 agosto) - Il magistrato Giuseppe Ayala è stato ascoltato oggi pomeriggio negli uffici della Procura di Caltanissetta dai sostituti che si occupano dell'inchiesta sulle stragi del '92. Ayala è stato convocato per la seconda volta dai pm nell'arco di pochi giorni come persona informata dei fatti. Il magistrato, infatti, è stato citato in relazione all'incontro che Paolo Borsellino avrebbe avuto nel '92 al Viminale con l'allora ministro Mancino. Ayala aveva affermato in un'intervista di aver saputo che l'incontro fra il politico e il magistrato era avvenuto, ma ai magistrati lo aveva negato. I pm hanno recuperato l'intervista audio di Ayala, in cui parla dell'incontro, e ora hanno deciso di risentirlo.

Ciancimino risponde ai pm sulle trattative tra mafia e Stato. Massimo Ciancimino ha risposto alle domande poste oggi dai pm della Procura di Caltanissetta sulla trattativa che sarebbe avvenuta tra mafia e Stato nel 1992. Ciancimino per quasi quattro ore ha parlato dei retroscena delle stragi Falcone e Borsellino. Il verbale è stato secretato, ma sembra che Ciancimino abbia detto di non aver ancora consegnato ad alcuna procura il "papello", la lista di richieste scritte da Riina nel 1992 rivolte allo Stato.

Al suo arrivo al palazzo di giustizia di Caltanissetta Ciancimino aveva preannunciato: «Risponderò alle domande dei pm, anche se nei giorni scorsi sono stato adirato per le dichiarazioni fatte dal pg Barcellona nei miei confronti». Ai giornalisti che gli chiedevano il motivo per il quale solo adesso, a distanza di 17 anni dall'uccisione di Falcone e Borsellino, abbia deciso di parlare, Ciancimino ha risposto: «Perché solo adesso sono stato cercato dai magistrati».



Mafia, Ciancimino: «Ho avuto carte
che portavano a Riina». Giallo sul papello
Gli inquirenti smentiscono di aver ricevuto la documentazione


ROMA (2 agosto) - Tra fughe di notizie, indiscrezioni smentite in ambienti investigativi e polemiche tra magistrati e aspiranti testimoni, continua la caccia al "papello", l'elenco con le richieste che il boss mafioso Totò Riina avrebbe fatto allo Stato per fare cessare, nel 1992, la strategia stragista di Cosa nostra. «Ho consegnato ai magistrati tutto quello che era in mio possesso» ha detto ai giornalisti Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, facendo intendere che tra i documenti, ora nelle mani dei pm palermitani, ci sarebbe anche la prova della cosiddetta trattativa tra la mafia e le istituzioni. La notizia è stata pubblicata dal Giornale di Sicilia, ma dagli ambienti investigativi è stata smentita.

La smentita degli inquirenti. L'ultima uscita di Ciancimino jr, che da mesi rende interrogatori davanti alla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano sul presunto accordo tra Stato e cosche, di cui il padre sarebbe stato tra i protagonisti, non trova conferme tra gli inquirenti. Insomma, nonostante le ripetute promesse delle scorse settimane, l'aspirante testimone, condannato in primo grado a cinque anni e otto mesi, per avere riciclato il tesoro di don Vito, il "papello" in Procura non l'avrebbe ancora portato, e anche stasera, in un'intervista al Tg3 Ciancimino non ha sciolto i dubbi: «Oggi c'è l'ansia del papello sì, papello no. Ho sempre detto che dalle grandi aspettative possono nascere le grandi delusioni. Io rispondo a domande e porto documentazione che mi viene richiesta, non avrò mai, se continueranno i miei rapporti, atteggiamenti omertosi».

