sabato 31 luglio 2010

liliumjoker 10 anni nel web

Droga: Operazione 'Black Passenger', 4 Arresti Tra Padova e Roma


Droga: Operazione 'Black Passenger', 4 Arresti Tra Padova e Roma

ASCA) - Perugia, 30 lug - La squadra mobile della questura di Perugia, sezione criminalita' organizzata, ha arrestato tra Padova e Roma, quattro nigeriani ricercati nell'ambito dell'operazione ''Black passengers''. Si tratta di soggetti che si aggiungono ai 25 gia' individuati e bloccati, ritenuti appartenere ad un sodalizio specializzato nel traffico internazionale di stupefacenti, in particolare cocaina introdotta in Italia nella misura di oltre 1 kg la settimana. I 4 indagati, spiega una nota della questura, erano sfuggiti durante la fase dell'esecuzione delle catture, ma sono stati localizzati: tre a Padova ed il quarto a Roma. Per gli altri latitanti, che dovrebbero trovarsi in Nigeria, come il capo dell'associazione (le ordinanza di custodia cautelare emesse erano 38), la squadra mobile di Perugia ha attivato i canali istituzionali internazionali che, attraverso la collaborazione dell'Interpol, potranno consentire l'individuazione dei ricercati.

Mafia, 23 condanne al clan San Lorenzo di Palermo


Mafia, 23 condanne al clan San Lorenzo di Palermo

Tra gli imputati il pentito Manuel Pasta a cui sono stati inflitti 2 anni e 8 mesi di carcere. L'unico assolto è Giovanni Orlando

PALERMO. Un assolto e 23 condannati al processo scaturito dall'operazione antimafia Eos in cui furono arrestati numerosi esponenti dei mandamenti di Resuttana e San Lorenzo. Il gup di Palermo Mario Conte, accogliendo le richieste dei pm Gaetano Paci e Lia Sava, ha inflitto 17 anni a Carmelo Militano, 12 anni e 8 mesi a Vincenzo Troia, Bartolo Genova. Condannato anche Stefano Fidanzati (10 anni e 8 mesi) fratello del boss Gaetano, così come Agostino Pizzuto, il custode di Villa Malfitano dove furono trovate le armi dei clan, e il pentito Manuel Pasta (2 anni e 8 mesi) che ha recentemente deposto al processo. L'unico assolto è Giovanni Orlando. Il gup ha anche disposto risarcimenti da 20 mila euro ciascuno per le associazioni che si erano costituite parte civile e per la Provincia di Palermo. Tra gli imprenditori risarciti ci sono Marcello Giliberti, titolare del circolo 'Telimar', che avrà 50 mila euro, e Antonio e Pietro Parisi, gestori del Privilege a cui andranno 65 mila euro. Altri cinque imputati saranno giudicati con il rito ordinario a partire dal 20 settembre mentre l'eurodeputato Antonello Antinoro, accusato di voto di scambio, seguirà il rito immediato.

giovedì 29 luglio 2010

Lotta alle mafie


Lotta alle mafie

29.07.2010
Beni sequestrati e confiscati: sono 10.919 quelli gestiti dall'Agenzia nazionale
Il bilancio dei primi mesi di attività del nuovo organismo tracciato dal direttore, il prefetto Mario Morcone



2.839 immobili in gestione, 5262 destinati e consegnati, 1.120 destinati ma non ancora consegnati, 382 usciti dalla gestione e 1306 aziende, per un totale di 10.919 beni. Questi i numeri, di per se già notevoli, che delineano un quadro dei primi mesi di attività della Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

L'organismo - istituito con il decreto legge 4 febbraio 2010, n.4, con sede principale-operativa a Reggio Calabria affiancata da una sede romana per i contatti istituzionali - nasce per garantire una gestione più organica delle complesse procedure cui sono sottoposti i beni illegali sequestrati e poi confiscati, seguendo sin dall'inizio l'iter procedurale del bene perché non ci sia soluzione di continuità tra il sequestro, la confisca e le fasi successive.

Dall'analisi dei numeri, disaggregati per regione, emerge che la gran parte dei beni sono concentrati tra Sicilia (4.918), Campania (1.607) e Calabria (1.513) anche se dati altrettanto significativi si registrano in Lombardia (906) e Puglia (897). Un motivo, questo, per il quale saranno aperte nuove sedi a Palermo, Milano, Napoli e Bari.

Un primo bilancio dell'attività dell'Agenzia è stato delineato in un'intervista al direttore, il prefetto Mario Morcone, sul quotidiano ItaliaOggi. Morcone spiega al giornale il perchè della nascita dell'Agenzia, i suoi obiettivi, i punti di forza e quelli che andranno potenziati. E sulla necessaria sinergia con regioni, province e comuni sottolinea: «Loro ci manifestano il loro interesse, ci presentano l'idea progettuale e su quella noi gli destiniamo il bene e dopo un anno torniamo a verificare che la destinazione sia sempre quella dichiarata sul decreto».

Amianto-killer in Sicilia, indagati


Amianto-killer in Sicilia, indagati
undici ex dirigenti delle Ferrovie


L'accusa è di omicidio colposo nei confronti di cinque operai che maneggiarono materiali nocivi e morirono successivamente a causa di tumori ai polmoni


PALERMO. Undici ex dirigenti delle Ferrovie in servizio in Sicilia tra gli anni Ottanta e Novanta sono indagati con l'accusa di omicidio colposo nei confronti di cinque operai che maneggiarono materiali in amianto e che morirono successivamente a causa di tumori ai polmoni.
Sott'inchiesta sono finiti Giovanni Coletti, Leonardo Vivona, Lucio Lombardi, Tommaso Giovenco, Francesco La Ferrera, Isidoro Scianna, Giuseppe Fuschi, Francesco Di Maio, Roberto Renna, Francesco Barbarotta e Giampiero Cardinale.
Le "persone offese" si costituiranno tutte parte civile. Il pm titolare dell'indagine è Christine Von Borries, il gip è Pasqua Seminara.
Maggiori dettagli sul Giornale di Sicilia in edicola oggi (29 luglio 2010).

Maxi truffa all'Inps tra Catania e Ragusa


Maxi truffa all'Inps tra Catania e Ragusa

Operazione della guardia di finanza. Oltre cinquanta le persone indagate, tra cui un notaio, un commercialista e tre consulenti del lavoro. Sottratti al fisco 22 milioni con l'emissione di fatture false


CATANIA. Un'associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e alla truffa ai danni dell'Inps operante nei territori al confine tra le province di Catania e Ragusa è stata scoperta dai militari della Guardia di finanza del Comando Provinciale di Catania. Oltre 50 le persone indagate, tra cui un notaio, un commercialista e tre consulenti del lavoro. Durante l'indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Caltagirone, i militari hanno accertato che
sarebbero stati sottratti al fisco 22 milioni di euro con l'emissione di fatture false per oltre 33 milioni di euro.
Sarebbero inoltre stati percepite illecitamente indennità di disoccupazione agricola per 5 milioni di euro. I particolari dell'operazione saranno resi noti durante una conferenza stampa in programma alle 10 nel comando provinciale della Guardia di finanza.

Mafia, blitz a Bari: 46 arresti


Mafia, blitz a Bari: 46 arresti

Smantellato uno dei clan più agguerriti
Maxi operazione antimafia dei carabinieri del comando provinciale di Bari, che hanno smantellato il clan degli Strisciuglio, uno dei più agguerriti della criminalità organizzata locale. Durante il blitz, nel quale sono stati impegnati oltre 300 militari, sono state arrestate 46 persone. Le accuse a loro carico sono di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi clandestine e da guerra.

Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal giudice per le indagini preliminari Vito Fanizzi, su richiesta del sostituto procuratore della Dda di Bari Desiree Di Geronimo. Tra le persone finite in manette ci sono anche alcune donne.

Secondo gli inquirenti, negli anni il clan Strisciuglio è diventato il gruppo criminale dominante a Bari, in termini numerici, e il più agguerrito. Da sempre è in lotta con famiglie rivali per il controllo del territorio, in particolare nei quartieri più afflitti dai gruppi criminali: Libertà, città vecchia, Carbonara, San Girolamo, San Pio, San Paolo, Palese, Santo Spirito con propaggini fino ai comuni contigui di Bitonto e Giovinazzo.

Camorra, maxi sequestro di beni
Caserta, nel mirino un imprenditore



I militari della Guardia di Finanza di Mondragone (Caserta) hanno sequestrato beni per un valore di 130 milioni di euro a un imprenditore ritenuto dagli investigatori affiliato ad un clan camorristico. L'accusa nei confronti dell'uomo d'affari è di traffico internazionale di stupefacenti e riciclaggio.

Il provvedimento di sequestro preventivo dei beni e' stato emesso dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli. Complessivamente i militari della Guardia di Finanza hanno sequestrato 22 aziende commerciali, 25 terreni e sette fabbricati distribuiti tra Lazio, Campania e Molise, per un valore

In moto con hashish ed eroina due arresti nel Cosentino


In moto con hashish ed eroina
due arresti nel Cosentino


Non si fermano al posto di blocco ma vengono raggiunti dalle Fiamme Gialle. Avevano 300 grammi di hashish e 3,3 grammi di eroina

29/07/2010 La Guardia di Finanza di Montegiordano (Cosenza) ha arrestato due giovani per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. I militari avevano individuato una grossa moto con a bordo i due giovani. Il mezzo non si è fermato ad un controllo ed è stato inseguito fino a Roseto Capo Spulico, dove i due occupanti, entrambi di Corigliano Calabro, sono stati fermati e perquisiti.
Alla vista dei militari i due giovani avevano cercato di disfarsi della droga, gettandola in una scarpata, ma grazie all’ausilio di un cane dell’unità cinofila la sostanza è stata recuperata. Si tratta di circa 300 grammi di hashish e di 3,3 grammi di eroina, sequestrati.


