mercoledì 29 agosto 2012

Mattanza nella piazza di Rizziconi Uccisi padre e due figli a colpi di pistola


Il triplice omicidio è avvenuto la scorsa notte davanti alle scuole elementari. Le vittime sono Reno Borgese di 48 anni, Antonio e Francesco Borgese di 27 e 21 anni. Al momento gli investigatori escludono possa trattarsi di una strage con un movente mafioso, per questo si stanno valutando altre ipotesi


RIZZICONI (Reggio Calabria) - Tre uomini sono stati uccisi a colpi di pistola nella notte a Rizziconi, nel reggino. Le vittime sono Reno Borgese di 48 anni, Antonio e Francesco Borgese di 27 e 21 anni, rispettivamente padre e due figli. Il triplice omicidio è avvenuto in una piazzetta davanti alle scuole elementari. L’arma che ha ucciso i tre è una pistola calibro 9. Sul posto la Polizia ha repertato sei colpi. I Borgese avevano un’officina per la riparazione di auto.


Una quarta persona è rimasta ferita nella mattanza; si tratta di un nipote Reno Borgese, Antonino Borgese, di 29 anni, raggiunto da un proiettile ad una spalla. L’uomo è ricoverato nell’ospedale di Polistena e non è in pericolo di vita. Quando la polizia è giunta sul posto, Reno Borgese e il nipote erano già stati portati in ospedale, mentre per gli altri due non c'era nulla da fare. Il quarantottenne è morto durate il trasporto che sarebbe avvenuto con auto di parenti e amici.

La polizia esclude, al momento, il movente mafioso per il triplice omicidio. Le tre vittime erano tutte incensurate. Gli investigatori stanno verificando se il triplice omicidio sia accaduto al culmine di una lite o per altri fatti non collegabili però a vicende di 'ndrangheta. Potrebbe esserci stata una banale lite fra giovani all’origine del triplice omicidio. Sul posto la Polizia ha repertato sei colpi. Le indagini sono condotte dalla Squadra Mobile e dal Commissariato di Gioia Tauro e sarebbero prossime ad una svolta.

Nuovo attacco a Libera incendiato un escavatore


Il mezzo era di proprietà della cooperativa Valle del Marro, gestita dall’associazione antimafia. Il fatto è avvenuto a Castellace di Oppido Mamertina in un terreno confiscato alla cosca Mammoliti. Indagini in corso


OPPIDO MAMERTINA (Reggio Calabria) - Un escavatore di proprietà della cooperativa Valle del Marro, gestita dall’associazione antimafia Libera, è stato incendiato a Castellace di Oppido Mamertina in un terreno confiscato alla cosca Mammoliti. Il mezzo doveva essere utilizzato dalla cooperativa per l’espianto di alcune centinaia di ulivi incendiati lo scorso anno e l’avvio dei lavori di bonifica del terreno. Si tratta dell’ennesimo attentato alla cooperativa gestita da Libera

Frode fiscale, sequestrato in Sila il complesso alberghiero Magara Hotel


Le indagini sono state condotte dalla Guardia di finanza di Palmi. Il valore dei beni sequestrati ammonta a 7 milioni di euro, con cinque persone che risultano indagati per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale


REGGIO CALABRIA - La Guardia di Finanza di Palmi ha sequestrato il complesso alberghiero Magara Hotel, in Sila, per un valore di 7 milioni di euro. I dettagli dell’operazione, che vede 5 indagati per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 10 al Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria alla presenza del procuratore capo di Palmi, Giuseppe Creazzo.


Si collega ad una truffa sull'utilizzo di un finanziamento dell’Unione europea il sequestro del Magara Hotel, di Camigliatello Silano. Secondo quanto è emerso dalle indagini della Guardia di finanza, il finanziamento, concesso in base alla legge 488, non sarebbe stato utilizzato per le finalità per le quali era stato concesso. I cinque indagati nell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Palmi sono imprenditori della Piana di Gioia Tauro interessati alla proprietà dell’albergo che è stato sequestrati.

Palermo ricorda Libero Grassi


L’imprenditore ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991, per essersi ribellato alle estorsioni. Corona di fiori in via Alfieri. In prima fila i ragazzi di Addiopizzo



PALERMO. I ragazzi del comitato antiracket Addiopizzo hanno ricordato questa mattina Libero Grassi, ucciso dalla mafia, il 29 agosto del '91, per essersi ribellato al pizzo. La giornata della memoria si e' aperta in via Alfieri, il luogo in cui l'imprenditore venne assassinato. Lì è stata deposta una corona di fiori ed è stato affisso un manifesto. Davanti alla sede della Sigma, l'azienda di cui Grassi era il titolare, è stato osservato un minuto di silenzio. Presenti tra gli altri il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

martedì 28 agosto 2012

Agguato a Scampia, un morto e due feriti



E' guerra dopo l'omicidio a Terracina  
  NAPOLI - La guerra di Camorra è riesplosa ufficialmente. Nel quartiere di Scampia, nella vela celeste, s'è stata una sparatoria al termine della quale un uomo è morto e due risultano feriti. Gennaro Ricci, 36 anni, questo il nome della vittima. Sarebbe vicino ai Vannella Grassi.


Sul posto le forze dell'ordine che hanno immediatamente avviato le indagini. Secondo le prime indescrezioni i feriti sono fuggiti dopo l'agguato.

Le altre due persone coinvolte nella sparatoria sono state successivamente portate al Cardarelli e al San Giovanni Bosco. Si tratta di Salvatore Piedimonte un 19enne di Giugliano. L'altro si chiama Vincenzo La Sorte ha 25 anni ed è residente in via Stadera a Napoli. Il primo è giunto al nosocomio senza la scorta della polizia. Il secondo, invece, sarebbe stato portato al San Giovanni con una vettura privata.

Non sono gravi le condizioni dei due feriti dell'agguato di Scampia, Salvatore Piedimonte e Vincenzo Lo Forte. Molto probabilmente i sicari sono arrivati a bordo di un'auto ed hanno sparato con pistole di tipo diverso.

Uno dei due è uscito dalla vettura è entrato all'interno della vela ed ha ucciso Ricci, probabilmente unico obiettivo degli assassini. Macchie di sangue ovunque, non solo sull'asfalto ma anche su delle auto in sosta. Adesso Scampia vive nel terrore: il botta a risposta tra il clan Grassi e gli scissionisti. Il quartiere è presidiato dalla polizia.

Sul fronte delle indagini prende consistenza l'ipotesi formulata dagli investigatori della Squadra Mobile di Napoli che Gennaro Ricci, appartenente ai Grassi (i cosiddetti «girati») sia stato ucciso per ritorsione all'omicidio di Gaetano Marino vittima di un agguato nei giorni scorsi sul lungomare di Terracina.

I girati sono una costola degli scissionisti fuoriusciti da tempo dalla cosca, con la quale hanno ingaggiato una faida iniziata nei mesi scorsi. Gli investigatori temono che adesso inizi un botta e risposta tra i due clan che potrebbe provocare una lunga scia di vittime.

Una risposta al delitto di Marino è stata la prima preoccupazione degli inquirenti.
L'escalation di violenza preoccupa il presidente dell'ottavo Municipio Angelo Pisani che chiede l'intervento dell'esercito.

Papa Wojtyla: rubata ampolla col sangue a un parroco sul treno per Allumiere


La reliquia, sottratta in treno a un parroco che la stava portando da Roma ad Allumiere



ROMA - È stato rubato stamani e ritrovato poche ore dopo un reliquiario che contiene una ampolla con il sangue del Beato Giovanni Paolo II. La reliquia, sottratta con l'inganno in treno a un parroco che la stava portando da Roma ad Allumiere , un centro della provincia dove doveva essere esposta, è stata ritrovata dalla Polfer di Roma, diretta da Domenico Ponziani.


