mercoledì 30 novembre 2011

La Polizia di Stato cerca 2.800 agenti

Domande on line fino al 29 dicembre per il concorso pubblico riservato ai volontari in ferma annuale o quadriennale, oppure in rafferma annuale


Procedura on line aperta dalle ore 00,01 del 30 novembre - la mezzanotte di oggi - fino alle ore 23,59 del 29 dicembre prossimo per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso pubblico per il reclutamento di 2.800 allievi agenti della Polizia di Stato.

Il concorso è riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale oppure in rafferma annuale, i quali, se in servizio, abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda almeno sei mesi in questo stato o, se in congedo, abbiano concluso la ferma di un anno.

Chiusa la procedura di acquisizione della domanda di partecipazione al concorso, è necessario stampare la ricevuta di avvenuta iscrizione, che dovrà essere presentata dai candidati il giorno della prova scritta d'esame, pena la mancata ammissione alla stessa prova.

Sul sito della Polizia il bando di concorso e le info relative. La procedura di presentazione on line della domanda è attiva 24 ore su 24.

http://www.ripam.it/domandaonlineagenti/(S(c4gltkb5tm2qvney1pscme45))/index.aspx

Clan di Trabia, Sciara e Termini chiesto un secolo di carcere

In dieci alla sbatta per associazione mafiosa ed estorsione. Tra gli imputati ci sono: Alfonso Riccio, Cosimo Serio e Antonino Teresi


PALERMO. La Procura Generale di Palermo ha chiesto pene per quasi un secolo di carcere per 10 presunti affiliati alle famiglie mafiose di Trabia, Sciara e Termini Imerese accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione.

Il processo, che si svolge in abbreviato, è celebrato dalla quarta sezione della corte d'appello e nasce da un'operazione di polizia del 2009. Tra gli imputati, ALFONSO RICCIO, condannato a 11 anni e 8 mesi in primo grado, COSIMO SERIO, che ebbe 10 anni e 8 mesi, e ANTONINO TERESI, condannato a 8 anni e 6 mesi. Il processo è stato rinviato al 7 dicembre per le arringhe dei difensori.

In vendita Ferrari e Porsche sequestrate ai boss

Si tratta di 15 veicoli confiscati in via definitiva. Altri tre sono stati assegnati alle forze dell'ordine: due alla guardia di finanza e uno alla polizia

ROMA. In vendita Ferrari e Porsche sottratte alla criminalità organizzata. L'annuncio arriva dall'Agenzia nazionale per i beni sequestrati alle mafie che, nel corso del Consiglio direttivo di oggi, ha approvato la destinazione di 30 veicoli confiscati in via definitiva.

Per 12 di questi è stata disposta la rottamazione, giacché privi di valore storico, mentre tre sono stati assegnati alle forze dell'ordine (due alla Guardia di Finanza e uno alla Polizia di Stato). Tra i 15 veicoli destinati alla vendita, spiccano 4 Ferrari, custodite in precedenza in Puglia (1), Sicilia (2) e Calabria (1) e una Porsche, prima custodita in Sicilia. La vendita dei veicoli verrà espletata a breve, non appena sarà attivato il nuovo portale dell'Agenzia nazionale, previsto entro poche settimane.

Il direttore dell'Agenzia, prefetto Giuseppe Caruso ha, infine, confermato oggi in Consiglio Direttivo la volontà di inaugurare entro la fine dell'anno una sede dell'organismo a Milano ed entro il 31 gennaio 2012 anche a Napoli.

Milano: 'ndrangheta, decine di arresti anche un giudice e un consigliere regionale

Giudici e politici legati alla 'ndrangheta. Tra la persone coinvolte nell'ambito dell'operazione di questa mattina, c'è anche un consigliere regionale calabrese del Pdl


Maxiblitz questa mattina contro la zona grigia della 'ndrangheta per l'esecuzione di una decina di provvedimenti cautelari nei confronti di professionisti accusati di aver favorito le attività della 'ndrangheta, in particolare della cosca Valle-Lampada. I provvedimenti, firmati dal gip Giuseppe Gennari, su richiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, hanno colpito anche un giudice del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giglio, accusato di corruzione e favoreggiamento personale, rivelazione del segreto d’ufficio con l'aggravante di aver agevolato le attività della 'ndrangheta e un politico. Coinvolto anche il consigliere regionale calabrese Francesco Morelli Pdl (in foto), che rappresenterebbe l'anello di collegamento tra i clan e gli ambienti politici nazionali. Fermato inoltre, su disposizione della Dda di Reggio Calabria, anche un avvocato di Palmi, Vincenzo Minasi, difensore di Maria Valle, la figlia del capo clan, e Vincenzo Giglio, medico a Reggio Calabria e cugino del giudice arrestato. Minasi è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni.


Sono stati sottoposti a fermo anche tre presunti affiliati alla 'ndrangheta, Gesuele Misale, Alfonso Rinaldi e Domenico Nasso. Misale è accusato di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni, Nasso di associazione mafiosa e Rinaldi di intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalità mafiose.

I fermi sono stati eseguiti dalle Squadre mobili di Reggio Calabria e di Milano e su disposizione della Dda di Reggio Calabria, sono stati perquisiti gli studi degli avvocati Francesco Cardone, del Foro di Palmi, e Giovanni Marafioti, del Foro di Vibo Valentia, indagati nella stessa inchiesta.

L'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e dai Pm Paolo Storari e Alessandra Dolci.

Intanto il presidente Scopelliti, a Lamezia Terme, per una conferenza stampa sul patto di stabilità regionale, appresa la notizia del fermo di Morelli ha dichiarato: «Fateci leggere le carte. Dateci la possibilità di leggere qualcosa. Ancora non abbiamo nessuna notizia».

I NOMI DELLE PERSONE FINITE IN MANETTE
I nomi delle persone arrestate nell’ambito dell’indagine coordinata dalle Dda di Milano e di Reggio Calabria, prosecuzione di quella sul clan dei Valle e non di 'Infinito'. In carcere sono finiti:

Raffaele Ferminio (associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni);
Vincenzo Giglio, medico di Reggio Calabria (concorso esterno in associazione mafiosa);
Francesco Lampada, attualmente detenuto per associazione mafiosa, concorso in usura e intestazione fittizia di beni;
Giulio Giuseppe Lampada (associazione mafiosa, corruzione, concorso in rivelazione di segreto d’ufficio, intestazione fittizia di beni);
Vincenzo Minasi, avvocato del foro di Palmi e con studi a Milano e Como (concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d’ufficio, intestazione fittizia di beni, aggravato dalla finalità di favorire l’associzione mafiosa);
Luigi Mongelli, maresciallo capo della Guardia di Finanza (corruzione);
Francesco Morelli, consigliere regionale presso la Regione Calabria (concorso esterno in associzione mafiosa, rivelazione di segreto d’ufficio e corruzione);
Leonardo Valle (associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni). Ai domiciliari è stata messa Maria Valle, moglie di Lampada (corruzione).

15 MESI FA, L'OPERAZIONE CONGIUNTA
DELLE DDA DI MILANO E REGGIO
L'operazione odierna rappresenta il seguito delle indagini congiunte della Dda di Reggio Calabria e di Milano ma tecnicamente non può definirsi un seguito delle maxioperazioni del luglio 2010 che portarono in carcere centinaia di persone tra Calabria e Lombardia, delineando il quadro delle alleanze e del comando a Milano e a Reggio.

Quelle due operazioni – denominate Crimine ed Infinito - scaturite da due diverse ordinanze di custodia cautelare hanno già portato a dibattimenti (a Milano si è concluso con pesantissime condanne una settimana fa), rinvii a giudizio, patteggiamenti, e suggellò il rapporto di collaborazione tra i due uffici giudiziari, impegnati in prima linea nel delineare l'allargamento delle cosche mafiose calabresi fuori regione e soprattutto in Lombardia. L'operazione odierna è il seguito di quelle indagini congiunte.

LA POLIZIA NEGLI UFFICI DI MORELLI IN CONSIGLIO REGIONALE
Gli agenti della polizia di Stato si sono presentati questa mattina a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria per perquisire gli uffici del consigliere Francesco Morelli, arrestato la scorsa notte su richiesta della Dda di Milano. Morelli, è presidente della Commissione consiliare, Bilancio e programmazione economica, e l'accusa di corruzione a lui contestata, è da mettere in relazione alla nomina della moglie del giudice Vincenzo Antonio Giglio, Alessandra Sarlo, a commissaria dell’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia. Questo è quello che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal gip di Milano su richiesta della Dda.