Spacciano droga durante un concerto
due arresti a Pizzo Calabro


Hanno approfittato della folla presente al concerto per mischiarsi tra la gente e spacciare droga ma i carabinieri in borghese li hanno fermati

29/07/2010 Si erano mescolati tra gli spettatori di un concerto per riuscire a spacciare qualche dose di cocaina, ma i carabinieri, a loro volta si sono mimetizzatisi tra la folla in abiti civili, ed hanno scoperto e arrestato due persone a Pizzo Calabro, in località «Marinella».
A finire in carcere con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti Arturo Mille, 29 anni, marittimo incensurato, e Antonio Umbro di 43, disoccupato, con precedenti penali, entrambi del luogo. Il primo è stato trovato in possesso di due dosi di cocaina nascoste nei taschini della camicia, il secondo con quattro dosi avvolte nella carta stagnola.
Protagonisti dell’operazione, i militari dell’Arma della Stazione di Pizzo Calabro diretti dal maresciallo Giuseppe Barilaro, coordinati dal capitano Gabriele Argirò, comandante del Norm della Compagnia di Vibo Valentia

Cosenza, la discoteca del clan e i beni della cosca Cicero


Cosenza, la discoteca del clan
e i beni della cosca Cicero


Duro colpo inflitto alla cosca cosentina, che aveva un patrimonio notevole frutto dei proventi di attività illecite

29/07/2010 Un'operazione importante quella compiuta ieri dai carabinieri a Cosenza contro il patrimonio del Clan Cicero, particolarmente attivo nel capoluogo bruzio e nel suo hinterland.
I beni in questione sono una nota discoteca di Cosenza, la “Corte dei miracoli” (poi ridenominata “Le Club”), un'altrettanto nota impresa commerciale preposta alla vendita di abbigliamento, la “Musacco store”, presente in città con due negozi, e un'altra operante nel settore del commercio di materiale edile, facente capo a Osvaldo Cicero (“L'edilizia di Cicero Osvaldo”), figlio del presunto boss Domenico. Sigilli anche ad un appartamento con annesso garage, a quattro ville di lusso, a dieci autovetture di grossa cilindrata, a due motoveicoli, diversi conti correnti sui quali, si ipotizza, confluivano i proventi dell'usura e delle estorsioni perpretate dal clan Cicero e a alcune quote societarie. Il tutto per un valore complessivo, appunto, di cinque milioni di euro, quasi dieci miliardi delle vecchie lire.
I provvedimenti di sequestro sono direttamente collegati all'operazione “Anaconda”, eseguita dai carabinieri due anni fa che portò all'arresto di 35 persone, tutte appartenenti al clan del quartiere di San Vito.
«Nel corso delle indagini - ha spiegato ieri il colonnello Luigi Smurra, comandante del Nucleo della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Cosenza - abbiamo accertato una netta sproporzione tra i redditi dichiarati dagli indagati di “Anaconda” e i beni che riteniamo essere nella loro effettiva disponibilità».
«L'indagine patrimoniale - ha aggiunto il colonnello dell'Arma, Buscia - ha ormai gli stessi tempi e la stessa complessità di quelle classiche Siamo soddisfatti di questo risultato, anche perché a Cosenza ci sono ottimi rapporti tra le forze dell'ordine. Il nostro obiettivo comune - ha aggiunto l'ufficiale dell'Arma - è quello di dare “legnate” in giro per il territorio e

Isola Capo Rizzuto, maxisequestro di beni arrestato un imprenditore


Isola Capo Rizzuto, maxisequestro di beni
arrestato un imprenditore


L'imprenditore e gli altri indagati sarebbero «espressioni economiche» della cosca Arena della 'ndrangheta

29/07/2010 La Guardia di finanza ha arrestato a Isola Capo Rizzuto un imprenditore, Francesco Amselmo Cavarretta, di 46 anni. All’imprenditore, in esecuzione di un provvedimento emesso dal gip di Catanzatro su richiesta della Dda, che ha anche disposto il suo arresto, sono stati inoltre sequestrati beni mobili ed immobili per un valore di 20milioni di euro. Altre quattro persone, nell’ambito della stessa operazione, sono state denunciate in stato di libertà perchè risultate intestatarie fittizie di beni che sarebbero stati di proprietà, in realtà, di Cavarretta.
L'imprenditore e gli altri indagati, secondo quanto riferito dalla Guardia di finanza, sarebbero «espressioni economiche» della cosca Arena della 'ndrangheta Cavarretta, già indagato per associazione mafiosa e truffa aggravata, è il promotore del Consorzio meridionale del legno ed in tale qualità è stato destinatario di consistenti finanziati pubblici. I beni sequestrati consistono nel compendio aziendale di un cantiere nautico di Crotone ed in uno yacht di trenta metri del valore di sei milioni di euro.
In dettaglio le indagini tecniche e gli accertamenti di polizia giudiziaria svolte hanno fatto emergere che una società operante nel settore della nautica, già amministrata da C.F.A., interessata poi da procedura fallimentare, tra il 1999 ed il 2005 è stata beneficiaria di 14.483.543,13 di euro per finanziamenti statali e per rimborsi Iva. A seguito di un diniego della liberatoria antimafia da parte della Prefettura di Roma ed alla imminente revoca e quindi probabile restituzione dei citati finanziamenti percepiti, il C.F.A. ha trasferito fraudolentemente, in data 20.10.2006, la disponibilità dei beni dalla predetta società ad una nuova, amministrata formalmente dai propri compiacenti, ma di fatto gestita dallo stesso imprenditore. Con la stessa abilità il C.F.A. ha cercato di far perdere le tracce anche del lussuoso M/Y denominato «Biscuit 95» di metri 30, per la cui realizzazione sono intervenute entrambe le società operanti nel settore della nautica, una delle quali partecipata al 90% da una società monegasca. Tempestivo è stato l'intervento delle Fiamme Gialle che hanno sottoposto a vincolo il natante, considerato che era stato accertato che lo stesso M/Y era in procinto di intraprendere una crociera nel mediterraneo con destinazione Cannes.

Il declino del privé da Carol Alt a Lele Mora


Il declino del privé
da Carol Alt a Lele Mora


Nato come enclave nella discoteca di massa
l'inchiesta di Milano lo riduce a mito plebeo
EGLE SANTOLINI
MILANO
La pietra tombale sui privé come luoghi di fasto e delizia incomparabili, almeno nell’immaginario del palestrato medio di rito ambrosiano, è stata calata l’altro giorno dall’avvocato Andrea Fares: che per chiedere al Tribunale del Riesame di Milano la revoca del sequestro dell’Hollywood ha fatto notare come il privé del locale di corso Como si sia trasformato in una sorta di salottino, «presidiato da un uomo della sicurezza che controlla le prenotazioni ai tavoli».

Tanto per esser chiari, «non esiste più il privé come una volta - ribadisce l’avvocato -. Soprattutto non c’è più la toilette all’esterno che serve tutti gli utenti della discoteca». Ecco qua: da scenario di piaceri per pochi selezionatissimi che non intendono mescolarsi alla massa a bugigattolo-quasi latrina di cui vergognarsi, praticamente un antibagno non tanto tenuto bene da far sparire in fretta. E pensare che qui, nel sancta sanctorum dell’Hollywood, ai tempi d’oro del prevallettopoli, Lele Mora officiava assiso in trono (trono zebrato, a dirla tutta), protetto da una specie di ring sopraelevato di una quindicina di centimetri e circondato da chi per esserci si sarebbe fatto tagliare volentieri il dito medio. Davanti al recinto degli dei, il setaccio di un ulteriore «door selector».

Il privé nasce verso la metà degli Anni Ottanta, e il fatto stesso che lo si sia dovuto inventare suggerisce che, a quel punto, il meglio era passato. Ricostruisce Piero Piazzi, agente di modelle tra i più noti ai tempi della Milano da bere, ora «tranquillo padre di famiglia tutte le sere a casa con un buon libro», che i primi apparvero «con la musica bum-bum e l’incafonimento generale dell’ambiente, quando ai locali bomboniera dei ragazzi bene modellari, il Nepentha e il Charlie Max, si sostituirono i casermoni alla Hollywood. Il Nepentha era tutt’intero un privé: andava la musica di Gloria Gaynor e di Barry White, arrivavano Jerry Hall e Carol Alt per ballare con i re degli elicotteri e gli imperatori della Borsa, per principio mica si faceva entrare chiunque... All’Hollywood, invece, visto che passava gente di ogni tipo era parso necessario scremare. Ma, come si è visto, non si è scremato abbastanza».

E attraverso la parabola dei locali milanesi e dei suoi privé è una storia sociale della città che si finisce per descrivere, perché prima della techno cocainizzata dell’Hollywood velinaro, prima della disco music paillettata del Nepentha, prima che Terry Broome uccidesse Francesco D’Alessio a colpi di Smith&Wesson calibro 38, prima (anche) delle bische violente e fumose di Turatello «Faccia d’angelo» e del Tebano Epaminonda (che pure nei night «quelli giusti» molte visite finirono per farle), si andava allo Stork: anzi, «si scendeva in Stork», come precisa qualche superstite gentiluomo degli Anni Sessanta. Diretta imitazione dell’omonimo locale di New York, collocato sotto l’hotel Plaza di piazza Diaz, quello era un posto, racconta l’antico cliente Gian Andrea Mazzucchelli, «supremamente sofisticato, dove dopo cena portavi a ballare le ragazze molto per bene, ascoltavi musica dal vivo, per esempio suonata dal complesso di un tale Totò Ruta, bevevi Taittinger e alexander con la noce moscata. Davanti ti passavano le milanesi più belle del momento: Anna Mucci, Silvia Tofanelli, Giovanna Nuvoletti, più qualche stellare ospite da Roma, tipo Ira Fürstenberg o Myrta Barberini Sciarra». Per dire quanto si fosse lontani dal tamarrismo corrente, «allo Stork una ragazza poteva andarci anche da sola perché nessuno l’avrebbe importunata».

