mercoledì 27 luglio 2011

Misso, boss del rione Sanità lascia, il carcere: per lo Stato è un pentito

 


NAPOLI - Tre anni e mezzo dopo il primo verbale di interrogatorio alla Dda di Napoli, Giuseppe Misso ha ottenuto il programma di protezione definitivo. Tre anni dopo - tante accuse messe agli atti - ma anche decine di udienze in videoconferenza nei principali processi di camorra istruiti a Napoli, c’è un punto fermo nella carriera di collaboratore di giustizia di un boss che ha fatto la storia (tutta ovviamente in negativo) del sistema criminale cittadino.

Misso ottiene un programma di protezione definitivo dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, lascia l’ala protetta di un carcere dove in questi anni ha battagliato non poco sulla sua credibilità di pentito, perno dell’accusa in inchieste per delitti in nome e per conto del clan che spadroneggiava a Napoli. Può lasciare il carcere, può tornare a casa. È stato scarcerato, tecnicamente è ai domiciliari, anche se gli è stata assicurata (come per altro accade per i pentiti di mafia), anche una certa libertà di movimento e di comunicazione, tutto ovviamente subordinato a un protocollo di controllo imposto dal Ministero.

Ora vive in un appartamento anonimo di un luogo riservato, probabile che per lui siano stati avviati anche progetti di progressiva emancipazione rispetto al marchio di boss della camorra che ha scandito il suo passato. Giuseppe Misso (all’anagrafe Missi) - sessant’anni compiuti - può immaginare una nuova identità, un lavoro, una storia diversa (anche se ovviamente legata all’esito dei processi non ancora conclusi in cui risponde ancora di delitti efferati). Una decisione controversa, che passa dopo la nota spedita dalla Dda di Napoli alla Procura nazionale antimafia, fino all’istanza del suo avvocato Michele Capano dinanzi al Tribunale di Sorveglianza romano.

Per molti mesi si è discusso sulla sua attendibilità come pentito. Non tanto per quello che ha detto, quanto per le zone d’ombra racchiuse nei verbali firmati dinanzi ai pm del pool guidato dal procuratore aggiunto Sandro Pennasilico. Non ha mai detto granché di significativo sulla strage del Rapido 904 (reato per il quale Misso era stato assolto in via definitiva nel corso degli anni Novanta), né ha contribuito a fare luce sulle trame oscure che hanno protetto per anni crimine organizzato e politica. Il resto è un lungo racconto di odio, sangue e omicidi: quelli contro l’Alleanza di Secondigliano (per altro trasfigurati in modo narrativo nel suo romanzo, «I leoni di Marmo»), contro il clan Licciardi che uccisero la moglie all’inizio degli anni Novanta.

Oggi è imputato per almeno cinque omicidi, tutti organizzati per dare seguito a una vendetta agognata negli anni della lunga detenzione in isolamento. Cinque omicidi per i quali è candidamente reo confesso.

Lascia la cella, torna a casa, dopo una detenzione ultraventennale. A dicembre del 2003 l’ultima volta che aveva provato a mettere il naso fuori dal carcere (era Poggioreale), quando per un difetto di notifica venne scarcerato solo per una manciata di secondi. Era mezzanotte, termini scaduti per un vizio di forma, la sagoma del «re Nasone» che lascia il carcere, decine di fotografi che lo inchiodano nell’unico scatto oggi a disposizione. Da allora, una lunga detenzione. Unico periodo fuori dalle celle, tra il 1999 e il 2002, quando Misso dà seguito a un’ampia riorganizzazione della camorra.

Nella sua casa di Largo Donnaregina, a pochi passi dalla Curia arcivescovile, legge i libri di De Felice sul fascismo, si dà alla filosofia di Heidegger e Nietzsche, vive da imprenditore apparentemente lontano da droga, falso, contrabbando e estorsioni. Poi, però, tesse la sua tela: nasce la camorra «a tre teste», assieme ai Mazzarella (padroni di Forcella e del Mercato dopo il crollo del clan Giuliano), ai Di Lauro di Secondigliano. Ramifica alleanze ai Quartieri, lascia mano libera sui reati tipici dei clan rionali, ma lavora su un doppio livello: quello sanguinario, con gli omicidi di boss e pregiudicati vicini ai Licciardi; e quello politico: organizza pacchetti di voti per sostenere cavallucci buoni per la corsa alle regionali del 2000. Insomma, raccoglie consensi.

Nessuno lo dice, ma in città comanda lui. Tanti episodi da chiarire, come il rapporto con una parte dei servizi segreti (scenario sul quale ha finora taciuto), come la storia di un piccolo intervento chirurgico in un ospedale napoletano accudito da sedicenti esponenti delle forze dell’ordine, o come il racconto di un incontro a Salerno (da Misso sempre smentito) con esponenti dei servizi sugli assetti della camorra in città. Storie destinate probabilmente a rimanere inesplorate, di tanto in tanto accennate da altri pentiti o testimoni, da ex fedelissimi che hanno via via ceduto alle indagini di carabinieri e polizia. Verbali di gregari o comprimari, come il ricordo di un ex killer giovanissimo del rione Sanità, che si era tatuato sul petto un segno di affiliazione verso Giuseppe Misso, l’ex padrino dei vicoli del centro storico che oggi incassa la scarcerazione dopo anni di vendette, trame e tanti silenzi.

Leandro Del Gaudio

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