Oltre all’ufficio di Morelli al Consiglio regionale della Calabria, sono state perquisite una casa a Roma di proprietà della moglie del consigliere regionale e le sedi di alcune società di vari settori in cui il consigliere regionale avrebbe una partecipazione. Società di cui sarebbero partecipi alcuni affiliati alla 'ndrangheta. Morelli, stamattina, è stato portato a Reggio Calabria per alcuni adempimenti legati al suo arresto ed è stato successivamente trasferito nel carcere di Opera a Milano. Nei prossimi giorni, in presenza del suo difensore di fiducia, l'avvocato Franco Sammarco, sarà sottoposto all’interrogatorio di garanzia da parte del gip di Milano.

Il GIP DI PALMI, GIUSTI, CORROTTO CON LE ESCORT
Il gip di Palmi Giancarlo Giusti, perquisito e indagato per corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’operazione condotta dalle Dda di Reggio Calabria e Milano, sarebbe stato corrotto con viaggi e soggiorni nel capoluogo lombardo pagati dagli affiliati all’associazione a delinquere.

Al magistrato sarebbe stata assicurata anche la compagnia di una ventina di escort. I pm stanno cercando di capire cosa avrebbe dato in cambio al boss Giulio Giuseppe Lampada.

L’altro magistrato coinvolto, il presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria, Vincenzo Giglio, sarebbe stato invece corrotto con una 'spinta' alla carriera della moglie, Alessandra Sarlo, dirigente della Provincia e commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia, poi messa sotto inchiesta per mafia.

'Ndrangheta, operazione della Dda di Milano e Reggio. Le posizioni degli arrestati

Avvocati, magistrati e politici coinvolti nell'operazione di questa mattina compiuta dalla Dda di Milano e Reggio Calabria


Il gip di Palmi, Giancarlo Giusti, sarebbe stato corrotto, da quanto si è saputo, con alcuni viaggi nel nord Italia e con alcune escort da Giulio Giuseppe Lampada, che è finito in carcere per associazione mafiosa ed altri reati sempre nell’ambito dell’operazione di oggi.


Da quanto si è appreso, sarebbe stato il presunto affiliato alla 'ndrangheta Giulio Giuseppe Lampada a pagare una ventina di viaggi al giudice nel nord Italia, il quale poi avrebbe intrattenuto anche rapporti con alcune escort, in un hotel milanese in zona San Siro.

Per quanto riguarda invece la posizione di Giuseppe Vincenzo Giglio, il magistrato della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, finito in carcere in base all’ordinanza del gip di Milano Giuseppe Gennari, il prezzo della corruzione nei suoi confronti sarebbe stato quello di favorire, tra le altre cose, la carriera della moglie. Da quanto si è saputo, infatti, la moglie del magistrato è stata dirigente provinciale ed è poi diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia.

Dalle indagini è emerso anche che il medico Vincenzo Giglio, cugino del magistrato di Reggio Calabria, avrebbe appoggiato la campagna elettorale di Leonardo Valle, arrestato oggi per associazione mafiosa, che si era candidato in un comune dell’hinterland milanese, senza poi essere eletto.

L’avvocato del foro di Palmi Vincenzo Minasi, anche lui arrestato, avrebbe raccolto una serie di notizie riservate su alcune indagini che riguardavano il clan Valle. Sempre stando a quanto si è saputo, il consigliere regionale calabrese del Pdl Francesco Morelli, finito in carcere, avrebbe anche lui acquisito notizie riservate rivolgendosi al magistrato Giglio, il quale gli avrebbe mandato anche un fax per tranquillizzarlo sul fatto che non ci fossero indagini penali a suo carico.

La Dda di Milano e il gip milanese hanno individuato la competenza territoriale della magistratura milanese per queste indagini perchè il reato al centro dell’inchiesta è quello di associazione mafiosa che riguarda il clan Valle, reato che attira anche gli altri reati 'satellite'.

NELLE CARTE DELL'INCHIESTA IL NOME DI ALEMANNO
Il nome del primo cittadino di Roma, Gianni Alemanno, compare nelle carte nell’inchiesta di oggi, coordinata dalle Procure di Milano e Reggio Calabria che ha portato all’arresto di dieci presunti affiliati alla 'ndrangheta. Alemanno infatti, avrebbe incontrato esponenti del clan dei Lampada in occasione di manifestazioni elettorali ed ha sponsorizzato la candidatura di Franco Morelli, arrestato oggi, al Consiglio regionale calabrese. Tuttavia, assicura una fonte giudiziaria, Alemanno è estraneo a qualsiasi ipotesi di reato, e persino lo stesso Morelli, dopo aver capito di essere coinvolto nell’indagine, ha espresso preoccupazione per un eventuale coinvolgimento del sindaco suo amico. L’ordinanza di oltre 800 pagine ricostruisce il network di rapporti coi politici che i Lampada, famiglia criminale con sede a Milano, hanno cercato di costruire da sfruttare poi per l’attività di gestori di videopoker. Tra i referenti che individuano figurano il consigliere comunale milanese Armando Vagliati e l’ex assessore provinciale di Milano Antonio Oliverio, assolto nei giorni scorsi nell’ambito del processo 'Infinito'.

Tre coppie del Brindisino in un film a luci rosse


MESAGNE - “Il gioco delle coppie” approda anche a Mesagne, Ostuni e San Vito dei Normanni. E questa volta non è una riedizione del format televisivo, andato in onda per anni dal 1985, con la conduzione di Marco Predolin. Le coppie sono dei porno attori protagonisti di un nuovo video a luci rosse per la regia di Lucrezia F.

In città è già scandalo e tante sono le ipotesi che si rincorrono per individuare l’identità delle coppie mesagnesi e di quelle di Ostuni e San Vito. Il dvd, prodotto e distribuito dalla “Produzioni Valentino” di Roma, è atteso in edicola per i prossimi giorni. L’arrivo a Mesagne è destinato a creare curiosità ed interesse. "Le Porno Coppie di Ostuni e Mesagne" è il canovaccio su cui si inserisce lo scandalo tutto Brindisino. La produzione ha fatto sapere che i protagonisti delle avventure erotiche sono tre coppie della provincia. Una di Ostuni, l’altra di Mesagne e una terza di San Vito dei Normanni. I mesagnesi sono entrambi professionisti, lei 31enne e 33 anni lui. Gli attori sanvitesi sono una coppia molto conosciuta in paese. Lui è il titolare di un esercizio commerciale e la moglie fa la casalinga. Di lei si sa solo che ha 35anni. Della coppia di Ostuni non si hanno molte notizie se non l’età che è per lei di 37anni e per lui di 36. I protagonisti di questo nuovo lavoro hard si sarebbero conosciuti nei piazzali dei centri commerciali della nostra provincia dove, di notte, sembra si pratichi lo scambio di coppia. I parcheggi dei due più grossi centri commerciali che si trovano a ridosso della strada statale 7, infatti, spesso diventa il luogo preferito per gli scambisti.

Gli astri nascenti dell’hard locale hanno dichiarato di aver preso tutte le precauzioni necessarie per non essere riconosciuti. Oltre a mascherine e particolari veli è stato il lavoro della regia che non consentirà di arrivare immediatamente alle loro identità. Intanto però gli intraprendenti attori del video stanno passando le notti in bianco per il timore che la loro identità venga rivelata. La regia del nuovo film è di “Lucrezia F.”. Uno pseudonimo al singolare dietro cui si cela un gruppo di ex studenti universitari toscani oramai specializzati in questo tipo di prodotto hard. La loro è la storia di un gruppo di studenti non più ragazzini che si sono inventati un lavoro pur di sopravvivere alla crisi economica. Tutti amici d’infanzia o conosciuti a scuola che una sera “in un clima di ozioso convivio, tra una sigaretta e una birra, viene un pensiero più boccaccesco del solito: girare un porno”. Da allora ne è passata acqua sotto i ponti e sono stati diversi i film a luci rosse firmati da Lucrezia F. Il primo dvd fu girato a Siena e i giovani universitari dopo un giro nei night e nei privè riuscirono a trovare diversi attori pronti ad esibirsi senza veli di fronte alle telecamere. Nel brindisino i contatti sono nati nel web attraverso le chat aperte per far incontrare gli scambisti. Il lavoro è durato pochissimi giorni. Il set è stato ricostruito in un appartamento del centro Italia opportunamente adeguato alle esigenze dei film maker. Le coppie di esibizionisti non si sono fatti pregare. Per loro è stato come rivivere una serata normale. Adesso temono solo il giudizio dei loro concittadini se riusciranno a riconoscerli.

c. sar.

martedì 29 novembre 2011

Gli "scappati" tornano ai vertici di cosa nostra

PALERMO. Che i cosiddetti scappati, i boss perdenti della guerra di mafia costretti all'esilio negli Usa dai corleonesi di Totò Riina, fossero stati sdoganati, era cosa nota, ma che avessero riacquistato un ruolo di vertice in Cosa nostra è una novità.