Con un fast forward, eccoci di nuovo all’Hollywood pre-sequestro. Eccoci anche agli altri mille locali dove d’estate si fa la colla, dall’empireo di corso Como ai più ruspanti lidi di Desenzano, e via per tutta la pianura padana e oltre. «Soprattutto - ammettono i gestori che in questi giorni preferiscono rimanere anonimi, quando finalmente si decidano a rispondere al telefono - «coi privé si tende a fare fatturato: un tavolo da 1500 euro ti frutta più o meno come 100 ingressi». E dunque entra chi paga di più: mica occorre la patente di nobiltà, basta una Visa platinum. Tecnicamente, non si paga neanche un ingresso speciale: t’infilano un braccialetto al polso o ti timbrano la mano, poi cavoli tuoi se ti rovini con il conto della cena o dei drink.

A Milano la vodka è sui 150 euro a bottiglia, lo champagne dai 400 in su: c’è gente, e non sono solo oligarchi moscoviti, che arriva anche a spendere 10 mila euro a sera. Ovviamente un cliente del genere va coccolato: arrivano pure gli extra, leciti o meno, e le ragazze-immagine che gli girano intorno. È il teorema coca-pupe-corruzione: pare strano che sia arrivato alla frutta, ma può darsi che, visto come sta andando in questi giorni, l’universo discotecaro sia pronto a una nuova mutazione. «O a una reincarnazione - conclude Piatti. - Nulla si crea e nulla si distrugge. Ma lo sa che il Nepentha c’è ancora? E che ci fanno le feste? Con tutto quello che è successo in trent’anni, certi miei coetanei sono ancora lì a puntare le modelle. Che stress».
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Napoli, arrestata Olga Acanfora presidente dei piccoli industriali


Napoli, arrestata Olga Acanfora
presidente dei piccoli industriali


L'accusa è estorsione aggravata
NAPOLI

Arrestata a Napoli l’imprenditrice Olga Acanfora, di 53 anni, presidente del Gruppo piccola industria dell’Unione industriale di Napoli, per il reato di estorsione aggravata. L’ordinanza è stata eseguita nell’ambito delle indagini per l’omicidio del consigliere comunale di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino, ucciso nel febbraio del 2009.

L'amministratrice dell’associazione «Meta Felix» e componente del cda del Centro di medicina psicosomatica di Castellammare di Stabia, con interessi anche nel settore immobiliare, era stata eletta al vertice del gruppo piccola industria di Confindustria Napoli il 23 luglio 2009. Sposata, due figli, è il primo presidente donna del gruppo. Il consigliere comunale, 43 anni, del Pd, fu ucciso il 3 febbraio 2009, nei pressi di casa, mentre era in auto con il figlio piccolo, da sicari ritenuti affiliati al clan D’ Alessandro. Il movente dell’omicidio sarebbe stata una somma di denaro non restituita al clan. Uno dei sicari, Catello Romano, 19 anni, era iscritto alla stessa sezione del Pd di Tommasino. Le indagini per l’omicidio del consigliere comunale hanno portato all’arresto di Salvatore Belviso, ritenuto il braccio destro del boss Vincenzo D’ Alessandro.

Il provvedimento è stato emesso su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia in quanto la Acanfora, con l’intermediazione di Tommasino, avrebbe tra la metà del 2008 e gli inizi del 2009 richiesto l’intervento del clan D’Alessandro per estorcere la riduzione dei costi di lavori professionali prestati alla sua azienda. All’Acanfora è contestata l’aggravante di aver favorito l’associazione cammorristica.

Insieme a Olga Acanfora gli agenti della mobile della questura partenopea e del commissariato di polizia di Castellammare di Stabia hanno eseguito altre tre ordinanze di custodia cautelare in carcere. In manette sono finiti anche Sergio Mosca, pluripregiudicato di 52 anni, detenuto ed elemento di spicco del clan D’Alessandro, Maio Di Massimo, architetto di 51 anni e Alfonso Di Vuolo, incensurato, imprenditore di 38 anni.

Latitante catturato mentre fa jogging


Latitante catturato mentre fa jogging

Vito Zappalà, 61enne catanese, era ricercato da undici anni
TREVISO

Catturato mentre faceva jogging. Il trafficante Vito Zappalà, 61enne catanese, latitante da 11 anni, è stato bloccato a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, dagli uomini della Squadra mobile di Catania, coordinati dal Servizio centrale operativo, e con la collaborazione di quella di Treviso. L’uomo era ricercato dal 1999: era fuggito dopo la condanna a ventinove anni di reclusione e tre anni di libertà vigilata, per spaccio e traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante delle modalità mafiose.

Zappalà è stato rintracciato in via Barbiero e bloccato nei pressi dell’abitazione, a conclusione della sua seduta giornaliera di jogging. Era ospitato nell’appartamento di una donna la cui posizione è al vaglio degli inquirenti. All’interno sono stati rinvenuti vari cellulari, una patente straniera e un passaporto italiano falsi con le foto del latitante.

Vito Zappalà è considerato tra i capi di un’organizzazione attiva tra il Belgio e l’Italia e specializzata nello spaccio e nel traffico di stupefacenti, con l’aggravante di essere armata e legata al clan dei Laudani, detti i «Mussi di ficurinia», dominante nella zona nord di Catania e nella fascia jonica della provincia. La cattura è scaturita dalle indagini disposte dalla Dda di Catania e affidate al sostituto procuratore Francesco Testa.

Palermo, la Sala vip dell’aeroporto intitolata a Bignone


Palermo, la Sala vip dell’aeroporto intitolata a Bignone

L'iniziativa è partita dal presidente del Senato, Renato Schifani, per dare un "giusto riconoscimento e mantenere viva la memoria di chi ha dedicato la vita alla lotta contro la criminalità organizzata

PALERMO. Sarà intitolata a Mario Bignone, capo della sezione Catturandi della squadra mobile di Palermo scomparso prematuramente, la sala vip Gesap dell'aeroporto internazionale Falcone-Borsellino di Palermo. L'iniziativa è partita dal presidente del Senato, Renato Schifani, per dare un "giusto riconoscimento e mantenere viva la memoria di chi ha dedicato la vita alla lotta contro la criminalità organizzata".
La cerimonia solenne di intitolazione si terrà a settembre."Mario Bignone - sottolinea il presidente Schifani -, ha onorato il nostro Paese, ha amato la nostra terra di Sicilia, ha saputo affermare con i fatti nella sua breve vita, i valori irrinunciabili della legalità, della democrazia, della libertà dei siciliani".
È grazie a Bignone e ai suoi ragazzi della Catturandi se boss mafiosi del calibro di Mimmo Raccuglia e Gianni Nicchi si trovano in carcere. "L'aeroporto di Palermo rende omaggio a un altro eroe della lotta alla criminalità organizzata – affermano il presidente della Gesap, Rosario Calì e il direttore generale Carmelo Scelta - che assieme a Falcone e Borsellino hanno fatto crescere la voglia di legalità in Sicilia". "È importante per chiunque passi dal nostro aeroporto sapere che il nome di Mario Bignone è sempre vivo - dice il vicepresidente di Gesap, Roberto Helg -. Ricordare l'uomo, un servitore dello Stato che ha lottato assieme ai suoi uomini per la legalità catturando pericolosi mafiosi, che ha permesso di liberare centinaia di imprese dal giogo criminale, è un segno di riconoscenza e di gratitudine infinita verso la sua persona e il suo lavoro".

mercoledì 28 luglio 2010

Arrestati Walter e Giovanni Burani


Arrestati Walter e Giovanni Burani

(ANSA) MILANO - La guardia di finanza di Reggio Emilia ha arrestato Walter Burani e il figlio Giovanni con l'accusa di bancarotta fraudolenta per dissipazione e di falso in bilancio per le vicende che hanno portato al fallimento il gruppo

Padre e figlio sono stati arrestati nella loro abitazione a Cavriago (Reggio Emilia): Walter è ai domiciliari a Cavriago mentre il figlio è stato portato nel carcere milanese di San Vittore. La richiesta di arresto è stata inoltrata dai Pm di Milano Luigi Orsi e Mauro Clerici ed è stata accolta dal Gip Fabrizio D'Arcangelo. L'inchiesta riguarda il dissesto finanziario del gruppo della moda Mariella Burani. Nei mesi scorsi erano state dichiarate fallite la holding di famiglia Bdh, Mariella Burani Fashion Group e Burani Designer Holding.

