NAPOLI
Fu il capo di Cosa Nostra, Totò Riina, ad ordinare la strage del rapido 904 che il 23 dicembre 1984 provocò 16 morti. È l’accusa contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare che i carabinieri del Ros di Napoli hanno notificato stamattina al boss nel carcere di Opera.
Il provvedimento è stato firmato dal gip Carlo Modestino che ha accolto le richieste dei pm della Dda Paolo Itri e Sergio Amato, i magistrati che hanno riaperto l’indagine sulla base sia di nuove dichiarazioni di pentiti di mafia e di camorra - tra cui Giovanni Brusca - , sia di confronti tra le tracce dell’esplosivo utilizzato nella strage di Natale con quello adoperato in altri attentati di mafia. Come la strage di via D’Amelio dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Che la mafia fosse coinvolta nell’eccidio di 27 anni fa era un dato storico già acclarato nella sentenza definitiva, emessa dopo i processi di Firenze, che indicò come responsabili a vario titolo il «cassiere» di Cosa Nostra Pippo Calò, Guido Cercola, Franco Agostino e Friedrich Schaudinn. Ora un provvedimento della magistratura napoletana chiama in causa direttamente il capo della Cupola e inserisce l’attentato di Natale all’interno della strategia stragista perseguita dai Corleonesi. Il sanguinoso episodio rappresentò la prima «risposta» ai mandati di cattura relativi al maxi processo a Cosa Nostra emessi nel settembre 1984 dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma cosa si proponevano gli autori dell’eccidio? Tutto è riconducibile alle pressioni sullo Stato che Totò Riina voleva esercitare e che «erano destinate ai (veri o presunti che fossero) referenti politici del predetto mafioso», come ha sottolineato il procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico. Si trattava, scrive il coordinatore della Dda partenopea, di «una sostanziale forma di ricatto, al fine di indurre tali soggetti ad intervenire efficacemente per condizionare, a livello giudiziario, ed a beneficio dell’organizzazione, l’andamento del maxi processo».
Il disegno strategico di Riina prevedeva che l’attentato apparisse cone un «fatto politico», ovvero un delitto attribuibile al terrorismo eversivo, e ciò allo scopo di occultare la matrice mafiosa. Nella strage del rapido 904 e in quella di via D’Amelio fu utilizzata la stessa combinazione di esplosivi, costituita dal Setex H e da candelotti di dinamite pulverulenta nitroglicerinata, di impiego civile, denominata Brixia B5. Il Brixia 5, a sua volta, è lo stesso tipo di esplosivo che componeva l’ordigno piazzato nella zona antistante la villa dell’Addaura dove avvenne l’attentato al giudice Giovanni Falcone, nel giugno del 1989. Dalle dichiarazioni di vari pentiti di camorra è emerso che almeno una parte dell’esplosivo utilizzato per la strage sul treno sarebbe stato trasportato presso la stazione centrale di Napoli ed introdotto sul treno ad opera di camorristi attivi nelle zone della Sanità e di Forcella.
Per gli inquirenti insomma vi fu un coinvolgimento della malavita organizzata napoletana, e in particolare del gruppo che fa capo a Giuseppe Misso, anche se le sentenze definitive hanno scagionato tali imputati, i quali pertanto non sono più processabili. Una considerazione che si basa sulle recenti dichiarazioni di quattro pentiti: Luigi, Salvatore e Guglielmo Giuliano, della nota famiglia di Forcella nonchè Salvatore Stolder. Tutti hanno chiamato in causa il gruppo di Misso.
Fu il capo di Cosa Nostra, Totò Riina, ad ordinare la strage del rapido 904 che il 23 dicembre 1984 provocò 16 morti. È l’accusa contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare che i carabinieri del Ros di Napoli hanno notificato stamattina al boss nel carcere di Opera.
Il provvedimento è stato firmato dal gip Carlo Modestino che ha accolto le richieste dei pm della Dda Paolo Itri e Sergio Amato, i magistrati che hanno riaperto l’indagine sulla base sia di nuove dichiarazioni di pentiti di mafia e di camorra - tra cui Giovanni Brusca - , sia di confronti tra le tracce dell’esplosivo utilizzato nella strage di Natale con quello adoperato in altri attentati di mafia. Come la strage di via D’Amelio dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Che la mafia fosse coinvolta nell’eccidio di 27 anni fa era un dato storico già acclarato nella sentenza definitiva, emessa dopo i processi di Firenze, che indicò come responsabili a vario titolo il «cassiere» di Cosa Nostra Pippo Calò, Guido Cercola, Franco Agostino e Friedrich Schaudinn. Ora un provvedimento della magistratura napoletana chiama in causa direttamente il capo della Cupola e inserisce l’attentato di Natale all’interno della strategia stragista perseguita dai Corleonesi. Il sanguinoso episodio rappresentò la prima «risposta» ai mandati di cattura relativi al maxi processo a Cosa Nostra emessi nel settembre 1984 dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma cosa si proponevano gli autori dell’eccidio? Tutto è riconducibile alle pressioni sullo Stato che Totò Riina voleva esercitare e che «erano destinate ai (veri o presunti che fossero) referenti politici del predetto mafioso», come ha sottolineato il procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico. Si trattava, scrive il coordinatore della Dda partenopea, di «una sostanziale forma di ricatto, al fine di indurre tali soggetti ad intervenire efficacemente per condizionare, a livello giudiziario, ed a beneficio dell’organizzazione, l’andamento del maxi processo».
Il disegno strategico di Riina prevedeva che l’attentato apparisse cone un «fatto politico», ovvero un delitto attribuibile al terrorismo eversivo, e ciò allo scopo di occultare la matrice mafiosa. Nella strage del rapido 904 e in quella di via D’Amelio fu utilizzata la stessa combinazione di esplosivi, costituita dal Setex H e da candelotti di dinamite pulverulenta nitroglicerinata, di impiego civile, denominata Brixia B5. Il Brixia 5, a sua volta, è lo stesso tipo di esplosivo che componeva l’ordigno piazzato nella zona antistante la villa dell’Addaura dove avvenne l’attentato al giudice Giovanni Falcone, nel giugno del 1989. Dalle dichiarazioni di vari pentiti di camorra è emerso che almeno una parte dell’esplosivo utilizzato per la strage sul treno sarebbe stato trasportato presso la stazione centrale di Napoli ed introdotto sul treno ad opera di camorristi attivi nelle zone della Sanità e di Forcella.
Per gli inquirenti insomma vi fu un coinvolgimento della malavita organizzata napoletana, e in particolare del gruppo che fa capo a Giuseppe Misso, anche se le sentenze definitive hanno scagionato tali imputati, i quali pertanto non sono più processabili. Una considerazione che si basa sulle recenti dichiarazioni di quattro pentiti: Luigi, Salvatore e Guglielmo Giuliano, della nota famiglia di Forcella nonchè Salvatore Stolder. Tutti hanno chiamato in causa il gruppo di Misso.
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