La circostanza emerge dall'indagine del Ros che ha portato in cella quattro esponenti della cosca di Passo Di Rigano. Quella condotta dai Carabinieri è una delle tre maxi operazioni antimafia messe a segno oggi dalle forze dell'ordine a Palermo.

L'inchiesta ha evidenziato l'operatività dei vertici del mandamento e la loro capacità di relazione con i capi delle altre cosche.

I fermati sono GIOVANNI BOSCO, parente dello storico boss ucciso Salvatore Inzerillo, ALFONSO GAMBINO, IGNAZIO MANNINO e MATTEO INZERILLO, quest'ultimo incaricato di mantenere i rapporti con altri esponenti del mandamento che incontrava utilizzando mezzi dell'azienda municipalizzata dei trasporti di cui è dipendente. Tutti e quattro erano presenti all'importante summit mafioso di Villa Pensabene di febbraio scorso, segno dell'importanza del mandamento nel contesto mafioso palermitano.

"Tangenti per concessioni edilizie", 12 arresti ad Agrigento

Soldi in cambio del rilascio certo di permessi, autorizzazioni e varianti edilizie. In manette sono finiti dirigenti dell'ufficio tecnico comunale, architetti, imprenditori e un vigile urbano



AGRIGENTO. Soldi in cambio del rilascio certo di concessioni, autorizzazioni e varianti edilizie. E' il presunto giro di tangenti scoperto dalla squadra mobile e dalla Digos della Questura di Agrigento, che hanno eseguito ordinanze restrittive nei confronti di 13 indagati, tra dirigenti dell'ufficio tecnico comunale, architetti, imprenditori e un vigile urbano.

I provvedimenti, che ipotizzano, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere, corruzione, concussione e abuso d'ufficio, sono stati emessi dal Gip Alberto Davico su richiesta del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Luca Sciarretta.

La polizia ha eseguito sei ordini di custodia cautelare in carcere e cinque agli arresti domiciliari. Nei confronti di un agente di polizia municipale della squadra anti abusivismo edilizio è stato disposto l'obbligo di dimora a Agrigento. Per un dirigente comunale il Gip valuterà la sospensione dell'esercizio del pubblico ufficio dopo l'interrogatorio fissato per domani.

I Graviano ancora capi a Palermo, arrestata la sorella


PALERMO. Sono ancora i fratelli Graviano, capimafia dell'ala stragista di Cosa nostra, a comandare nel quartiere palermitano di Brancaccio. Filippo e Giuseppe, boss detenuti da anni, reggono le redini del mandamento con l'aiuto della sorella Nunzia tornata, dopo una condanna per mafia, a gestire gli affari della famiglia.


Nunzia - a suo carico anche le accuse del pentito Fabio Tranchina - è stata arrestata dagli agenti dello Sco della Squadra mobile di Palermo coordinati dal procuratore aggiunto Ignazio de Francisci e dai pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Secondo gli investigatori i soldi delle estorsioni finivano nelle sue tasche.

L'indagine che ha portato a 16 arresti è una delle tre operazioni contro le cosche messe a segno a Palermo, oggi – in tutto sono finiti in cella 36 presunti mafiosi - ed è l'epilogo di accertamenti investigativi sviluppati con intercettazioni e pedinamenti.

L'operazione, a cui hanno contribuito diversi pentiti, ha anche individuato i fiancheggiatori dei boss e gli esattori del pizzo. Dall'inchiesta è emersa una fitta rete di relazioni tra i vertici della cosca, alcuni in contatto con i capi della 'Ndrangheta, e quelli di altre famiglie mafiose della città: diversi i summit organizzati per risolvere i contrasti tra le cosche ascoltati in diretta dagli investigatori grazie alle intercettazioni. L'indagine ha messo in luce momenti di grave frizione tra le diverse anime di Cosa nostra ancora prive di una figura carismatica di riferimento dopo le catture dei padrini latitanti: più volte, nel corso dell'inchiesta, gli inquirenti hanno temuto per un ritorno in armi dei clan.

A febbraio l'ultimo summit delle cosche palermitane. I dettagli

L’incontro in un ristorante nel quartiere Zen: Villa Pensabene. A tratti tra i boss ci sarebbero stati momenti di tensione tanto da fare temere agli inquirenti, che intercettavano il summit, l'esplosione di una nuova guerra di mafia



PALERMO. Per il summit più importante degli ultimi anni hanno scelto un noto ristorante nel quartiere Zen a Palermo: Villa Pensabene. Il 7 febbraio scorso per parlare di soldi, affari, pizzo e potere lì si è riunito il nuovo gota della mafia palermitana: molti dei padrini presenti sono finiti in cella oggi arrestati nel corso di tre distinte operazioni contro le cosche condotte dai carabinieri del Comando provinciale e del Ros, dagli agenti della Mobile e dalla polizia valutaria della guardia di finanza.

Colpiti al cuore i mandamenti di Tommaso Natale, Resuttana, Brancaccio e Passo di Rigano.

Attorno al tavolo, a Villa Pensabene, c'erano GIULIO CAPORRIMO, GIOVANNI BOSCO, GIUSEPPE CALASCIBETTA (poi assassinato), ALFONSO GAMBINO, CESARE LUPO, NINO SACCO e GIUSEPPE ARDUINO.

A tratti - emerge dalle indagini - tra i boss ci sarebbero stati momenti di tensione tanto da fare temere agli inquirenti, che intercettavano il summit, l'esplosione di una nuova guerra di mafia determinata dall'assenza di un vero leader in grado di mantenere la pace tra le famiglie.

Mafia, tre blitz a Palermo: 36 arrestati

In azione polizia, carabinieri e guardia di finanza. In manette gli esponenti delle famiglie mafiose palermitane di Brancaccio, San Lorenzo, Resuttana e Passo di Rigano



PALERMO. Agenti della polizia e militari dei carabinieri e della guardia di finanza hanno portato a termine tre distinte operazioni antimafia eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare e due provvedimenti di fermo. In carcere complessivamente sono finiti 36 esponenti delle famiglie mafiose palermitane di Brancaccio, San Lorenzo, Resuttana e Passo di Rigano, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti. Le inchieste sono state coordinate dalla Dda di Palermo.

L'indagine della polizia, denominata 'Araba Fenice', riguarda sedici presunti mafiosi del mandamento di Brancaccio. Quella del nucleo investigativo dei carabinieri e dei militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza, chiamata 'Idra', ha portato al fermo di sedici presunti mafiosi dei mandamenti di Resuttana e Tommaso Natale.

Un terzo provvedimento di fermo è stato eseguito, infine, dai carabinieri del Ros nei confronti di quattro esponenti della cosca di Passo di Rigano.

