AGRIGENTO
Gerlandino Messina, catturato oggi pomeriggio a Favara, in provincia di Agrigento, ricercato dal 1999, dopo l’arresto di Giuseppe Falsone, il 25 giugno scorso, a soli 38 anni era diventato il nuovo capo provinciale di Cosa nostra ad Agrigento. Era inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità del ministero dell’Interno che continua velocemente a sfoltirsi. È ritenuto uno spietato killer: le sentenze lo descrivono sempre armato, anche di mitra, e guardato a vista da una scorta armata. E deve scontare l’ergastolo per associazione mafiosa e vari omicidi. Dal 2001 era ricercato anche in campo internazionale. Appartiene alla famiglia dei Messina di Porto Empedocle, un nucleo di antica tradizione mafiosa. Il padre Giuseppe venne ammazzato nel 1986 durante la guerra di mafia contro gli stiddari e anche lo zio Antonino fece la stessa fine. Fu Falsone, a volerlo quale suo vice, nonostante la resistenza feroce dei clan rivali.
Il territorio di Porto Empedocle, infatti, per anni è stato dominio incontrastato del boss Luigi Putrone capo della famiglia locale e i Messina, da sempre in lotta con lui, dovettero andare via. Ma con gli arresti dell’inchiesta Akragas del 1998 e 1999, che aveva decapitato i vertici locali e provinciali di Cosa Nostra, diversi boss furono costretti a darsi alla latitanza. Tra questi anche Luigi Putrone. Così mentre questi scappava dall’Italia nel marzo del 1998, Gerlandino Messina e suo zio Giuseppe ritornavano a Porto Empedocle entrambi da latitanti.
Era stato il pentito Maurizio Di Gati a confermare che dal 2004 rappresentava il numero 2 di Cosa nostra, immediatamente dietro Falsone, dal 2004: «Nel settembre o ottobre 2003 si era fatta una grossa riunione nella zona di Canicattì e Campobello di Licata nella campagna a disposizione di Gerlando»: una riunione che aveva definito i nuovi equilibri benedetti da Bernardo Provenzano. Verrebbe da dire: altri tempi. Oggi, infatti, Provenzano, Falsone e Messina sono stati tutti catturati.
Chi è il boss Gerlandino Messina
Gerlandino Messina era diventato, dopo l’arresto pochi mesi fa del boss Giuseppe Falsone, il numero uno della mafia agrigentina.
Ha 38 anni, di cui dieci passati a latitare. E’ parte di una delle famiglie storiche della mafia agrigentina. E’ figlio di Giuseppe Messina, boss di Porto Empedocle, assassinato nel 1987 da un commando di stiddari. Quella di Gerlandino Messina è una famiglia numerosa e con un ampio curriculum mafioso. Sei fratelli in tutto, Gerlandino Messina compreso, con i maschi di famiglia – 3 oltre al latitante - tutti coinvolti in vicende mafiose. Dopo la morte del padre, Gerlandino Messina prende le redini della famiglia mafiosa marinara, che, negli anni, si è contesa la podestà del mandamento del mare, con Siculiana – patria dei Caruana Cuntrera.
Su di lui pesa, tra le altre, una condanna all’ergastolo. Si tratta delle sentenze Akragas 1 e 2, che conclusero il processo per gli eccidi di mafia storici nell’agrigentino. Messina fu condannato per l’omicidio del maresciallo dei Carabinieri, Giuliano Guazzelli, “il mastino”, ucciso il 4 aprile del 1992. Tornava a Menfi, dalla moglie e dai figli, quando due sicari lo freddarono a colpi di mitra e di pistola. Il giorno prima, Guazzelli era stato a Roma a sentire un collaboratore di giustizia. Poi, nella scia di sangue, seminata da Gerlandino, ci sarebbe, a parere dei giudici, anche la morte di Di Lorenzo Pasquale, sovrintendente di polizia penitenziaria. Un omicidio su commissione, stando agli inquirenti,che sarebbe stato ordinato a Gerlandino dall’allora capo provincia, Salvatore Fragapane, ora all’ergastolo. E le morti dei pregiudicati Malla e Dalli Cardillo. Sempre nella sentenza Akragas si fa riferimento al fatto di mafia più vile, l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, di cui Messina è stato accusato di essere carceriere, nella fase agrigentina del sequestro. Nella sentenza Domino, dello scorso febbraio, Messina è stato invece condannato a 14 anni per l’omicidio, nel ’92 a Racalmuto, di Maurizio Rinallo.
A queste si aggiungono, come una fitta pioggia, decine di accuse per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento.
L’ultimo episodio legato a Gerlandino, quel covo, che quasi fa sentire l’odore del mafioso, scuote l’opinione pubblica agrigentina. Messina è un volto conosciuto da tutti e in ogni angolo della provincia, la sua foto rimbalza, da anni, nell’immaginario collettivo come l’effige dei boss sanguinari, che non perdonano niente a nessuno.
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