PALERMO - Il generale dei carabinieri Mario Mori è indagato dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. L'inchiesta è quella sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. Lo confermano ambienti investigativi.
Mori è indagato insieme a Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, tra i protagonisti della presunta trattativa. Anche il figlio del politico corleonese è indagato per concorso in associazione mafiosa.
Sotto inchiesta anche i boss Totò Riina, Antonino Cinà e Bernardo Provenzano che rispondono del reato di attentato a corpo politico dello Stato. Stessa accusa per l'ex braccio destro di Mori, l'ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno.
Le nuove accuse al generale Mori, già sotto processo per favoreggiamento aggravato alla mafia, porteranno ad una modifica del capo d'imputazione nel dibattimento in corso. Si aggrava, dunque, la posizione dell'alto ufficiale.
Nella stessa inchiesta, dicevamo, è coinvolto anche Massimo Ciancimino, al quale è stato notificato un avviso di garanzia. La notizia dell'indagine sul figlio del politico corleonese, che sta svelando ai pm i retroscena della trattativa tra Stato e mafia, era nota dall'inizio dell'anno, quando, su richiesta della Procura di Palermo il gip aveva disposto la riapertura dell'inchiesta.
"Ho piena fiducia nei magistrati - aveva allora commentato l'indagato - È giusto che facciano luce sul ruolo che ho avuto in certe vicende. Non faccio parte di quelli che gridano al complotto: i pm lavorino serenamente, io sono tranquillo e dimostrerò che, dai primi contatti con i carabinieri fino ad oggi, ho sempre contrastato la mafia".
L'indagine, archiviata negli anni scorsi perchè i pm sostennero che il figlio di don Vito agiva su indicazioni del padre e non era "pienamente consapevole che la sua attività si inserisse in quella più complessiva dell'associazione mafiosa", è stata riaperta a seguito delle nuove ammissioni del testimone.
Massimo Ciancimino ha raccontato, tra l'altro, di avere consegnato i pizzini scritti dal boss Bernardo Provenzano al padre e di avere custodito le lettere e altri documenti dell'ex sindaco in una cassaforte di casa; ammissioni che potrebbero far pensare a un suo ruolo attivo nelle vicende di cui il padre era protagonista.
"Mi aspettavo quest'indagine. Era inevitabile viste le dichiarazioni che ho reso ai pm. Proprio per questo nel tempo ho esitato a consegnare tutti i documenti in mio possesso. La mia non è una situazione facile, ma forse in questo paese paga di più l'omertà". Lo ha detto Massimo Ciancimino che ha avuto un avviso di garanzia dai pm di Palermo nell'ambito di un'indagine in cui è accusato di concorso in associazione mafiosa.
"Non sono comunque l'unico indagato del procedimento - ha aggiunto Ciancimino - Questo dimostra che, nonostante tutto, le mie dichiarazioni sono ritenute credibili visto che proprio in base a ciò che ho detto altri vengono inquisiti.
Affrancarmi dall'eredità pesante del mio cognome non è facile - ha aggiunto - ma io andrò avanti. Ai pm ora ho dato tutti i documenti che avevo. Se in luoghi di cui non ho la disponibilità c'è altro non ne sono responsabile".
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