Maxi operazioni a Palermo; i nomi degli arrestati

Questi gli arrestati nelle tre operazioni antimafia condotte oggi a Palermo: Giulio Caporrimo, Marcello Coccellato, Ugo De Lisi, Calogero Di Stefano, Giuseppe Enea, Fabio Gambino, Andrea Luparello, Giuseppe Serio, Vincenzo Di Blasi, Sandro Diele, Giovanni Li Causi, Filippo Pagano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Antonino Vitamia, Giovanni Bosco, Alfonso Gambino, Matteo Inzerillo, Ignazio Mannino, Cesare Lupo, Antonino Sacco, Giuseppe Arduino, Antonino Caserta, Matteo Scrima, Michelangelo Bruno, Girolamo Celesia, Pietro Asaro, Natale Bruno, Nunzia Graviano, Giovanni Torregrossa, Filippo Tuttino, Alberto Raccuglia, Antonello Lauricella, Pietro Arduino e Antonino Mistretta

lunedì 28 novembre 2011

Roma, arrestato il killer della casa di riposo

Che nega: "Sono innocente, mai fatto nulla"


L'infermiere Angelo Stazzi, attualmente in carcere perché accusato di un altro omicidio, deve rispondere dell'uccisione di sette anziani, cinque uomini e due donne. Tutti i delitti sono stati commessi dal gennaio all'ottobre 2009
 
C'è finalmente una svolta nelle indagini sul presunto serial killer di anziani, il cosiddetto angelo della morte di Roma. Gli agenti della squadra mobile capitolina, guidati da Vittorio Rizzi, hanno infatti notificato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere ad Angelo Stazzi, con l'accusa di aver ucciso 7 anziani, 5 uomini e due donne, dal gennaio all'ottobre 2009, nella casa di riposo Villa Alex, dove l'uomo lavorava come infermiere.

L'ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal gip di Tivoli Alfredo Bonagura, su richiesta del pm Gabriella Fazzi, sulla base delle indagini svolte dal team cold case della squadra mobile di Roma, specializzata nei delitti irrisolti, un'indagine nata dal caso dell'omicidio Dell'Unto.

L'ordinanza infatti è stata notificata all'infermiere 66enne nel carcere di Regina Coeli, dove l'uomo è recluso, dopo essere stato rinviato a giudizio, in attesa della sentenza della Corte di Assise di Roma, per l'omicidio di Maria Teresa Dell'Unto.

Infermiera del policlinico Gemelli, ex collega di Stazzi, la Dell'Unto era scomparsa nel 2001, un caso archiviato nel 2005, poi riaperto nel 2008 e risolto dalla squadra cold case capitolina nel 2009, che dopo otto anni ha ritrovato anche il corpo della donna, sepolto nel giardino di una vecchia abitazione di Stazzi a Montelibretti.

Dosi massicce di insulina per uccidere
I decessi dei quali è accusato riguarderebbero anziani quasi tutti malati. Dalle indagini sarebbe emerso che l'infermiere aveva un modus operandi preciso: iniettava farmaci per abbassare le difese immunitarie e poi somministrava massicce dosi di insulina che portavano alla morte.

Stazzi: "Ho sempre lavorato bene"
"Io non c'entro niente, ho sempre fatto bene il mio lavoro": così Angelo Stazzi, riferisce il suo avvocato Cristiano Pazienti che lo ha incontrato a Rebibbi. "Stazzi - dice l'avvocato - mi ha detto alcune cose ribattendo punto per punto l'ordinanza, e su questo baseremo la difesa e ha sottolineato 'non è assolutamente vero', così come aveva già fatto quando nacquero i primi sospetti mediatici".

"Ho letto l'ordinanza - spiega Pazienti che assiste Stazzi insieme a Cristiano Conte - siamo stati con il nostro assistito a Rebibbia tutto il pomeriggio. Lui logicamente nega ogni addebito. Rimaniamo esterrefatti, però siamo alle fasi finali del processo sull'omicidio Dell'Unto e arrivano queste accuse. Sarà sicuramente una coincidenza, credo nella buona fede della magistratura ma resto perplesso".

Il 14 e 15 dicembre infatti sono previste le udienze finali del procedimento davanti alla corte di Assise di Roma, per l'omicidio Dell'Unto. "E adesso che siamo prossimi ad una decisione viene fuori che è un serial killer - ha proseguito Pazienti - proprio ora, dal 2009, a supporto delle tesi accusatorie. E' stato sbattuto in prima pagina: si poteva aspettare la conclusione del processo, lui è già in carcere e io non vedo esigenze cautelari particolari come il pericolo di fuga o di recidiva".

Per quanto riguarda i passi successivi e il merito della vicenda, i legali aspettano di studiare gli atti e approfondire le accuse ma, fa notare il legale, "Stazzi si dichiara estraneo a queste accuse, ha sempre svolto il suo lavoro in modo professionale come è emerso anche nel processo. Si tratta di persone anziane che avevano da 86 a 99 anni: cercheremo anche di valutare con i nostri periti le cause dei decessi, per quello che è possibile, visto che è passato molto tempo. E per questo mi chiedo anche - conclude - come possano aver stabilito che sia Stazzi l'autore materiale di quelle morti". Stazzi "inizia anche ad essere stanco di queste accuse e sospetti. E' preoccupato per la sua famiglia, i figli, la compagna".

La Cassazione dà ragione al Riesame Parolisi resta in carcere


ROMA - Salvatore Parolisi, accusato dell'omicidio della moglie Melania Rea, resta in carcere. Lo ha stabilito la prima sezione penale della Cassazione respingendo il ricorso presentato dalla difesa del caporal maggiore


che chiedeva di ribaltare l'ordinanza del Tribunale del Riesame dell'Aquila dello scorso 23 agosto. La difesa di Parolisi, rappresentata da Valter Biscotti, puntava molto su una prova che, a suo dire, avrebbe scagionato il caporal maggiore accusato di aver ucciso lo scorso 18 aprile la moglie nel bosco di Ripa di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo. In pratica, secondo la difesa di Parolisi, l'uomo non avrebbe ucciso perchè quel giorno indossava una maglia a maniche corte mentre le indagini hanno refertato sulla coscia destra di Melania una striscia di sangue che sarebbe stata lasciata da un polsino di un indumento a manica lunga con zigrinature. Una tesi difensiva che la Cassazione bocciando il ricorso non ha condiviso.

Brindisi, pm chiede confisca di intero villaggio abusivo


BRINDISI - Quasi cinque ore di requisitoria. Ed alla fine è stata scandita la parola «confisca» che i centosettantaquattro proprietari delle ville situate nel villaggio Acque Chiare avevano la certezza che sarebbe stata pronunciata ma speravano, chissà, in un cambio di rotta, magari un miracolo. Confisca di tutto quanto è stato realizzato nel villaggio turistico Acque Chiare perché frutto di lottizzazione abusiva.


A scandirla è stato il pubblico ministero Antonio Costantini, subentrato nella pubblica accusa ad Adele Ferraro, magistrato della Procura di Brindisi, da qualche mese trasferita in altra Procura, che nel maggio del 2008 ordinò il sequestro della struttura. Ma prima di chiedere al giudice monocratico Francesco Aliffi di trasformare il sequestro degli immobili in confisca, il pubblico ministero ha chiesto la condanna per le quattro persone che avrebbero, con ruoli differenti, portato a compimento la lottizzazione abusiva.

E cioé: un anno e tre mesi ciascuno per il costruttore brindisino Vincenzo Romanazzi e per il notaio brindisino Bruno Cafaro, oltre al pagamento di quarantamila euro di multa a testa; un anno ciascuno per Carlo Cioffi, funzionario del Comene di Brindisi, all’Urbanistica ai tempi della realizzazione del villaggio, e Severino Orsan, progettista del villaggio Acque Chiare. Per questi due la multa è di venticinquemila euro a testa. (di p.arg.)

Falsi incidenti con feriti: 27 denunciati


LECCE – Denunciavano incidenti stradali mai verificatisi, indicando spesso anche persone ferite, e con la complicità di avvocati, periti, carrozzieri e medici, intascavano ingenti somme di denaro da compagnie di assicurazione italiane ed estere. E’ la presunta truffa scoperta dalla Polizia stradale di Lecce che ha denunciato alla Procura della Repubblica 27 persone con l’accusa, in concorso tra loro, di truffa. I danni per le compagnie ammonterebbero ad alcuni milioni di euro.


I falsi incidenti, risalenti al 2009, venivano denunciati compilando i relativi modelli nei quali le parti, coinvolte fittiziamente e d’accordo tra loro, indicavano quasi sempre il coinvolgimento di più autovetture e la presenza a bordo di passeggeri rimasti feriti.

Dalle indagini della Polstrada è emerso invece che i veicoli indicati presentavano danni incompatibili con la dinamica dell’incidente denunciata. In alcuni casi i mezzi sarebbero stati messi a disposizione da carrozzieri compiacenti che li avevano già a disposizione per precedenti riparazioni e che in questo modo ottenevano più indennizzi per lo stesso danno. Ingenti somme di denaro per indennizzo sono state sborsate dalle compagnie di assicurazione a titolo di risarcimento in favore di persone che avevano documentato di aver riportato lesioni, grazie alla complicità di avvocati e periti assicurativi.