«Ho avuto carte che portavano a Riina». Lunedì, intanto, Ciancimino jr dovrebbe essere sentito dai pm di Caltanissetta che, nei mesi scorsi, hanno riaperto le indagini sulla strage di via D'Amelio. L'inchiesta, che sta cercando di fare luce sui tanti aspetti oscuri dell'eccidio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, ruota attorno a presunti depistaggi nelle indagini passate e al coinvolgimento di settori dei Servizi segreti nell'agguato. Su quest'ultimo aspetto, in particolare, la Procura si aspetta novità dal figlio di don Vito. «Sono stato il primo a parlare di anomalia - dice Ciacimino jr - Ho detto che secondo me l'omicidio Borsellino aveva anche altre regie». In un altro passaggio dell'intervista al Tg3, Ciancimino fa riferimento alla presunta trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, condotta dal padre don Vito, in cui rientrerebbe anche la cattura del capo dei capi Totò Riina. «Nel 1992 (l'anno delle stragi Falcone e Borsellino, ndr) - dice Ciancimino - non era facile convincere mio padre e non era il clima di oggi di tante belle organizzazioni come "Addiopizzo". Era un clima difficile, i magistrati saltavano per aria con intere autostrade, saltavano agenti delle scorte, saltava tutto». Ciancimino conferma inoltre di aver parlato con i magistrati di «una persona con una malformazione al viso, che girava anche nell'entourage di Carlo», la persona che avrebbe trattato con l'ex sindaco Don Vito per conto dello Stato. E poi rivela un altro particolare: «Mi è stata data della documentazione inerente all'individuazione di Totò Riina sia in piantina, sia in utenze telefoniche e di acqua: mi è stata data e ha fatto un percorso, poi è tornata nelle loro mani, non mi chieda il percorso perché non posso rispondere».

La risposta polemica al pg di Caltanissetta. Ieri, però, a sorpresa, il testimone ha fatto sapere che, come imputato di procedimento connesso, visto che la sua posizione è ancora pendente in appello, potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere. E non solo con i pm nisseni. Una presa di posizione causata dalle dichiarazioni del procuratore generale di Caltanissetta Giuseppe Barcellona. «Seppure alcune cose siano state riscontrate, tutto quello che dice Massimo Ciancimino lascia perplessi - aveva dichiarato il magistrato - Queste rivelazioni provengono da una persona assai equivoca, di modesto spessore culturale, che probabilmente sarà strumentalizzata da qualcuno». Alla valutazione di Barcellona è seguita la dura reazione del testimone: «Siamo passati da dubbi legittimi e critiche ad insulti personali. Non ho mai avuto il piacere di incontrare o di conoscere il pg Barcellona, se non per avere letto in merito al suo periodo di presidenza del Tribunale fallimentare di Palermo. Spero che il tutto non sia frutto di un precisa volontà di farmi tacere, perché ha pienamente raggiunto il suo obiettivo».

Ciancimino jr, figlio di don Vito ex sindaco mafioso di Palermo, condannato per aver riciclato parte del tesoro lasciatogli dal padre, è al centro delle inchieste per le sue dichiarazioni e per i documenti ereditati dal genitore che sono di notevole interesse investigativo.

sabato 1 agosto 2009

Mafia e caso Mori, Violante in procura Ciancimino: non risponderò al pg


Mafia e caso Mori, Violante in procura
Ciancimino: non risponderò al pg


ROMA (1° agosto) - «Mi sono oggi presentato in questi uffici a seguito di contatti telefonici che ho preso direttamente con l'ufficio avendo letto su un quotidiano degli ultimi giorni una notizia che mi riguardava, in ordine alla quale ho da riferire circostanze che potrebbero forse essere di interesse per l'autorità giudiziaria». Sono le dichiarazioni messe a verbale dall'ex presidente della commissione antimafia, Luciano Violante, che si era presentato spontaneamente ai pm palermitani il 23 luglio scorso. «In particolare ho letto che Massimo Ciancimino, figlio dell'ex-sindaco di Palermo, aveva dichiarato ai magistrati che il padre intendeva sapere che io fossi stato informato della trattativa in corso e che aveva ricevuto risposta negativa. La lettura di tali notizie mi ha fatto tornare in mente una visita che ricevetti dall'allora colonnello Mario Mori nel periodo in cui io ero presidente della Commissione parlamentare antimafia, in epoca certamente successiva alle stragi palermitane del 1992».

Il verbale, meno di tre pagine, è ora agli atti del processo a Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu imputati di favoreggiamento aggravato per aver favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano. Violante, presidente dell'Antimafia dal settembre '92 al marzo '94, parla di tre incontri con Mori aventi per tema Vito Ciancimino e un dattiloscritto che sarebbe dovuto diventare un libro, "Le mafie", scritto dall'ex sindaco di Palermo. Solo uno è segnato nell'agenda dell'ex parlamentare: il 7 luglio '93, ma Violante non ricorda se quell'incontro fosse stato preso a distanza di tempo e avesse per tema la richiesta di Ciancimino di parlargli. Ipotesi alquanto improbabile perchè Ciancimino venne arrestato nel dicembre '92. L'ex parlamentare domandò a Mori se l'autorità giudiziaria fosse stata informata della disponibilità di Ciancimino a parlare. «Mori mi rispose - aggiunge - che si trattava di una "cosa politica" o di una "'questione politica"». Violante dice ai pm palermitani di non aver voluto incontrare Ciancimino e di aver ribadito a Mori che lui «non faceva incontri privati».