L'ampolla. Una volta arrivato a Marina di Cerveteri, il prelato, scendendo dal treno, è stato distratto da un uomo che lo chiamato dal finestrino del vagone, mentre due complici gli prendevano lo zaino con dentro l'ampolla. Probabilmente lo avevano seguito fin da Roma. Ma potrebbero anche aver notato l'apprensione con cui il religioso custodiva l'ingombrante bagaglio. Il reliquiario - in bronzo argentato e dorato opera dello scultore Carlo Balljana - è stato poi abbandonato dai ladri in mezzo a delle sterpaglie vicino alla stazione di Marina di Cerveteri, a nord di Roma. Secondo la squadra di polizia giudiziaria della Polfer, si tratta della cosiddetta 'copia pellegrina' del reliquiario: l'originale è custodito nella stessa chiesa di Santa Maria dell'Immacolata, nel quartiere di San Giovanni, dove si era recato stamani padre Augusto Baldini, parroco della Chiesa Santa Maria Assunta di Allumiere.

Caccia ai ladri. Gli agenti, come spiega il vicequestore aggiunto Marco Napoli, responsabile della Squadra di polizia giudiziaria, sono sulle tracce dei ladri, probabilmente tre extracomunitari. Il prete li ha descritti e il loro modus operandi è simile a quello usato in altri colpi messi a segno.
La testimonianza del parroco. «Ho passato cinque ore di agonia - ha raccontato all'Ansa il parroco - la polizia è stata bravissima. Nell'ampolla che si trova all'interno del reliquiario è custodito il sangue prelevato a Papa Wojtyla dopo l'attentato del 13 maggio 1981. Me l'hanno restituito e già domani sarà esposto qui ad Allumiere per il 25esimo anniversario della visita in cui Papa Giovanni Paolo II incoronò la statua della madonna delle Grazie».

Mozzarella dop con il latte congelato dell'Est

La filiera della truffa




NAPOLI - Chiariamo subito, a scanso di equivoci: non fa male alla salute ma alla tasca. Cioè, costa più di quanto dovrebbe perché nel prezzo di vendita della mozzarella di bufala campana Dop è compresa la genuinità del prodotto di base , che deve essere sempre rigorosamente fresco e proveniente dalle province di Caserta, Salerno, Frosinone e Latina.

Se invece è congelato, in polvere, di bufala italiana o di vacca, munto in un’altra qualunque parte del mondo, quel latte abbatte il valore del prodotto finito e riduce il prezzo di vendita almeno del 30 per cento. La questione è tutta qui, con la plusvalenza dirottata verso i conti personali dei produttori di mozzarella o, come sostiene la Dda, nelle casse della camorra casalese.
È questa la premessa dell’inchiesta-bis che ha coinvolto Giuseppe Mandara (e con lui i titolari di altri ventisette caseifici campani, molisani, siciliani, toscani, lombardi ed emiliani), per i quali la Procura di Napoli (i pm Giovanni Conzo, Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano) hanno chiesto l’arresto di 39 persone e il sequestro dei caseifici. Indagine bocciata dal gip Anita Polito e che il 17 ottobre approderà dinanzi al Riesame (VIII sezione), in sede di appello.

Negli atti - quasi mille pagine di richiesta cautelare, con allegate le schede tecniche dei prodotti confezionati in Campania e all’estero con la dicitura del marchio Dop ma senza il rispetto del disciplinare - è raccontata, attraverso le intercettazioni telefoniche, la trattativa (parzialmente pubblica, per il risalto che ebbe sulla stampa) per il controllo del Consorzio di tutela e per la modifica del disciplinare del marchio Dop, con il tentativo di rendere lecita - attraverso un’attività di lobbing esercitata nei confronti del ministero delle Risorse agricole - la confezione della mozzarella anche con latte congelato.
Ma nelle intercettazioni c’è anche altro. E cioè, l’impiego di cagliata proveniente da Lituania, Polonia ed Estonia, ingannando i consumatori e mettendo anche a repentaglio la loro salute, essendo del tutto ignote la provenienza del prodotto-madre ma anche e soprattutto le modalità di conservazione dello stesso.

A capo della cordata pro-congelamento la Dda mette Giuseppe Mandara, che di fatto (e ne sono testimoni le intercettazioni telefoniche) controllava la maggioranza del Consorzio di tutela (tra gli indagati c’è anche il presidente dell’epoca, il 2009).

Differenziate le posizioni dei vari produttori di mozzarella, tra i quali compaiono alcuni colossi del settore, come Raffaele Garofalo del «Casaro del Re», Luigi Griffo di «Spinosa Lucia», Giuseppe Cirillo de «La Marchesa», oltre alle varie società controllate da Mandara.
Più grave, stando alla lettura dei capi d’imputazione, quelle dello stesso capocordata, che attraverso il marchio Alival avrebbe commercializzato anche prodotti confezionati con cagliata di latte proveniente dai paesi dell’est europeo, senza indicare sull’incarto la reale provenienza della materia prima.

Con Mandara (e i vertici della sua rete di vendita) ci sono anche Antonio Mastroianni (titolare del caseificio «La Stella» di Santa Maria Capua Vetere) e alcuni produttori di Erbusco (in provincia di Brescia), Traviano (Lecce), Agrigento, Capaci, Carpinone (il caseificio del Molise, provincia di Isernia), Sassano (la «Bovarina»), Castellammare di Stabia (il «Global Milk»), Reggio Emilia («Latteria Piana del Sele»), Mirabello Sannitico (Icm), Frascineto (in provincia di Cosenza, «Casearia Astorina»), Baranello (provincia di Frosinone, «Latticini molisani Tamburro»), Sassari, Mottola Livenza (Vicenza), Usmate Velate (Milano), Collecchio (

Parma), Quarto («Alpi»), Qualiano («Il Principe»). Dagli atti risulta che si siano approvvigionati di cagliata congelata acquistandola dalla Alival, una delle società di Mandara.

Sullo sfondo, il giro di fatture e di pagamenti in nero, per far scomparire la reale provenienza della materia prima. A corredo, la valutazione dei potenziali produttivi delle aziende bufaline che hanno conferito il latte ai caseifici finiti nell’inchiesta (analisi che il Nas ha elaborato attraverso la banca dato nazionale dell’Izs di Teramo) e i rilievi produttivi Anasb (l’associazione degli allevatori bufalini). Nell’anno considerato, il 2008, risulterebbero difformità tra il latte Dop prodotto o acquistato e la produzione di mozzarella (circa quattro litri per ogni chilo di prodotto finito).

I reati contestati dalla Procura di Napoli (e ritenuti insussistenti dal gip) vanno dalla frode alla violazione del marchio Dop, con l’aggravante del favoreggiamento della camorra. A sostegno di questa ipotesi, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Augusto la Torre, Mario Sperlongano, Armando Martucci, Raffaele Piccolo) circa i vantaggi derivanti dalla frode per i maggior clan della provincia di Caserta (Esposito, La Torre e i Casalesi nelle sue varie componenti). Un ruolo non marginale avrebbe avuto nell’affare anche Michele Zagaria, al quale sarebebro andati gli introiti di un caseificio («Cilento spa», il cui amministratore - Carlo Cilento - era consigliere del Consorzio di tutela). Ha riferito Armando Martucci che Cilento avrebbe favorito la latitanza di esponenti di spicco del clan Esposito e dello stesso Zagaria. Collegamento di cui aveva parlato, nel 2009, anche Domenico Bidognetti.

di Rosaria Capacchione

Faida scissionisti

Delitto Terracina Cocainomane e spacciatore, ecco perché hanno ucciso Marino

  NAPOLI - Inaffidabile per almeno due motivi: per il «vizietto» mai abbandonato, quello di fare uso di cocaina, peccato che non può essere mai perdonato dalla camorra a chi maneggia stupefacenti per gestire una lucrosa piazza dello spaccio; e poi per non aver saputo giustificare un ammanco di denaro incassato e probabilmente mai girato a chi di dovere. Scomodo: per il rapporto di parentela che lo legava a suo fratello Gennaro. E, ormai, di peso per tutti: perché, nel marasma generale che sta sconvolgendo i rapporti di forza persino all’interno delle Case celesti di Secondigliano, gli spazi si sono ristretti per tutti i vecchi notabili.