Tutte le persone denunciate, di età compresa tra 25 e 70 anni, sono della provincia di Brindisi. In particolare, 16 sono di San Pietro Vernotico, cinque di Cellino San Marco, quattro di Torchiarolo e due della frazione brindisina di Tuturano. La Polstrada prosegue gli accertamenti per verificare se si possa configurare la presenza di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni di compagnie assicurative.

Rifiuti, interdizione per due funzionari dell’Ufficio del commissario

Le fiamme gialle hanno notificato oggi il provvedimento di interdizione dai pubblici uffici nei confronti di Richichi e Lo Piccolo
Interdizione dai pubblici uffici per due funzionari dell’Ufficio del commissario per l’emergenza rifiuti in Calabria, nell’ambito dell’inchiesta «Pecunia non olet bis» che ha portato, nei giorni scorsi, all’emissione di provvedimenti restrittivi nei confronti dei vertici della società «Enertech» che gestiva la discarica di Alli di Catanzaro.


Era stato il pm Carlo Villani (in foto), titolare delle indagini, a chiedere l'applicazione dell’interdizione nei confronti dei due funzionari indagati ed oggi il provvedimento gli è stato notificato dalla Guardia di Finanza.

Il giudice Abigail Mellace ha interrogato Richichi e Lo Piccolo nei giorni scorsi e stamani ha provveduto a fare notificare il provvedimento.

Analoga misura era stata richiesta nei confronti dell’allora commissario Graziano Melandri, ma il gip ha ritenuto di non doverla accogliere. Melandri, infatti, aveva rassegnato le dimissioni dall’incarico, per il quale è subentrato da oggi l’ex questore Vincenzo Speranza. Secondo l'inchiesta, i dirigenti dell’Ufficio emergenziale avrebbero contribuito a favorire l’evasione fiscale da parte della società «Enertech», attraverso cambi societari che sarebbero stati architettati dall’amministratore Stefano Gavioli, finito poi agli arresti, e non tenendo conto di alcuni atti di Equitalia.

Giampilieri, consulenze per quasi 900 mila euro

Tra i nomi anche quello di un ventiduenne, studente a Giurisprudenza. Per lui circa 33 mila euro. Tanti gli ingegneri che si sono occupati di progettazione per la ricostruzione, consolidamento, studi geologici, studi di rocce e pendii, pianificazione territoriale, prevenzione, riassetto del territorio



MESSINA. Quasi novecentomila euro di consulenze per l'emergenza Giampilieri e Scaletta. Tanto ha speso il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo nella doppia veste di presidente della Regione e di commissario straordinario per l'emergenza alluvione. Le determinazioni, con i nomi, i curricula professionali e i relativi importi sono pubblicate tra tutti gli incarichi affidati dalla Regione nel sito ufficiale della Presidenza. Tra i nomi anche quello di un ventiduenne. Si tratta di FRANCESCO MICALI che abita a Giampilieri Superiore.

Per lui due delibere per lo stesso incarico portato a termine sino al 31 ottobre scorso. Micali, si legge nel curriculum ha conseguito la maturità classica. È studente della facoltà di Giurisprudenza ed è diplomato al conservatorio in pianoforte. È consulente all'organizzazione delle sede operativa di Messina, all'informazione alla cittadinanza delle zone alluvionate, alla progettazione e alla ripresa economica e sociale del territorio. La prima determina copre il periodo dal 12 marzo al 12 settembre 2010 e stanzia un importo di 11.076 euro. La seconda invece copre il periodo che va dal 13 novembre 2010 al 31 ottobre 2011 e stanzia 22.152 euro.

Tanti invece gli ingegneri che si sono occupati di varie materie: progettazione per la ricostruzione, consolidamento, studi geologici, studi di rocce e pendii, pianificazione territoriale, prevenzione, riassetto del territorio. Di seguito elenco e importi lordi erogati: agli ingeneri ANTONIO FERRARO e CINZIA LA ROCCA in due diversi periodi coperti nei due anni sono andati rispettivamente 37.482,46 euro e 37.645,28. E ancora: all'ingegnere MARCO NICOLOSI, 12.001,28 All'ingegnere ANTONIO RUGGERI (che si è occupato degli aspetti organizzati dell'ufficio del soggetto attuatore), 12.000 euro.

In lista anche alcuni architetti: FELICE ZACCONE, 36 mila euro e DARIO LA FAUCI, 27 mila euro (per l'impegno in entrambi i casi in due diversi periodi di riferimento). GABRIELE AMATO si è occupato nei due anni post alluvione dell'innovazione tecnologia e del sistema informatico per un costo complessivo di 33.228 euro. Al geologo VINCENZO PINIZZOTTO sono andati 13.309 euro. Per ANGELA FUNDARÒ, che si è occupata da gennaio a ottobre 2011 del raccordo tra il commissario e gli uffici del soggetto attuatore e dei rapporti con la stampa, sono stati stanziati 20 mila euro. Da supporto al lavoro del soggetto attuatore ha fatto CALOGERO SIRNA sino alla fine di ottobre a partire dal 26 luglio dell'anno prima. Per lui 37.733 euro. A NICOLA CASAGLI, geologo, due incarichi in due diversi periodi. In tutto: 114.333 euro. Agli ingegneri ERMINIA RACITI e VINCENZO MARCO NICOLOSI stesso importo e stesso periodo (da novembre 2010 ad ottobre 2011): 25.644 euro. Stesso importo anche per la consulenza del geologo ROSARIO CAMINITI: 25.644 euro. All'ingegnere MICHELE MAUGERI consulenze da 116.999 euro. All'ingegnere ENRICO FOTI che si è occupato in particolare dell'assetto idrogeologico consulenze da 115.499 euro. All'architetto MARCO NAVARRA due diverse consulenze per due periodi. Complessivamente: 110.166 euro.

 EMILIO PINTALDI

Agguato a Palma di Montechiaro, ucciso un imbianchino

Almeno quattordici colpi di pistola contro Calogero Burgio, 39 anni, emigrato in Germania e rientrato in Sicilia da qualche giorno. I sicari gli hanno sparato davanti alla sua abitazione nel centro del paese



PALMA DI MONTECHIARO. Un imbianchino emigrato in Germania che da qualche settimana era rientrato a Palma di Montechiaro, Calogero Burgio, di 39 anni, é morto dopo essere stato ferito ieri sera con diversi colpi di arma da fuoco. L'agguato è avvenuto in via Nobel, nel centro del paese, davanti all'abitazione della vittima; i sicari, secondo i primi rilievi balistici, avrebbero sparato almeno 14 colpi di pistola.

Burgio, sposato e padre di figli, era stato ricoverato in gravissime condizioni nell'ospedale San Giacomo D'Altopasso di Licata. Ma durante la notte è morto, mentre i medici del reparto di chirurgia dell'ospedale 'San Giacomo d'Altopassò, a Licata (Ag), lo stavano sottoponendo a intervento chirurgico, Calogero Burgio, l'imbianchino di 39 anni di Palma di Montechiaro, gravemente ferito ieri sera in un agguato. Burgio, secondo quanto è stato ricostruito dalla polizia - che si occupa delle indagini - stava rientrando a casa, in via Nobel, quando è stato raggiunto da una pioggia di proiettili esplosi da una mitraglietta o da un kalashnikov.