GIP: INGANNATI RISPARMIATORI, BANCHE, CONSOB - Giovanni e Walter Burani "con la complicità degli altri indagati, manager Burani e soggetti terzi, hanno perseguito con continuità il disegno criminale di trarre in inganno risparmiatori e creditori, nonché le autorità di controllo dei mercati, costruendo mediante operazioni fittizie la falsa apparenza di una solida realtà economica, allo scopo di drenare risorse sul mercato borsistico e dal ceto creditorio". E' quanto scrive il gip nell'ordinanza che ha disposto l'arresto dei due componenti della famiglia Burani. Le risorse di banche e risparmiatori "venivano poi, anziché impiegate in una effettiva politica di sviluppo industriale del gruppo, dilapidate per sostenere l'apparenza ingannevole di titoli floridi, in una spirale perversa che necessariamente doveva condurre al default delle imprese". Secondo la ricostruzione del gip "la condotta fraudolenta e dissipativa in particolare di Giovanni e Walter Burani continua in modo sorprendentemente pervicace anche dopo l'esplosione della crisi del gruppo e durante le trattative per evitare il fallimento, come emerge tra l'altro da alcune conversazioni telefoniche intercettate".

"TRAVOLTI DA SMANIA PER LA FINANZA" - I Burani hanno avuto una vera e propria "smania finanziaria" che ha "travolto" l'attività del gruppo della moda Mariella Burani. Si legge nell'ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il dissesto del gruppo Mariella Burani nasce quando la Burani Designer Holding si è quotata sul mercato londinese raccogliendo un centinaio di milioni di euro. Cifra questa che sarebbe stata destinata in gran parte a sostenere il titolo in Borsa della Mariella Burani Fashion Group. Titolo che, per l'accusa, sarebbe stato 'gonfiato' tramite anche bilanci non veritieri (con plusvalenze e ricavi fittizi connessi alla cessione di marchi privi di valore). Inoltre nell'inchiesta milanese, in cui sono in tutto sei gli indagati, si contesta anche l'Opa lanciata su MBFG (tramite la creazione della Family Holding). Per il giudice, Giovanni Burani "risulta essere stato l'ideatore ed il diretto gestore della sistematica attività di 'sostegno' dei titoli delle quotate e dell'Opa che costituisce un ultimo ed estremo tentativo di anomalo 'sostegno' del corso di borsa delle azioni di Mbfg". Walter Burani, si legge ancora, "é la figura storica di riferimento del gruppo; le scelte per così dire 'innovative' del figlio Giovanni non potevano trovare attuazione senza il consenso del padre, che risulta infatti aver costantemente appoggiato l'operato del figlio". "Nella logica operativa di questi indagati - ha scritto ancora il gip - pare che la sola ragione d'impresa fosse quella di impiegare i ricavi della gestione tipica nel 'sostegno' dei titoli quotati in borsa" e quindi, ha ribadito, "anziché impiegare risorse nella produzione e commercializzazione nei settori propri, questi amministratori hanno disperso la maggior parte delle risorse per sostenere i titoli" principalmente quello di Mbfg, pur nella consapevole evidenza di dissipare il patrimonio. "Questa attività - si legge ancora - non aveva certamente un riferimento logistico negli uffici e nel sito produttivo di Cavriago sebbene sulla piazza borsistica milanese dove tutti i giorni Bdh ed Mbfg impiegavano enormi risorse per acquisire azioni del gruppo e di quest' ultima in particolare".

Blitz nella movida palermitana: 27 denunce


Blitz nella movida palermitana: 27 denunce

Posti di blocco dei carabinieri lungo le vie che portano alle località balnerari del capoluogo isolano. Tra i reati, guida in stato di ebbrezza e detenzione illegale di armi


di PAOLA PIZZO

PALERMO. Le vie principali che portano alle località balneari di Palermo nel mirino dei controlli dei carabinieri. Sono durati fino all’alba di questa mattina, gli accertamenti degli agenti scesi in strada per contrastare il fenomeno della guida irresponsabile. Ben 27 le denunce scattate ai danni di persone sorprese a guidare in stato di ebbrezza, ma anche senza assicurazione per l’auto o per detenzione illegali di armi.
Nel corso della notte, i carabinieri del nucleo radiomobile di Palermo, organizzando posti di blocco e avvalendosi dei controlli dall’alto di un elicottero del 9° Nucleo di Palermo Boccadifalco, hanno denunciato 20 persone per guida in stato di ebbrezza, procedendo al contestuale ritiro della patente; otto persone sorprese alla guida di auto prive di copertura assicurativa sono state multate, mentre 5 sono state denunciate per detenzione illegale di armi.
Gli agenti hanno anche denunciato per resistenza a pubblico ufficiale, simulazione di reato e
porto abusivo di oggetti atti ad offendere, un ragazzo ventiduenne. Mentre un giovane di 24 anni, suo amico, è stato denunciato per favoreggiamento personale. Nella sera di ieri, infatti, il più piccolo dei due ha forzato il posto di blocco dei carabinieri dando vita ad un breve inseguimento e riuscendo a far perdere le tracce di sé. Poco dopo, però, lo stesso ragazzo ha denunciato il furto della sua auto alla polizia, ignaro che la Questura era già stata informata dei fatti dai carabinieri. E’ così scattata la denuncia sia per lui che per il suo amico di 24 anni, colpevole di aver raccontato una versione dei fatti del tutto falsa.
Sempre durante alcuni controlli effettuati dai carabinieri sul lungomare di Mondello, nel corso di un’operazione coordinata dalla stazione Altarello di Baida, un palermitano di 35 anni è stato arrestato per spaccio di stupefacenti. Antonino Riggio, questo il nome dell’uomo, è stato scoperto mentre vendeva della droga in via Regina Elena. Immediatamente sottoposto a perquisizione, gli sono stati rinvenuti 7 grammi di cocaina e 5 grammi di eroina, nonché 155 euro, provento dell’illecita attività. L’arrestato è stato portato presso la casa circondariale Ucciardone, dove è a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Cosenza: sequestrati beni per 5mln di euro alla cosca Cicero


Cosenza: sequestrati beni per 5mln
di euro alla cosca Cicero


Le indagini che hanno portato al sequestro rappresentano la prosecuzione di quelle che nel maggio del 2008 si concretizzarono nell’operazione denominata Anaconda

28/07/2010 All’alba di oggi i carabinieri del Nucleo Investigativo ed i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Cosenza hanno posto i sigilli ad un rilevante patrimonio, stimato in oltre cinque milioni di euro e composto principalmente da beni immobili, anche di lusso ed aziende, riconducibile ai principali esponenti della cosca “Cicero” attiva nel capoluogo e nell’hinterland cosentino attraverso l’allarmante perpetrazione di delitti contro il patrimonio. Già con l’operazione denominata “Anaconda” i militari avevano decapitato la cosca mafiosa eseguendo 35 provvedimenti restrittivi.
Proprio da qui è partita un’indagine che ha permesso di ricostruire minuziosamente le dinamiche del consistente patrimonio accumulato illecitamente dal sodalizio criminoso anche mediante interposizioni fittizie di soggetti “prestanome”.
I provvedimenti di sequestro emessi dal Tribunale di Cosenza che ha accolto la proposta della magistratura inquirente hanno riguardato tre imprese commerciali, di cui una preposta all’organizzazione ed alla realizzazione di spettacoli ed eventi mondani, tra le quali spicca il provvedimento su una delle principali discoteche della città bruzia, la “Corte dei Miracoli” – poi ridenominata “Le Club”. Sequestrate inoltre altre due società, una per la vendita di abbigliamento e l'altra di materiale edile. Quest’ultima fa capo a Osvaldo Cicero, figlio del boss Domenico.
Gli altri beni sequestrati sono: un appartamento e 4 ville di lusso; 10 automobili alcune dei quali di grossa cilindrata e 2 motoveicoli; diversi conti correnti sui quali, secondo gli investigatori, confluivano i proventi dell’usura e delle estorsioni. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dai giudici del Tribunale di Cosenza che hanno accolto la richiesta avanzata dal Procuratore della Dda di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo, dal Procuratore aggiunto, Giuseppe Borrelli, e dal Sostituto Raffaella Sforza. I finanzieri ed i carabinieri hanno ricostruito il patrimonio riconducibile a Domenico Cicero, di 53 anni, e ad alcuni affiliati dell’omonima cosca, attraverso una serie di accertamenti patrimoniali. Il ruolo di contabile, secondo quanto si è appreso, era svolto contestualmente da Riccardo Greco, di 52 anni, e Lorenzo Lucchetta, di 56 anni, ai quali rispettivamente sono state sequestrate anche 3 ville di lusso a Cerisano (Cosenza).
I finanzieri ed i carabinieri, sono riusciti a ricostruire, in capo a Domenico Cicero (in foto), ed ai suoi affiliati (tutti in carcere) il patrimonio detenuto anche attraverso soggetti prestanome ed il cui valore è risultato sproporzionato rispetto alle espresse effettive capacità economico – reddituali.
All’indiscusso ruolo di boss, rivestito da Domenico Cicero, riconosciuto anche dalle cosche avverse come capo dell’organizzazione che prende origine da quella storica denominata “Perna-Pranno” ed operante a Cosenza negli anni ’90, fa seguito quello prestato dal figlio Osvaldo, e dal fratello Francesco, che hanno sostituito il boss dopo il suo arresto avvenuto nell’ottobre del 2006 per l’operazione “Missing” ed avrebbero investito il denaro provento delle innumerevoli azioni delittuose, in attività apparentemente lecite ed afferenti il settore del commercio e dell’edilizia.
Tra esse è stata individuata anche la gestione occulta di una delle più frequentate discoteche della città formalmente condotta da un architetto cosentino al quale è stata sottoposta a misura cautelare, la società di cui è amministratore delegato.
Agli affiliati dediti, invece, all’esecuzione delle attività estorsive ed usurarie, con particolare riferimento alla raccolta del denaro dalle mani delle persone vessate ed alla realizzazione degli atti intimidatori sono stati sequestrati numerosi veicoli ed una villa di lusso costruita nel territorio di Mendicino (CS).

martedì 27 luglio 2010

Rifiuti tossici interrati in campi coltivati:


Rifiuti tossici interrati in campi coltivati:
sequestrato un fondo agricolo a Napoli


Veleni e amianto in ortaggi:3 fermi
Napoli,oltre 6mila tonnellate tossiche


La Guardia Costiera e della polizia ambientale di Torre Annunziata (Napoli) hanno arrestato tre persone al termine dell'operazione "Triangolo delle Bermuda": oltre 6mila tonnellate di rifiuti tossici nascoste su un terreno agricolo coltivato. Sequestrato l'interno fondo, di circa due ettari, sul quale venivano coltivate frutta e verdura destinata alla vendita. L'interramento dei rifiuti speciali ha provocato l'avvelenamento della falda acquifera sottostante.

