martedì 18 ottobre 2011

Utenti di Facebook, siete tutti clienti paganti

L'iscrizione al social network non costa nulla, ma la presenza sul sito si ripaga abbondantemente. Sul web bisogna abituarsi a essere clienti e... prodotto



Molti utenti di Facebook hanno protestato per le modifiche dell'interfaccia operate a fine estate. Ritenevano un oltraggio non essere stati interpellati. Altri, invece, hanno bacchettato gli “indignados” del network perché a caval donato, si sa, non si guarda in bocca. Insomma, Facebook è gratis, e ti lamenti pure? E' indiscutibile che nessun iscritto al social network debba sborsare alcunché per accedere ai servizi, ma è proprio vero che Facebook è gratis? Ira Winkler, presidente dell'Internet Security Advisors Group e autore del libro Spies Among Us (Spie tra di noi) non è di questo avviso.


Secondo l'esperto di sicurezza informatica, gli utenti pagano con due monete preziosissime: il loro tempo e la proprietà intellettuale sui loro dati. E guarda caso, sono esattamente le monete di cui Facebook ha più bisogno, quelle che può trasformare, senza troppo sforzo, in vera moneta sonante. Winkler, in un articolo di Computerworld USA, invita a quantificare il valore del proprio tempo con autentico spirito americano: tutti i minuti trascorsi sul sito di Mark Zuckerberg sono sottratti a lavoro, iniziative, manutenzione casalinga. Attività per cui, forse, si sarà costretti a pagare altri (lavare un auto, appendere mensole e così via). Si tratta, in ogni caso, di un tempo prezioso, che si trascorre a fare clic sui link di Facebook. E ogni clic fa aumentare il valore delle inserzioni sul social network e frutta dollari su dollari. Ma c'è un altra moneta, secondo l'esperto americano, se possibile ancora più preziosa, che gli iscritti versano con generosità: “tutti i contenuti forniti a Facebook gratuitamente”.

Sono proprio i link, le riflessioni, gli annunci di matrimoni, di fidanzamenti e di lieti eventi che mettono in moto la curiosità delle persone, quindi i clic, quindi le inserzioni mirate. Quando si comunicano i primi vagiti del proprio figlio, si può stare certi che nella pagina del proprio profilo campeggeranno offerte di articoli per poppanti. E siamo stati proprio noi, gratis, a dare questa dritta agli inserzionisti. Una dritta miliardaria se moltiplicata per i 750 milioni di iscritti nella rete sociale. I clic sulla pubblicità, ammette Winkler, non sono mai numerosissimi, ma accendere la curiosità delle persone con i propri messaggi stimola comunque iscrizioni, connessioni, concentrazione di attenzione su quelle pagine col marchio bianco e blu. Aziende come il New York Times, sottolinea Winkler, “spendono milioni di dollari per ottenere la fedeltà dei lettori con contenuti di ottima qualità generati dal loro staff”. Non così Facebook e altri siti, totalmente dipendenti dal lavoro dei suoi utenti. Anche quando si è utenti svogliati, che aggiornano raramente e raramente consultano il sito, si fa comunque parte dell'esercito di iscritti che permette al sito di Zuckerberg di stabilire le tariffe pubblicitarie e di moltiplicare il valore delle sue azioni. E in effetti, è proprio così. E' una esperienza nuova, come lo è la Internet economy, ma è un po' come se un negozio potesse fare soldi per il solo fatto d'essere sempre pieno di clienti. Chi si iscrive a un social network ne diventa cliente, ma è anche un pezzo essenziale del suo valore economico. Siamo acquirenti di un prodotto e siamo, allo stesso tempo, il prodotto. Ecco perché la sola idea che Facebook potesse introdurre una tassa sul proprio servizio (circolata sul web poche settimane fa) ha suscitato l'indignazione di tanti. Perché, nel social network, le persone hanno investito tempo e contenuti: hanno creato le proprie impostazioni, archiviato foto, raccolto link, creato gruppi. Insomma, hanno prodotto un valore di cui, tra l'altro, sarebbe improbabile se non impossibile rientrare in possesso qualora si decidesse di migrare su un altro social network.

Facebook non è Google, che ha avviato un'operazione trasparenza perché gli utenti possano impacchettare i propri contenuti pubblicati online e trasferirli sulla piattaforma che preferiscono, senza danni. Quindi, sembrano proprio fuori luogo i complessi di inferiorità: ogni utente è anche un piccolo azionista, che paga la sua quota con tempo e contenuti. Questo è il modello di business che permette a YouTube, Linkedin, Twitter e altri di prosperare, mentre fior di siti giornalistici faticano a far quadrare i conti tra i costi per giornalisti inviati nel mondo a fare un buon lavoro e gli introiti. Facebook è un piccolo Grande Fratello, nato, come sottolinea Winkler, non per controllare, ma “vendere al miglior offerente”. E allora, quando ne saremo tutti consapevoli e il social network stesso saprà ammetterlo, forse si otterrà la cortesia e l'attenzione dovuta ai clienti “paganti”.

CLAUDIO LEONARDI

Nessun commento:

Posta un commento