mercoledì 27 aprile 2011

Tranchina parla e i familiari si dissociano

I parenti dell’ex autista di Giuseppe Graviano hanno rifiutato la protezione dello Stato: "Non sappiamo chi sia, non lo conosciamo più". Il nuovo pentito ha cominciato a descrivere gli attuali assetti all’interno della cosca di Brancaccio

PALERMO. Si sono dissociati, ma senza gesti plateali. I familiari di Fabio Tranchina, 40 anni, l’ex autista di Giuseppe Graviano arrestato dalla Dia il 19 marzo scorso per concorso in strage e associazione mafiosa, hanno rifiutato la protezione dello Stato e con un sibillino «non sappiamo chi sia, non lo conosciamo più», hanno chiuso la porta in faccia agli agenti che volevano portarli in una località sicura.

La notizia si è appresa ieri, proprio in concomitanza con il secondo interrogatorio di Tranchina: intorno alle 16 il pentito ha incontrato infatti i pm della Dda di Palermo Roberta Buzzolani e Lia Sava, e accanto al suo nuovo avvocato, Monica Genovese (nominato al posto di Tommaso Scanio e Giovanni Castronovo), ha cominciato a descrivere gli attuali assetti all’interno della cosca di Brancaccio. Che oggi sarebbe gestita — come aveva già anticipato ai magistrati di Firenze — da una sorta di triumvirato guidato da «Giuseppe Arduino con mio cognato Cesare Lupo (...)» e nominato direttamente dai Graviano, che nonostante il carcere duro «ancora decidono chi deve essere il capomandamento». Altri elementi di spicco, secondo il pentito, sarebbero anche Giuseppe Faraone e Antonino Sacco, quest’ultimo arrestato nel 2009 per mafia e droga (operazione Cerbero) e tornato a piede libero da alcuni mesi dopo essere stato assolto.

Venerdì scorso, l’ex picciotto di Brancaccio era stato ascoltato dai magistrati di Caltanissetta, ai quali ha rievocato una serie di vicende riconducibili alla fase preparatoria ed esecutiva della strage di via D’Amelio, descrivendo il suo ruolo ma anche quello dei fratelli Giuseppe, Filippo e Benedetto Graviano, quello di Cosimo Lo Nigro, del cognato Cesare Lupo, di Cristofaro Fifetto Cannella e del superlatitante Matteo Messina Denaro. «Tranchina — come era già emerso dall’ordinanza di convalida firmata dal gip Piergiorgio Morosini — ha richiamato pure il tema delle “complicità esterne” rispetto alla stagione stragista di Cosa nostra per via dei contatti tenuti dai Graviano anche al di fuori del territorio siciliano con alcuni imprenditori».

Considerata la delicatezza della sua posizione, giovedì stesso — giorno in cui l’ex fedelissimo di Giuseppe Graviano ha deciso di pentirsi un’altra volta, dopo un primo ripensamento seguito da un tentativo di suicidio in carcere — il pool di Caltanissetta coordinato dal procuratore Sergio Lari e dall’aggiunto Nico Gozzo ha immediatamente inviato gli agenti della Dia a casa dei familiari, avviando così il programma di protezione. Ma anche loro, com’è successo più volte in passato (uno dei casi più eclatanti fu quello di GioBattista Pulizzi, padre del pentito di Carini Gaspare, che con il proprio camion si scagliò a velocità contro un’auto civetta della polizia), si sono dissociati.

Più o meno come fecero i familiari di Gaspare Spatuzza, che tre anni e mezzo fa sconfessarono in blocco la scelta dell’ex killer di Brancaccio, rifiutando la protezione dello Stato: «Con Gaspare Spatuzza non abbiamo più rapporti, nessuno di noi va più a trovarlo», dissero poi in una nota congiunta inviata alla stampa. Il collegamento tra i due non è casuale.

Perché è stato proprio Spatuzza, nei suoi lunghi interrogatori legati al periodo stragista, a tirare in ballo Tranchina: «Mi faceva da gancio per gli appuntamenti con Giuseppe Graviano — disse ai pm di Caltanissetta —. Questi appuntamenti (siamo a ridosso della strage di via D’Amelio, ndr) si facevano in una casa di Falsomiele, in una casa popolare. (...) Io andavo in questa grande piazza di Falsomiele ed era lui (Tranchina) che mi prelevava e mi portava a casa dove incontravo Giuseppe Graviano». Adesso il nuovo pentito potrebbe dare ai magistrati altri spunti ma anche riscontri importanti alle dichiarazioni di Spatuzza. Che, tra l’altro, non viene ancora considerato un collaboratore di giustizia.

di VINCENZO MARANNANO

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