Una pista per la morte dell’ambulante: sono stranieri dell’Est
Torino
C’è una traccia per risalire all’assassino di Francesco «Adriano» Pepè, 36 anni, il titolare di un banco di ortofrutta nel mercato di corso Cincinnato, ucciso sabato sera nel suo magazzino, nel cortile del 168 con otto coltellate. Il fendente mortale a una coscia, arteria femorale recisa di netto: è morto dissanguato in pochi minuti. Lascia la compagna, Sonia (in attesa di un bimbo) e un figlio di 4 anni, Michele.
Qualche giorno fa, (secondo le testimonianze raccolte dai carabinieri del nucleo investigativo, guidato dal tenente colonnello Domenico Mascoli), Francesco avrebbe litigato violentemente in un bar della zona con un giovane dell’Est, forse romeno o albanese. Uno scontro duro, a causa di una partita giocata su una delle tante slot del locale; lo avrebbero aggredito in gruppo, lui era riuscito a fuggire in auto ma lo avevano inseguito; per sfuggire, avrebbe anche urtato l’auto di chi voleva a tutti i costi raggiungerlo per dargli una lezione. Si era rifugiato a casa, in corso Mortara e aveva raccontato ad amici e familiari quanto era accaduto poche ore prima.
Ma gli investigatori, coordinati dal pm Stefano Demontis, non si sbilanciano e indagano a 360 gradi. Ieri sono stati sentiti per ore, nella caserma di via Valfrè, i genitori («non ci siamo accorti di niente, credevamo che fosse ancora nel magazzino») e i tanti amici di Francesco, un ragazzo solare e allegro che, nei primi Anni ‘90 aveva avuto un piccolo precedente per possesso di droga. Era stato fermato in una discoteca di Mondovì, assieme ad altri coetanei, con uno spinello. Dopo questa piccola disavventura si era dedicato solo al lavoro e alla sua famiglia. I genitori e la sorella. Gente che ogni giorno si spacca la schiena nel mercato di corso Cincinnato, d’estate e d’inverno. Una vita di fatiche e sacrifici ma molto felice, con Sonia e il piccolo Michele a cui i genitori non facevano mancare nulla.
La sua compagna è sotto choc, i genitori e i familiari le stanno vicino sempre, temono per la gravidanza, è al settimo mese. L’altra sera ha voluto entrare lo stesso nel magazzino dove è stato ucciso Francesco, i capelli biondi, il volto segnato dalle lacrime. E’ facile descrivere Francesco: un ragazzo minuto, con tantissimi amici, generoso sempre. Il tipo che non si dimentica un compleanno, un anniversario, per tutti un regalo o un pensiero. Chi ha tentato invano di soccorrerlo, Giuseppe De Cesare, lo rievoca così: «Avevamo litigato due anni fa e non ci parlavamo più. Quando è mancato mio padre mi ha cercato e mi ha abbracciato. Mi è stato vicino più di tanti amici, alla fine molto meno sensibili di lui».
Uno che non si lamentava mai, neanche nei momenti difficili, neanche quando in tasca aveva pochi soldi e allora bisognava semplicemente lavorare ancora di più. L’uomo che gli ha tolto la vita, forse per niente, per una parola sgradita o pochi spiccioli, ha distrutto due famiglie, ha lasciato due bimbi senza padre e una mamma che non può permettersi nemmeno di affondare nella disperazione. Michele ha lo sguardo e gli occhi di Francesco, esattamente identici. Lo stesso modo di sorridere. Ogni volta che lo abbraccerà, sentirà il suo compagno vicino, come se quella sera «Adriano» fosse ritornato a casa come sempre, dopo avere smontato il banco, rimesso a posto nel magazzino le cassette di frutta e verdura. Il cartello posto davanti alla porta, attenti al cane e al padrone, il disegno di un coltello e di un’arma, non è servito a niente.
massimo numa
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