Nella settima seduta della commissione da lui presieduta, nell'ottobre '92, Violante aveva proposto all'ufficio di presidenza, nell'ambito del lavoro sui rapporti tra mafia e politica, «di sentire quei collaboratori che possono essere particolarmente utili (mi riferisco ai pentiti) e Vito Ciancimino, che lo ha chiesto revocando la condizione, posta nel passato, di essere ripreso da canali televisivi pubblici o privati in diretta nel momento in cui rendeva la deposizione». Il 19 dicembre '92, però, Vito Ciancimino venne fermato nella sua residenza romana e portato in carcere per evitare pericoli di fuga, in quanto aveva chiesto il rilascio del passaporto, dopo la condanna in primo grado a 10 anni di carcere per mafia e corruzione. Venne scarcerato nel marzo '99 e posto alla detenzione domiciliare dove morì nel 2002 mentre scontava le condanne. La Cassazione aveva confermato la condanna a 8 anni per associazione mafiosa e corruzione. L'ex sindaco era stato anche condannato a 3 anni e 2 mesi (pena condonata) per aver pilotato i grandi appalti comunali e la condanna a 3 anni e 8 mesi per altri due appalti che Ciancimino
avrebbe gestito attraverso suoi uomini al Comune quando non aveva più incarichi politici.

L'avvocato di Mori: tentativo di linciaggio morale. «Il "pensiero unico" - dice l'avvocato Piero Milio, difensore di Mori - che continua a essere rovesciato sugli italiani con la sapiente, progressiva divulgazione di atti e testimonianze proposte come verità assolute e accertate, appare per quello che è: come un tentativo di linciaggio morale nei confronti di chi ha saputo mantenere la schiena dritta. Oggi sono di turno le dichiarazioni dell'on. Luciano Violante che, dopo 17 anni, si è ricordato che per tre volte l'allora colonnello Mario Mori lo sollecitò ad incontrare - fuori da occhi e orecchie indiscrete - l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Il generale Mario Mori, da uomo delle istituzioni, non intende anticipare la propria difesa attraverso i media, ma continuerà a difendersi nel processo e col processo davanti ai suoi giudici, ai quali darà la prova della correttezza e lealtà istituzionale, peraltro solo a Palermo messa in dubbio. Se qualcuno ritiene di potersi dare ragione con improvvise e tardive dichiarazioni spontanee opportunamente messe in circolo mediatico da altri non possiamo impedirlo, con la riserva, però, di documentare e provare la verità dei fatti».

Associazione vittime strage via Georgofili: Violante doveva svelare gli approcci di Ciancimino. «La trattativa era in corso, bisognava denunciarla. Averla "ignorata" ha fatto sì che i nostri figli siano stati massacrati dal tritolo stragista del 1993. Bisognava che Violante almeno venisse in aula durante i processi di Firenze a dire: "E' vero, anche a me fu chiesto di parlare con Ciancimino, ma ho rifiutato"»: è quanto sostiene Giovanna Maggiani Chelli, portavoce dell'associazione fra i familiari delle vittime della strage dei Georgofili. «La delusione e l'amarezza provata da tutti noi in queste ore tocca punte drammatiche - scrive Maggiani Chelli - "La sinistra sapeva" ha sempre detto Giovanni Brusca e aveva ragione. Non serve asserire "io non ho parlato con Ciacimino Vito" o "io non ho trattato con la mafia" come ha fatto l'onorevole Luciano Violante. Se Violante avesse detto in aula quelle cose oggi potremmo pensare che, sia pur tardi rispetto ai massacri del 1993, ma una sorta di dovere si tentò di assolverlo. Cosa fare lo sappiamo. Andremo fino in fondo nella ricerca della verità sui "mandanti esterni alla mafia" e lo faremo dentro i tribunali, non in Parlamento, dove non sappiamo più di chi fidarci».

