mercoledì 19 ottobre 2011

Michele Misseri rischia processo per calunnia


TARANTO - Non resteranno senza un seguito le dichiarazioni fatte da Michele Misseri l’altro giorno, in camera di consiglio, durante l’udienza preliminare per l’omicidio di Sarah Scazzi. Il contadino di Avetrana oltre a depositare un memoriale di 21 pagine, scritto quando era detenuto, ha anche fatto dichiarazioni spontanee per quasi un’ora, offrendo la sua versione, l’ennesima, dei fatti e accusando il suo ex avvocato Daniele Galoppa e la sua ex consulente Roberta Bruzzone di averlo indotto ad accusare la figlia, prospettandogli pene miti sia per lui che per Sabrina.

Le ipotesi, al vaglio della Procura ma non solo, sono due. O si procede contro Michele Misseri per calunnia, reato perseguibile d’ufficio, se si ritiene che le frasi utilizzate dal contadino nei confronti di Galoppa e della Bruzzone siano calunniose e per autocalunnia nei confronti dello stesso Misseri, oppure si riapre il procedimento e si indaga nuovamente su Michele per concorso in omicidio, prendendo per buone le dichiarazioni auto-accusatorie e rivalutando inevitabilmente la posizione della moglie Cosima Serrano e di sua figlia Sabrina. Difficile, che le dichiarazioni e il memoriale abbiano una valore neutro, per quanto la Procura ritenga di poter ricostruire l’omicidio di Sarah Scazzi senza far ricorso a Michele Misseri.

La difesa di Sabrina ieri ha acquisito il verbale di udienza e nelle prossime ore il professor Franco Coppi e l’avvocato Nicola Marseglia probabilmente invieranno sia al gup Pompeo Carriere che al procuratore aggiunto Pietro Argentino e al sostituto Mariano Buccoliero una memoria con le valutazioni su quanto accaduto lunedì, alla luce delle dichiarazioni spontanee fatte da Sabrina Misseri, da suo zio Carmine e dal padre Michele.

Sia Sabrina che Carmine si sono proclamati innocenti, chiedendo a Michele di dire la verità e Michele ha poi detto la sua verità, seguendo quello che pareva un copione ben impostato.

Michele ha sostenuto dinanzi al gup Pompeo Carriere, che non gli ha fatto domande perché non si trattava di un interrogatorio ma gli ha comunque sollecitato dei chiarimenti rispetto ad alcuni passaggi oscuri, di aver ucciso Sarah nel garage perché non si sentiva bene a causa di un mal di testa che lo tormentava dal mattino. Quando ha visto Sarah scendere nel garage, le ha chiesto di andare via, la 15enne non lo avrebbe fatto e così l’ha aggredita con una corda - gettata nel cassonetto assieme agli infradito della ragazzina - facendola cadere sul compressore che si è anche ribaltato. Michele non si spiega il fatto che non sono state trovate tracce sull’attrezzo. Per rendere la sua ricostruzione più credibile, Michele Misseri dinanzi al gup Carriere si è tolto la cintura dei pantaloni, mimando il gesto dello strangolamento. Poi, per paura che nel garage entrasse Sabrina, scesa per strada nel frattempo perché era arrivata Mariangela Spagnoletti con la quale doveva andare a mare, assieme a Sarah, Misseri ha raccontato di aver coperto il cadavere con un cartone. Dopo un po’, è salito in casa, ha detto alla moglie Cosima che doveva andare in campagna perché erano scappati i cavalli da una azienda agricola nella quale lavorava (circostanza inedita, che giustifica la telefonata, da tempo agli atti dell’inchiesta, fatta al fratello Carmine, poco dopo le 15, quando gli dice: “Se ti chiama Mimina, dille che sono andato in contrada Cuturi che sono scappati i cavalli”) e si è diretto, con il cadavere di Sarah nascosto nel cofano della sua Seat Marbella, in campagna. Ha tolto i vestiti a Sarah, nel timore che una volta gettata nel pozzo di contrada Mosca, potessero venire a galla, e poi li ha bruciati assieme agli altri oggetti della ragazzina, togliendo all’ultimo momento dal cumulo il cellulare. L’apparecchio lo ha lasciato in alcuni punti del paese per farlo ritrovare, ma senza successo, per poi di fatto consegnarlo ai carabinieri il 29 settembre, spinto dal rimorso e dal desiderio far ritrovare il corpo di Sarah.

Michele Misseri ha poi elencato le sue accuse nei confronti di Galoppa, chiamato giudice e non avvocato perché secondo lui faceva unicamente gli interessi degli inquirenti. Misseri ha raccontato di averlo messo alla prova per due volte, allo scopo di capire se si poteva fidare. La prima quando gli raccontò che gli avevano tolto il televisore: non era vero ma poi sentì che il legale aveva riferito questa circostanza ai giornalisti, pur avendo promesso di non farlo. L’altra quando raccontò all’avvocato che non gli era più permesso coltivare l’orto del carcere, altra circostanza che doveva restare segreta e che invece fu divulgata ai mass media.

Niente di trascendentale, per carità, ma è evidente che nessuno può liquidare irrilevante quanto avvenuto lunedì scorso durante l’udienza preliminare.
Si riparte domani, con l’annunciata requisitoria dei pubblici ministeri.

MIMMO MAZZA

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