Sembra che l'uomo, un emigrato in Germania rientrato a Palma da poche settimane, abbia tentato la fuga, ma i killer, probabilmente a bordo di una moto, lo hanno freddato immediatamente. La polizia, fin dalla notte, ha iniziato a interrogare parenti e amici di Burgio, per individuare la giusta pista investigativa. Le modalità dell'agguato lascerebbero, almeno per il momento, ipotizzare un regolamento di conti.

domenica 27 novembre 2011

liliumjoker oltre 2 milioni di visitatori

liliumjoker oltre 2 milioni di visitatori


Il mio blog http://liliumjoker-liliumjoker.blogspot.com/ ha acquisito nell’arco di questi anni un’ottima notorietà internazionale, con oltre 2 milioni di visitatori da tutto il mondo, da tutte le università, associazioni o enti, da gente comune, da vittime o carnefici, da curiosi.
Mi onorano spesso le visite delle più alte cariche dello Stato che visitano i miei siti, non so se per curiosità o interesse. Alcuni dei miei blog sono stati mandati in tilt da hacker, forse parenti di mafiosi .
Quotidianamente sbeffeggio la “cosca dei pidocchi”, questa sporcizia che ci aveva accerchiato. Scese in campo un esercito contro tre fratelli che lavoravano onestamente, in un paese dove le connivenze erano all’ordine del giorno.
Molti giovani che seguono quotidianamente il mio blog sono attivissimi in prima linea nel volontariato e a contrastare tutto ciò che rappresenta la criminalità organizzata e politica corrotta.











Agguato a Palma di Montechiaro, operaio in fin di vita

Almeno quattordici colpi di pistola contro Calogero Burgio, 39 anni, un emigrato in Germania rientrato in Sicilia da qualche giorno. I sicari gli hanno sparato davanti alla sua abitazione nel centro del paese

PALMA DI MONTECHIARO. Un operaio emigrato in Germania che da qualche settimana era rientrato a Palma di Montechiaro, Calogero Burgio, di 39 anni, é in fin di vita dopo essere stato ferito ieri sera con diversi colpi di arma da fuoco. L'agguato è avvenuto in via Nobel, nel centro del paese, davanti all'abitazione della vittima; i sicari, secondo i primi rilievi balistici, avrebbero sparato almeno 14 colpi di pistola.

Burgio, sposato e padre di figli, è ricoverato in gravissime condizioni nell'ospedale San Giacomo D'Altopasso di Licata. Sono in corso indagini della squadra mobile di Agrigento.

sabato 26 novembre 2011

'Ndrangheta, minacce ed estorioni dieci persone fermate nel Vibonese

Le dieci persone raggiunte da un provvedimento di fermo sono presunti affiliati alla cosca Soriano di Filandari


Dieci persone sono state sottoposte a fermo di indiziato di delitto dai Carabinieri del Comando Provinciale di Vibo Valentia, con il supporto di quelli della Compagnia Speciale e del Nucleo Cinofili del Gruppo Operativo Calabria. Le persone raggiunte dal provvedimento emesso dalla Dda di Catanzaro, sono presunti esponenti del clan mafioso dei Soriano di Filandari (Vv) e sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, minaccia, incendio, detenzione e porto abusivo di armi e di esplosivi, aggravati dalle modalità mafiose, commessi ai danni di numerosi imprenditori ed anche di alcuni giornalisti, in un arco temporale compreso tra il 2007 e la data odierna.

Pesanti intimidazioni compiute tra gli altri ad Angela Napoli di Fli e ancora più pesanti a quattro carabinieri che prestavano servizio nella zona di Filandari; ad uno fu bruciata la vettura, ad altri due spararono colpi di pistola contro l’abitazione e l’automobile e ad un altro fui recapitata una lettera a casa. L'operazione conclude un’indagine avviata nel 2010 dalla Compagnia di Vibo Valentia, che ha permesso di disarticolare la suddetta associazione di tipo mafioso.

Gli indiziati, secondo l’accusa, facevano parte della cosca Soriano, commettendo estorsioni, danneggiamenti, al fine di acquisire il controllo, anche indiretto, o la gestione, di attività economiche, in particolare di attività imprenditoriali nel campo dell’edilizia e del movimento terra e simili.

La cosca imponeva, inoltre, prestazioni e forniture in regime di monopolio, specie nel campo dell’edilizia e del movimento terra. Il gruppo avrebbe avuto disponibilità di armi ed esplosivi.

LE PERSONE SOTTOPOSTE A FERMO
Leone Soriano, 45 anni; Carmelo Soriano di 49; Carmelo Giuseppe Soriano di 20; Francesco Parrotta, di 28; Giuseppe Soriano, di 20; Antonio Carà di 18; Grazie D’Ambrosio di 41; Graziella Silipigni di 40; Gaetano Soriano di 47; Fabio Buttafuoco, di 22. Soriano e Gaetano Leone, sono indicati come organizzatori; Buttafuoco, Carà, Parrotta sarebbero esecutori. Gli altri sarebbero stati esecutori esoggetti di raccordo tra i dirigenti e gli esecutori.

IL RUOLO DELLE DONNE
Tra le persone fermate dai Carabinieri nell’ambito dell’operazione «Ragno» figurano due donne: Graziella Silipigni, moglie di Roberto Soriano, scomparso per lupara bianca, e Graziella D’Ambrosio, moglie di Gaetano Soriano. Secondo gli inquirenti, quando i mariti erano in carcere o erano assenti per altre ragioni, erano loro a sostituirli e a fare le loro veci. A sottolineaere questo aspetto sono stati, durante una conferenza stampa, il procuratore Giuseppe Lombardo ed il sostituto Vincenzo Borrelli. Gli indiziati – altro elemento emerso dall’ordinanza - estorcevano merci di ogni genere alle vittime, naturalmente senza pagare per poi rivenderla a basso costo. Tra l’altro, in vista delle festività, elementi della cosca avrebbero preteso cestini natalizi da regalar ai loro referenti.

Mafia, in Sicilia confiscati 4581 immobili

I dati sono aggiornati a novembre 2011 e sono stati forniti da Giuseppe Caruso, direttore dell'Agenzia


PALERMO. Sono 4581 in Sicilia gli immobili confiscati alla mafia, e 544 le aziende.
I dati sono aggiornati a novembre 2011 e sono stati forniti da Giuseppe Caruso, direttore dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Oggi la sede nazionale a Palermo è stata inagurata dal ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri.

Usura, a giudizio commercianti e direttore banca nel Ragusano

Per i fratelli Salvatore e Giorgio Civello, rispettivamente di 65 e 57 anni, e Giuseppe Iemmolo l'accusa è di usura aggravata, minacce ed estorsione aggravata in concorso



MODICA. Il Gup di Modica Patricia De Marco, accogliendo la richiesta del procuratore Francesco Pulejo, ha rinviato a giudizio i fratelli Salvatore e Giorgio Civello, rispettivamente di 65 e 57 anni, di Pozzallo, e il direttore di banca Giuseppe Iemmolo con l'accusa di usura aggravata, minacce ed estorsione aggravata in concorso.
Salvatore Civello deve anche rispondere di detenzione illegale d'arma da fuoco. La prima udienza del processo è fissata per il 29 febbraio 2012. Nel giugno scorso i tre imputati erano stati coinvolti in una complessa operazione che aveva portato all'arresto dei fratelli Civello ed all'applicazione della misura interdittiva del divieto di esercizio di attività professionale in banca per due mesi del direttore dell'agenzia di Pozzallo della Banca Agricola Popolare di Ragusa.

I fratelli Civello, gestori di un bar e di un negozio di ortofrutta a Pozzallo, secondo l'accusa avrebbero tenuto le fila di un giro di usura che andava avanti da qualche anno. Avrebbero agito con la compiacenza del direttore di banca che, approfittando della sua posizione, avrebbe intercettato in banca i clienti in difficoltà economiche, indirizzandoli verso i fratelli Civello.
Le vittime erano tutte titolari di attività commerciali di Pozzallo.

Sequestrato un resort di 4 stelle nell’Ennese

Sigilli al complesso turistico alberghiero "Villa Gussio-Nicoletti", nei pressi dei Leonforte. Sette le persone indagate. Sono accusati di truffa per il conseguimento illecito di finanziamenti alle imprese



ENNA. Il complesso turistico alberghiero "Villa Gussio-Nicoletti", un resort hotel a 4 stelle realizzato vicino Leonforte (Enna) in seno ad una dimora gentilizia del XVII-XVIII secolo, è stato sequestrato da militari della Guardia di finanza di Enna nell'ambito di una indagine su una truffa aggravata volta al conseguimento illecito di finanziamenti alle imprese. Il valore dei beni sequestrati ammonta a 2,2 milioni di euro.