Ecco quel che ormai era diventato Gaetano Marino. Un ingombro. Per questi stessi motivi sarebbe stata firmata la sua condanna a morte.
Mentre la Dda valuta l’attendibilità delle dichiarazioni che sta rendendo Gianluca Giugliano - ex armiere del clan degli scissionisti diventato da giovedì scorso testimone di giustizia - proseguono le indagini della polizia tese a identificare i killer partiti da Napoli alla volta di Terracina per eseguire l’esecuzione del fratello di Gennaro «’o McKay», pezzo da novanta del clan degli spagnoli, in carcere dagli anni della prima faida.

Ancora su Giugliano. Di lui poco si erano occupate le cronache, in questi ultimi anni.

Molto di più ne sapevano invece gli investigatori e i pubblici ministeri del pool che si occupa ormai da anni dei clan di Scampia e Secondigliano. Di certo, si tratta di un personaggio di spessore. Anche se è prematuro, al momento, anticipare la valenza delle dichiarazioni che avrebbe già reso (e che probabilmente continuerà a rendere) ai magistrati.

Ma se è stata la paura di finire nell’elenco degli nuovi «indesiderati» (degli obiettivi da eliminare) che circolerebbe già da qualche tempo tra le mani dei nuovi ribelli di Secondigliano, a convincere l’ex armiere degli scissionisti a consegnarsi alla legge, tale iniziativa sarebbe stata condivisa anche da altri criminali e fiancheggiatori. tra questi ci sarebbe pure l’uomo che accompagnava Gaetano Marino e che gli faceva da guardaspalle-maggiordomo.

Di lui si sarebebro perse le tracce da Terracina, subito dopo l’agguato mortale teso a «Moncherino». Insomma, tira una bruttissima aria nelle terre di Gomorra. La stessa che si respirava all’epoca della guerra scatenata nel 2004 dallo scontro tra i Di Lauro e gli «spagnoli». Anche per questo la Prefettura sta per ospitare un comitato - previsto per giovedì - dal quale dovrà venir fuori un piano per fronteggiare i rischi legati a nuovi agguati mortali e ad evitare che i nomi finiti su quella presunta «lista nera» vengano raggiunti dalle sentenze emesse da chi ha deciso di scatenare un altro inferno, a distanza di otto anni da quello del 2004.

Mafia, boss latitante arrestato in Venezuela

Preso in un centro commerciale Salvatore Bonomolo, ricercato dal 2007, è esponente della famiglia di "Palermo Centro" inserita nel mandamento di "Porta Nuova"

PALERMO. Gli uomini della sezione Catturandi della questura di Palermo, del Servizio centrale operativo della Polizia e dell'Interpol hanno arrestato il boss latitante Salvatore Bonomolo. La cattura è avvenuta in Venezuela: al blitz ha partecipato la polizia dello Stato sudamericano. Ricercato dal 2007 per associazione mafiosa ed estorsione, Bonomolo è esponente della famiglia mafiosa di "Palermo Centro" inserita nel mandamento di "Porta Nuova". L'operazione nasce da un'attività investigativa iniziata ad aprile e conclusa con l'arresto di Bonomolo nella cittadina venezuelana di Porlamar, nell'isola di Margarita. Il capomafia è stato preso in un centro commerciale, il "Sambil", portato negli uffici di polizia e poi in tribunale.

«Mai come in questi casi va ricordato come è davvero importante l'impegno degli investigatori. L'indagine è partita da Palermo per proiettarsi su scenari internazionali e lì grazie al coordinamento con l'Interpol e le polizie locali è stato possibile portare a termine l'operazione. È la dimostrazione che non ci sono paradisi di impunità e quanto sono importanti le intercettazioni, teniamoci stretti questo strumento d'indagine fondamentale». Lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Bonomolo non aveva mai interrotto i suoi contatti con la Sicilia, e questo gli è stato fatale. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto e dal sostituto Lia Sava. «Questo arresto - ha concluso Ingroia - capita in un momento particolare per me, visto che tra qualche settimana andrò in

Guatemala. Nel percorso professionale bisogna guardare non solo a casa nostra ma anche fuori, alle mafie transnazionali».

Napoli, fuochi d'artificio per il boss


Lo spettacolo per festeggiare la scarcerazione interrotto dall'intervento dei carabinieri napoli


Spettacoli pirotecnici per festeggiare il boss scarcerato. È accaduto ancora una volta a Napoli. È ancora forte, nel Napoletano e in città, l'usanza di omaggiare gli esponenti «più illustri» dei clan con atti eclatanti e pomposi, come accaduto ieri nel quartiere Bagnoli del capoluogo partenopeo. Fuochi d'artificio, ma non solo. Anche soste mirate delle processioni religiose davanti alle case di elementi "di rispetto".

In cinque, presumibilmente organici e contigui all'organizzazione camorristica dei D'Ausilio, nel quartiere Bagnoli, hanno pensato di «celebrare» la scarcerazione di un noto affiliato al clan dando fuoco alle polveri di una batteria pirotecnica davanti la sua abitazione, in via Diocleziano. Lì era stato appena trasferito dagli arresti in carcere ai domiciliari dopo essere stato giudicato con il rito direttissimo per violazione alle prescrizioni della sorveglianza speciale. In strada, ad assistere ai festeggiamenti insieme all'affiliato affacciato al balcone, anche un folto gruppo di persone che all'arrivo dei carabinieri ha pensato bene di darsela a gambe.
I denunciati sono un 36enne e un 31enne - per gli investigatori organici al clan - un 20enne, tutti già noti alle forze dell'ordine, un 28enne di Pozzuoli e un 16enne napoletano, entrambi incensurati e imparentati a personaggi noti ritenuti vicini al clan. Le accuse nei loro confronti sono di accensione ed esplosione pericolosa, disturbo alle persone e omessa denuncia di materiale esplodente.
I militari dell'Arma hanno trovato i cinque denunciati in possesso di una vera e propria «santabarbara»: sette batterie di fuochi d'artificio per un peso complessivo di 39 chilogrammi, 80 fuochi artificiali artigianali per un peso complessivo di 60 chilogrammi, che sono stati rimossi, sequestrati e messi in sicurezza dal nucleo artificieri del comando provinciale di Napoli.

È di gennaio l' altro episodio dello stesso tenore che ha causato scalpore e molte polemiche. Nella Castellammare di Stabia guidata dall'ex pm antimafia Luigi Bobbio, in occasione della festa di San Catello, patrono della città, era stato prevista una tappa dell percorso della processione sotto l'abitazione di un boss dove c'è la cappella di Santa Fara. Il sindaco chiese che fosse evitata e quando invece la processione si fermò, per protesta si tolse la fascia tricolore, ritirò il Gonfalone e lasciò la processione insieme a tutta la sua giunta. La polemica fu poi placata dall'intervento della Chiesa che cancellò quella tappa della processione in onore di Santa Fara, per evitare che invece, potesse essere fraintesa come un omaggio al boss.