L'operazione, così denonimata perché ha riguardato illeciti ambientali perpetrati in tre comuni del Vesuviano (Boscoreale, Poggiomarino e Striano), è il frutto di oltre un anno di indagini che hanno permesso di accertare l'esistenza di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale.

L'interramento dei rifiuti speciali provocava, infatti, l'avvelenamento della falda acquifera sottostante, dei pozzi adibiti per la captazione delle acque di falda destinate ad uso irriguo-agricolo, oltre che delle coltivazioni (ortaggi-verdure-nocciole) destinate ai consumatori. I rifiuti pericolosi venivano di volta in volta mescolati con ingenti quantitativi di altri rifiuti speciali provenienti dalla lavorazione dei prodotti delle aziende ortofrutticole coinvolte, per poi finire interrati nei terreni del Vesuviano, in particolare nelle campagne dei comuni di Poggiomarino e Boscoreale.

I rifiuti venivano caricati su camion e trasportati nel fondo agricolo chiuso e recintato dove enormi canaloni realizzati con mezzi meccanici raccoglievano le scorie. Man mano che i canaloni si riempivano, questi venivano interrati per poi realizzarne parallelamente degli altri. Tutta l'attività illecita è stata scoperta grazie all'utilizzo di un sofisticato sistema di video-riprese con microcamere collocate in punti strategici.

Ma anche con servizi di osservazione, controllo e pedinamento e sopralluoghi. Le indagini hanno consentito di accertare che nell'ultimo anno sono state smaltite illecitamente oltre 6mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi. L'operazione è nata da un filone dell'operazione Veleno che nel dicembre del 2008 portò all'arresto di quattro persone.

Favorirono boss 'ndrangheta, presi


Favorirono boss 'ndrangheta, presi

Rosarno,10 arresti nella cosca Bellocco
Dieci affiliati alla cosca Bellocco di Rosarno (Reggio Calabria) sono stati arrestati con l'accusa di associazione mafiosa, favoreggiamento, porto e detenzione illegale d'arma da fuoco. Scoperto dai carabinieri il circuito che aveva favorito per anni la latitanza di Gregorio e Giuseppe Bellocco, esponenti di vertice dell'omonima cosca, inseriti tra i 30 ricercati più pericolosi e catturati dal Ros rispettivamente nel 2005 e nel 2007.

I militari hanno sequestrato beni immobili per un valore di 10milioni di euro. La confisca, disposta dal dipartimento di antimafia di Reggio Calabria, è stata eseguita nell'ambito dell'operazione chiamata "Pettirosso".

E ha riguardato 13 fabbricati, 67 appezzamenti di terreno agricolo e edificabile dell'estensione di 14 ettari dove erani stati costruiti 14 bunker perfettamente attrezzati all'interno dei quali si svolgevano summit mafiosi. In uno di questi era stato catturato il boss Gregorio Bellocco.

Le persone colpite da provvedimento restrittivo del giudice per le indagini preliminari sono: Marco Arcuri, 39 anni, Giuseppe Barbatano, (66), Gregorio Bellocco (56), Michele Bellocco (50), Nicola Circosta (56), Saverio Corigliano (40), Giuseppe Fazzari (30), Rocco Fazzari (61).

Mafia, Messina Denaro allo stadio


Mafia, Messina Denaro allo stadio

Fonte: tra i tifosi per Palermo-Samp
L'erede di Riina e Provenzano, il boss latitante Matteo Messina Denaro, avrebbe assistito, il 9 maggio, all'incontro di calcio tra il Palermo e la Sampdoria, sugli spalti dello stadio Renzo Barbera, di rosanero vestito per supportare la sua squadra. Una presenza che era legata a un summit di mafia. A rivelare che il boss era allo stadio sarebbe stata la stessa fonte che ha lanciato l'allarme sul pericolo di nuovi attentati a Palermo.

L'incredibile storia viene raccontata sulle colonne di "La Repubblica", dove si dice che il vertice di mafia in programma a quel giorno, e al quale Messina Denaro avrebbe partecipato, era dovuto alla necessità di pianificare le strategie di Cosa Nostra.

La fonte, che ha raccontato l'episodio ai carabinieri del Ros, aveva dunque sostenuto il pericolo di nuovi attentati che potrebbero colpire la Squadra mobile e il Palazzo di Giustizia di Palermo.

Le indicazioni raccolte in carcere dai carabinieri sono adesso al vaglio dei magistrati della direzione distrettuale antimafia Marcello Viola, Lia Sava e Francesco Del Bene, e anche del procuratore aggiunto Antonio Ingroia, i quali dovranno valutare l'attendibilità della fonte stessa e cercare riscontri al suo racconto.

Secondo la sua ricostruzione, Messina Denaro era contrario al ritorno alla strategia delle bombe. Ma i boss palermitani insistevano, e del nuovo corso mafioso si sarebbe dovuto discutere in un'altra riunione. Ai "no" di Messina Denaro, i fautori della linea dura avrebbero risposto rilanciando: "Dovremmo fare due attentati in ogni provincia".

Appalti a Roma, l'ombra delle mafie


Appalti a Roma, l'ombra delle mafie
Comitato territoriale: «Ribassi del 60%»


ROMA (27 luglio) - Le ombre delle mafie e del malaffare sugli appalti pubblici della Capitale, compresi quelli del Comune di Roma. «Ribassi del 50-60% negli appalti pubblici non possono che evidenziare illegalità - sostiene il presidente del Comitato paritetico territoriale di Roma e Provincia, Carlo Nicolini - Anche negli appalti del Comune di Roma ci sono ribassi del 58%, ed è un'indecenza». E dal Campidoglio arriva la rassicurazione che si sta lavorando per bloccare anomalie. «Stiamo lavorando per non aggiudicare definitivamente gare con ribassi eccessivi, ritenuti anomali» dice l'assessore capitolino ai Lavori pubblici, Fabrizio Ghera.

«Si tratta di offerte in saldo dei lavori pubblici che fanno sì che imprese strutturate da anni, che hanno tutte le carte in regola, oggi non possono partecipare alle gare - spiega Nicolini - Sono alla finestra». Gli fa eco il vicepresidente Andrea Cuccello: «Il 50% dei lavoratori del settore edile di Roma e Provincia sono stranieri, una manodopera che può facilmente essere sfruttata da imprese senza scrupoli». Ma l'allarme lavoro a Roma non riguarda solo le gare pubbliche. Passa per la mancanza di prevenzione nei cantieri, per il lavoro nero e arriva alle morti bianche. Le cifre, fornite dal Comando dei carabinieri per la Tutela del lavoro e dal Comitato paritetico territoriale di Roma parlano da sole: il 25% di lavoratori irregolari nella Capitale; 113 violazioni delle norme sulla sicurezza rilevate a livello regionale nei soli primi tre mesi dell'anno; nello stesso periodo sei persone morte sul luogo di lavoro. «A Roma registriamo circa il 20-25% di lavoratori in nero - dice il comandante dei carabinieri per la Tutela del lavoro di Roma, Aniello Speranza - I settori maggiormente colpiti nella Capitale sono la ristorazione e il turismo, mentre in provincia è l'agricoltura». Nel primo trimestre del 2010, su 70 ispezioni effettuate dai militari sui luoghi di lavoro, sono state rilevate 113 violazioni delle norme sulla sicurezza, 76 infortuni, sei morti bianche (4 nell'industria, 1 nell'edilizia e 1 nell'agricoltura) ed elevate 1.466 ammende.

Vittoria, sigilli ad azienda vinicola: otto denunce


Vittoria, sigilli ad azienda vinicola: otto denunce

Sequestrati 4 milioni. E' uno dei feudi che da decenni rappresenta gli interessi di Cosa Nostra. Le indagini hanno ricostruito una raffinata frode per percepire contributi pubblici


VITTORIA. La Guardia di Finanza ha sequestrato un'azienda vinicola e denaro contante per oltre 4 milioni di euro mettendo i sigilli, nelle campagne tra Acate e Vittoria, su uno dei feudi che da decenni rappresentano interessi storici di Cosa Nostra. Nell'ambito dell'inchiesta, condotta dalla Procura di Ragusa, otto persone sono state denunciate per associazione per delinquere finalizzata alla truffa in danno dello Stato e dell'Unione Europea. Le indagini hanno ricostruito una presunta raffinata frode per percepire illecitamente i contributi pubblici. La Guardia di Finanza ha accertato che la società Future Tecnologie Agroambientali Srl, con sede ad Acate, del Gruppo Mezzocorona Spa, avrebbe percepito un contributo di 4,366 milioni di euro.

L'azienda avrebbe acquistato la cantina del "Feudo Arancio" da una società appartenente al suo medesimo gruppo societario. In particolare, la società acquirente e quella cedente fanno riferimento agli stessi proprietari: la famiglia Rizzoli. Gli accertamenti si sono concentrati su tre società, appartenenti al gruppo Mezzocorona Spa, una di Acate e due del Trentino-Alto Adige. L'operazione denominata "Old Tower" ha consentito di delineare le presunte responsabilità degli otto soggetti denunciati, tra i quali figura anche un funzionario dell' istituto di credito Banca Nuova il quale aveva curato l'istruttoria e l'erogazione dei contributi. Gli indagati, secondo le Fiamme Gialle, avrebbero prodotto documenti falsi e fatture per operazioni inesistenti.

Le cantine di Acate contrada Torrevecchia - Feudo Arancio - in precedenza erano di proprietà della Torrevecchia di Favuzza & C. Sas, una società riconducibile agli eredi dei cugini Salvo di Salemi, come ha sottolineato il colonnello Francesco Fallica, comandante provinciale della Guardia di Finanza, affermando che "l'azienda sequestrata appare come il crocevia di un traffico che tocca i gangli vitali di Cosa Nostra, dai cugini Salvo fino al boss latitante Matteo Messina Denaro".

Palermo, piantagione di marijuana vicino l'Oreto: un arresto


Palermo, piantagione di marijuana vicino l'Oreto: un arresto

Oltre mille arbusti, di circa quattro metri d'altezza, all'interno di un appezzamento di terreno recintato e protetto da un impianto di videosorveglianza. In manette Girolamo Mondino, 68 anni

PALERMO. Aveva realizzato una vasta piantagione di marijuana sulle sponde dell'Oreto, il fiume che attraversa Palermo. Oltre mille arbusti, di circa quattro metri d'altezza, all'interno di un appezzamento di terreno recintato e protetto da un impianto di videosorveglianza. Sono state proprio le telecamere a insospettire i carabinieri che hanno fatto irruzione nel fondo agricolo, scoprendo la piantagione di cannabis nascosta tra le coltivazioni di agrumi e nespole. I militari hanno arrestato un anziano agricoltore proprietario del terreno, Girolamo Mondino, di 68 anni, pregiudicato, denunciando a piede libero un altro "contadino" che lo avrebbe aiutato, V. F., di 49 anni, anche lui con precedenti penali.

La piantagione, estesa su un'area di circa un ettaro, era cresciuta in modo rigoglioso grazie anche ad un impianto di irrigazione "a goccia". Secondo gli investigatori avrebbe rifornito il mercato della Guadagna e di Falsomiele, due borgate limitrofe al fiume Oreto note alle cronache per essersi imposte come le principali piazze di spaccio in città. I carabinieri, dopo il prelievo di alcuni campioni da sottoporre ad analisi da parte del personale della Sezione investigazioni scientifiche, hanno provveduto ad estirpare gli arbusti e a distruggere la piantagione.

Splendide ragazze esibizioniste amano mostrarsi nude per le strade della citta

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lunedì 26 luglio 2010

In procura il club dei falsi malati


In procura il club dei falsi malati

Messina, troppi certificati
sospetti a Palazzo di Giustizia
I pm indagano: 20 medici
sono finiti sotto inchiesta

FABIO ALBANESE



MESSINA

Dovrebbe essere un presidio di legalità inattaccabile, e invece perfino il Palazzo di giustizia ha le sue magagne e finisce sotto la lente d’ingrandimento dei suoi stessi pm. In questo caso è quello di Messina, già in passato al centro della cronaca giudiziaria per vicende molto gravi di collusioni di magistrati con ambienti mafiosi. Erano gli anni in cui la Commissione parlamentare antimafia definiva la città dello Stretto «un verminaio».

Ma stavolta non è la mafia e nemmeno quei «sistemi gelatinosi» a scuotere Palazzo Piacentini quanto un malcostume che coinvolgerebbe diversi dipendenti del palazzaccio messinese, malati ben oltre ogni previsione e tabella ministeriale delle patologie, e dunque spesso assenti dal posto di lavoro. La procura procede con molta cautela. La stessa fuga di notizie con la quale si è saputo di una ventina di avvisi di garanzia già emessi, ha molto indisposto i magistrati che indagano e il procuratore della Repubblica Guido Lo Forte chiude ogni richiesta di chiarimenti con un secco, e seccato: «Su questa vicenda non posso dire nulla».

Per il momento, i primi a farne le spese sono stati una ventina di medici di strutture sanitarie pubbliche della città che avrebbero dichiarato il falso, emettendo certificati medici che «coprivano» le assenze. Sarebbero solo una specie di avanguardia, i primi nomi a finire nel registro degli indagati ma l’inchiesta, che va avanti da poco meno di un anno, sembra ben lontana dalla conclusione e a Messina sono in molti a scommettere che a breve gli avvisi di garanzia arriveranno anche per altri medici e, soprattutto, per gli stessi impiegati fannulloni, molti dei quali già identificati.

«Da domani mi metterò a lavoro con gli uffici per rendere trasparente e semplice i lavoro degli investigatori - ha promesso il presidente dell’Ordine dei medici di Messina Giacomo Caudo - nell’interesse dei cittadini ma anche dei medici che probabilmente, come spesso accade in questi casi, poi si scopre che non hanno particolari responsabilità». Difficile al momento dire se le cose stiano davvero così, ma a quanto pare la polizia giudiziaria da mesi controlla le assenze dei dipendenti del palazzo di giustizia, scoprendo che alcuni hanno spesso dichiarato di essere ammalati presentando certificati medici per le patologie più disparate. Il pubblico ministero titolare dell’indagine, il sostituto Stefano Ammendola, starebbe indagando su più fronti: i medici di base, che firmano il certificato medico con cui si assegnano i giorni di prognosi, i medici incaricati delle visite fiscali, con il sospetto che queste possano essere state effettuate superficialmente o non effettuate per nulla, i malati-assenteisti.

A fare scattare le indagini sono state alcune segnalazioni, pare anonime, arrivate alla fine della scorsa estate negli uffici della procura e in quelli dell’Ordine dei medici di Messina, nelle quali sarebbe stato denunciata una pratica molto diffusa tra alcuni dipendenti degli uffici giudiziari di Messina e una eccessiva compiacenza dei medici nell’assecondare le richieste dei loro assistiti, finti ammalati ma veri assenteisti.

Arrestato giudice romano corrotto


Arrestato giudice romano corrotto

Presi anche imprenditore e familiari
Un ex imprenditore edile, sua moglie e i due figli, entrambi avvocati, tutti di Roma, sono stati arrestati dai carabinieri di Perugia al termine di un'indagine che ha portato in carcere anche un giudice della Capitale. L'indagine sarebbe scaturita da una denuncia dall'Avvocatura generale dello Stato su un contenzioso riguardante appalti tra il ministero della Difesa e la ditta dell'imprenditore arrestato.

Sono il giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma Giovanni Dionesalvi, l'imprenditore in pensione Giampaolo Mascia, la moglie Piera Balconi e i loro due figli, avvocati Vittorio e Giammarco, gli arrestati nell'ambito dell'inchiesta della procura di Perugia scaturita da una denuncia prodotta dall'Avvocatura generale dello Stato su un contenzioso riguardante appalti intercorsi tra il ministero della Difesa e la ditta dell'imprenditore arrestato.

L' accusa contestata a vario titolo è associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Gli atti d'indagine erano gia' stati vagliati dal procuratore di Roma, Giovanni Ferrara che poi li aveva trasmessi per competenza al capoluogo umbro.

L'inchiesta il "mattone d'oro"
Falsificando gli atti, gli accusati chiedevano denaro dal ministero della Difesa per presunte "riserve" (in realtà inesistenti) relative ad alcuni lavori edili eseguiti in passato. L'imprenditore edile sardo, residente a Roma, aveva a questo scopo costituito - secondo gli investigatori - un'associazione a delinquere con sua moglie, i due figli avvocati e un giudice onorario di Roma. Dal gennaio scorso ad oggi, gli investigatori dell'operazione "Mattone d'oro" hanno quantificato un giro d'affari di un milione di euro. L'attività andava tuttavia avanti da anni. Le indagini sono ancora in corso.

Milano, sequestrate le discoteche dei vip Belen parla e 5 persone finiscono in cella

Milano, sequestrate le discoteche dei vip Belen parla e 5 persone finiscono in cella  in relazione a presunti fotoricatti ai danni di vip.

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Droga, furti ed estorsioni, 13 arresti nel Trapanese



Droga, furti ed estorsioni, 13 arresti nel Trapanese

Operazione della polizia alle prime luci dell'alba. Nel mirino pregiudicati di Alcamo, Partinico e Castellammare del Golfo.


TRAPANI. Operazione della polizia, coordinata dalla Procura di Trapani, per l'esecuzione di 13 ordinanze cautelari che riguardano pregiudicati di Alcamo, Partinico e Castellammare del Golfo. Tra i reati contestati, estorsioni aggravate, furti in ville e spaccio di cocaina e hashish, reati commessi nel Trapanese e nel Palermitano nel 2009. Tra i destinatari delle misure cautelari, un giovane pregiudicato di Alcamo che aveva impiantato nella propria abitazione una sorta di supermarket di merce rubata: mezzi agricoli, motozappe, motocicli, decespugliatori e droga. Altri due indagati sono stati destinatari di perquisizioni e contestuale notifica di informazioni di garanzia. Le indagini, che si sono avvalse di intercettazioni ambientali e telefoniche, hanno permesso di appurare che il provento dell'attività era finalizzato a finanziare un traffico di cocaina e hashish.

Carlentini, sequestrati 66 chili di marijuana:
tre in manette


Scoperta dai carabinieri una piantagione di dorga nelle campagne del Siracusano. Gli arrestati sono tutti pregiudicati

AUGUSTA. I carabinieri hanno sequestrato 66 chili di marijuana a Carlentini, in provincia di Siracusa, arrestando tre pregiudicati. L'indagine, condotta dai militari della compagnia di Augusta e della stazione di Lentini, ha portato al sequestro di una piantagione di droga scoperta nelle campagne del Siracusano.

domenica 25 luglio 2010

Sequestro di beni per tre milioni di euro in Calabria e nel Lazio


Sequestro di beni per tre milioni di euro
in Calabria e nel Lazio


I carabinieri hanno sequestrato nel Lazio ed in Calabria beni mobili ed immobili per un valore di tre milioni di euro.

24/07/2010 Il sequestro dei beni è stato disposto dal gip di Crotone su richiesta della Procura della Repubblica nell’ambito dell’inchiesta che nel dicembre scorso portò all’arresto di 11 persone per una presunta truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea attraverso l’utilizzo illecito dei fondi della legge 488.
Un ruolo centrale nella truffa, secondo quanto è emerso dalle indagini, sarebbe stato svolto dal gruppo economico Esposito, che ha interessi nel settore agricolo in Calabria e nel Lazio.
Ad eseguire il sequestro i carabinieri della sezione Politiche agricole e alimentari di Roma, della sezione di polizia giudiziaria della Procura di Crotone e della Compagnia di Crotone. I beni sequestrati consistono in un immobile a Montalto di Castro (Viterbo), tre società con sede legale a Crotone e alcuni correnti bancari. Alle persone coinvolte nell’inchiesta che ha portato al sequestro dei beni vengono contestati i reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Attraverso le tre società che sono state sequestrate, secondo quanto riferito dai carabinieri, il gruppo Esposito, mediante un sistema di false fatturazioni e falsificando i bilanci ed avvalendosi di prestanomi, avrebbe continuato a distrarre e sottrarre capitali e beni per vanificare le richieste dei creditori.

Omicidio nel Soveratese, indagini su possibile collegamento alla faida in corso


Omicidio nel Soveratese, indagini su possibile
collegamento alla faida in corso


Il padre della vittima era stato coinvolto, alcuni anni fa, in un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria su un traffico di eroina e cocaina dalla Turchia

24/07/2010 Un uomo di 31 anni, Agostino Procopio, è stato ucciso nella tarda serata di ieri a San Sostene, paese dell’entroterra soveratese, in provincia di Catanzaro. L’uomo si trovava davanti ad una casa di campagna quando è stato raggiunto da più colpi di fucile calibro 12 caricato a pallettoni. Soccorso da alcuni familiari, è stato portato nell’ospedale di Soverato, ma è morto durante il trasporto.
Procopio era incensurato. Il padre, Fiorito, era stato coinvolto, alcuni anni fa, in un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria su un traffico di eroina e cocaina dalla Turchia. Fiorito Procopio, in particolare, era accusato di essere uno degli organizzatori insieme ad affiliati della cosca Pesce che opera sulla fascia tirrenica reggina e ad altri esponenti della 'ndrangheta della costa ionica. Nella zona al confine tra la fascia ionica catanzarese e reggina ed il vibonese, negli ultimi due anni, ci sono stati una decina di omicidi collegati, secondo gli investigatori, a scontri tra le cosche che operano nella zona per acquisire il predominio del territorio. I carabinieri stanno adesso accertando se l’omicidio di Procopio sia da mettere in relazione alla catena di delitti che si è registrata

Mafia, operazione "Mare nostrum": 3 arresti a Messina


Mafia, operazione "Mare nostrum": 3 arresti a Messina

A finire in manette Carmelo Antonino Armenio, Francesco Cannizzo e Vincenzo Bontempo Scavo. Per tutti e tre l'accusa è di omicidio e associazione mafiosa


MESSINA. I carabinieri hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Messina nei confronti Carmelo Antonino Armenio, 54 anni, condannato a 27 anni per omicidio e associazione mafiosa; Francesco Cannizzo, 50 anni, e Vincenzo Bontempo Scavo, di 51 anni, condannati all'ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. I tre erano stati già stati raggiunti nel novembre 2009 da un'analoga misura cautelare emessa dalla stessa Corte all'atto della lettura della sentenza d'appello, provvedimento poi revocato il 12 luglio scorso per effetto di una decisione della Corte di Cassazione scaturita da un ricorso degli imputati. Amenio è stato arrestato nella sua casa di Brolo, dove era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale; mentre a Cannizzo e Bontempo Scavo il provvedimento é stato notificato agli istituti penitenziari di Parma e Spoleto dove si trovano reclusi per altra causa. L'ondata di arresti dell'operazione Mare nostrum, scattata nel giugno del 1994 su ordine della Dda, segnò un punto fondamentale nel processo di disgregazione dei clan della zona tirrenica.

Arsenale sequestrato a Catania: "In uso ai clan"


Arsenale sequestrato a Catania: "In uso ai clan"

Il materiale è stato trovato in una falegnameria di un 45enne incensurato, che è stato arrestato. Rinvenuti anche circa 300 grammi di cocaina


CATANIA. Un incensurato di 45 anni, G. C., é stato arrestato da carabinieri della compagnia Piazza Dante di Catania per detenzione di armi clandestine e da guerra e per spaccio di sostanza stupefacente. In una falegnameria in suo uso nello storico rione San Cristoforo, militari dell'Arma hanno trovato una mitraglietta "Uzi", un fucile a canne mozze e uno da caccia, nove pistole, un silenziatore, una spada modello Katana, circa 500 cartucce di vario calibro e quattro coltelli. Tutte le armi sono state rinvenute, con matricola alterata, in perfette condizioni, cariche e pronte all'uso.

Durante l'operazione sono stati inoltre sequestrati 300 grammi di cocaina purissima, pronta per essere tagliata, confezionata e spacciata. Il numero delle armi, la loro perfetta efficienza, e il fatto che fossero nascoste in un borsone e pronte all'uso fanno ipotizzare agli investigatori che fossero in uso a clan mafiosi della zona. La Procura della Repubblica ha disposto esami balistici per verificare se siano state utilizzate per compiere delitti.

Mafia, un maresciallo: "Potevo prendere Provenzano ma fui trasferito"


Mafia, un maresciallo: "Potevo prendere Provenzano ma fui trasferito"

Nel corso di un'intervista il militare ha rivelato che il boss poteva essere catturato già nel 2004. Sulla vicenda ha presentato denuncia alla procura


PALERMO. Bernardo Provenzano, arrestato l'11 aprile 2006 dalla polizia, poteva finire in manette due anni prima se un sottufficiale dei carabinieri, che era sulle sue tracce, non fosse stato trasferito. L'ha detto lo stesso maresciallo a Radio Uno, affermando di aver presentato sulla vicenda una formale denuncia alla procura.

Il maresciallo aveva avuto una soffiata da un confidente (nome in codice "Ippo"), poi diventato collaboratore di giustizia, il quale nell'ottobre 2004 aveva disegnato gli assetti delle cosche, parlando del boss Gianni Nicchi, arrestato nel 2009 a Palermo. "Il confidente - dice il sottufficiale - mi parlò di Nicchi come di un boss emergente in grado di avere contatti anche con Provenzano". Il maresciallo informò attraverso una relazione i suoi superiori e "dopo - dice ai microfoni della Rai - sono stato trasferito".

Così funzionava l'organizzazione dei "paesani"


Così funzionava l'organizzazione dei "paesani"

Nel corso delle indagini è emersa una precisa suddivisione dei compiti dei vari mandamenti. Le estorsioni dalla "Palermo bene" alla periferia


PALERMO. Nel corso delle indagini è emersa una precisa suddivisione dei compiti nei vari mandamenti. A Traina Guercio e Di Maio, tre degli arrestati, erano state affidate altrettante liste di esercizi commerciali: per la zona di Bonagia, Villagrazia e Falsomiele, per l'area di via Santa Maria di Gesù e via Oreto alta, per la zona di via Perez, via Mendola ed in genere l'area della Stazione Centrale.

Sulle estorsioni rilevanti - in questi casi fuori dal mandamento - sono state acquisite nuove prove su quella, già emersa in marzo, "curata" da Gianpaolo Corso a danno di due noti negozi di abbigliamento in via Notarbartolo e via Marchese di Villabianca ed è stata accertata la dazione di trentamila euro, da parte del titolare di una catena di supermercati, dapprima 'agganciato' da Giovanni Lo Verde e poi condotto a un incontro con Gioacchinio Corso e Gregorio Di Giovanni - capi dei mandamenti di Santa Maria di Gesù e Porta Nuova - in un luogo riservato.

Benevento, arrestati tre noti avvocati Rubavano e riciclavano fondi della Sanità


Benevento, arrestati tre noti avvocati
Rubavano e riciclavano fondi della Sanità


BENEVENTO (24 luglio) - Tre avvocati operanti nella città di Benevento sono stati arrestati la scorsa notte in esecuzione di altrettante ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Giudice per le Indagini preliminari presso il Tribunale di Benevento. In manette sono finiti Marco Cocilovo, Mauro Di Monaco e Mario Itro. I professionisti - secondo le accuse - si sono resi responsabili dei reati di appropriazione indebita, riciclaggio e fraudolento trasferimento di valori, per una somma complessiva di oltre dieci milioni di euro.

Uno degli avvocati era stato incaricato dall'ospedale Fatebenefratelli di Benevento di procedere al recupero di somme non pagate da parte della Regione Campania. Una volta ottenuto il pagamento di tale somma costui, anzichè mettere il denaro a disposizione del proprio cliente, se ne sarebbe appropriato.

Gli altri due professionisti hanno quindi posto in essere varie operazioni bancarie e finanziarie per riciclare il denaro oggetto dalla indebita appropriazione.

Oltre agli arresti sono stati notificati quattro avvisi di garanzia ad altrettante persone accusate di aver collaborato all'appropriazione indebita mediante l'accensione di conti correnti e l'effettuazione di operazioni bancarie tese a dissimulare ed occultare la reale destinazione delle somme riciclate.

Contestualmente all'esecuzione dei provvedimenti restrittivi l'autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di una somma equivalente a quella oggetto di appropriazione e riciclaggio, per circa 10 milioni di euro.

Un avviso di garanzia è stato notificato al rappresentante pro-tempore di un primario istituto bancario nazionale per la responsabilità amministrativa dipendente da reato.

venerdì 23 luglio 2010

Il Web contro l'obbligo di rettifica Ecco la lettera al presidente Fini







Il Web contro l'obbligo di rettifica
Ecco la lettera al presidente Fini


In Rete l'appello anti-bavaglio
«Così il ddl uccide la libertà»
Il web si mobilita per dire No Legge Bavaglio alla Rete. Tra i firmatari dell'appello al Presidente Fini e all'On. Bongiorno per fermare il comma 29 del Ddl intercettazioni: Guido Scorza, Presidente Istituto per le politiche dell'innovazione, Vittorio Zambardino, Scene Digitali, Alessandro Gilioli, Piovono Rane, Filippo Rossi, Direttore Ffwebmagazine e Caffeina magazine, Arianna Ciccone, Festival Internazionale del Giornalismo e Valigia Blu,Stefano Corradino, Articolo 21, Liliumjoker.

Per aderire all'appello, che ha raccolto in poche ore circa 2.000 sottoscrizioni tra blogger, utenti della rete e giornalisti, su Facebook basta iscriversi alla pagina "No Legge Bavaglio alla Rete" (ogni iscrizione vale una firma) o si può firmare online qui. La Lettera sarà spedita ai destinatari Lunedì 26 luglio.

Ecco il testo:
Al Presidente della Camera, On. Gianfranco Fini Al Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati On. Giulia Bongiorno Ai Capi-gruppo alla Camera dei Deputati A tutti i Deputati

La decisione con la quale, lo scorso 21 luglio, il Presidente della Commissione Giustizia della Camera, On. Giulia Bongiorno, ha dichiarato inammissibili gli emendamenti presentati dall’On. Roberto Cassinelli (PDL) e dall’On. Roberto Zaccaria (PD) al comma 29 dell’art. 1 del c.d. ddl intercettazioni costituisce l’atto finale di uno dei più gravi – consapevole o inconsapevole che sia – attentati alla libertà di informazione in Rete sin qui consumati nel Palazzo.

La declaratoria di inammissibilità di tali emendamenti volti a circoscrivere l’indiscriminata, illogica e liberticida estensione ai gestori di tutti i siti informatici dell’applicabilità dell’obbligo di rettifica previsto dalla vecchia legge sulla stampa, infatti, minaccia di fare della libertà di informazione online la prima vittima eccellente del ddl intercettazioni, eliminando alla radice persino la possibilità che un aspetto tanto delicato e complesso per l’informazione del futuro venga discusso in Parlamento.

Tra i tanti primati negativi che l’Italia si avvia a conquistare, grazie al disegno di legge, sul versante della libertà di informazione, la scelta dell’On. Bongiorno rischia di aggiungerne uno ulteriore: stiamo per diventare il primo e l’unico Paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà.

Esigere che un blogger proceda alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta – esattamente come se fosse un giornalista – sotto pena di una sanzione fino a 12.500 euro, infatti, significa dissuaderlo dall’occuparsi di temi suscettibili di urtare la sensibilità dei poteri economici e politici.

Si tratta di uno scenario anacronistico e scellerato perché l’informazione in Rete ha dimostrato, ovunque nel mondo, di costituire la migliore – se non l’unica – forma di attuazione di quell’antico ed immortale principio, sancito dall’art. 19 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e del cittadino, secondo il quale "Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".

Occorre scongiurare il rischio che tale scenario si produca e, dunque, reintrodurre il dibattito sul comma 29 dell’art. 1 del ddl nel corso dell’esame in Assemblea, permettendo la discussione sugli emendamenti che verranno ripresentati.

L’accesso alla Rete, in centinaia di Paesi al mondo, si avvia a divenire un diritto fondamentale dell’uomo, non possiamo lasciare che, proprio nel nostro Paese, i cittadini siano costretti a rinunciarvi.

Omicidio Lo Faro, 5 arresti a Catania


Omicidio Lo Faro, 5 arresti a Catania

CATANIA - Cinque presunti appartenenti al clan Carateddi sono stati arrestati dalla Squadra mobile per l'omicidio di Nicola Lo Faro, 45 anni, della cosca dei Cursoti, assassinato con diversi colpi d'arma da fuoco in pieno centro città il 4 maggio del 2009.

L'agguato fu ripreso casualmente da una telecamera di un sistema di videosorveglianza: nelle immagini, colpi di pistola che esplodono e persone che fuggono. Tra loro i tre sicari che poco prima avrebbero ucciso Lo Faro in via Cardì, nei pressi del centrale viale Mario Rapisardi. Il boss è alla guida della sua Mercedes classe A quando il gruppo di fuoco entra in azione isolandolo e poi uccidendolo.

Le immagini sono state trovate e utilizzate dalla squadra mobile della Questura di Catania che dopo una serie di accertamenti e riscontri ha ritenuto di avere identificato i tre sicari e anche altre due persone che ebbero un ruolo nell'omicidio. I cinque sono stati arrestati in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio emessa su richiesta della Dda della Procura di Catania. Secondo la polizia quel delitto segnò la disgregazione del gruppo criminale.

Prefetti, ecco tutte le nuove nomine




Prefetti, ecco tutte le nuove nomine

Mentre a Palermo arriva Giuseppe Caruso, ad Agrigento ci sarà Francesca Ferrandino. Per Trapani scelta, invece, Marilisa Magno


ROMA. Dopo il via libera del consiglio dei ministri per la nomina dei nuovi prefetti, il Viminale ha disposto una serie di movimenti di prefetti e questori. Ecco nel dettaglio i cambiamenti:

Prefetti:
- Giuseppe Caruso: da questore Roma a prefetto Palermo.
- Paolo Padoin: da prefetto Torino a prefetto Firenze.
- Alberto Di Pace: prefetto di Torino.
- Andrea De Martino: da prefetto di Firenze a prefetto di Napoli.
- Alessandro Pansa: da prefetto di Napoli a capo dipartimento affari interni e territoriali del ministero.
- Umberto Postiglione: da prefetto Agrigento a vice capo vicario Dipartimento libertà civili e immigrazione.
- Francesca Ferrandino: prefetto Agrigento.
- Domenico Cuttaia: da prefetto Brindisi a vice capo dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile.
- Nicola Prete: da prefetto Lecco a prefetto Brinidisi.
- Marco Valentini: prefetto di Lecco.
- Stefano Trotta: da prefetto Trapani a prefetto Campobasso.
- Marilisa Magno: prefetto di Trapani.
- Alberto Pazzanese: direttore centrale per istituti d'istruzione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
- Demetrio Missineo: da ispettore generale di amministrazione a vice commissario dello Stato per la regione siciliana.
- Aldo Adinolfi: da prefetto Rovigo a prefetto Treviso.
- Romilda Tafuri: prefetto di Rovigo.

"Nel paese di Messina Denaro il pizzo non si paga"


"Nel paese di Messina Denaro il pizzo non si paga"

A dirlo è stato Giuseppe Grigoli, 60 anni, imprenditore in carcere per riciclaggio di denaro: "A Castelvetrano il racket colpisce solo chi viene da fuori"


MARSALA. "A Castelvetrano la mafia non impone il pagamento del pizzo agli imprenditori locali ma soltanto a chi viene da fuori. E i castelvetranesi devono pagare solo se hanno attività in altri centri". L'ha affermato Giuseppe Grigoli, 60 anni, imprenditore, ex gestore dei supermercati Despar in tre province (Trapani, Palermo e Agrigento), nel processo che lo vede imputato a Marsala per associazione mafiosa, assieme al superboss latitante Matteo Messina Denaro. L'imprenditore, in carcere con l'accusa di avere messo a disposizione della mafia la sua catena di supermercati per il riciclaggio del denaro, ha detto di avere incontrato Messina Denaro pochissime volte. E in una di queste occasioni, agli inizi del '92, il boss gli avrebbe detto che se apriva nuovi supermercati in altre citta' "doveva pagare". Grigoli ha spiegato che "fu Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro, a fissare quell'incontro a Castelvetrano, in un appartamentino al piano terra di via XX Settembre". Grigoli ha poi raccontato di essere stato "costretto" da Salvatore Messina Denaro - fratello del boss, ex impiegato della Banca Sicula, anch'egli arrestato per mafia - ad erogare "un prestito di 500 milioni di lire ad alcune persone in difficoltà". L'imprenditore ha affermato che per prestare quel denaro dovette fare un mutuo. Poi, ha parlato delle assunzioni di circa 25 persone fatte "su indicazione della mafia", che gli ha anche imposto alcuni nomi per il movimento terra e l'acquisto del cemento per la realizzazione di supermercati. "Non ho denunciato questi fatti per paura - ha dichiarato Grigoli - oggi l'avrei fatto. Per pagare la mafia facevo anche false fatturazioni. Nel 1996, sono stato ad un passo dal decidere di denunciare, però mi è mancato il coraggio. Temevo di subire l'incendio dei negozi e di vivere sotto scorta".