REGGIO CALABRIA
Si può appartenere ad una famiglia della ’ndrangheta ed essere a tutti gli effetti un’affiliata all’organizzazione criminale. Ma si può anche decidere, ad un certo punto, di pentirsi e tentare di farsi una nuova vita per amore dei figli perchè non intraprendano la stessa strada dei genitori. È la storia di Giuseppina Pesce, 30 anni, figlia del boss detenuto Salvatore Pesce, capo, insieme al fratello Antonino, dell’omonima cosca della ’ndrangheta, «padrona», insieme ai Bellocco, del territorio di Rosarno. Giuseppina era stata fermata dai carabinieri il 26 aprile dello scorso anno insieme ad altre 39 persone, tutte affiliate alla cosca Pesce. Appena qualche giorno dopo, però, aveva deciso di collaborare con la giustizia, svelando l’intero organigramma e le attività della cosca ed accusando anche i suoi familiari più stretti. Adesso, dalle sue rivelazioni, i carabinieri sono giunti all’arresto della madre e della sorella della pentita, Angela Ferraro, di 48 anni, e Marina Pesce, di 29, bloccate a Milano, dove si era trasferite da tempo. La Ferraro e la figlia sono accusate, in particolare, di avere fatto da collegamento tra Salvatore Pesce e gli affiliati alla sua cosca, sia quelli detenuti che quelli fuori dal carcere, comunicando le sue disposizioni in merito, in particolare, agli imprenditori ed ai commercianti da sottoporre ad estorsione.
Il 26 aprile era finito in carcere pure il marito di Giuseppina Pesce, Rocco Palaia, anch’egli accusato di fare parte della cosca Pesce. Moglie e marito agli arresti, dunque. E sarebbe stato proprio questo uno dei motivi che hanno indotto Giuseppina Pesce a collaborare con la giustizia. La donna, infatti, non ha tollerato che i suoi tre bambini, due femmine ed un maschio, restassero senza genitori. Ed il suo scopo la figlia del boss l’ha ottenuto: adesso vive in una località protetta insieme ai figli, mantenendo con loro quel legame che temeva di perdere. Nel pomeriggio, dopo che i carabinieri avevano diffuso la notizia dell’arresto di Angela Ferraro e Marina Pesce, il colpo di scena. Il difensore di Giuseppina Pesce, Giuseppe Madia, ha fatto una dichiarazione in cui afferma che la donna «dopo due mesi di collaborazione, ha chiamato il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria informandolo di essere intenzionata a non proseguire la collaborazione con la giustizia, sostenendo inoltre di avere detto cose non vere perchè assolutamente non a conoscenza degli episodi di cui si parlava».
Il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, ha detto da parte sua che «la signora Pesce ha iniziato una collaborazione con la Dda che è durata per quasi sei mesi. Nell’ultimo interrogatorio si è avvalsa della facoltà di non rispondere e quindi allo stato la collaborazione è interrotta». Nell’ordinanza di custodia cautelare emessa contro la madre e la sorella di Giuseppina Pesce si sottolinea l’importanza della collaborazione della pentita. «Il suo ruolo svolto all’interno della potente cosca mafiosa - scrive il gip Vincenzo Pedone - e lo stretto legame con i sodali rendono il contributo da lei fornito estremamente significativo, nell’ambito di una realtà criminale difficilmente penetrabile e poco permeabile a fenomeni collaborativi». Quanto riferito dalla pentita, tra l’altro, rileva ancora il gip, ha trovato conferma nell’attività di riscontro delle sue dichiarazioni, con la scoperta di tre bunker, uno dei quali all’interno dell’abitazione del latitante Francesco Pesce, fratello di Giuseppina.
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