Agguati a Bari, trovati 9 bossoli per strada



BARI – Nove bossoli di pistola calibro 7.65 sono stati trovati la notte scorsa per strada, nel rione San Paolo di Bari, da agenti della squadra mobile. L’agguato non avrebbe provocato feriti. I bossoli sono stati trovati in via Puglia, davanti alla porta di ingresso dell’abitazione di un pregiudicato barese, da poco scarcerato, imparentato alla famiglia Mercante. Per questo gli investigatori ritengono che l'episodio, forse un avvertimento, potrebbe essere collegato al ferimento del presunto boss Giuseppe Mercante, detto 'Pinuccio il drogatò, compiuto il 22 agosto scorso.
Tre giorni dopo il ferimento di Mercante, sempre in un agguato, è stato ferito Felice Campanale, ribattezzato dalla stampa il 'boss dei parcheggì, mentre l’altra notte nel rione Palese di Bari, che si trova a poca distanza dal san Paolo, la polizia ha trovato quattro bossoli per strada. Quello in atto a Bari – secondo la Dda – “è un attacco agli ex boss” compiuto da killer “giovani e senza criterio”.

venerdì 24 agosto 2012

Ragazza nuda nel pozzo Nel cellulare di Sveva la chiave del giallo di Barile






POTENZA - È arrivata lì in auto. Forse facendo autostop. Perché il pozzo in cui ha trovato la morte è distante alcuni chilometri da Barile e lei, molto esile, non sarebbe riuscita a tirare la pesante valigia trolley che aveva con sé e che è stata trovata sulla scena del crimine. L’analisi del telefono cellulare di Sveva Taffara, la ragazza di 26 anni trovata senza vita e completamente nuda l’altro giorno in un pozzo per l’irrigazione di un’azienda agricola di Barile, nel Potentino, aiuterà gli investigatori a sbrogliare gli elementi più ingarbugliati di questo misterioso caso. Come è arrivata la ragazza in quel posto? Come è finita nel pozzo? Era in compagnia di qualcuno?

Il pubblico ministero della Procura di Melfi, Renato Arminio, ha già disposto l’acquisizione dei tabulati telefonici. La strada che Sveva ha percorso potrà essere ricostruito con l’aiuto delle celle che il suo telefonino ha agganciato durante gli spostamenti. Dall’analisi delle celle, inoltre, potrebbe emergere la presenza di qualche altro telefono proprio nel punto in cui è stato trovato il corpo di Sveva. È difficile immaginare che conoscesse già quel casolare di campagna. L’azienda agricola, inoltre, è recintata per tutto il suo perimetro. E ha due ingressi. Uno che dà sulla strada, chiuso da un cancello. E uno dalla parte posteriore, sempre aperto, che, però, finisce nei campi. E il pozzo? Angusto. Dalla bocca stretta. Chi ha visto il cadavere di Sveva sostiene di non essersi accorto di segni di violenza visibili. Risulta difficile però pensare che la ragazza si sia tolta i vestiti - trovati qualche giorno prima dai carabinieri - a una certa distanza dall’azienda agricola, abbia portato con sé il pesante trolley per diversi metri, sia caduta nel pozzo e abbia poi richiuso il coperchio. Al momento è comunque una delle ipotesi che i carabinieri del Reparto operativo di Potenza e quelli della compagnia di Melfi non scartano.

Troppo facile, invece, «bollare» già da ora il caso come suicidio. Gli unici elementi che lo lascerebbero pensare sono le cattive condizioni psichiche della ragazza che, da qualche tempo, pare fosse seguita dai servizi sociali. Kevin, il fratello di Sveva, nel denunciare la scomparsa aveva riferito ai carabinieri che la ragazza si era allontanata da Settimo Torinese per trascorrere una vacanza dal fidanzato a Milano Marittima, ma che lì non era mai arrivata. Aveva inoltre spiegato che Sveva soffriva di crisi depressive e che già in passato aveva manifestato intenzioni autolesioniste. È durante le vacanze che Sveva ha litigato con il fidanzato? Oppure ha ragione Kevin quando sostiene che sua sorella non è andata a Milano Marittima? Come si sia trovata a Barile è un altro dei misteri. C’è chi ritiene che sia arrivata lì, come molti altri giovani, per la manifestazione «Cantinando». Altri sostengono che volesse visitare il Vulture per via di quelle acque con cui condivideva il nome: Sveva. La cui fonte però è a Rionero, non a Barile. E come era venuta a conoscenza dell’esistenza di quel pozzo? Glielo ha indicato qualcuno?
È caccia ai testimoni. E, forse, all’assassino.

di FABIO AMENDOLARA

Ucciso il boss Gaetano Marino. L'esecuzione è avvenuta al lido Sirenella davanti agli sguardi atterriti dei turisti



LATINA - È morto in costume da bagno, crivellato di colpi davanti allo stabilimento Sirenella, in mezzo ai bagnanti terrorizzati. Era appena risalito dalla spiaggia Gaetano Marino, detto "moncherino", un boss del clan camorristico degli scissionisti in vacanza con la famiglia a Terracina, sul litorale di Latina . Due killer gli hanno sparato a bruciapelo, sei-sette volte, poi sono fuggiti in auto. Non gli sono serviti i guardaspalle, che si portava dietro, forse perchè consapevole del pericolo.


Tra le ipotesi sul movente anche quella di una faida interna agli stessi Scissionisti. Un omicidio clamoroso, che ripropone il problema della presenza delle famiglie criminali campane sul litorale pontino e in altre zone del Lazio.

Un mese dopo l'uccisione di un luogotenente del clan Moccia, Modestino Pellino, freddato alle spalle da un sicario in una piazza di Nettuno, cittadina balneare in provincia di Roma. Marino, 48 anni, era il fratello di Gennaro Marino, detenuto in regime di carcere duro, artefice della secessione del 2004 dal clan Di Lauro che diede vita agli Scissionisti e provocò decine di morti tra i quartieri di Scampia e di Secondigliano.

Ultimamente Gaetano Marino si sarebbe avvicinato ai Vinella-Grassi, gruppo che contende alcune piazze di spaccio della droga a Scampia alle famiglie Abete, Notturno e Abbinante. Doveva il soprannome "moncherino" al fatto di aver perso entrambe le mani nello scoppio di un ordigno.

L'agguato di Terracina è avvenuto intorno alle 17. Allo stabilimento Sirenella, in viale Circe, a quell'ora c'è ancora molta gente. Secondo una prima ricostruzione, Marino torna dalla spiaggia e raggiunge il marciapiede all'esterno, forse dopo una chiamata al cellulare, una sorta di trappola. Gli assassini lo aspettano lì e gli scaricano addosso diversi colpi con una pistola semiautomatica, lasciandolo in una pozza di sangue. Poi salgono a bordo di una macchina e scappano. Intorno è il panico, con gente che urla e fugge.

Sul posto arrivano gli agenti del commissariato di Terracina e gli uomini della squadra mobile di Latina. La Scientifica raccoglie le tracce rimaste sull'asfalto. Ci sarebbero alcuni testimoni dell'omicidio, che vengono sentiti in queste ore: tra loro anche due guardaspalle di Marino, a quanto si apprende. Segno che forse il boss aveva paura.
Posti di blocco sono stati disseminati per il litorale e l'intera provincia. La caccia ai killer è aperta.
Marino qualche tempo fa era stato al centro di una polemica di Roberto Saviano: nel 2010 sua figlia aveva partecipato come ospite ad una trasmissione della Rai. «Tu sei il padre più bello del mondo che non cambierei», cantava la piccola. Lui era in sala tra gli spettatori e venne invitato a baciare la figlia in diretta tv.

Gela, uccide la madre adottiva: arrestato

Una pensionata di Gela, Iolanda Di Natale, 73 anni, vedova, massacrata con decine di coltellate, la notte scorsa, alle 2, da Fabio Greco, di 38 anni, operaio, che poi si è accanito sul suo volto sfigurandola con qualsiasi oggetto gli capitasse tra le mani, fino a renderla irriconoscibile


GELA. Una pensionata di Gela, Iolanda Di Natale, 73 anni, vedova, è stata uccisa con decine di coltellate, la notte scorsa, alle 2, dal proprio figlio adottivo, Fabio Greco, di 38 anni, operaio, che poi si è accanito sul suo volto sfigurandola con qualsiasi oggetto gli capitasse tra le mani, fino a renderla irriconoscibile. Il delitto è avvenuto nell'abitazione della donna, in via Cocchiara, una stradina del quartiere del Calvario. Sono stati i vicini a chiamare i carabinieri, allarmati dalle grida della pensionata e dal trambusto che ne è seguito. Quando una pattuglia è arrivata Fabio Greco si è scagliato contro uno dei militari che cercava di arrestarlo, ferendolo con il coltello, ma in maniera non grave. L'uomo oltre che di omicidio è accusato anche del tentativo di omicidio del carabiniere, di resistenza e violenza pubblici ufficiali.
Fabio Greco, ha sfigurato il volto della donna orribilmente, con una statuetta di marmo della Madonna e con lo spigolo di un quadro e infilzandole negli occhi e nelle guance alcuni spilloni. Lo hanno reso noto i carabinieri nel corso della conferenza stampa tenuta nella caserma del comando territoriale di Gela dal colonnello, Massimo Giaramita, e dal capitano Gian Marco Messina. Il continuo bisogno di denaro e un vecchio odio nei confronti della madre adottiva avrebbe scatenato il raptus di Greco che dopo il delitto, si è chiuso in un assoluto mutismo.

