lunedì 25 aprile 2011

Tranchina parla dei capiclan: "Graviano non fu riconosciuto"

Il neo collaboratore di giusitiza continua a fornire agli inquirenti le sue testimonianze negli interrogatori di fronte ai pm di Caltanissetta. "Il boss di Brancaccio girava indisturbato a Palermo, non gli chiesero i documenti in un posto di blocco"


PALERMO. Alla vigilia delle stragi di Capaci e via D’Amelio Giuseppe Graviano girava indisturbato a Palermo con autista, documenti falsi e uno scanner per intercettare le frequenze della polizia. Aveva un gran da fare, il boss di Brancaccio, voleva essere sicuro che nessuno gli impedisse di portare avanti le incombenze che gli erano state affidate direttamente da Totò Riina. Ma le precauzioni non erano mai troppe: «Nel 1992 — racconta infatti Fabio Tranchina, l’ex fedelissimo di Giuseppe e Filippo Graviano capace, in meno di una settimana, di avviare una collaborazione con la Procura di Firenze, ritrattare dopo meno di 24 ore, farsi arrestare all’aeroporto di Palermo, tentare il suicidio in carcere e, dopo la convalida del fermo, “sconfessare” i suoi legali e imboccare un’altra volta la via del pentimento — fui fermato per un controllo a Borgo Ulivia, a Palermo, ed avevo in auto Giuseppe Graviano al quale però non chiesero i documenti. Forse si trattava di carabinieri. Avevamo la radio per sentire le comunicazioni dei posti di controllo ma forse era sintonizzata sulla frequenza della polizia. All’epoca — dice ancora — Graviano aveva un documento intestato a Tommaso Militello».

«Così conobbi Giuseppe»

Comincia con questi particolari, apparentemente di contorno, il racconto che l’ex autista del boss ha messo a verbale con i magistrati di Firenze il 16 aprile e ha confermato venerdì sera ai pm di Caltanissetta. Al pool guidato dal procuratore Sergio Lari e dall’aggiunto Nico Gozzo, competente sulle indagini legate alle stragi del ’92, Tranchina ha ribadito quanto anticipato ai colleghi toscani, aggiungendo altri elementi importanti. I verbali sono stati immediatamente secretati e al momento, anche per via della tensione che aleggia tra le tre Procure che hanno in qualche modo in gestione il neopentito, non trapela nulla. O quasi. Perché molto su ciò che è stato trascritto già circola da giorni, a partire dai «primi passi» di Tranchina, oggi quarantenne, a fianco di pezzi da novanta di Cosa nostra: «Mio cognato Cesare Lupo — racconta infatti — (...) mi disse che aveva un amico latitante e mi chiese se volevo conoscerlo per assisterlo. Accettati e conobbi Giuseppe Graviano. Era il 1991. (...) Non avevo capito la reale importanza del soggetto, a me interessavano i soldi».

Le stragi e i telecomandi

La sua testimonianza fornisce spunti interessanti anche sul periodo delle stragi, in cui il neopentito dice di essere stato in qualche modo «avvisato» in anticipo dell’attentato a Giovanni Falcone («Una settimana prima ... Graviano mi disse di non passare dall’autostrada»), di avere partecipato ai sopralluoghi per l’eccidio in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della scorta («Prima dell’attentato più volte mi fece passare da via D’Amelio»), di avere acquistato dei telecomandi utilizzati in almeno una strage e di avere avuto un ruolo nell’agguato al vice questore Rino Germanà fallito perché, come spiegò lo stesso Graviano, «delle tre armi usate due si erano inceppate». «Una volta — spiega ancora Tranchina, rispondendo alle domande riguardanti i fatti di sangue di sua conoscenza — fui invitato nel paese di Omegna perché pensavamo che lì potesse trovarsi il collaboratore Giovanni Drago. Il luogo mi fu indicato da OMISSIS. Poi io ci andai insieme con due persone come indicatomi da Graviano. Li incontrai sul traghetto, uno era Gioacchino Calabrò».

L’impero dei Graviano

Giuseppe e Filippo Graviano, secondo Tranchina, non solo erano e sono tuttora ricchissimi, ma hanno ancora (nonostante il «41 bis») il pieno controllo di soldi, beni e soprattutto degli assetti del mandamento: «La potenza economica dei Graviano è più importante di quanto si possa pensare — dice infatti —. All’epoca molti affari glieli curava Cesare Lupo. Successivamente li curava la sorella Nunzia Graviano, quando è uscita dal carcere». Una volta, racconta ancora l’ex autista, «a OMISSIS portai dieci o venti milioni di lire per conto di Graviano. Era un riciclatore, mise su una gelateria con la novità dell’epoca, il gelato allo yogurt. Lo conobbi a casa dei miei suoceri, ora deceduti. OMISSIS è parente di mio cognato, credo tramite la moglie». Ancora oggi molti imprenditori sarebbero al servizio dei boss per ripulire i proventi di droga ed estorsioni: «OMISSIS — dice infatti Tranchina — è un riciclatore di denaro dei Graviano, come mio cognato. OMISSIS ha OMISSIS all’amministrazione, come pure Marcello Tutino, il fratello di Vittorio che lavora in un magazzino». Il nuovo pentito è molto informato anche sull’attualità e sui vertici della cosca: «Capo del mandamento di Brancaccio — dice — è Giuseppe Arduino con mio cognato Cesare Lupo (...). I Graviano ancora decidono chi deve essere il capomandamento. Arduino lo hanno deciso loro». Altri elementi di spicco, secondo Tranchina, sarebbero anche Giuseppe Faraone e Antonino Sacco, quest’ultimo arrestato nel 2009 per mafia e droga (operazione Cerbero) e tornato a piede libero da alcuni mesi dopo essere stato assolto.

Il passato e il presente

Parla di molti uomini d’onore, Tranchina. Picciotti in carcere da anni, ma anche soggetti ancora attivi. «Dopo l’arreso dei Graviano — racconta ancora — si facevano appuntamenti senza particolari precauzioni. Accompagnai Fifetto Cannella a casa credo di Francesco Giuliano, detto Olivetti, e stranamente mi disse di entrare, io non entravo e non partecipavo mai alle riunioni. Ed in quell’occasione decidevano di andare a uccidere a Roma Contorno e Lo Nigro ne mostrava la foto. Poi parlavano di uccidere tale Casella, Giorgio Pizzo poi si accorse che ero presente e mi fece allontanare». Quest’ultimo, detto «topino», uomo d’onore e anche killer di Cosa nostra, secondo Gaspare Spatuzza fu assunto all’Amap grazie ai buoni uffici del senatore Vincenzo Inzerillo e allo sponsor di Graviano. «Nei viaggi — dice adesso Tranchina — con me venivano Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro, io generalmente portavo i soldi ai Graviano. Ricordo che avevano una villa in Verisilia, bellissima. Ricordo che era in affitto e che in precedenza era stata di un importante calciatore».

di VINCENZO MARANNANO

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