Sette le persone indagate, tra amministratori e soci di Villa Gussio e imprenditori e professionisti, accusati, a vario titolo, dei reati di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e false comunicazioni sociali. Secondo quanto accertato dalle indagini, avviate nel 2008 e coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia, la società proprietaria sarebbe riuscita ad ottenere dal ministero delle Attività Produttive un contributo pari a 3,4 milioni di euro, di cui più di 2,2 milioni già erogati, per il risanamento conservativo dell'antica villa patrizia, per la sua riconversione a fini turistici e per la realizzazione di un nuovo complesso alberghiero con annesse 23 camere, una sala congressi, due piscine ed un centro benessere.

Le Fiamme Gialle hanno individuato un centinaio di fatture per operazioni inesistenti tra imprese e professionisti riconducibili anche allo stesso Resort e scoperto movimentazioni bancarie fittizie che avrebbero avuto lo scopo di dimostrare agli enti erogatori la sussistenza di elevati costi di realizzazione delle opere che giustificavano gli investimenti previsti. L'attività di indagine ha richiesto l'effettuazione di cinque verifiche tributarie nei confronti di altrettante imprese che si sono concluse con il recupero di redditi evasi pari a 10 milioni di euro e di IVA dovuta e non versata per oltre 3 milioni di euro.

Tangenti al Comune di Palermo, ecco gli arrestati

Il procuratore aggiunto Leonardo Agueci: lo sportello unico era diventato lo sportello unico della corruzione


PALERMO. "Siamo vicini a una campagna elettorale, i nomi dei candidati a sindaco che si leggono sono di altissimo valore e professionalità, speriamo che il tema della legalità sia un punto fermo, il principale argomento di competizione". Lo dice il procuratore aggiunto Leonardo Agueci che ha coordinato le indagini che hanno portato in carcere cinque persone, tra dipendenti del comune di Palermo e liberi professionisti per un giro di mazzette. "Lo sportello unico - aggiunge Agueci - era diventato lo sportello unico della corruzione, le forche caudine dei commercianti che se non volevano avere intoppi nelle pratiche dovevano pagare o rivolgersi a determinati professionisti per la progettazione. Ci sono altre indagini in corso - conclude il procuratore aggiunto - da cui emerge l'immagine di un comune permeato da nuclei di malaffare e corruzione. Chi si rivolge al Comune su trova di fronte un muro di malaffare".

Ecco gli arrestati
I nomi dei cinque dipendenti comunali arrestati stamattina (e ai quali sono stati concessi i domiciliari), nell'ambito di un'indagine su presunte 'mazzette' che sarebbero state versate per il rilascio di autorizzazioni in favore di imprenditori o commercianti, a Palermo, sono: Mario Torrasi, Natale Ciancio e Antonio Giuseppe Genovese. I professionisti coinvolti, invece, sono l'architetto Mario Pagnotta e il geometra Francesco Lombardo.

Indagato anche un vigile urbano

Si tratta di Ignazio Tinnirello. In tutto sono venticinque gli indagati dell'operazione "eat to eat" della polizia. Solo cinque sono stati raggiunti da una misura cautelare


PALERMO. Sono venticinque gli indagati dell'operazione "eat to eat" della Polizia su un giro di
tangenti al Comune di Palermo.
Solo cinque sono stati raggiunti da una misura cautelare, per gli altri il Gip Fernando Sestito ha respinto le richieste del pubblico ministero. Si tratta di altri tre dipendenti dell'assessorato alle attività produttive: Cosimo Acquisto, Maurizio Garofalo e Giovanni Polizzi. Per loro l'accusa aveva chiesto l'arresto, così come per il vigile urbano, Ignazio Tinnirello.
Sedici, invece, sono i commercianti per i quali non è stata accolta la richiesta di divieto di dimora a Palermo.

Palermo, lite familiare finisce in omicidio

PALERMO. Una lite familiare è finita nel sangue, ieri sera a Palermo. Teatro della tragedia Fondo La Manna, nel quartiere Zisa, a due passi dalla circonvallazione. La vittima si chiama Salvatore Benfante, un raccoglitore di ferro di 33 anni, residente in vicolo Empedocle.

Per l’omicidio sono state arrestati dai carabinieri Umberto Zora, muratore di 48 anni, Giancarlo Zora, disoccupato di 25 anni, residente in via Fondo la Manna, e Domenico Lecce, 34 anni, anche lui disoccupato e residente in via Camarda disoccupato.
Arrestati con l’accusa di rissa aggravata in concorso anche Antonino Benfante, 29 anni, e Guido Benfante, 19 anni, entrambi residenti in vicolo Empedocle e raccoglitori di ferro.

Secondo la ricostruzione dei carabinieri della Stazione di Altarello di Baida e del Nucleo Operativo della Compagnia San Lorenzo, Salvatore Benfante questa notte si è recato presso l’abitazione del cognato Giancarlo Zora, insieme ai fratelli , Guido e Antonino, per chiarire passate controversie familiari.

Dalla discussione ne è scaturita una violenta colluttazione alla quale hanno partecipato anche Umberto Zora, padre di Giancarlo e Domenico Lecce, un cugino, al termine della quale Umberto Zora, armato di una baionetta avrebbe accoltellato Salvatore Benfante colpendolo all’addome. Salvatore, immediatamente accompagnato dai fratelli presso l’ospedale Buccheri La Ferla, è morto intorno all’una di notte a causa delle emorragie.

IGNAZIO MARCHESE

Ristoranti del lungomare, sequestrate le quote Iorio e Potenza

Chiesto rinvio a giudizio ex capo della Mobile, Pisani


NAPOLI - La Dia di Napoli su delega della Direzione Distrettuale Antimafia sta eseguendo due decreti di sequestro preventivo emessi dal gip, relativi a quote di noti ristoranti cittadini.


Le quote in sequestro sono relative ai ristoranti facenti capo alle famiglie Iorio e Potenza, parzialmente già colpite con i sequestri e gli arresti dello scorso 30 giugno. Operazione in cui sbucò come finanziatore della famiglia Iorio l'ex campione del mondo Fabio Cannavaro

Il valore delle quote sequestrate oggi è di oltre cinque milioni di euro e riguardano i ristoranti di Napoli, Pozzuoli, Torino e Genova per la parte che era sfuggita ai sequestri di giugno in quanto intestate fittiziamente a prestanome.

Gli esiti dell'inchiesta hanno portato la Procura di Napoli a chiedere il rinvio a giudizio per le 18 persone coinvolte nell'inchiesta su camorra, riciclaggio e ristorazione. Tra loro c'è l'excapo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, accusato di rivelazione di segreto, favoreggiamento, abuso d'ufficio e falso.

La richiesta riguarda, tra gli altri, anche i fratelli Marco, Massimiliano e Carmine Iorio nonchè l'ex contrabbandiere e usuraio Mario Potenza, iin casa del quale furono trovati diversi milioni di euro in contanti nascosti nei muri di casa, con i figli Bruno, Salvatore e Assunta.

Secondo i pm Sergio Amato ed Enrica Parascandolo, i Potenza avevano investito forti somme di denaro in una serie di locali pubblici molto noti di varie città italiane, soprattutto Napoli. Lo stesso aveva fatto l'ex capoclan Salvatore Lo Russo, oggi collaboratore di giustizia.

Secondo l'accusa, Vittorio Pisani, amico di Marco Iorio, sapeva che i Potenza erano soci degli Iorio, ma non era mai intervenuto per reprimere il reato e addirittura aveva rivelato all'amico l'esistenza dell'inchiesta, avviata dopo l'arrivo di un esposto anonimo, fornendogli anche suggerimenti su come modificare gli assetti societari e portare i soldi in Svizzera.

Nella richiesta di rinvio a giudizio sono state indicate come parti offese il Ministero dell'Interno, di cui Vittorio Pisani è un dirigente, e il Comune di

Napoli, per il danno che la vicenda ha arrecato all'immagine della città.
La data dell'udienza preliminare dovrebbe essere fissata a giorni.

Scattone professore nella scuola di Marta Russo

La famiglia indignata, lui: "Perché no?" I genitori della ragazza: "E' stato profanato il luogo dove nostra figlia ha studiato"


I genitori di Marta Russo, la studentessa uccisa nel 1997 da un colpo di pistola all'università La Sapienza, criticano l'assegnazione della cattedra nel liceo romano frequentato dalla figlia a Giovanni Scattone, condannato a 5 anni e 2 mesi per omicidio colposo di Marta. Per i Russo la notizia è "la profanazione del luogo in cui nostra figlia ha trascorso gli ultimi anni prima di iscriversi all'università dove ha trovato la morte".