Per arrestarlo, i carabinieri, con l'ausilio dei vigili del fuoco, sono saliti sul balcone al primo piano della casa della pensionata e hanno fatto irruzione in una delle camere dell'appartamento. L'uomo era nascosto in un'altra stanza e vedendo il primo militare, il brigadiere Giuseppe Emmanuello, di 52 anni, gli si è avventato contro con il coltello da cucina, provocandogli un taglio al collo e colpendolo in profondità al braccio sinistro e al petto: provvidenziale si è rivelato il giubbotto antiproiettile. Il militare, che, bloccando l'omicida, è riuscito anche a difendere il vigile del fuoco entrato nell'alloggio, è ricoverato nel reparto di chirurgia, dell'ospedale di Gela, con una prognosi di 20 giorni.

Bellolampo 50 fattorie ai raggi X


Si allarga a tre chilometri il raggio entro il quale gli allevamenti sono a rischio. Previste analisi continue



PALERMO. La fascia di quarantena, da tenere sotto continua osservazione, si allarga: da due si passa a tre chilometri di raggio. Gli effetti del rogo della discarica di Bellolampo sono ancora in fase di evoluzione e oggetto di studio da parte della task-force voluta dall'assessore regionale alla Sanità Massimo Russo. E ieri nel corso di un incontro nella sede del dipartimento attività sanitarie, diretto da Lucia Borsellino, al quale hanno preso parte decine di tecnici e esperti di tutte le istituzioni coinvolte sono emersi nuovi dati. Il primo, quello nuovo in questa emergenza non ancora conclusa, che ci sono cinque campioni di foraggio prelevati nella zona dell'incendio risultati contaminati con valore superiore del doppio rispetto al valore previsto dalla norma. Un dato che fa pensare che i tre allevamenti nei quali il latte e formaggio sono risultati positivi alla diossina, saranno destinati a crescere.

Non fosse altro che adesso gli allevamenti da tenere sotto controllo soprattutto nella zona di Torretta e Montelepre salgono a cinquanta. A questo si aggiungono nuovi campioni prelevati nella vegetazione, anche ad una certa distanza dall'impianto, trovati contaminati dalla diossina. «Sono state adottate tutte le misure di prevenzione e protezione previste. La situazione attuale non presenta criticità per quanto riguarda la salute della popolazione e il piano di monitoraggio predisposto dal tavolo tecnico interistituzionale, già operativo, è del tutto conforme alle indicazioni nazionali», ha detto Lucia Borsellino. Alla riunione di ieri è stato invitato a partecipare anche Silvio Borrello, direttore generale del Dipartimento per l'igiene, la sicurezza degli alimenti e la nutrizione del ministero della Salute che ha preso atto dell'ottimo lavoro svolto in questi giorni e che ha confermato che la situazione sanitaria è sotto controllo. Il tavolo tecnico ha valutato positivamente l'opportunità di far confluire tutti i dati raccolti sul sistema informativo del ministero della Salute, ospitato presso l'Izs di Teramo e già operativo nella Regione siciliana.

 È stato anche messo a punto il piano dei controlli integrati (alimenti, suolo, acqua, aria), individuando le zone adiacenti alla discarica che richiederanno maggiore intensità di monitoraggio (definite zone di protezione): in caso di eventuali concentrazioni di diossinache dovessero essere rilevate scatterebbero le opportune misure sanitarie per evitare la movimentazione di bestiame e foraggio. La scorsa settimana, sulla base di alcuni campionamenti analizzati dall'Istituto zooprofilattico di Teramo, (specializzato nei controlli della diossina) che hanno fatto registrare valori di diossina superiori di due volte a quelli massimi, erano stati notificati tre provvedimenti cautelativi per vietare l'utilizzo e la commercializzazione di latte e carni provenienti da tre allevamenti: uno di Cruillas e due di Torretta. Nessun problema particolare nemmeno per frutta e verdura, l'unica raccomandazione è quella, ordinaria, di lavarle bene prima del consumo. È stato anche ricordato l'obbligo, già vigente, per i possessori di tutti gli animali, ivi compresi quelli da cortile, di notificarne il possesso presso i servizi veterinari delle Asp.

di IGNAZIO MARCHESE

martedì 7 agosto 2012

Operazione antidroga nel Catanzarese Nove arresti per spaccio e traffico

Sette persone in carcere, due ai domiciliari e una decima raggiunta dall'obbligo di presentazione alla Polizia, questo il bilancio dell'operazione della Guardia di finanza che ha portato alla luce un sistema per lo spaccio e la diffusione di droga nel catanzarese
CATANZARO - Dieci misure cautelari sono state emesse dal gip del tribunale di Catanzaro nell’ambito di un’operazione antidroga coordinata dalla Dda e denominata in codice «Varenne». In particolare, è stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di sette indagati, gli arresti domiciliari nei confronti di altri due (tra i quali una donna) e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per un appartenente alla comunità rom catanzarese. I finanzieri della compagnia di Catanzaro hanno dato esecuzione a 9 provvedimenti in quanto uno dei destinatari è risultato al momento irreperibile alla propria residenza. L'operazione è scaturita in seguito all’attività d’indagine effettuata dai «baschi verdi» della sezione operativa pronto impiego della compagnia di Catanzaro a partire dall’estate dell’anno 2009. I finanzieri, che avevano acquisito notizie in merito allo smercio diffuso di varie sostanze stupefacenti nel quale risultava coinvolto uno degli indagati, già noto ai militari per i suoi precedenti coinvolgimenti in vicende legate agli stupefacenti (risalenti al periodo compreso tra gli anni 2003 e 2006), hanno avviato un’intensa attività investigativa che, attraverso intercettazioni, numerosi servizi di osservazione, pedinamento e controllo, nonchè mediante alcuni sequestri di droga, ha permesso di far luce su un’associazione dedita prevalentemente al traffico di marijuana e hashish, operante a Catanzaro e provincia e con canali di approvvigionamento nella locride, tra i comuni di Ardore e Marina di Gioiosa Jonica, ma anche nella zona di Napoli. In particolare, attraverso l’attività investigativa è emerso che il sodalizio criminale riforniva sistematicamente gli spacciatori della zona di Catanzaro, Squillace, Vallefiorita e Borgia con carichi di droga acquistati nel napoletano e nella locride, attraverso l'utilizzo di autovetture condotte da affiliati incensurati (dediti anche al consumo di droga), coadiuvate da altri veicoli «staffetta» che segnalavano la presenza eventuale di pattuglie di forze dell’ordine lungo la strada. Il nome dell’operazione è ispirato proprio alla particolarità ed alle modalità del trasporto della droga, ovvero all’utilizzo dei cosiddetti «cavalli» tra cui, non a caso, «Varenne» che risultava essere il soprannome di uno dei corrieri. Il controllo degli assuntori di sostanze stupefacenti utilizzati per l’esecuzione dei trasporti dei carichi di droga acquistati ha permesso di svelare anche l'attività di spaccio perpetrata in concorso tra loro da alcuni catanzaresi di etnia rom, a cui questi si rivolgevano per l’acquisto giornaliero di dosi di cocaina e kobret (detta anche l’eroina di scarto). Nel corso dell’indagine la Guardia di Finanza ha sequestrato stupefacenti per oltre 5 chilogrammi. Nei confronti di uno degli indagati è stata contestata l'illecita detenzione di armi da fuoco e munizioni nonchè, relativamente all’unica donna coinvolta nella retata, la cessione di dosi di cocaina in cambio di prestazioni sessuali da parte di un minorenne. All’operazione hanno preso parte oltre ai militari della compagnia di Catanzaro anche numerose pattuglie dei gruppi di Lamezia Terme e di Locri.

