lunedì 31 ottobre 2011

La mafia foggiana dovrà risarcire lo Stato: 6 milioni


BARI - Gli assassini dell’imprenditore foggiano Giovanni Panunzio dovranno risarcire lo Stato per la «ferita» causata al capoluogo dauno ma soprattutto per quanto speso in uomini, mezzi e ogni risorsa per contrastare il dilagare del fenomeno criminoso negli anni Novanta. Lo ha stabilito una sentenza del Tribunale civile di Bari (giudice monocratico, dott.ssa Carmela Romano) che ha accolto un ricorso promosso dall’Avvocatura dello Stato di Bari che si è vista liquidare 6 milioni di euro di danni: 5 destinati alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed uno al ministero dell’Interno.

Il verdetto, sia pure nella sua sintesi (cinque pagine) prende le mosse dalla sentenza irrevocabile che ha visto condannate in via definitiva 36 persone accusate di associazione di stampo mafioso, droga e omicidi di cui sono stati ritenuti «capi» Giosuè Rizzi e Rocco Moretti. Tra questi c’è anche Donato Delli Carri, l’assassino dell’imprenditore Giovanni Panunzio che, insieme a Nicola Ciuffreda (entrambi ammazzati tra settembre e novembre del 1992) divennero i martiri dell’opposizione dell’imprenditoria al racket delle estorsioni. Quegli stessi soldi basterebbero da soli a limitare il taglio di 10 milioni (sui 12 previsti) a partire dal prossimo anno sui due fondi destinati alle vittime di mafia ed usura.

La causa contro la mafia foggiana che ha agito tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, si concluse con un primo sigillo della Cassazione il 16 maggio del 1996, salvo poi ottenere una riconferma - dopo un nuovo round in appello - il 13 ottobre del 1999. In quella vicenda giudiziaria, sia Palazzo Chigi sia il Viminale si costituirono parte civile e ottennero il diritto al risarcimento in sede civile. E la spiegazione a tale diritto, riportata dal giudice civile, la fornì la stessa Cassazione nel 1996 quando stabilì che il Governo «al pari di singoli dicasteri... che abbiano subìto danni da una certa attività criminosa, è portatore di un autonomo diritto ad agire per il soddisfacimento dei propri interessi».

Da qui la valutazione del danno, operata dal giudice secondo un criterio equitativo, anche considerando la voluminosa documentazione e l’articolata difesa dell’Avvocatura distrettuale dello Stato (avv. Filippo Patella) che è riuscita a dimostrare i danni subìti dallo Stato.

Il clan mafioso è riuscito a piegare le vittime, queste ultime costrette addirittura a patteggiare con il sodalizio, scrive l’avvocatura. E proprio tale silenzio «imposto» dalla piovra dauna costrinse lo Stato a impegnare risorse e mezzi per riconquistare il territorio, ma soprattutto per garantire protezione ad alcuni testimoni rivelatisi poi determinanti per smantellare il clan. È il caso dei costi per proteggere Salvatore Chiarabella («le cui rivelazioni hanno consentito di venire a capo della questione relativa all’esistenza del sodalizio criminale»), nonché di quelli per l’incolumità del teste chiave, Mario Nero, le cui dichiarazioni hanno permesso di individuare in Delli Carri l’autore materiale dell’omicidio Panunzio. Da qui le spese per i familiari, il cambio di identità «non certo rilevantissimi ma significativi» per il mantenimento mensile del testimone.

Ma oltre a questo, lo «sfregio» della mafia foggiana ha portato ad ulteriori azioni dello Stato (che ha inciso sui bilanci) per offrire garanzie a chi decideva (e decide) di opporsi al racket istituendo appositi strumenti. Primo fra questi il Fondo di solidarietà per le vittime del racket (poi unificato per le vittime dell’usura), varato all’indomani anche dei fatti gravi di Foggia, lo stesso che insieme a quello delle vittime di mafia - per effetto del disegno di legge sulla stabilità di bilancio - l’anno prossimo sarà decurtato. Ora dopo la sentenza di Bari la parola passa ai politici.

NICOLA PEPE

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