"Ti senti come perseguitato dal destino, ma tanto è inutile perché non ci si può far nulla", commenta Aureliana Russo, madre di Marta. Sua figlia fu uccisa da un colpo di pistola all'università La Sapienza sparato, secondo la legge, da Giovanni Scattone che per una sorta di fatale coincidenza dall'inizio dell'anno ha visto assegnarsi la cattedra di Storia e Filosofia al liceo Cavour, lo stesso frequentato per tre anni dalla vittima.

"All'inizio dell'anno la madre di una alunna del Cavour mi telefonò sconvolta - racconta - per dirmi la novità: Scattone insegnava lì. Mi disse che volevano fare qualcosa per protestare, ma poi non ho più sentito nessuno, né tantomeno ho telefonato io. Del resto con chi me la potrei prendere? Con l'ultima sentenza Scattone non è più interdetto dai pubblici uffici, quindi... Capisco che si debba guadagnare il pane ma dovrebbe fare un altro mestiere. Dopo un delitto così atroce, lui non può essere un educatore di giovani; proprio lui non può insegnare filosofia. In tutte le scuole dove è andato ad insegnare i genitori si sono ribellati ma non hanno potuto far niente. E' la legge".

Scattone: "Non capisco perché non dovrei insegnare"
"Mi dovrei astenere dall'insegnamento? E perché? Io mi sono sempre dichiarato innocente. Con tutto il rispetto per i parenti di Marta Russo io sono sereno e non vedo perché non dovrei insegnare storia e filosofia". Così in un'intervista al Corriere della Sera, Giovanni Scattone si difende. "Vado dove mi si chiama. Sono un precario - dice - sposato con un'insegnante anche lei precaria". Quanto a polemiche anche in altri istituti per la sua presenza ha detto: "Non mi risulta. L'unica polemica fu innescata sette anni fa da un articolo di un quotidiano. Mi si contestava l'opportunità di insegnare al Primo Levi. In tutti questi anni tra i colleghi e gli studenti non ho mai trovato contestazioni di sorta".

«Pratiche sporche» Niente controlli fiscali a chi pagava la mazzetta


BARLETTA - Una mazzetta di 20mila euro per evitare pesanti sanzioni alla luce di una serie di irregolarità. Sarebbe stata la richiesta di due funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Barletta recatisi, a gennaio 2009, in una sala ricevimenti di Canosa di Puglia per un’ispezione. Funzionava così il sistema scoperchiato dalla Guardia di Finanza di Barletta: una «dirty practice» che ha portato agli arresti otto funzionari dell’Agenzia delle Entrate, quattro di Barletta e quattro di Bari.


GLI ARRESTATI - In carcere sono finiti: Michele De Cesare, 65 anni, di Bari; Giuseppe Rizzi, 56enne nato a Bari ma residente a Ceglie del Campo, entrambi dell’Agenzia dell’Entrate di Bari; Antonio Dileo, 52 anni, di Barletta; Pietro Pappolla, 65enne di Trani, entrambi dell’Agen - zia delle Entrate di Barletta. Ristretti, invece, agli arresti domiciliari: Luca Lerro, 63 anni, natio di Corato ma residente a Bari; Nunzia Ciminiello, 58enne barese, entrambi dell’Ag enzia delle Entrate di Bari; Luigi Pesce e Saverio D’Ercole, entrambi 60enni andriesi dell’Ag enzia dell’entrate di Barletta. Le accuse, a vario titolo e a seconda delle rispettive presunte responsabilità, sono di concussione, millantato credito, tentata truffa, rivelazione ed utilizzazione di segreto d’ufficio.

Le ordinanze di custodia cautelare firmate dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Roberto Oliveri Del Castillo, sono state richieste dal sostituto procuratore della Repubblica, Michele Ruggiero. E così ieri, alle prime luci dell’al - ba, la Guardia di Finanza di Barletta, capeggiata dal colonnello Giuseppe Cardellicchio, ha tratto in arresto gli 8 funzionari (2 dei quali non più in servizio). Gli interrogatori di garanzia si svolgeranno la prossima settimana.

L’AGENZIA DELLE ENTRATE - «Sono stati già sanzionati con licenziamenti e sospensioni i dipendenti indagati della sede di Barletta nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla guardia di finanza che ha portato oggi ad otto arresti per un giro di tangenti». Lo sottolinea la Direzione Regionale della Puglia della Agenzia, con una nota nella quale si sottolinea di aver «prestato la massima collaborazione agli inquirenti, nell’ ambito dell’indagine della Procura di Trani».

«Nel condannare con fermezza ogni comportamento illecito di cui si siano resi protagonisti alcuni dipendenti infedeli, la Direzione Regionale – si aggiunge nella nota – ribadisce anche che il rispetto dei principi di correttezza e integrità professionale è la regola alla quale si attiene la stragrande maggioranza dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, nel quotidiano svolgimento dei compiti loro assegnati. Per quanto riguarda, infine, gli otto dipendenti raggiunti da misure restrittive della liberà personale, uno di essi era già stato licenziato l’anno scorso e due erano in pensione. Nei confronti degli altri cinque è già stato adottato il provvedimento di sospensione dal servizio».

Omicidio Labianca Pupillo condannato a 21 anni di carcere


BARI - La Corte di Appello del Tribunale di Bari ha condannato a 21 anni di carcere Giovanni Pupillo, il presunto assassino della 19enne Maria Pia Labianca, uccisa la sera tra il 24 e il 25 febbraio del 1999 a Gravina in Puglia, paese d’origine della studentessa universitaria, iscritta all’Università di Padova.


La sentenza è stata emessa dopo tre ore di camera di consiglio. I giudici hanno in sostanza confermato la sentenza di primo grado, mentre il sostituto procuratore generale, Vincenzo Ardito, aveva chiesto di inasprire la pena portandola a 28 anni: l’accusa, durante la requisitoria, aveva sostenuto che a Pupillo non dovessero essere riconosciute le attenuanti generiche.

Il corpo fu trovato da un contadino tre giorni dopo la scomparsa, il cadavere era stato nascosto all’interno di un casolare di campagna in contrada 'Guardialto Piccolò, vicino Gravina. Davanti agli occhi dei carabinieri e della polizia si presentò una scena agghiacciante: il corpo della ragazza era completamente nudo, con le caviglie strette da una sciarpa e le braccia aperte a croce. Sotto il seno sinistro c'era una ferita da coltello.

Si appropriarono di soldi dei corsi Eurispes dieci condanne a Bari


BARI – La prima sezione penale del Tribunale di Bari ha condannato 10 persone e ne ha assolte sei al termine del processo sui corsi di formazione professionale per formatori tenuti dall’Eurispes in Puglia tra il 1998 e il 1999. I corsi vennero finanziati dalla Regione Puglia, costituitasi parte civile, con un importo complessivo di oltre 18 miliardi di lire. Gli imputati erano accusati di essersi appropriati di metà circa della somma, otto miliardi di lire.


I giudici hanno condannato a sei anni di reclusione l’allora presidente dell’Eurispes, Giovanni Maria Fara, l’ex dirigente Eurispes e direttore dei corsi svolti in Puglia, Mario Marotta, e l’ex direttore amministrativo dell’Eurispes, Francesco De Fazio. Per questi fatti Fara, Marotta e De Fazio finirono agli arresti domiciliari il 18 marzo del 2002; finì in carcere, invece, il faccendiere barese Vitantonio Mitola, condannato oggi a 4 anni di reclusione. Condannate a 2 anni e 3 mesi di reclusione le mogli di Fara e Marotta, Assunta Montante e Francesca Bucci. Condannati anche quattro dei 10 tutor e coordinatori dei corsi imputati: Lorenzo Ferragamo (2 anni e 3 mesi), Marcello Mitola (2 anni), Consolata Puglia (2 anni) e Aldo Sciarra (3 anni). Assolti invece Domenica Gennaro, Leonardo Losito, Nunziata Brandi, Alberto Giammaria, Fausta Savone e Franco Volpi.

Dagli atti dell’inchiesta è emerso che gli sperperi compiuti durante lo svolgimento dei corsi erano finalizzati all’accaparramento dei soldi dei contribuenti. Una gestione “arbitraria e predatoria del danaro pubblico” la definì l'allora pm della Procura di Bari, Roberto Rossi.