Manette per 3 uomini dei clan lametini

La polizia ha arrestato tre persone ritenute appartenenti a due cosche cotrapposte, quella dei Gualtieri e quella dei Giampà. Vessavano le attività economiche di Lamezia. Uno degli arrestati aveva persino convocato un imprenditore a casa propria per minacciarlo e dettargli le condizioni
LAMEZIA TERME – A vessare gli imprenditori ci pensavano sia quelli della cosca Giampà che quelli del clan contrapposto dei Gualtieri. E così stamattina a Lamezia Terme sono scattati tre fermi di polizia, nell'ambito di un'operazione denominata "Dopio colpo", proprio perché condotta contro due diverse attività tenute insieme da una matrice comune: le estorsioni alle imprese locali.
Nel primo filone d'inchiesta sono coinvolti Federico Gualtieri, detto Zoppariellu, e Giancarlo Chirumbolo. A quest'ultimo, il 31 marzo 2010 è stato ucciso un fratello nel corso di un agguato. I due sono accusati di aver effettuato un'estorsione nei confronti di un supermercato lametino.
Si era concentrato su un distributore di benzina, invece, Luca Piraina, ritenuto affiliato al clan dei Giampà.
Tra i dettagli dell'operazione, è emerso che Federico Gualtieri, elemento di spicco della cosca omonima e sottoposto all'obbligo di dimora, aveva «convocato» presso la sua abitazione uno degli imprenditori per imporgli la tangente mensile o, in alternativa, l’assunzione di un proprio familiare nell’attività.

Cassano, preso il boss che fuggì dall'ospedale

Gente in strada per difenderlo dai carabinieri
Celestino Abbruzzese, detto "Asso di Bastone", è considerato il capo del clan denominato "degli zingari" coinvolto nell'inchiesta Timpone Rosso. Il 6 aprile si era dileguato dal reparto in cui era ricoverato a Catanzaro, ora hanno scoperto che si nascondeva nel quartiere feudo della cosca. E le persone del posto hanno cercato di evitare l'arresto

COSENZA – I carabinieri di Corigliano hanno arrestato Celestino Abbruzzese, alias «Asso di bastone», pericoloso latitante fuggito dall’ospedale di Catanzaro nel marzo scorso. Abbruzzese era detenuto per associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio ed altri reati: è ritenuto dagli investigatori della cosca denominata degli zingari di Cassano Jonio. Durante la sua detenzione era stato portato nell’ospedale di Catanzaro per motivi di salute e successivamente si era allontanato facendo perdere le sue tracce.
In realtà, i carabinieri hannpo scoperto che si nascondeva proprio nel quartiere Timpone Rosso di Cassano, vera roccaforte del clan. E decine di persone durante il blitz delle forze dell'ordine si sono riversate per strada per evitare che i carabinieri arrestassero Celestino Abbruzzese. Ci sono stati anche attimi di tensione tra i militari e le numerose persone che volevano evitare l’arresto del latitante. Tra coloro che sono scesi per strada c'erano anche numerosi familiari di Abbruzzese. Nel corso dell’operazione alcuni dei carabinieri sono stati strattonati e sono rimasti contusi. I militari stanno cercando di identificare le persone che hanno cercato di evitare l'arresto.
Abbruzzese è tra gli imputati del processo "Timpone Rosso" in corso davanti ai giudici della Corte d'Assise di Cosenza. L'uomo, (difeso dagli avvocati Giuseppe De Marco e Pietro Pitari), è imputato per il rapimento, l'omicidio e la distruzione del cadavere del piastrellista originario di Cassano Antonio Acquesta (il cui corpo non è mai stato ritrovato, secondo gli inquirenti scomparve il 27 aprile del 2003). Abbruzzese ha già scontato otto anni di reclusione a causa di quella condanna riportata per associazione a delinquere di stampo mafiosa. E due anni fa, il Tribunale delle libertà, aveva disposto a suo carico la misura degli arresti domiciliari sostituendola con la detenzione al regime del 41 bis per motivi di salute. Quegli stessi motivi di salute che il 3 febbraio scorso l'avevano portato a varcare al soglia dell'Ospedale “Annunziata” di Cosenza nel corso del quale era stata stilata una prima diagnosi. E alla quale sono seguiti ulteriori accertamenti che si sono svolti proprio nel principale nosocomio catanzarese. Senza dimenticare poi il fatto che, in base a quanto raccontato agli inquirenti, lo stesso Abbruzzese non aveva ancora ultimato tutti gli accertamenti necessari.

Due giovani muoiono folgorati nel Palermitano

Alessia Musso, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, stava accendendo un computer a Villagrazia di Carini. A Montelepre la vittima è un elettricista, Michele Lombardo Stava eseguendo dei lavori in casa. Inutili i soccorsi, indagini dei carabinieri

MONTELEPRE. Una bambina di 12 anni, Alessia Musso, è morta folgorata mentre tentava di inserire in una presa l'alimentazione di un computer. È accaduto a Villagrazia di Carini, nel Palermitano, dove la bimba si trovava in casa di amici, un'abitazione in via Cristoforo Colombo. Sul posto sono intervenuti i carabinieri.
A Montelepre un ragazzo di 18 anni, Michele Giuseppe Lombardo di Carini (Palermo), è morto folgorato mentre stava facendo dei lavori nella casa di famiglia. Il giovane stava lavorando con un flex quando è rimasto folgorato, come hanno accertato i carabinieri, a causa di una dispersione di elettricità.

Trattativa Stato-mafia: provvedimento contro il pm Di Matteo

Il pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, titolare dell'azione disciplinare sui magistrati insieme al Guardasigilli, il 2 agosto scorso ha chiesto a Messineo chiarimenti su un'intervista rilasciata dal magistrato, con parole giudicate gravi

PALERMO. «Sono scandalizzato. È un'iniziativa senza precedenti, un unicum assoluto, una vicenda inquietante e sinistra»: non usa mezzi termini il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, segretario della giunta distrettuale dell'Anm, nel commentare l'apertura di un procedimento disciplinare a carico del collega Nino Di Matteo, uno dei pm che coordina l'indagine sulla trattativa Stato-mafia, e del procuratore Francesco Messineo. Il pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, titolare dell'azione disciplinare sui magistrati insieme al Guardasigilli, il 2 agosto scorso ha chiesto a Messineo chiarimenti su un'intervista rilasciata da Di Matteo.

Nel botta e risposta col giornalista il magistrato rivendicava la fondatezza dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e bacchettava i silenzi di chi nelle istituzioni con reticenze o incomprensibili ritardi« ha di fatto ostacolato la ricerca della verita». Parole pesanti che per il pg, che ha delegato l'istruttoria al sostituto Mario Fresa, entrerebbero nel merito di indagini riservate. Ma non solo: la legge Mastella prevede che i pm e gli aggiunti possano rilasciare dichiarazioni solo dietro espressa autorizzazione del capo della Procura. Perciò Ciani ha chiesto a Messineo se abbia autorizzato Di Matteo a rilasciare l'intervista e, qualora, cio «non fosse avvenuto, perche» non ha segnalato il caso.

Nè Messineo, che sta preparando la risposta da inviare alla Procura generale, nè Di Matteo vogliono commentare la vicenda, ma di fatto entrambi, per motivi diversi, rischiano ora un' incolpazione davanti al Csm e l'avvio formale del procedimento disciplinare. Dell'ennesimo caso che vede i pm di Palermo protagonisti discuterà stasera la Giunta distrettuale dell'Associazione Nazionale Magistrati.

Regolamento di conti a Catania: uomo spara a 4 vicini di casa

Quattro persone, un padre e tre figli, sono state ferite con un colpo di fucile caricato a pallini. Il padre è in pericolo di vita. A sparare è stato Salvatore Leonardi, di 69 anni, che ha confessato ed è stato arrestato. Ha detto di essersi voluto vendicare dopo una lite avvenuta nel primo pomeriggio per motivi economici

CATANIA. Quattro persone, un padre e tre figli, sono state ferite a Catania con un colpo di fucile caricato a pallini. Una persona è in pericolo di vita. E' accaduto ieri pomeriggio - ma reso noto solo oggi - per un 'regolamento di conti' dopo una lite tra vicini di casa, per futili motivi, nel quartiere di Librino.
A sparare è stato Salvatore Leonardi, di 69 anni, che ha confessato ed è stato arrestato. I feriti sono Carmelo Caltabiano, un manovale di 44 anni, raggiunto nel volto e al torace - obiettivo di Leonardi - e i suoi tre figli: Isabella, di 24; Giuseppe Valentino, di 21; e A., di 18.
I feriti sono stati trasportati dal 118 nell'ospedale Vittorio Emanuele. Carmelo Caltabiano, colpito al collo, nel tronco e negli arti, è stato poi trasferito nell'ospedale Garibaldi, dove è stato ricoverato in rianimazione a causa di un peggioramento delle sue condizioni. I figli sono stati giudicati guaribili in pochi giorni.
I quattro stavano mangiando un'anguria sul balcone al primo piano di uno stabile di Viale Grimaldi. I carabinieri della compagnia di Fontanarossa hanno trovato sulla strada una cartuccia di un fucile da caccia calibro 12 e in poco tempo hanno individuato l'autore, dirimpettaio delle vittime. Leonardi ha detto di essersi voluto vendicare dopo una lite avvenuta nel primo pomeriggio per motivi economici. In casa gli sono stati sequestrati un fucile con la matricola cancellata, arma usata per il ferimento, e 67 cartucce.

Rissa in discoteca a Mondello, una ragazza accoltellata

All'origine della discussione poi degenerata, alcuni apprezzamenti rivolti ad alcune giovani.Il fatto è accaduto intorno alle tre e mezza della notte scorsa in via Castelforte presso Villa Partanna. La giovane ha riportato una lieve ferita

PALERMO. Finisce con una rissa che ha coinvolto due gruppi di giovani e una ragazza accoltellata, fortunatamente con una lieve ferita e una prognosi di dieci giorni, la serata in una discoteca a Mondello. All'origine della discussione poi degenerata, sembra alcuni apprezzamenti rivolti ad alcune giovani.
Il fatto è accaduto intorno alle tre e mezza della notte scorsa in via Castelforte presso la discoteca Villa Partanna. Sul posto sono intervenute due gazzelle dei Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo. Sulla strada i militari hanno trovato cocci di vetro e pietre e hanno poi rilevato il danneggiamento del vetro del parabrezza di un'auto Matiz parcata nelle immediate vicinanze.
Una ragazza di 26 anni ha riportato una ferita da taglio nella regione dorsale medicata presso il pronto soccorso dell'ospedale Villa Sofia con una prognosi di 10 giorni di cura. Le indagini dei Carabinieri sono in corso.

Licata, molesta un'allieva di 15 anni: arrestato un docente

Un professore di educazione fisica dell'istituto superiore Enrico Fermi, Angelo Mantia di 55 anni, in manette con l'accusa di violenza sessuale e sequestro

LICATA. Un professore di educazione fisica dell'istituto superiore Enrico Fermi di Licata (Ag), Angelo Mantia di 55 anni, è stato arrestato dalla polizia con l'accusa di violenza sessuale e sequestro nei confronti di un'alunna di 15 anni. L'uomo si trova ai domiciliari su disposizione del gip Claudia Spiga. L'inchiesta è condotta dal pm di Agrigento, Salvatore Vella.

Secondo gli inquirenti, la studentessa sarebbe stata attirata all'interno dello spogliatoio della palestra, riservato agli insegnanti, dal docente che avrebbe chiuso a chiave la porta e bloccato la ragazza, palpeggiandola e tentando di baciarla. Il reato è aggravato dal fatto «d'aver approfittato che in palestra in quel momento non vi fosse nessuno presente». Il professore è accusato anche di avere molestato e disturbato una collega «chiamandola dalla propria utenza telefonica, inviandole diversi sms e facendole degli squilli».

I magistrati avrebbero appurato che l'atteggiamento molesto del docente nei confronti delle alunne minorenni e di alcune insegnati era noto negli ambienti scolastici. L'indagine nei confronti del professore, che è stato anche intercettato, è scattata dopo la denuncia della ragazza, presentata lo scorso aprile. La polizia sta verificando se altre studentesse abbiano subito molestie sessuali.

sabato 4 agosto 2012

Lecce, operaio freddato in piazza Palio Racket dei concerti?


Procuratore Motta, si torna a sparare in città. Un omicidio così a Lecce non si vedeva da anni. Quale lettura si può dare? «Si torna a sparare, certo. Ma bisogna vedere se siamo nello stesso settore operativo di qualche anno fa, quando c’era la stagione degli omicidi di mafia. Questo può essere un regolamento di conti. Ma può essere qualsiasi cosa. Vedremo. È ancora presto».
Le modalità sono inquitentati: l’assassino ha sparato benché ci fosse tanta gente e in pieno giorno. «Tutti gli omicidi sono inquietanti. È vero l’assassino ha sparato senza curarsi della presenza di tanta gente, ma non sarà riconosciuto da nessuno perché indossava un casco che gli copriva il volto».
Lei parlava di un possibile regolamento di conti. In quale ambito si può collocare? La vittima, del resto, risulta essere quasi incensurata. «È troppo presto per delineare un possibile contesto nel quale possa essere maturato l’omicidio. Di certo sappiamo che il giovane, quando era ancora minorenne, aveva avuto un processo per l’incendio della lavanderia di Surbo che non sappiamo come si è concluso. Poi ha avuto una segnalazione per il consumo personale di stupefacenti, ma quella non ha alcuna importanza».

Restiamo sulle modalità dell’omicidio. Chi ha sparato sembra quasi che abbia voluto segnare il territorio. Un’esecuzione spietata ma plateale con la vittima uccise sul luogo di lavoro. Potrebbe avere a che fare con il racket legato ai concerti, agli eventi, alle manifestazioni e a tutto ciò che gira intorno, compreso l’allestimento dei palchi e dei ponteggi? «Al momento sembrerebbe di no. Anche se tutti abbiamo pensato a questa ipotesi perché la vittima stava facendo questo lavoro. Non c’è alcuna indicazione, ma stiamo approfondendo questo aspetto»
E allora? Il paese di provenienza della vittima, Surbo, potrebbe suggerire un’ipotesi? «Surbo, da un po’ di tempo, è una realtà piuttosto tranquilla. Dei capi storici (la famiglia Vincenti) i sopravvissuti sono passati nelle fila dei collaboratori di giustizia. Sostanzialmente è una realtà che non ci dà preoccupazioni».

L’unica certezza, dunque, è che l’obiettivo del killer era Valentino Spalluto. «Sì. Questo è certo. Ora dobbiamo trovare il movente ed individuare a quale vicenda è collegato l’omicidio».

Si assentavano dal lavoro arrestati 2 tecnici unità Cnr

BARI – Presenti sulla carta, ma a spasso per sbrigare questioni personali e finanche, uno dei due, per gestire un pub-ristorante a Ruvo di Puglia (Bari): era l'attività preferita da due tecnici di laboratorio assunti a tempo indeterminato in servizio all’unità organizzativa di supporto del Consiglio nazionale delle ricerche con sede a Trani e assegnati all’Istituto di biomembrane e bioenergetica, arrestati con l’accusa di truffa pluriaggravata e continuata in danno dello Stato.