Massimo Ciancimino: a Caltanissetta non risponderò al pm. «Confermo che lunedì prossimo mi recherò in Procura a Caltanissetta, per essere ascoltato, come già previsto, ma dove per la prima volta, nella piena facoltà di dichiarante imputato di reato connesso, mi avvarrò della facoltà, prevista dal Codice, di non rispondere». Lo dice Massimo Ciancimino, condannato per aver riciclato parte del tesoro mafioso accumulato dal padre Vito, rispondendo polemicamente alle dichiarazioni del pg nisseno Giuseppe Barcellona che in un' intervista lo ha definito «persona assai equivoca, di modesto spessore culturale, che probabilmente sarà strumentalizzata da qualcuno».

«Spero che il tutto - aggiunge - non sia frutto di un precisa volontà a farmi tacere, perché ha pienamente raggiunto il suo obiettivo. Mi riserverò con i miei legali di valutare l'opportunità di avvalermi della facoltà di non rispondere anche con le altre Procure con le quali ho già fissato ulteriori date di interrogatori. Non ho mai cercato impunità, ma forse volevo che tanti altri personaggi "di elevato spessore culturale" non ne beneficiassero più, come è stato loro permesso di fare».

Ciancimino, condannato per riciclaggio, è figlio di Vito, l'ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002, che sta facendo dichiarazioni in varie procure in merito alle stragi palermitane del '92 e alla presunta trattativa tra mafia e Stato. «Preciso - aggiunge - che non ho mai avuto il piacere di incontrare o di conoscere il procuratore generale Barcellona, se non per aver letto in merito al suo periodo di presidenza del Tribunale Fallimentare di Palermo. Colgo l'occasione per rinnovare la mia stima e ammirazione per tutte le persone della procura di Palermo, Caltanissetta e Catania, dalle quali ho avuto un grande stimolo ad andare avanti, con la piena volontà di fare luce su misteri e delitti veramente tragici degli ultimi decenni. Invito a dimostrare che io abbia cercato vantaggi o sconti nel processo che mi vede oggi sottoposto a giudizio di appello. Constato che anche in questo processo non mi sarà possibile essere un imputato "normale in un processo normale", dato il continuo rinvenimento di atti precedentemente smarriti».

Il pm di Palermo: con noi Ciancimino ha sempre parlato, continuerà a rispondere. «Con la Procura di Palermo - ha detto il pm della Dda di Palermo, Nino Di Matteo - Massimo Ciancimino ha sempre parlato, rispondendo a tutte le domande che gli abbiamo fatto e in relazione a tutti gli argomenti processuali che sono stati oggetto d'interrogatorio. E questo fino all'ultima volta che l'abbiamo sentito, giovedì scorso». Di Matteo è titolare, assieme al procuratore aggiunto Antonio Ingroia, dell'indagine sulla presunta trattativa fra Stato e mafia in cui l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, padre di Massimo, morto nel 2002, era uno dei protagonisti. «Siamo convinti - ha aggiunto - che Massimo Ciancimino continuerà a rispondere alle domande che noi gli faremo».

Borsellino, Comitato servizi segreti chiede atti a pm



Borsellino, Comitato servizi segreti chiede atti a pm

Il Comitato parlamentare per i servizi segreti ha chiesto informazioni alla procura di Caltanissetta sull'eventuale coinvolgimenti di funzionari dei servizi segreti o di persone legate all'intelligence nell'attentato del 1992 contro il magistrato Paolo Borsellino.

"Ho parlato col procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari... - ha detto Rutelli questa mattina nel corso di una conferenza stampa sulla presentazione della prima relazione del Copasir al Parlamento - Una volta che gli uffici avranno completato l'analisi della documentazione... ci vorranno alcune settimane... tutte le eventuali informazioni, relative al passato, eventuali riguardanti funzionari dei servizi segreti saranno oggetto di una sua audizione (presso il Copasir)".

Rutelli ha anche detto di aver già parlato della questione col presidente della Commissione parlamentare antimafia, l'ex ministro dell'Interno Beppe Pisanu.

Nei giorni scorsi l'ex boss di Cosa Nostra Salvatore Riina, da anni in carcere, ha sostenuto che a provocare la morte di Borsellino, in un attentato avvenuto il 19 luglio del '92 a Palermo, sarebbero stati "personaggi legati alle istituzioni", come ha scritto il suo avvocato in un comunicato.

Le dichiarazioni di Riina sono considerate però "discutibili" dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha invitato alla prudenza nel trattare una materia così grave basandosi soltanto sulle dichiarazioni dell'ex capomafia.

La procura di Caltanissetta, intanto, sta indagando su nuovi scenari legati alle stragi di mafia, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti.