lunedì 29 marzo 2010

Una Lapide per i Fratelli Vaccaro Notte


Una Lapide per i Fratelli Vaccaro Notte



27 Marzo 2010 Sant’Angelo Muxaro

A dieci anni dall’assassinio dei miei fratelli è stata deposta a Sant’Angelo Muxaro una lapide per onorare la memoria, il coraggio e la dignità dei miei fratelli Vincenzo e Salvatore, barbaramente assassinati da un esercito di Pidocchi. Nonostante il mio impegno, alcuni di questi elementi “INUTILI”sono ancora in libertà. Nei prossimi giorni comincerò a impaginare sul mio sito parte delle intercettazioni dei componenti della “Cosca dei Pidocchi”, darò modo alla maggioranza della gente civile e onesta che vive a Sant’Angelo Muxaro di valutare e prendere le adeguate precauzioni e distanze da certa “feccia”.

Che il sacrificio dei miei fratelli sia da esempio alle future generazioni da poter evitare il ripetersi di questi tragici eventi.


Hanno onorato la commemorazione con la loro presenza l’ europarlamentare di Italia dei Valori Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano ucciso da Cosa Nostra, Il consigliere provinciale de ”La Destra” Roberto Gallo componente del dipartimento nazionale Territorio e Ambiente dell’UPI, l’Unione delle Province Italiane, Giuseppe Ciminnisi vicepresidente Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia figlio di Michele Ciminnisi , impiegato comunale ucciso da Cosa Nostra, l’assessore Alessandria Della Rocca, in particolar modo va un ringraziamento al sindaco di Sant’Angelo Muxaro Giuseppe Aurelio Leto, alla giunta e a tutto il consiglio comunale per la disponibilità e ospitalità presso l’aula consiliare del comune, e ai numerosi sforzi per l’iter burocratico che in questi anni il comune ha fatto per poter dedicare una strada ai miei fratelli che prossimamente verrà inaugurata. Un sentito grazie va anche agli amici di Messina, Palermo, Agrigento, Raffadali e Alessandria Della Rocca. Un grazie di cuore a tutti gli amici e conoscenti che sono venuti a onorare con la loro presenza questo memorabile evento,il comando dei carabinieri e il loro comandante Eugenio D’Aragona, il comando dei vigili urbani di Sant’Angelo Muxaro, la prefettura che si è prodigata per la mia sicurezza in particolar modo alla mia scorta appartenente al comando generale dei carabinieri di Agrigento gruppo “M.D.V. “


Malgrado l’invito era rivolto alla gente onesta di Sant’Angelo Muxaro, molti hanno partecipato alla cerimonia tanti altri non sono riusciti a trovare 30 minuti o forse più del loro prezioso tempo, giustificando la loro assenza con mille motivi.

E’ mio intento nel rispettare la memoria dei miei fratelli Vincenzo e Salvatore l’impegno preso già precedentemente, ovvero quello di assegnare due borse di studio ai giovani che si distingueranno per l’impegno, la costanza nello studio e nel diffondere la legalità.

Angelo Vaccaro Notte

domenica 28 marzo 2010

Lombardo sotto inchiesta "Rapporti con i boss etnei"


Indagato Lombardo

CATANIA - Il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, e suo fratello Angelo, parlamentare nazionale del Movimento per l'autonomia, sono indagati dalla Procura della Repubblica di Catania per concorso esterno all'associazione mafiosa.

LE ACCUSE. Secondo l'accusa avrebbero avuto contatti con Vincenzo Aiello, arrestato l'8 ottobre del 2009 da carabinieri, e indicato come uno dei boss vicini al capo mafia ergastolano Benedetto Santapaola.

La notizia, riportata dal quotidiano La Repubblica, ha trovato conferme in ambienti giudiziari qualificati. Nell'inchiesta è indagato anche il parlamentare regionale dell'Udc Fausto Fagone. Agli atti dell'indagine ci sarebbero intercettazioni telefoniche e ambientali dei carabinieri del Ros e le dichiarazioni di un pentito. Le indagini dei carabinieri del Ros, durate anni, e gli atti relativi erano stati secretati dai magistrati titolari dell'inchiesta, il procuratore Vincenzo D'Agata, e i sostituti della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Gennaro, Agata Santonocito e Antonino Fanara.

Secondo l'accusa il governatore, che avrebbe ottenuto appoggio elettorale dal clan, non avrebbe avuto contatti telefonici ma si serviva di un 'corriere' per parlare con Vincenzo Aiello, ritenuto vicino a Eugenio Galea, a sua volta indicato come una delle persone di maggior fiducia, nel settore economico, del capomafia Benedetto Santapaola.

Durante l'attività investigativa militari dell'Arma del Ros avrebbero anche messo delle 'cimici' nell'automobile dell'autista del fratello di Lombardo, per intercettare dialoghi all'interno della vettura, ma sarebbero state scoperte e distrutte. In una telefonata, ascoltata dal Ros, Vincenzo Aiello si sarebbe lamentato con l'interlocutore della decisione di Raffaele Lombardo di scegliere come assessori dei magistrati, come Massimo Russo, Giovanni Ilarda e Caterina Chinnici, definendo la loro nomina "una minchiata".

"La propalazione sui giornali di notizie come quella pubblicata da Repubblica ha quasi sempre una matrice politica". Lo afferma in una nota il procuratore capo di Catania, Vincenzo D'Agata, sull'inchiesta sul presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, che nel merito "non commenta". Secondo il magistrato la notizia "non è stata certo diffusa dall'Azione cattolica" la sua pubblicazione è "determinata da interessi e da contrapposizioni di natura politica dei quali i giornali divengono a volte involontario strumento". "Ma nel diffondere le notizie - sottolinea il procuratore capo di Catania - i giornalisti fanno il loro corretto mestiere".

"Ben diversa è la funzione del magistrato - conclude D'Agata - che da matrici, interessi e strumentalizzazioni politiche deve e intende restare assolutamente estraneo. Allo stato in conseguenza non ritengo di dover fare alcuna dichiarazione".

"INCHIESTA SULLA FUGA DI NOTIZIE". La Procura di Catania aprirà un'inchiesta sulla fuga di notizia sul fascicolo che è aperto per concorso esterno all'associazione mafiosa sul presidente
della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, e su suo fratello Angelo, deputato nazionale del Mpa. Lo apprende l'ANSA da fonti qualificate. Il fascicolo per competenza, dopo gli atti iniziali, sarà trasmesso alla Procura di Messina.

LOMBARDO: "ACCUSE INFAMANTI E FALSE". "È un'accusa che non sta nè in cielo nè in terra. Non conosco Aiello, e non so chi sia. Posso soltanto ribadire che non ho mai fatto affari con la mafia". Lo ha affermato all'ANSA il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, commentando la notizia, riportata dal quotidiano La Repubblica, della sua iscrizione nel registro degli indagati per concorso esterno all'associazione mafiosa, assieme al fratello Angelo, deputato nazionale del Mpa.

Il governatore ha detto di "non avere avuto notificato alcun avviso di garanzia" e di "avere appreso la notizia da un amico che ha letto il giornale" e gli ha telefonato. Il leader del Mpa ha annunciato che adirà "le vie legali" nei confronti di chi lo accusa per "difendersi da queste accuse infamanti e false". "Non lancio proclami - ha aggiunto Lombardo - e chiedo giustizia agli stessi magistrati presentando un esposto dopo avere letto di cosa mi si accusa". Sui contatti con Liga, il presidente della Regione Siciliana ribadisce che "sono stati di natura politica" e di "averlo incontrato così come tanti altri hanno fatto".

Lombardo sotto inchiesta
"Rapporti con i boss etnei"
Intercettazioni e rivelazioni di un pentito alla base del dossier della Procura di Catania. Coinvolti anche il fratello del governatore e il parlamentare regionale Fagone: per tutti le accuse sarebbero di concorso esterno in associazione mafiosa. Nelle conversazioni telefoniche le critiche del capomafia Aiello al presidente della Regione


CATANIA - Il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, e suo fratello, Angelo, parlamentare nazionale del Movimento per l'autonomia sono indagati dalla Procura della Repubblica di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa.

La decisione è stata presa dalla Procura etnea, guidata da Vincenzo D'Agata, sulla base di un corposo rapporto di tremila pagine confezionato dai carabinieri del Ros. Nel faldone top secret spiccherebbero le rivelazioni di un pentito e le intercettazioni telefoniche e ambientali che documenterebbero i contatti tra il capo della mafia catanese, Vincenzo Aiello, e i fratelli Lombardo.

Con loro sarebbero indagati anche un deputato regionale dell'Udc, Fausto Fagone, il sindaco di Palagonia, altri sindaci di comuni catanesi, numerosi amministratori comunali e provinciali, che sarebbero stati eletti grazie al "massiccio" appoggio e "impegno" delle cosche mafiose del clan storico di Cosa nostra che faceva capo a Nitto Santapaola e che ora è capitanato da Vincenzo Aiello.
Quest'ultimo è stato arrestato qualche mese fa durante un summit in cui si discuteva se aprire o meno una guerra contro le bande criminali catanesi, degli appalti da gestire e di come "comunicare" con il presidente della Regione, Raffaele Lombardo.

Secondo l'accusa il governatore, che avrebbe ottenuto appoggio elettorale dal clan, non avrebbe avuto contatti telefonici ma si serviva di un 'corriere' per parlare con Vincenzo Aiello, ritenuto vicino a Eugenio Galea, a sua volta indicato come una delle persone di maggior fiducia, nel settore economico, del capomafia Benedetto Santapaola.

Durante l'attività investigativa militari dell'Arma del Ros avrebbero anche messo delle 'cimici' nell'automobile dell'autista del fratello di Lombardo, per intercettare dialoghi all'interno della vettura, ma sarebbero state scoperte e distrutte.

Nelle conversazioni intercettate dai carabinieri del Ros anche le "critiche" che il capomafia faceva a Raffaele Lombardo, per avere voluto nella sua giunta, magistrati-assessori, Massimo Russo, ex magistrato antimafia a capo dell'assessorato alla Sanità, Giovanni Ilarda, ex assessore alla Presidenza della Regione e Caterina Chinnici, figlia di Rocco Chinnici, capo dell'ufficio istruzione di Palermo, ucciso dalla mafia con un'autobomba nel 1983, definendo la loro nomina "una minchiata".

sabato 27 marzo 2010

I due fratelli vittime della mafia, oggi una lapide per ricordarli


I due fratelli vittime della mafia, oggi una lapide per ricordarli

Una lapide per commemorare i fratelli Vincenzo e Salvatore Vaccaro Notte, vittime innocenti di mafia. Sarà collocata oggi pomeriggio nella via Manzoni, dove gli anziani genitori abitavano prima del duplice delitto, avvenuto a cavallo tra il 1999 e il 2000. Fatti fuori perché non volevano piegarsi alle “dinamiche” imposte dalla criminalità. Vincenzo, il primo ad essere ucciso, gestiva un’agenzia di pompe funebri. Alla cerimonia sarà presente, tra gli altri, Sonia Alfano, europarlamentare di Italia dei Valori, figlia del giornalista ucciso da Cosa Nostra.


Subito dopo la cerimonia di inaugurazione, è in programma nell’aula consiliare, messa a disposizione dall’amministrazione comunale, un incontro nel corso del quale Angelo Vaccaro Notte, fratello delle vittime, incontrerà la comunità santangelese e le autorità che prenderanno parte alla manifestazione. “ Ringrazierò pubblicamente quanti vorranno unirsi a noi in questo momento commemorativo e ovviamente ringrazierò anche il sindaco, Giuseppe Leto, per la disponibilità mostrata -afferma Angelo Vaccaro Notte- ma mi preme anche sottolineare l’impegno prodotto in questi anni dalle varie forze dello Stato che hanno permesso di fare chiarezza su quanto accaduto dieci anni fa. Questa lapide ha un duplice significato - conclude – mantenere sempre viva, a Sant’Angelo, la memoria di Vincenzo e Salvatore e rafforzare i valori della dignità e della legalità”.

Loredana Guida

L’IDV ALLA COMMEMORAZIONE PER IL 10° ANNIVERSARIO DEI FRATELLI VACCARO NOTTE A SANT’ANGELO MUXARO


L’IDV ALLA COMMEMORAZIONE PER IL 10° ANNIVERSARIO DEI FRATELLI VACCARO NOTTE A SANT’ANGELO MUXARO

Agrigento, 27/03/2010 – L’Italia dei Valori della provincia di Agrigento parteciperà oggi pomeriggio alla commemorazione in ricordo dei fratelli Vincenzo e Salvatore Vaccaro Notte a Sant’Angelo Muxaro vittime innocenti di mafia.
Durante la cerimonia che si svolgerà alle ore 15,30 ed alla quale parteciperà anche l’Europarlamentare di IdV Sonia Alfano nella sua qualità di presidente nazionale vittime di mafia, verrà deposta una lapide in loro memoria in Via Manzoni 16.
Celebrazioni come queste servono a mantenere vivo il ricordo di gente che, come i fratelli Vaccaro Notte, ha avuto il coraggio e la coerenza di non piegarsi alle logiche mafiose che imperano nella nostra terra. Con il loro esempio essi rappresentano un faro posto davanti a noi che ci ricorda, e ci fa sperare, che c’è una Sicilia pulita, orgogliosa ed onesta che vuole cambiare questa terra.
Uccisi perchè la amavano, tanto da volervi fare ritorno dopo aver accumulato un pò di denaro facendo i pizzaioli in Germania e aprendo un’agenzia di pompe funebri, vengono trucidati per il solo fatto di non volere scendere a patti con un clan mafioso i cui esponenti, proprietari anch’essi di un’impresa di pompe funebri non accettavano il fatto che l’agenzia dei Vaccaro Notte potesse fargli concorrenza.
Questi sono i nostri eroi. Coloro i quali hanno il coraggio dell’onestà ed ogni giorno, pur tra mille difficoltà, svolgono il loro lavoro senza guardare in faccia niente e nessuno, nè tantomeno, scendono a patti con il mafioso di turno pur di vivere “serenamente”.
Dovremmo ricordare più spesso e con manifestazioni ancora più partecipate questi nostri figli, che sono la vera linfa di questa terra e con il loro esempio, le consegnano ogni volta una nuova carta da giocare per una nuova speranza.
In un’Italia che ormai sembra far confusione su cosa sia giusto omaggiare e cosa non lo sia, l’IdV ha una certezza: onorare chi, con il proprio sacrificio, ci ricorda che esiste una Sicilia per bene e che non si fa sopraffare


Gian Joseph Morici

venerdì 26 marzo 2010

Operazione “Apocalisse”


Operazione “Apocalisse”

In manette boss e fiancheggiatori del latitante Falsone. Cinque le società sequestrate

Queste le persone finite in manette nell’ambito dell’operazione antimafia dei carabinieri del Reparto operativo di Agrigento: Ferdinando Bonanno, 70 anni, di Regalna in provincia di Catania, Gioacchino Francesco Cottitto, 43 anni, di Palma di Montechiaro, Diego Gioacchino Lo Giudice, 66 anni, di Canicattì, Giancarlo Buggea, 40 anni, di Canicattì, in atto detenuto, Giovanni Marino, 43 anni, originario di Canicattì ma residente a Campobello di Licata, Calogero Paci, 35 anni, di Campobello di Licata, Salvatore Paci, 61 anni, anch’egli campobellese e Pino Gambino 37 anni, di Ravanusa. Sfuggito alla cattura il latitante Giuseppe Falsone di Campobello di Licata. Nel corso dell’attività d’indagine sono stati sequestrati alcuni pizzini riconducibili a Falsone. Cinque le società sequestrate nel blitz “Apocalisse” le cui quote societarie, beni mobili ed immobili riconducibiìi hanno un valore stimato di circa 30 milioni di euro, sono la: “La.e.s. s.r.l.”, avente sede a Campobello di Licata, società impegnata nel settore degli appalti pubblici e privati che ha realizzato e gestito sino all’avvento degli Ato la discarica sub comprensoriale dei rifiuti solidi urbani di Campobello di Licata sita in contrada Bifara-Favarotta. La società è formalmente intestata a Giovanni Marino e Maria Carmela Paci, figlia di Salvatore Paci e sorella di Calogero Paci; la “Giobean s.r.l.”, avente sede a Campobello di Licata, azienda impegnata nel settore degli appalti pubblici e privati, nonché nella realizzazione di costruzioni edili e di lavori stradali, intestata a Calogero Paci; la “Simas s.r.l.”, avente sede legale a Roma e sede operativa a Canicattì, impresa operante nel settore edile, al momento impegnata nella realizzazione del nuovo punto vendita Eurospin di Campobello di Licata, intestata a Simone Luca Lo Giudice ed a Gaetano Lo Giudice, entrambi figli di Diego Gioacchino Lo Giudice; l’”Associazione Agricola La Rotonda Dei Pini”, avente sede a Canicattì, operante nel settore agricolo attraverso la produzione, raccolta, lavorazione e commercializzazione dei prodotti agroalimentari, il cui amministratore unico è Gioacchino Francesco Cottitto; la “Biofrutta s.r.l.”, con sede a Naro, azienda specializzata nella lavorazione e conservazione dei prodotti dell1 agri coltura e della zootecnia, la lavorazione e la trasformazione ed il confezionamento di frutta, ortaggi, legumi e cereali, società di proprietà di Maria Katia Gueli, moglie di Giancarlo Buggea e di Deborah Marchese, moglie di Gioacchino Francesco Cottitto.

martedì 23 marzo 2010

Commemorazione dei fratelli Vaccaro Notte


Commemorazione dei fratelli Vaccaro Notte

Sabato, 27 Marzo 2010 - 15:30

Dove:
Sant'Angelo Muxaro (AG)
Incontro commemorativo dei fratelli Vaccaro Notte.

L'appuntamento è per le 15.30 in via Manzoni 16 a Sant'Angelo Muxaro (AG)

Interverranno diversi familiari vittime di mafia, tra i quali il Presidente dell'Associazione Nazionale, Sonia Alfano.

sabato 20 marzo 2010

XV Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie



XV Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie





Don Ciotti, scelta candidati in base a frequentazioni
A Milano corteo di Libera per la 15/a Giornata della Memoria e dell'Impegno, in ricordo delle vittime delle mafie


MILANO - A Milano corteo organizzato dall'associazione Libera, in occasione della 15/a Giornata della Memoria e dell'Impegno, in ricordo delle vittime delle mafie. Come richiesto nei giorni scorsi dal fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, non ci sono bandiere di partito ma solo quelle delle diverse associazioni che hanno promosso la manifestazione. All'iniziativa è annunciata la presenza, tra gli altri, anche del leader di Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, dell'ex segretario del Pd, Walter Veltroni, e del portavoce della Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero

DON CIOTTI, SCELTA CANDIDATI IN BASE A FREQUENTAZIONI - "I candidati non si scelgono solo in base alle vicende giudiziarie, ma anche in base ai comportamenti e alle frequentazioni": lo ha detto don Luigi Ciotti dal palco allestito in piazza Duomo a Milano per il corteo antimafia di Libera in occasione della XV Giornata della Memoria e dell'Impegno, in ricordo delle vittime delle mafie. Il fondatore di Libera ha poi chiesto di "armonizzare le norme esistenti e garantire un'effettiva riconoscenza in sede civile del danno biologico, di relazione e morale" ai familiari delle vittime e di "rendere effettivi e tempestivi i benefici per i testimoni di giustizia che devono essere considerati un modello civile e una risorsa per il Paese".

NON LASCIAMO SOLI MAGISTRATI E POLIZIA - Il fondatore dell'Associazione antimafia Libera, don Luigi Ciotti, durante il corteo a Milano per la 15/a Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, ha lanciato un appello per "non lasciare soli magistrati e forze di polizia". Quindi, don Ciotti ha anche chiesto di "far emergere le cose positive della politica senza rinunciare a denunciare le cose negative". Per quanto riguarda invece la discussione in Parlamento su quale data del calendario scegliere per la Giornata nazionale della Memoria delle vittime delle organizzazioni criminali, il fondatore di Libera ha ribadito la sua speranza che la scelta ricada sul 21 marzo, giorno scelto da 15 anni da Libera per le sue manifestazioni. "C'é grande amarezza per la volontà di etichettare questi percorsi - ha spiegato - mentre c'é una trasversalità che deve essere rappresentata per non fare vittime di serie A e di serie B".

CRISI E' SOPRATTUTTO ETICA E POLITICA - Quella che sta vivendo l'Italia, per il fondatore di Libera don Luigi Ciotti, "non è solo una crisi economica ma è innanzitutto una crisi etica e politica". "C'é una concentrazione di poteri, di monopoli, di conflitti di interesse - ha proseguito - che logorano i principi costituzionali e mettono a rischio la democrazia". Don Ciotti, dal palco a Milano per il corteo antimafia di Libera, ha chiesto che "la politica tutta torni a essere politica con la 'p' maiuscola. Abbiamo bisogno di una politica che sappia fare a meno di darsi codici etici perché deve rispondere al codice della propria coscienza".



150mila in corteo

La testa del corteo organizzato dall’associazione antimafia Libera, che sta sfilando da questa mattina per le vie del centro di Milano, è entrata in piazza Duomo dove è stato allestito un palco da cui verranno letti i nomi delle vittime delle mafie. «Siamo in oltre 100mila», hanno annunciato i promotori della 15/ma Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, organizzata da Libera e Avviso pubblico e con l’Alto patronato del Presidente della Repubblica e il patrocinio del Comune e della Provincia di Milano e della Regione Lombardia.

«Legami di legalità, Legami di responsabilità» è lo slogan scelto dagli organizzatori della manifestazione che intende ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie e rinnovare, in loro nome, l’impegno di contrasto alla criminalità organizzata.

Il fondatore dell’Associazione antimafia Libera, don Luigi Ciotti, durante il corteo a Milano per la 15/a Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, ha lanciato un appello per «non lasciare soli magistrati e forze di polizia».

Nel contrasto alla mafia da parte del governo «non mi pare si vada nella giusta direzione, dal punto di vista dei provvedimenti, se penso a quello che si sta pensando sulle intercettazioni o allo scudo fiscale»: lo ha detto Walter Veltroni, prendendo parte a Milano alla manifestazione di Libera contro tutte le mafie. L’ex segretario del Pd ha sottolineato che «stanno facendo molto bene magistrati e forze dell’ordine, assicurando alla giustizia i capi di queste organizzazioni».

Intanto una sessantina di militanti di Forza Nuova, il movimento politico di estrema destra, sono stati bloccati dalle forze dell’ordine in piazza Aspromonte, a Milano. Il folto gruppo voleva unirsi al corteo di `Libera´ contro le mafie, ma la Questura precisa che è stata la stessa `Libera´ a chiedere che non ci fossero militanti di forze politiche nel corteo e si ritiene che la contemporanea presenza di gruppi di estrema sinistra nella manifestazione possa rischiare di far scoppiare incidenti.

Sul palco allestito in Piazza Duomo, al termine della manifestazione, saranno letti alcuni brani scritti da vittime delle mafie da parte di alcuni studenti provenienti da tutta Italia. A seguire Frankie Hi Nrg in chiave rap interpreterà `Fight the faida´ quindi Annalori Ambrosoli, moglie di Giorgio Ambrosoli ucciso nel 1979, porterà la sua testimonianza in rappresentanza dei familiari delle vittime. Sarà poi la volta di Manuel Gonzalves Granada, i cui genitori furono uccisi durante la dittatura Argentina, poi sarà data lettura di oltre 900 nomi di vittime innocenti, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali, morti per mano delle mafie. Conclude Don Luigi Ciotti , presidente di Libera. Coordinatrice della giornata Simona Dalla Chiesa, figlia del Generale Carlo Alberto, ucciso a Palermo il 3 settembre 1982.

150mila in corteo


Milano, 20 marzo 2010 - Un lunghissimo applauso di una piazza Duomo che non è riuscita a contenere tutti i partecipanti del corteo della XV Giornata della memoria e dell’impegno contro le mafie ha accolto la lettura, durata quasi un’ora, dei 900 nomi di vittime innocenti delle mafie con la quale si è conclusa la manifestazione che da porta Venezia ha raggiunto piazza Duomo. ‘’Siamo in oltre 100mila’’, hanno annunciato i promotori dell’iniziativa dal palco.

I manifestanti, in occasione della 15/a Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, si erano dati appuntamento alle 9 ai Bastioni di Porta Venezia. Ad aprire la manifestazione i parenti delle vittime delle mafie (circa 500), seguiti dai gonfaloni dei Comuni, delle Province e delle Regioni. Come richiesto nei giorni scorsi dal fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, non ci sono bandiere di partito ma solo quelle delle diverse associazioni che hanno promosso la manifestazione. All’iniziativa è annunciata la presenza, tra gli altri, anche del leader di Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, dell’ex segretario del Pd, Walter Veltroni, e del portavoce della Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero.



Lo slogan scelto per questa Giornata è: “Legami di legalità, Legami di responsabilità”. Il corteo è stato accompagnato dalla musica dei brani dei principali cantautori italiani e stranieri. Sul palco di Piazza Duomo sono stati letti brani scritti da vittime delle mafie (italiana e straniere) da parte ragazzi di scuole provenienti da tutta Italia. Poi, alcune testimonianze e a seguire la lettura degli oltre 900 nomi di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perche, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.



A coordinare la giornata sul palco Simona Dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Albero Dalla Chiesa. Centinaia i pullman provenienti da tutta Italia, un treno speciale da Napoli, migliaia di partecipanti provenienti dall’Italia, e dall’Europa. ”Non sarà un evento, non sarà un corteo - aveva spiegato Don Luigi Ciotti - Milano, la Lombardia, l’intero paese si prepara ad un abbraccio sincero ai familiari italiani e stranieri delle vittime delle mafie. Arrivano cariche di ferite che non sono risanabili, chiedono verità e giustizia. Non basta solidarietà, ci vuole corresponsabilità. Ai partecipanti, ai rappresentanti delle istituzioni, al mondo politico chiediamo semplicemente di guardarli negli occhi e di vedere i loro volti. Perchè chi si impegna in politica ha una grande responsabilità e il primo codice è la propria coscienza”.



PRESIDIO FORZA NUOVA - In piazza Aspromonte un gruppo di circa 60 attivisti di Forza Nuova, che avrebbero voluto prendere parte alla manifestazione della Giornata della memoria contro le mafie promossa da Libera, è stato bloccato dalle forze dell’ordine. Era stata la stessa ‘Libera’ a chiedere che non ci fossero militanti di forze politiche nel corteo, poichè si ritiene che la contemporanea presenza di gruppi di estrema sinistra nella manifestazione possa rischiare di far scoppiare incidenti.



WALTER VELTRONI - L'ex segretario del Pd, che ha preso parte al corteo, ha detto: "Non mi pare si vada nella giusta direzione, dal punto di vista dei provvedimenti, se penso a quello che si sta pensando sulle intercettazioni o allo scudo fiscale. Ma stanno facendo molto bene magistrati e forze dell’ordine, assicurando alla giustizia i capi di queste organizzazioni’’. ‘’E comunque - ha aggiunto Veltroni - c’è un problema che va oltre il Governo: sono i candidati alle elezioni regionali che sono sostenuti dalla mafia, dalla camorra e dalla ‘ndrangheta, contravvenendo al codice stabilito dalla commissione Antimafia, che dopo esaminerà questi nomi con grande severità’’. ‘’Mi lega a Libera un rapporto di molti anni - ha ricordato Veltroni - quando ero sindaco di Roma e prima, quando abbiamo fatto molte cose sui temi del contrasto alla mafia, e considero questa manifestazione una grandissima prova di forza della democrazia, che assume come priorità la lotta contro le mafie’’.



ANTONIO DI PIETRO - Il leader dell'Italia dei valori ha detto: "I cattivi esempi vengono soprattutto dalla politica e dalle istituzioni democratiche. Spero ci si liberi da questo cappio della criminalità che è entrata nelle istituzioni". "Bisogna istruire i ragazzi - ha sottolineato - a rispettare le leggi. Il problema è che in questo periodo troppi cattivi esempi stanno distogliendo i ragazzi dal rispetto della legge come fattore di sviluppo". Inoltre, l’ex magistrato ha elencato una serie di «regolette» che basterebbe applicare per «cambiare il paese».



ROBERTO FORMIGONI - Il presidente della Regione Lombardia ha aderito «idealmente» alla giornata antimafia di Milano e ha polemizzato sulla presenza in piazza Duomo di candidati e partiti politici, che sarebbe contraria alla volontà degli organizzatori. "Ho rispettato - ha dichiarto Formigoni - la richiesta, fatta direttamente a me dagli organizzatori, che nessuna bandiera, nessun simbolo e nessun candidato fosse presente oggi in piazza. Stupisce che altri candidati e altri partiti politici non abbiano rispettato la volontà degli organizzatori". Formigoni comunque "aderisce idealmente alla manifestazione organizzata dall’associazione Libera e si inchina di fronte a tutte le vittime che hanno pagato con la vita il loro amore per la legalità". Il presidente della Regione "ha incontrato personalmente due volte in questi mesi gli organizzatori e lo stesso don Luigi Ciotti, ha aderito alla loro richiesta di sostegno economico deliberando un contributo di 30 mila euro, ha dato seguito alla loro richiesta che Regione Lombardia fosse presente alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa con il sottosegretario Giammario".



DON CIOTTI - Il fondatore dell’Associazione antimafia Libera è stato l'ultimo ad intervenire: “Li vogliamo ricordare tutti perchè le vittime delle mafie, del terrorismo, del dovere sono tutte morte per la stessa ragione, la giustizia e la democrazia. Questa giornata nasce e si rinnova per essere non un evento, ma una tappa di un cammino sociale, educativo, culturale che dura 365 giorni l’anno”. Un discorso a tutto campo nel quale don Ciotti ha toccato svariati temi, dalla piaga del lavoro nero all’acqua come “bene da difendere” fino ai problemi dell’immigrazione. Infine, il richiamo a una politica che torni a essere una “politica con la p maiuscola”. “Vi prego, abbiamo bisogno di meno parole e più fatti - ha detto don Ciotti - la corruzione non è possibile perchè non è possibile una società che ruba a se stessa. Non è possibile una concentrazione di potere e di interessi economici che adombra i principi costituzionali e mette a rischio la democrazia. Le leggi - ha poi aggiunto - devono rispettarle tutti”.

giovedì 18 marzo 2010

'Ndrangheta, sei arresti e 7 avvisi di garanzia per omicidio


'Ndrangheta, sei arresti e 7 avvisi di garanzia per omicidio

Sei persone sono state arrestate e altre sette sono state raggiunte da avvisi di garanzia oggi nell'ambito di un'operazione dei carabinieri di Reggio Calabria contro la 'ndragheta. Continua a leggere questa notizia



Le accuse nei confronti delle 13 persone coinvolte, ritenute esponenti del clan Ursino, sono associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsioni, traffico di droga e trasferimento fraudolento di valori.

Nell'operazione dei carabinieri del comando di Reggio Calabria, guidati dal colonnello Carlo Pieroni, sono state effettuate anche 13 perquisizioni, spiega una nota dell'Arma.

Gli arresti sono stati eseguiti a Gioiosa Ionica -- nella Locride -- a Siderno, San Luca, Bari e Torino.

L'operazione denominata "Mistero" ha fatto luce sull'omicidio di Pasquale Simari, ucciso a Gioiosa ionica la sera del 26 luglio 2005, spiega il comunicato

"L'indagine ha consentito di identificare l'autore materiale, acclarare l'esistenza del sodalizio di 'ndrangheta denominato cosca Ursino, accertare alcuni episodi di danneggiamento, estorsione e incendi dal 2000 a 2008, verificare alcuni trasferimenti fraudolenti di valori con investimento di denaro di provenienza illecita in attività economiche lecite al fine di aggirare la normativa antimafia e appurare la disponibilità di armi anche da guerra", si legge nella nota.

Napoli, il bar del video choc alla Sanità era il covo di tre poliziotti corrotti


Napoli, il bar del video choc alla Sanità
era il covo di tre poliziotti corrotti


NAPOLI (18 marzo) - Dieci mesi dopo il delitto del boss Mariano Bacioterracino con il killer, arma in pugno, ripreso all’esterno del bar al rione Sanità a Napoli, è svolta nell’inchiesta: risultano, infatti, indagati per presunti legami con il clan camorristico Misso, il titolare del bar Vergini e tre agenti di polizia. Si tratta di Antonio Bustelli, meglio noto come Don Antonio, titolare della caffetteria teatro del raid assassino; e, inoltre, i tre agenti. Quattro indagati per concorso in associazione camorristica, per i quali la Dda di Napoli ha chiesto, senza ottenerlo, l’arresto in carcere: la misura cautelare è stata, infatti, rigettata dal gip Luisa Toscano, per «assenza di esigenze cautelari» ed è stata riproposta in sede di appello al Riesame dalla stessa Dda partenopea.

Camorra, estorsioni nel Modenese: 20 arresti,sequestri per 6 mln


Camorra, estorsioni nel Modenese: 20 arresti,sequestri per 6 mln

La Guardia di Finanza ha arrestato 20 persone legate al clan dei Casalesi che praticavano estorsioni nel Modenese, e sta sequestrando beni per almeno 6 milioni di euro. Continua a leggere questa notizia

Lo rendono noto i militari in una nota.

Il Gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia Tributaria di Bologna, in una operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo emiliano, ha eseguito 20 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di "soggetti affiliati e/o fiancheggiatori del clan camorristico dei Casalesi, dediti abitualmente al compimento di estorsioni nella provincia di Modena".

"La Squadra mobile di Modena sta provvedendo a dare esecuzione ad ulteriori 5 catture nei confronti di altrettanti soggetti anch'essi afferenti la medesima sfera criminale", aggiunge la nota.

Intanto il Gico sta sequestrando il patrimonio accumulato attraverso le estorsioni dalle persone al centro dell'inchiesta, "composto da 35 immobili, 23 tra autovetture e motocicli e partecipazioni in 5 società, per un valore complessivo stimato in almeno 6 milioni di euro".

Nell'operazione, scattata all'alba, sono impegnati 200 militari delle Fiamme gialle con unità cinofile.

Oltre alla provincia di Modena, sono interessate quelle di Mantova, Napoli e Caserta.

Pranzi gratis e sconti, tre vigili urbani condannati a Palermo


Pranzi gratis e sconti, tre vigili urbani condannati a Palermo

Al centro dell’inchiesta Vincenzo Virgadamo, Stefano Cardinale ed Egisto Radicella, avrebbero preteso pasti da ristoratori per non sottoporli ad ispezioni


PALERMO. Un ispettore della polizia municipale di Palermo, Vincenzo Virgadamo, è stato condannato a 8 anni (di cui 3 condonati) per una serie di concussioni imposte a titolari di ristoranti e di negozi, costretti a offrirgli pranzi o forti sconti sulla merce per non essere sottoposti a ispezioni e denunce.
La sentenza è della terza sezione del tribunale di Palermo, che ha accolto le richieste del pm Maria Forti e ha condannato anche Stefano Cardinale ed Egisto Radicella, colleghi del principale imputato, rispettivamente a 5 e 3 anni di carcere. Anche a loro sarà applicato il condono. Virgadamo è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.

Processo Perseo, inflitti 64 anni di carcere a 9 imputati


Processo Perseo, inflitti 64 anni di carcere a 9 imputati

Comminate le pene alle "famiglie" del mandamento di Belmonte Mezzagno. Assolto Michele Salvatore Tumminia


Palermo. Nove condanne, per complessivi 64 anni di carcere, e un'assoluzione sono state pronunciate dal Gup del Tribunale di Palermo, Mario Conte, nei confronti degli imputati del secondo troncone del processo "Perseo", celebrato col rito abbreviato nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli. L'unico assolto è Michele Salvatore Tumminia. Per il resto, il giudice ha accolto le richieste del pm Marzia Sabella.
La pena più alta è stata inflitta a Pietro Calvo che, col meccanismo della continuazione con una precedente condanna, ha avuto 12 anni. Dieci anni e otto mesi li ha avuti Benedetto Tumminia, dieci Giuseppe Casella, nove Salvatore Bisconti, otto ciascuno Gaetano Casella e Salvatore Francesco Tumminia. Pene minori per Calogero Liguori, che ha avuto due anni, e per Francesco Chinnici e Antonino Musso, che hanno patteggiato un anno e otto mesi a testa.
Il Gup ha condannato gli imputati a risarcire con 20 mila euro ciascuno la Provincia di Palermo e le associazioni Addiopizzo, Solidaria, Libero Futuro, Sos Impresa, Confindustria, Confcommercio e Centro Pio La Torre.
L'operazione Perseo nel dicembre del 2008 portò a un centinaio di arresti, che smantellarono le cosche di Palermo e della provincia. Il troncone concluso oggi riguarda le "famiglie" del mandamento di Belmonte Mezzagno.

mercoledì 17 marzo 2010

Stragi di mafia del '93-'94, un arresto Raffica di perquisizioni in tutta Italia


Stragi di mafia del '93-'94, un arresto Raffica di perquisizioni in tutta Italia

Francesco Tagliavia, già detenuto,
accusato con altri nuovi indagati
per le bombe e gli attentati
a Firenze, Roma e Milano

FIRENZE


Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere è il frutto di una svolta nelle indagini, dirette dalla Dda fiorentina, sulle stragi mafiose del 1993-1994 a Firenze, Roma e Milano. La misura, disposta dal gip di Firenze, è stata notificata in carcere a Francesco Tagliavia, 56 anni, detenuto. Nel corso della giornata ci sono state anche numerose perquisizioni in varie regioni italiane, nei confronti di persone che sarebbero collegate al nuovo indagato per l’inchiesta sulle stragi.

Tagliavia è collocato dagli inquirenti ai vertici della famiglia mafiosa di Corso dei Mille di Palermo, appartenente al mandamento di Brancaccio. E' indagato per strage, devastazione e detenzione di un ingente quantitativo di materiale esplosivo, in concorso con altre persone, tra le quali Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Vittorio Tutino, tutti già condannati per l’inchiesta fiorentina sulla campagna stragista di Cosa nostra per le autobombe che esplosero in via dei Georgofili a Firenze, in via Palestro a Milano e a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma, rispettivamente il 27 maggio, il 27 luglio e il 28 luglio del 1993 - causando 10 morti, 95 feriti e danni enormi al patrimonio artistico e religioso -, e i falliti attentati a Maurizio Costanzo a Roma in via Fauro (14 maggio 1993), allo stadio Olimpico (23 gennaio 1994) e al pentito Totuccio Contorno a Formello (14 aprile 1994).

Gli inquirenti contestano a Tagliavia di aver contribuito alla realizzazione degli attentati, essendosi attivato, in ragione anche della sua collocazione ai vertici della famiglia di Corso dei Mille, nell’organizzazione dei fatti di strage e nella gestione della fase attuativa dei delitti, mettendo a disposizione alcuni esecutori e finanziandone le trasferte. Alla nuova ordinanza di custodia cautelare si è arrivati dopo oltre due anni di indagini - dirette dalla procura della Repubblica di Firenze e svolte dalla Dia di Firenze in collaborazione con i centri operativi della Direzione investigativa antimafia di Roma e Palermo - che hanno interessato Toscana, Sicilia, Lombardia, Abruzzo, Lazio e Marche. Gli inquirenti sono arrivati a Tagliavia anche grazie alle parole di Spatuzza, il controverso pentito che nei mesi scorsi ha tirato in ballo Marcello Dell’Utri. «Lo consideriamo attendibile, altrimenti non avremmo avviato di nostra iniziativa le procedure per ammetterlo al programma di protezione provvisoria a cui poi si sono associate Caltanissetta e Palermo», ha detto il procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi.

Fermato gruppo di fuoco


Fermato gruppo di fuoco

CATANIA - Sei presunti esponenti del clan dei Carateddi di Catania sono stati arrestati in flagranza di reato di detenzione illegale di arma da fuoco dalla squadra mobile della Questura. Secondo gli investigatori, cinque di loro facevano parte di un gruppo di fuoco che stava per entrare in azione, presumibilmente per uccidere l'esponente di un clan rivale. Il sesto è la persona proprietaria della casa dove hanno tentato di nascondersi per sfuggire alla polizia.

Erano in possesso di pistole mentre viaggiavano su degli scooter in via Della Concordia. Tra gli arrestati ci sono uno dei presunti fiancheggiatori del boss Iano Lo Giudice, che fu fermato con il capomafia latitante l'8 marzo scorso in una stalla e scarcerato due giorni fa, e un altro indagato che negli anni scorsi era stato ammesso agli arresti domiciliari per gravi motivi di salute. Le indagini della squadra mobile sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Catania.

In manette un cugino di Santapaola


In manette un cugino di Santapaola

CATANIA - Salvatore Amato, di 55 anni, cugino del boss detenuto Nitto Santapaola e ritenuto elemento di cosa nostra catanese che fa capo alla famiglia Santapaola, è stato arrestato dai carabinieri a Catania.

I militari hanno eseguito nei suoi confronti un ordine di esecuzione della carcerazione per una pena residua di cinque anni e un mese di reclusione dopo che il 15 marzo scorso la Procura generale presso la Corte di appello di Catania ha rigettato un ricorso presentato dai suoi difensori. Amato è stato rinchiuso nel carcere di Bicocca.

Salvatore Amato era stato arrestato nell'ottobre dello scorso anno perché aveva violato gli obblighi della sorveglianza speciale dopo essere stato sorpreso dai carabinieri alla guida di un motoveicolo sebbene privo della patente di guida.

Amato in passato era stato arrestato con l'accusa di associazione mafiosa dai carabinieri nell'ambito dell'operazione denominata "Plutone" perché ritenuto inserito a pieno titolo nella frangia 'militare' del clan che opera nel quartiere Borgo.

Beatificare don Giuseppe Diana


Camorra, l'ex vescovo di Caserta:
«Beatificare don Giuseppe Diana»


Richiesta di monsignor Raffaele Nogaro per il parroco
ucciso dalla camorra mentre stava per celebrare messa



CASERTA (16 marzo) - Beatificare don Giuseppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso da due sicari del clan dei casalesi mentre stava per celebrare messa, il 19 marzo del 1994. Lo chiede monsignor Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, in vista del sedicesimo anniversario della morte del sacerdote.

Nogaro ricorda la grandezza dei martiri: «La Chiesa, riconoscendo l'esemplarità di vita dei martiri del nazismo, del comunismo e dell'impero romano, li riconosce grandi perchè hanno saputo resistere al male, fino a sopprimerlo con il sacrificio della loro vita». Don Diana combattè il male della camorra, «il male della natura umana, l'egoismo, che nella camorra viene esasperato all'estremo. Le Chiese del Sud non hanno voluto combattere questo male. Si sono rassegnate a forme di convivenza e di opportunismo».

Secondo il presule, don Giuseppe Diana «è il riscatto delle nostre terre sempre oppresse, è l'anima pulita della nostra chiesa meridionale, ed è, dunque, giunto il momento di proclamarlo beato, valoroso, giusto. Ha pagato di persona , come Gesù, fino a donare la vita per i fratelli».

martedì 16 marzo 2010

Inaugurata a Reggio Calabria la sede dell'Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità


Inaugurata a Reggio Calabria la sede dell'Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

Altre sedi decentrate saranno costituite per la gestione dei patrimoni presenti nelle singole regioni. Il ministro dell'Interno: «Questa è una battaglia di tutti»


Negli ultimi 18 mesi sono stati sequestrati beni illeciti per oltre sette miliardi e mezzo. Sarà l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, inaugurata questa mattina a Reggio Calabria, a gestire l’immenso patrimonio.

«È una giornata da incorniciare» ha dichiarato il ministro dell’Interno Roberto Maroni intervenendo alla cerimonia di inaugurazione. L’Agenzia, per intervenire al meglio sui patrimoni presenti nelle singole regioni avrà anche altre sedi decentrate.
«Tutti, destra e sinistra - ha detto Maroni - insieme alle istituzioni, governo centrale e governi locali, devono unire gli sforzi per contrastare e sconfiggere definitivamente la criminalità organizzata».
«Questa è una battaglia di tutti» ha ribadito il ministro dell’Interno che ha «colto con grande favore» il voto all'unanimità della Camera dei deputati sul decreto legge del Governo che ha istituito l'Agenzia.

Oltre all'aggressione ai patrimoni mafiosi, l’altra strada indicata da Maroni «determinante per sconfiggere le mafie» è quella della cattura dei latitanti e, proprio oggi, un altro pericoloso ricercato della 'ndrangheta è stato arrestato in Calabria. Negli ultimi 18 mesi, ha riferito Maroni, sono stati catturati 22 dei 30 latitanti più pericolosi. «Adesso - ha detto - stiamo stringendo il cerchio attorno alla 'primula rossa' Matteo Messina Denaro».

Alla cerimonia sono intervenuti, insieme al direttore dell'Agenzia prefetto Alberto Di Pace e al sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti, il sottosegretario all'Interno Francesco Nitto Palma, il capo della Polizia Antonio Manganelli, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone.

'Ndrangheta, arrestato Manfredi,tra 100 latitanti più pericolosi


'Ndrangheta, arrestato Manfredi,tra 100 latitanti più pericolosi

La polizia ha arrestato oggi Pasquale Manfredi, ritenuto capomafia di Crotone e responsabile di due omicidi, inserito nella lista dei 100 latitanti più pericolosi. Continua a leggere questa notizia
L'uomo, considerato al vertice della cosca Nicosia-Manfredi di Isola Capo Rizzuto (in provincia di Crotone), è accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidi, reati estorsivi, traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi, anche da guerra, spiega una nota della polizia.

Manfredi, che si è arreso senza opporre resistenza, è stato arrestato mentre tentava di fuggire dal tetto quando si è accorto che le forze dell'ordine avevano circondato lo stabile dove si nascondeva.

Manfredi è ritenuto responsabile di due omicidi, quello di Carmine Arena -- ucciso nell'ottobre 2004 a colpi di bazooka -- e quello di Pasquale Tipaldi, avvenuto nel dicembre 2005.

La nota aggiunge che Manfredi, 32 anni, è "senza ombra di dubbio il più pericoloso pregiudicato della provincia crotonese, sospettato di aver eseguito numerosi altri omicidi, sui quali la locale Squadra Mobile sta svolgendo approfondite e meticolose indagini".

"Svetonio", lo 007 che scriveva al boss


"Svetonio", lo 007 che scriveva al boss


Messina Denaro per due anni ha
mandato "pizzini" all'amico-spia

FRANCESCO LA LICATA

ROMA


Come ogni agente segreto che si rispetti, aveva il suo nome in codice che - ironia della sorte - gli era stato imposto dalla sua stessa preda. Era stato Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra «attenzionato» dall’insospettabile spia, a chiamarlo «Svetonio».

Proprio come l’autore del «De viris illustribus». Per sé, invece, aveva scelto lo pseudonimo di Alessio. E così per due anni Svetonio e il superlatitante Alessio si sono scambiati una alata quanto clandestina corrispondenza puntualmente finita sulle scrivanie degli analisti del Sisde, che ne traevano spunti per la possibile cattura di Matteo Messina Denaro.

Oggi il prezioso e molto interessante, dal punto di vista antropologico oltre che investigativo, carteggio si può trovare nel fascicolo che ieri ha dato luogo all’operazione «Golem II», nel Trapanese. Protagonista della Spy Story alla siciliana è Antonino Vaccarino, strano personaggio nato a Corleone nel 1945 ma da tempo residente a Castelvetrano dove ha fatto l’insegnante di lettere ed è stato consigliere comunale, assessore ed anche sindaco.

Certo l’ambiente non è dei più adatti a mantenere intatta la passione per i libri, tra l’altro condivisa con la moglie, Gisella, professoressa di filosofia. Castelvetrano, come d’altra parte Corleone, è da sempre una specie di brodo di coltura della mafia. Il cortile di via Mannone dell’avvocato Gregorio De Maria, dove, il 5 luglio del 1950, fu inscenato il falso conflitto a fuoco che si concluse con la morte sospetta di Salvatore Giuliano, nel tempo è diventato l’icona dell’ambiguità delle vicende di mafia. Ecco, forse il professor Vaccarino ha risentito di un certo condizionamento ambientale, se è vero che qualche problemino giudiziario se l’è procurato. Finito sotto osservazione anche per la sua passione esoterica (Loggia Francesco Ferrer), si fece notare anche per la carica pubblica all’interno della cooperativa «Agricola Mediterranea». Nulla, per usare un termine attuale, di penalmente rilevante. Solo la vicinanza di personaggi del calibro di Francesco Messina Denaro, padre (ora scomparso) di Matteo e Salvatore e del boss Filippo Guttadauro. Comunque il peggio doveva arrivare nel 1997, quando fu condannato a 6 anni e mezzo per traffico di stupefacenti. In quell’ occasione fu anche prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa.

Una volta tornato in libertà, lo troviamo a gestire il cinema Marconi, l’unico di Castelvetrano e a cercare l’avventura spionistica. Così è diventato Svetonio, dopo aver agganciato Matteo attraverso il fratello Salvatore Messina Denaro, suo ex alunno al liceo. «Tutte le persone - gli spiega Alessio - che hanno contatto con me hanno dei nomi convenzionali, il suo è Svetonio». Le raccomandazioni, poi, riguardano le precauzioni da osservare nello scambio epistolare: rispettare maniacalmente le date che vengono comunicate per rispondere e, soprattutto, bruciare i «pizzini». Quest’ultima osservanza è stata disattesa, visto che il Sisde, nel 2007, ha trasferito alla magistratura l’intero carteggio.

E’diabolica la «captatio benevolentiae», per restare nel latino, adoperata da Svetonio per conquistare con l’adulazione le simpatie del latitante. Gli scrive parole poetiche sul padre morto: il «tuo eccezionale genitore» «ritengo abbia fatto della sua vita l’esaltazione dell’equilibrio». Poi lo blandisce coi discorsi sui «politici indegni» e arriva a spingere Alessio a sbilanciarsi parecchio, come quando il boss definisce «venditore di fumo» il presidente del Consiglio dell’epoca (era Berlusconi). Il doppio gioco di Svetonio oggi è chiaro: ad Alessio fa credere di potergli essere utile politicamente, al Sisde promette l’improbabile cattura del latitante. Tra i due, si intuisce, crede di più in Alessio che percepisce come più forte dello Stato.

Tutto questo ed altro è ormai codificato, anche se Svetonio non è neppure indagato nell’indagine Golem perché agiva «per ragion di Stato». Ma i suoi guai, forse, non sono finiti. Il 15 novembre del 2007 ha ricevuto una lettera vera, non un «pizzino». C’era scritto: «.....Ha buttato la sua famiglia in un inferno... la sua illustre persona fa già parte del mio testamento... in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti...». Firmato: M. Messina Denaro, proprio lui in persona, non più Alessio.

Si stringe il cerchio attorno
al boss Messina Denaro




TRAPANI - Un'operazione finalizzata a smantellare la rete di favoreggiatori del superboss latitante Matteo Messina Denaro, indicato come il nuovo capo di Cosa Nostra, è stata effettuata in provincia di Trapani. Gli investigatori della Polizia, appartenenti al Servizio Centrale Operativo ed alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, hanno operato 19 fermi emessi dalla Procura Distrettuale antimafia di Palermo.

Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Secondo l'accusa farebbero parte della struttura trapanese di Cosa Nostra; alcuni di loro sono legati anche da vincoli di parentela con il boss latitante attorno al quale gli investigatori hanno fatto ormai "terra bruciata".

Le indagini della polizia sono state coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Messineo, dall'aggiunto Teresa Principato e dai Pm Marzia Sabella e Paolo Guido. L'operazione è stata denominata in codice Golem 2. Gli arresti costituiscono infatti il seguito dell'operazione Golem 1 del giugno scorso, condotta da uno speciale team investigativo, con l'obiettivo di disarticolare la rete di complicità che avrebbe favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro.

Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi figurano infatti alcuni fedelissimi del padrino trapanese che avrebbero svolto il ruolo di "postini" per recapitare la corrispondenza del boss contenente ordini e disposizioni. Gli investigatori sono riusciti a "intercettare" alcuni pizzini attribuiti a Messina Denaro, che in passato aveva avuto un fitto scambio epistolare con Bernardo Provenzano e i boss Lo Piccolo. In cella sono finiti anche alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra trapanese, tra cui i reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati nonchè con i vertici delle cosche palermitane.

Dall'inchiesta Golem 2 che ha portato al fermo di 19 presunti fiancheggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro emerge che il capomafia si serviva di fiancheggiatori insospettabili incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari della famiglia. Tra i fermati anche il fratello del padrino, Salvatore Messina Denaro. In cella sono finiti inoltre, tra gli altri, Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Fortunato e Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Andrea Craparotta, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Antonino Marotta, Marco Manzo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Perrone, Carlo Piazza, Giovanni Risalvato, Paolo Salvo, Salvatore Sciacca e Vincenzo Scirè. Alcuni sono legati al latitante da vincoli di parentela.

C'è anche un componente della banda di Salvatore Giuliano tra i 19 presunti fiancheggiatori del boss Matteo Messina Denaro fermati dalla polizia nell'ambito dell'operazione Golem 2. Si tratta di Antonino Marotta, 83 anni, definito dagli investigatori come il "decano" della mafia trapanese.

lunedì 15 marzo 2010

Smantellata la rete di Messina Denaro


Smantellata la rete di Messina Denaro

Fermate 19 persone legate al boss
latitante: tra loro c'è anche il fratello
TRAPANI
Un’operazione finalizzata a smantellare la rete di favoreggiatori del superboss latitante Matteo Messina Denaro, indicato come il nuovo capo di Cosa Nostra, è in corso dalle prime ore di oggi in provincia di Trapani. Gli investigatori della Polizia di Stato appartenenti al Servizio Centrale Operativo ed alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, stanno eseguendo 19 fermi emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo.

Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Secondo l’accusa farebbero parte della struttura trapanese di Cosa Nostra; alcuni di loro sono legati anche da vincoli di parentela con il boss latitante attorno al quale gli investigatori hanno fatto ormai «terra bruciata».

In questo momento sono impiegati oltre 200 agenti della Polizia che stanno operando, con l’ausilio di unità elitrasportate, nella zona di Castelvetrano, il paese natale di Matteo Messina Denaro. Contestualmente all’esecuzione dei provvedimenti di fermo, gli investigatori della Polizia, con il supporto dei Reparti Prevenzione Crimine, stanno eseguendo 40 perquisizioni, in diverse regioni italiane nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta, Torino, Como, Milano, Imperia, Lucca e Siena.

Le indagini della polizia sono state coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Messineo, dall’aggiunto Teresa Principato e dai Pm Marzia Sabella e Paolo Guido. L’operazione è stato denominata in codice Golem 2. Gli arresti costituiscono infatti il seguito dell’operazione Golem 1 del giugno scorso, condotta da uno speciale team investigativo, con l’obiettivo di disarticolare la rete di complicità che avrebbe favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi figurano infatti alcuni fedelissimi del padrino trapanese che avrebbero svolto il ruolo di «postini» per recapitare la corrispondenza del boss contenente ordini e disposizioni. In manette anche il fratello di Messina Denaro.

Gli investigatori sono riusciti a «intercettare» alcuni pizzini attribuiti a Messina Denaro, che in passato aveva avuto un fitto scambio epistolare con Bernardo Provenzano e i boss Lo Piccolo. In cella sono finiti anche alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra trapanese, tra cui i reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati nonchè con i vertici delle cosche palermitane I particolari dell’operazione saranno illustrati da magistrati e investigatori in una conferenza stampa che si terrà in mattinata, alle ore 11, presso la Questura di Trapani.

sabato 13 marzo 2010

'Ndrangheta, pentito vuol essere sentito su minacce a deputata


'Ndrangheta, pentito vuol essere sentito su minacce a deputata

Un "pentito" di mafia chiede di essere sentito "in fretta" dai magistrati della Dda di Reggio Calabria in merito alle minacce di morte alla deputata del Pdl Angela Napoli, attualmente anche membro della Commissione antimafia, di cui è stata vicepresidente. Continua a leggere questa notizia

Lo ha detto oggi la stessa parlamentare a Reuters, a proposito di una lettera fattale recapitare dal pentito Gerardo D'Urzo.

"Il pentito dice che vuol essere sentito in fretta dai magistrati della Dda (Direzione distrettuale antimafia)", ha detto Angela Napoli, che nei giorni scorsi ha trovato sotto casa un'auto rubata coi fili manomessi e la ruota di scorta spostata sul sedile posteriore, in quello che secondo lei è un chiaro avvertimento.

"Il pentito mi scrive che un politico del Pdl avrebbe ordinato alle cosche della Piana di Gioia Tauro la mia uccisione. Adesso spero che i magistrati riescano a individuare il prima possibile il politico in questione", ha detto Napoli conversando con Reuters.

"Nelle liste per le Regionali in Calabria ci sono candidati con gravi condanne per reati contro la pubblica amministrazione", ha sottolineato la parlamentare, a cui intanto è stata raddoppiata la scorta.

La stessa parlamentare aveva confermato nei giorni scorsi di avere ricevuto la lettera di D'Urzo, secondo il quale sarebbe nel mirino della 'Ndrangheta per non essersi piegata alle logiche delle cosche di Gioia Tauro.

Il collaboratore di giustizia Gerardo D'Urzo è stato condannato all'ergastolo perché giudicato il responsabile principale della strage dell'Epifania, il 6 gennaio 1991, quando, con altri tre uomini, uccise due persone ferendone una decina.

Camorra, arrestato latitante fra i 100 più pericolosi


Camorra, arrestato latitante fra i 100 più pericolosi

La polizia ha arrestato oggi, in un appartamento a Torre del Greco, in provincia di Napoli, uno dei latitanti inserito nell'elenco dei 100 più pericolosi e ricercato dal 2007.

NAPOLI (13 marzo) - È stato sorpreso e arrestato, questa mattina, in un appartamento di via Nazionale nel centro di Torre del Greco. Sebastiano Tutti, reggente dell'omonimo clan, inserito nell'elenco dei cento latitanti più ricercati d'Italia. Era latitante dal 2007 e in questi ultimi tre anni, per sfuggire alla cattura, secondo gli investigatori, ha cambiato numerosi nascondigli. Quando gli agenti della Squadra mobile di Napoli, guidati da Vittorio Pisani, e quelli del commissariato di Torre del Greco, diretto dal commissario capo Donatella Grassi, hanno fatto irruzione nell'appartamento Sebastiano Tutti stava ancora dormendo.


Non ha opposto resistenza. Nell'appartamento sono state trovate poche cose. Le dispense quasi vuote. Ciò conferma che l'uomo, braccato da tempo, si spostava di frequente nel tentativo di sfuggire alla cattura. Ma non si sarebbe allontanato troppo dalla zona: una scelta precisa per non perdere il controllo del territorio.


Pregiudicato per associazione di stampo mafioso, porto d'armi abusivo, estorsione, furto e tentato omicidio, nell'ottobre 2007 è stato raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti. Nel 2008 nei suoi confronti era stato emesso ordine di consegna in una casa lavoro.


Secondo gli investigatori, nel maggio scorso Tutti è stato l'autore o il mandante dell'omicidio di Gaetano Di Gioia, reggente dell'organizzazione camorristica operante in zona. Agguato nel quale rimase gravemente ferito anche il figlio di Di Gioia. Lo stesso Tutti, l'anno scorso, secondo gli investigatori, fu responsabile di due attentati dinamitardi ad un bar e ad una gioielleria di Torre del Greco.



Dopo questi tre episodi, approfittando anche della debolezza degli altri clan Formicola e Falanga, Tutti avrebbe costituito un autonomo gruppo che imponeva il pizzo a molti commercianti, imprenditori, armatori, albergatori e gioiellieri della zona. Il clan di Tutti aveva già subito un duro colpo nei mesi scorsi con diversi fermi avvenuti prima di Natale e il 14 febbraio scorso.


Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha telefonato al capo della polizia, prefetto Antonio Manganelli, per congratularsi dell'arresto «un altro duro colpo alla camorra» ha sottolineato Maroni.

venerdì 12 marzo 2010

Napoli: cavallo di ritorno e ricettazione 30 arresti, sgominato clan auto rubate


Napoli: cavallo di ritorno e ricettazione
30 arresti, sgominato clan auto rubate


NAPOLI (12 marzo) - Trenta persone ritenute componenti di un gruppo criminale e responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata ai furti di automobili e ricettazione, riciclaggio ed estorsioni, sono state arrestate dai carabineri del comando provinciale di Napoli. Nel corso di indagini, coordinate dalla procura della Repubblica partenopea, i carabinieri hanno accertato che gli indagati si erano resi responsabili di numerosissimi furti di automobili e di moto che, in gran parte, erano stati restituiti ai proprietari dietro pagamento di un riscatto - l'estorsione con il metodo del cosiddetto “cavallo di ritorno” - oppure avviati al circuito della ricettazione o del riciclaggio presso sfasciacarrozze della periferia del capoluogo campano.

mercoledì 10 marzo 2010

Blitz antimafia tra la Sicilia e gli States


Blitz antimafia tra la Sicilia e gli States

PALERMO - Un'operazione antimafia condotta dagli uomini del Servizio operativo centrale (Sco) della Polizia, della squadra mobile di Palermo e dell'Fbi è in corso in Italia e negli Stati Uniti. Diversi gli arresti effettuati sia in Sicilia sia negli Usa.

L'operazione, denominata 'Paesan Blues', è stata coordinata dalla Procura di Palermo che ha emesso provvedimenti di fermo nei confronti di 21 indagati accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, tentato omicidio, traffico di droga e altro. Le indagini hanno consentito di destrutturare la famiglia di Santa Maria di Gesù di Palermo e le sue ramificazioni negli Stati Uniti. Nel corso dell'operazione antimafia, sono state sequestrate armi e documenti. Lo si apprende da fonti investigative qualificate che hanno partecipato all'operazione. In particolare, nel corso delle perquisizioni, sono state recuperate tre pistole e diversa documentazione relativa alle estorsioni compiute dagli indagati nei confronti di diversi commercianti.

Le cosche palermitane, decimate dagli ultimi arresti, tentano di riorganizzarsi. E ai vertici tornano boss storici. È una delle circostanze emerse dall'indagine, 'Paesan Blues'. Al centro dell'inchiesta la "famiglia" di Santa Maria di Gesù tornata sotto la guida di Gioacchino Corso, e del fratello Giampaolo, entrambi arrestati. Ad eseguire le disposizioni dei due boss altri due esponenti di vecchia data dell'organizzazione mafiosa come Giuseppe Lo Bocchiaro, condannato per l'omicidio di Pietro Marchese, assassinato nell'82 mentre era detenuto all'Ucciardone, nell'ambito della guerra di mafia.

A Pietro Pilo, uomo di fiducia del boss storico Cosimo Vernengo, con cui ha gestito importanti traffici di droga, era stata assegnata invece la gestione della cassa dell'organizzazione. Questi i 21 fermati dai pm palermitani: Leonardo Algeri, 31 anni, Giovanni Burgarello, 43 anni, Andrea Casamento, 32anni, Massimiliano Castelluccio, 32 anni, Gaetano Castelluccio, 31 anni, Massimiliano Codiglione, 42 anni, Gianpaolo Corso, 38 anni, Gioacchino Corso, 43 anni, Giuseppe Di Maio, 33 anni, Umberto Di Cara 25 anni, Claudio Faldetta, 24 anni, Francesco Guercio, 32 anni, Giuseppe Lo Bocchiaro, 50 anni, Salvatore Luisi, 22 anni, Massimo Mancino, 33 anni, attualmente detenuto nel carcere Ucciardone a Palermo, Pietro Pilo, 49 anni, Girolamo Rao, 38 anni, Roberto Settineri, 42 anni, residente a Miami
(Usa), Giovanni Lo Verde, 71 anni, Pietro Gandolfo, 41 anni, (questi indagati sono tutti palermitani), Gaetano Di Giulio, 35 anni, di Caltanissetta.


"Furti nel Palermitano": arrestato il figlio del boss Vitale

Il ragazzo, ancora minorenne, è accusato di essere l'ultimo componente di una banda di rapinatori già sgominata a febbraio

Partinico. Il figlio del boss ergastolano Vito Vitale, ancora minorenne, è stato arrestato dai carabinieri del gruppo di Monreale e portato in una comunità. E' accusato di essere l'ultimo componente della banda di rapinatori che era stata sgominata lo scorso 17 febbraio, di cui facevano parte Leonardo Vitale, 23 anni, altro figlio di Vito, Roberto Rizzo, 35 anni di Partinico, e Domenico Parra, 29 anni di Borgetto. La rapina era avvenuta l'11 giugno scorso. La vittima era un agricoltore del luogo a cui è stato rubato un trattore poi ritrovato in contrada Billemi. La banda aveva colpito anche a Trappeto, in provincia di Palermo, rubando dall'abitazione di un pensionato oggetti d'oro, buoni fruttiferi postali e un televisore Lcd da 50 pollici

Mafia, il ritorno dei vecchi boss
Palermo. Le cosche palermitane, decimate dagli ultimi arresti, tentano di riorganizzarsi. E ai vertici tornano boss storici. E' una delle circostanze emerse dall'indagine congiunta dello Sco della polizia e dell'Fbi che oggi ha portato all'arresto, a Palermo, di 20 persone e negli Usa di altre 6, accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di droga, riciclaggio e traffico di banconote false.
Al centro dell'inchiesta la "famiglia" di Santa Maria di Gesù tornata sotto la guida di Gioacchino Corso, e del fratello Giampaolo, entrambi arrestati. Ad eseguire le disposizioni dei due boss altri due esponenti di vecchia data dell'organizzazione mafiosa come Giuseppe Lo Bocchiaro, condannato per l'omicidio di Pietro Marchese, assassinato nell'82 mentre era detenuto all'Ucciardone, nell'ambito della guerra di mafia. A Pietro Pilo, uomo di fiducia del boss storico Cosimo Vernengo, con cui ha gestito importanti traffici di droga, era stata assegnata invece la gestione della cassa dell'organizzazione.

Mafia, ecco il libro mastro delle estorsioni

Gli investigatori hanno trovato una prova importante della gestione del racket da parte della famiglia di Santa Maria di Gesù

Palermo. E' ancora il racket delle estorsioni la principale fonte di reddito dell'organizzazione mafiosa: la conferma dell'importanza delle estorsioni per l'economia delle cosche arriva dall'indagine congiunta di polizia ed Fbi che ha portato a 26 arresti tra la Sicilia e gli Usa.
Nel corso dell'indagine gli investigatori hanno trovato una prova importante della gestione del racket da parte della famiglia di Santa Maria di Gesù: una sorta di libro mastro con l'indicazione delle vittime del pizzo e delle cifre pagate all'associazione mafiosa. A casa del cassiere della cosca è stato sequestrato anche del denaro che, secondo gli inquirenti, sarebbe il frutto del taglieggiamento. Nei confronti di chi si rifiutava di pagare l'organizzazione reagiva con attentati, danneggiamenti. Dure le sanzioni adottate anche nei confronti di chi non si adeguava alle decisioni della cosca: è il caso di Gioacchino Stassi, un pregiudicato ferito a colpi di arma da fuoco nel 2009.

Gela, atto intimidatorio a presidente dell'associazione antiracket

E' stata trovata una tanica di benzina accanto all'automobile della moglie di Renzo Caponetti. La donna è una commerciante

Gela. Una tanica di benzina é stata trovata, stamani, accanto all'automobile della moglie del presidente dell'associazione antiracket di Gela, Renzo Caponetti, in via Venezia a Gela. La moglie di Caponetti è una commerciante, titolare di un deposito di prodotti alimentari di cui il marito è amministratore e direttore. Sul luogo del ritrovamento si sono recati gli uomini del commissariato di polizia di Gela. Non è la prima volta che Caponetti subisce intimidazioni. L'associazione antiracket di Gela, intitolata a Gaetano Giordano, un profumiere ucciso dalla mafia, ha inciso molto, con la sua azione nei comportamenti di molti imprenditori e professionisti gelesi: in cinque anni sono state cento le denunce per estorsione e usura.

"Lo Giudice accusato di dieci omicidi"


"Lo Giudice accusato di dieci omicidi"

CATANIA - Sebastiano Lo Giudice, il capo dei "Caratteddi", l'ala militare della cosca Cappello, è indagato "per una decina di omicidi", alcuni per "averli commessi personalmente, altri come mandanti". Lo ha reso noto il procuratore capo, Vincenzo D'Agata, commentando l'arresto del boss latitante effettuato dalla polizia.

Lo Giudice è stato trovato all'interno di una stalla dello storico rione San Cristoforo mentre impartiva ordini ai suoi su come gestire il mercato della droga che al gruppo, che ne gestisce la distribuzione in tre piazze di Catania, secondo stime della Squadra mobile, permette di fatturare tra i 30 i 40mila euro al giorno.

Nel covo, la polizia ha sequestrato 15 chilogrammi di marijuana, una pistola calibro 9x21, una moto Tenerè della Yamaha risultata rubata, uno scanner e due radio ricetrasmittenti. Nella stalla gli agenti hanno trovato cinque fiancheggiatori del boss che sono stati arrestati per favoreggiamento personale aggravato: Domenico Privitera, 38 anni; Giovanni Spinale, 45 anni; Natale Cavallaro, 28 anni; Giuseppe Platania, 28 anni ed Alfio Sanfilippo, di 44 anni.

Alla cattura del boss, che per la Procura "è il reggente indiscusso del gruppo militare più forte presente a Catania", si è giunti seguendo uno dei cinque arrestati, che era seguito dalla polizia. Al momento della cattura Lo Giudice, hanno riferito gli investigatori, si è congratulato con gli agenti che lo ammanettavano per la loro professionalità.

martedì 9 marzo 2010

Mafia: vescovi del Sud, Chiesa troppo timida, serve coraggio


Mafia: vescovi del Sud, Chiesa troppo timida, serve coraggio

Vescovo Agrigento, abolire feste religiose dove comandano cosche

(ANSA) - ROMA, 9 MAR - La Chiesa e' stata 'a volte troppo timida' di fronte alla mafia, ed e' ora di scelte coraggiose per il Sud': affermano tre vescovi del Sud. 'Bisogna fare in modo che il documento della Cei sul Mezzogiorno non finisca sugli scaffali, come quello di 20 anni fa', hanno detto ancora, intervistati da Famiglia Cristiana. Il vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, ha proposto di 'abolire ogni festa religiosa nei paesi dove si contano gli omicidi'. Montenegro e' il prelato che a Natale tolse i Re Magi dal presepe lasciando la scritta: 'respinti alla frontiera' come immigrati clandestini'.

'Il sacro non basta per ritenersi a posto - aggiunge - se poi nessuno denuncia e la cultura mafiosa e' l'unica ammessa'. Il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, osserva: 'Se dopo Pasqua nessuno parlera' del documento Cei, avremo fallito'. Mogavero teme una Chiesa 'icona dell'antimafia', che sollevi i singoli dalle responsabilita'. 'Non siamo tutti sulla stessa lunghezza d'onda'' anche nella Chiesa - ha aggiunto - e occorre riflettere ''anche nelle nostre comunita'' sul senso della ''parola terribile'' citata nel documento Cei sul Mezzogiorno: 'collusione'. 'La nostra gente deve tornare a essere protagonista, si diventa protagonisti con il voto e con volti nuovi'', ha osservato il vescovo di Locri, mons. Giuseppe Morosini, e forse ''bisognava essere piu' chiari, anche nelle responsabilita' di una Chiesa a volte troppo timida''.

Catania, blitz nella stalla preso il boss Lo Giudice



Catania, blitz nella stalla
preso il boss Lo Giudice


CATANIA - Il latitante Sebastiano Lo Giudice, 33 anni, ritenuto ai vertici della cosca dei Carateddi legata al clan Cappello, è stato arrestato da agenti della polizia di Stato a Catania.

E' stato bloccato da investigatori della squadra mobile della Questura all'interno di una stalla, nello storico rione San Cristoforo, mentre, secondo l'accusa, stava partecipando a un summit di mafia.

Durante l'operazione sono stati arrestati cinque fiancheggiatori del boss, presenti nel covo, accusati di favoreggiamento aggravato e della ricettazione di una pistola calibro 9 con il colpo in canna che è stata trovata nella stalla.

Lo Giudice era ricercato dal 24 ottobre del 2009 quando sfuggì all'operazione "Revenge" contro la cosca Cappello. Nei suoi confronti era pendente un ordine di carcerazione per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti.

Secondo la Procura di Catania avrebbe potuto avere un ruolo nella faida mafiosa che ha visto contrapposti il suo gruppo e la cosca Cappello a Cosa nostra a Catania, capeggiata dalle storiche famiglie Santapaola e Laudani.

Le indagini della squadra mobile della Questura di Catania sono state coordinate dal procuratore capo Vincenzo D'Agata e dai sostituti della Direzione distrettuale antimafia etnea Pasquale Pacifico e Francesco Testa.

Napoli: disse no al clan, ucciso a 17 anni


Napoli: disse no al clan, ucciso a 17 anni
Tre arresti per l'omicidio Fontanarosa


NAPOLI (8 marzo) - Era incensurato, ma a 17 anni già gravitava nel mondo della delinquenza. Figlio di un rapinatore ucciso da un carabiniere durante un colpo in un ufficio postale, era considerato dal clan di zona come un problema, un potenziale cane sciolto da eliminare anche per impartire una lezione a tutto il mondo della malavita.


Ucciso perché disse no al clan. E così il giovanissimo Ciro Fontanarosa fu ucciso con sette colpi di pistola, come un boss, a causa del suo rifiuto di affiliarsi a un clan della camorra e di osservarne le regole. Era questo il movente dell'omicidio avvenuto il 25 aprile del 2009 a Napoli: per quel delitto i carabinieri del nucleo investigativo di Napoli hanno arrestato tre uomini, due dei quali accusati di essere il mandante e l'esecutore del crimine, al termine di indagini coordinate dalla Dda.

Tra gli arrestati il figlio del boss Bosti. In manette sono finiti Ettore Bosti, 30 anni, figlio di Patrizio, il capo dell'omonimo clan camorristico operante nel centro storico di Napoli, e Vincenzo Capozzoli, 34 anni: il primo avrebbe ordinato l'omicidio per punire il giovanissimo Fontanarosa del suo no all'ingresso nella cosca, il secondo avrebbe eseguito il delitto con particolare ferocia, esplodendo sette colpi di pistola contro la vittima in modo da dare un segnale inequivocabile a chi avesse pensato di seguire le orme ribelli di Fontanarosa. Per favoreggiamento aggravato è stato invece arrestato Cristian Barbato, 22 anni, cugino della vittima e testimone dell'agguato, che avvenne nel popoloso Borgo Sant'Antonio abate.

Il padre ucciso al termine di una rapina. Insofferente agli avvertimenti ricevuti dalla cosca, Fontanarosa era figlio di Antonio, malvivente morto al termine di un tentativo di rapina in un ufficio postale di Secondigliano, alla periferia di Napoli. Il 5 gennaio del 1999, quando aveva 31 anni, l'uomo sbucò da un foto praticato nel pavimento dopo aver scavato un cunicolo nelle fogne per arrivare dentro l'ufficio. Qui, però, si trovò di fronte un carabiniere che doveva compiere alcune operazioni postali. Il militare intimò l'alt; Fontanarosa, che era armato, non si fermò, e il carabiniere sparò, uccidendolo.

Cresciuto in un contesto difficile. Ciro Fontanarosa, cresciuto in un contesto difficile e segnato da questo episodio, era diventato a sua volta una «testa calda». Nel momento in cui fu deciso il suo omicidio, a capo del clan Contini, cosca storica del centro di Napoli, c'era Ettore Bosti, figlio dell'indiscusso padrino Patrizio (arrestato dai carabinieri in Spagna nel 2008 e detenuto da allora in regime di 41 bis). Ettore Bosti ordinò l'eliminazione di Fontanarosa per ribadire la volontà di assoluto controllo del territorio da parte della cosca, ed evitare che proliferassero attività criminali estranee agli ordini del clan.

Decisive le intercettazioni telefoniche. Le indagini, sottolineano gli inquirenti, si sono svolte in un ambiente caratterizzato da assoluta omertà: da qui l'arresto del cugino della vittima, che malgrado fosse stato testimone oculare dell'omicidio si era sottratto ad ogni forma di collaborazione con gli investigatori temendo ritorsioni violente. Per ricostruire le responsabilità sono state decisive, ricorda la Dda, le intercettazioni telefoniche e ambientali; altrettanto importanti le dichiarazioni di un pentito, anche lui di giovanissima età, che da sempre gravita nell'orbita del clan Contini.