Le indagini dei carabinieri sono scattate in seguito a una segnalazione anonima, andando a ritroso sino al 2010.
Gli accertamenti condotti hanno evidenziato come i due tecnici, di cui non sono stati resi noti i nomi, nonostante attestassero la loro presenza in ufficio, firmando i «fogli di rilevazione presenze», di fatto risultavano assenti o se ne allontanavano arbitrariamente e per motivi personali. Ma in amministrazione non risultava nè la richiesta di permessi straordinari, nè l’assenza ingiustificata. E a fine mese in busta paga lo stipendio veniva percepito per intero. I servizi di osservazione, di assunzione di informazioni e di acquisizione dei fogli presenza hanno confermato la segnalazione anonima: i dipendenti si recavano al lavoro solo per timbrare il cartellino. In particolare, durante una serie di controlli eseguiti a sorpresa, i carabinieri hanno accertato l’assenza dei due tecnici nonostante avessero attestato la loro presenza continuativa in servizio con la firma posta in calce al foglio di rilevazione. Dai riscontri effettuati è anche emerso che uno dei due si recava al lavoro solo per poche ore al mattino, mentre l’altro non risultava mai presente, gestendo da anni un noto ristorante – bar -pizzeria a Ruvo di Puglia.

Camorrista ricercato arrestato a Roma

Maurizio Virente
LATINA - Lo avevano individuato un giro per Latina entrare in contatto con personaggi della criminalità locale. Poi nei riguardi del giovane robusto e tatuato arrivato dalla Campania è stato spiccato un ordine di carcerazione dai magistrati di Napoli. Maurizio Virente è stato arrestato, ieri sera a Roma, dagli investigatori della Squadra mobile di Latina.

Gli uomini coodinati dal Primo dirigente Cristiano Tatarelli lo hanno rintracciato, in via Benaglia, a Trastevere. Virente, nato a Napoli nel 1974, era colpito da Ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip presso il Tribunale di Napoli il 2 luglio 2012 per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, danneggiamento e altro.

Maurizio Virente è un elemento di spicco del clan Casella-Circone operante nei quartieri di Poggioreale e Ponticelli in Napoli. Il 10 luglio scorso era sfuggito alla cattura nel corso di un blitz che aveva portato all’arresto di 18 persone responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione e danneggiamento seguito da incendio, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di odio razziale.

Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli sono stati documentati gli affari illeciti del clan, soprattutto estorsioni a imprenditori della zona, identificato personaggi dediti alla ricettazione e al riciclaggio di auto rubate, nonché accertato, scoprendone i responsabili, i motivi dell'incendio appiccato a un campo nomadi di Poggioreale il 2 dicembre 2010. Alla base del gesto, per gli inquirenti, l'odio razziale: gli affiliati, infatti, volevano distruggere l'insediamento per evitare che i bambini nomadi continuassero a frequentare le stesse scuole dei figli.

Maurizio Virente, godendo dell’appoggio di soggetti residenti a Latina, era riuscito a rendersi irreperibile e a sfuggire alla cattura. La sua presenza nel capoluogo pontino non era però passata inosservata agli investigatori della Mobile di Latina, che, nel corso di mirati servizi di controllo, avevano notato il pregiudicato in compagnia di una donna , già nota per i suoi trascorsi giudiziari e per i suoi legami con pregiudicati locali, tra i quali il defunto Massimiliano Moro, assassinato nel gennaio 2010.

Alla luce di ciò, al fine di porre termine alla latitanza di Maurizio Virente, sono state avviate mirate indagini volte a verificare se la donna potesse avere ancora rapporti con lui. L’intuizione investigativa si rivelava esatta e, attraverso una serie di pedinamenti, nella tarda serata di ieri a Roma, nella zona di Trastevere, si riusciva a bloccare il latitante mentre s'incontrava proprio con la donna di Latina che gli stava consegnando una somma di denaro (mille euro).

Alla luce di ciò, si procedeva all’arresto del latitante campano in esecuzione dell’Ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dai magistrati di Napoli. In cella a Rebibbia anche A. D., 45 anni, la donna di Latina, accusata di favoreggiamento aggravato.

Chiesto il rinvio a giudizio per 'ndrangheta per i vertici di una banca di San Marino

Sono 38 in tutto le persone per le quali i pm della Dda di Catanzaro ritengono sia necessario il processo. L'inchiesta ruota attorno ai depositi fatti nel Credito Sammarinese dal borker della droga Vincenzo Barbieri, legato al clan Mancuso di Limbadi e ucciso nel 2011. Secondo l'accusa la banca ha accettato i soldi perché aveva bisogno di liquidità per superare la crisi


CATANZARO – La Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per 38 persone, tra cui i vertici della Banca Credito Sammarinese coinvolti nell’inchiesta 'Decollo Ter'. I sostituti procuratori Salvatore Curcio e Paolo Petrolo hanno avanzato la richiesta al giudice per le indagini preliminari che ora fisserà la data dell’inizio dell’udienza preliminare.
L’inchiesta ruota intorno ai depositi fatti nel Credito Sammarinese da Vincenzo Barbieri, il broker della droga legato alla cosca Mancuso ucciso nel marzo del 2011 in un agguato a San Calogero. L’accusa sostiene che il Credito Sammarinese aveva bisogno di denaro per superare l’attuale crisi economica ed aveva accettando i depositi di denaro fatti da Barbieri. In questo filone dell’inchiesta sono coinvolte dieci persone tra cui il direttore del Credito Sammarinese, Lucio Amati, ed il componente del collegio dei sindaci della banca, Massimiliano Sensi. Un secondo filone dell’inchiesta Decollo Ter riguarda invece l'imposizione, da parte delle cosche della 'ndrangheta, delle aziende che effettuavano il trasporto in Calabria delle merci destinate ai centri di distribuzione della società Lidl.

Filmato e smascherato falso cieco Percepiva da 20 anni la pensione

L'uomo vive a Ionadi e nel 2010 una commissione medica gli aveva rinnovato il certificato. Alla visita si era presentato accompagnato da due persone che lo sorreggevano. I carabinieri lo hanno ripreso mentre faceva la spesa e attraversava la strada da solo senza difficoltà
VIBO VALENTIA – Da quasi vent'anni risultava praticamente cieco per l’Inps e er questo ha percepito decine di migliaia di euro a titolo di pensione di invalidità riconosciutagli dal '93 ad oggi, ma in realtà vedeva benissimo. Protagonista della vicenda è F.F., un cittadino di Ionadi, nel vibonese. A scoprire che era tutto un ben congegnato bluff sono stati i militari della stazione Carabinieri di Filandari che, per giorni, lo hanno pazientemente seguito in tutti i suoi movimenti, filmandolo e fotografandolo durante tutta la giornata. L’uomo, la cui ultima visita da parte di una commissione medica nel 2010 aveva certificato la sua capacità visiva inferiore ad 1/20 ad un occhio ed addirittura assente all’altro, da quasi due decenni percepiva mensilmente la pensione di invalidità, arrivata ad oggi alla somma di oltre 450 euro mensili.
Il falso cieco, secondo i Carabinieri, era addirittura arrivato a presentarsi alle visite di controllo, per rinforzare la propria sceneggiata, con 2 accompagnatori che lo sorreggevano e lo guidavano nei corridoi dell’istituto di previdenza. I militari della Compagnia di Vibo Valentia, che lo pedinavano, hanno così avuto modo di apprezzare la disinvoltura con la quale il «cieco» attraversava, da solo e senza bastone, la strada statale in piena ora di punta, schivando auto e moto come se nulla fosse. Inoltre gli uomini della Benemerita sono riusciti a filmarlo anche mentre entrava ed usciva dai negozi del proprio quartiere, facendo tranquillamente spese.
Questa mattina gli investigatori gli hanno notificato un avviso di garanzia emesso dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia che, sulla base degli elementi forniti dai Carabinieri, lo ha ritenuto responsabile di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Reato per il quale rischia fino a tre anni di carcere.