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giovedì 21 luglio 2011
Bari, i soldi sporchi del clan Parisi riciclati in negozi
BARI - Dall’esterno si vedono vetrine all’ultima moda e tavolini eleganti. Oltre il bancone, personale dai modi gentili e nessuna inflessione dialettale. Ma dietro alcuni tra i più noti esercizi commerciali della città potrebbero esserci i soldi del clan Parisi. Negozi di abbigliamento, pizzerie e bar intestati a prestanome ma riconducibili al gruppo criminale che per anni ha dominato Bari. E che adesso ha infiltrato l’economia legale.
Dopo aver esplorato i rapporti del clan con i colletti bianchi, l’inchiesta Domino pare aver seguito il vecchio insegnamento di Giovanni Falcone. Follow the money, segui i soldi: la Direzione distrettuale antimafia di Bari ritiene di averli trovati nel centro murattiano, dove sarebbe nascosta una parte cospicua del tesoretto dei Parisi. Decine di milioni di euro.
Negli ultimi mesi il Gico della Guardia di finanza ha esplorato la rete di società riconducibili ad alcuni dei personaggi già emersi nella prima tranche dell’indagine. E, seguendo il flusso dei capitali è arrivata ai prestanome del clan. Persone incensurate, apparentemente lontane dagli ambienti criminali: ma che risulterebbero aver riciclato nelle loro società i soldi provenienti dalle attività illecite dei Parisi. Che sarebbero diventati soci occulti di pizzerie, ristoranti, negozi diventati lavatrice del clan.
Nel registro degli indagati ci sarebbero già alcune decine di nomi, gli insospettabili per i quali il Gico ha già fatto emergere una rete di rapporti occulti. Imprenditori ma anche professionisti sospettati di fiancheggiare le attività illecite della criminalità organizzata: sono gli «architetti» incaricati di costruire imperi legali sulle fondamenta di ricavi occulti. Provenienti non solo dalle fonti classiche, droga ed estorsioni, ma anche - forse soprattutto - da meccanismi più sofisticati come le bancarotte: «I clan - esemplifica un investigatore - hanno lasciato a casa la pistola per indossare la cravatta».
L’inchiesta per il momento si è mossa sottotraccia. Ma ora, dopo aver acquisito una base documentale che viene ritenuta «molto solida», la Dda potrebbe procedere con perquisizioni e sequestri: in questi casi, infatti, la misura più efficace viene ritenuta il blocco dei capitali e delle attività infiltrate.
È già accaduto di recente con la concessionaria Audi Zentrum: la procura ha infatti scoperto che dal 2008 allo scorso marzo una decina di auto risultavano nella disponibilità dei clan, pur essendo intestate al rivenditore. Dopo che la sezione misure di prevenzione del Tribunale nello scorso marzo ha sospeso per sei mesi l’amministratore unico Michele Dipinto, il commissario nominato dai giudici ha evidenziato un buco di 28 milioni nei conti della concessionaria: soldi che potrebbero essere serviti, teme la procura, per allargare la «ragnatela del clan sull’economia legale».
E intanto tra gli indagati della seconda fase spunta anche Lello Degennaro, imprenditore e rettore dell’università privata Lum di Casamassina. L’accusa è di riciclaggio in concorso con Vincenzo Lagioia e con il commercialista Vito Lacasella. Due giorni fa sono stati perquisiti (con esito negativo) l’ufficio personale al «Baricentro» e l’auto di Degennaro, oltre che l’abitazione di Lacasella a Torre a Mare. L’indagine riguarda fatti avvenuti tra il 2002 e il 2005. Al centro delle verifiche dei finanzieri ci sarebbe un preliminare di vendita stipulato nel tra Lagioia e Lacasella, amministratore della «Sec», per la vendita di un terreno alla periferia di Noicattaro.
Un affare sfumato, per il quale Lagioia ha versato alla Sec una penale di due milioni di euro, pari al doppio della caparra. Secondo la Procura quei soldi proverrebbero dalla bancarotta fraudolenta di una società che faceva capo a Michele Labellarte, l’imprenditore morto un anno e mezzo fa e coinvolto, insieme a Lagioia, nella prima tranche di Domino. Lacasella viene invece ritenuto un prestanome di Degennaro.
«Ben venga ogni tipo di indagine - commenta l’avvocato di Degennaro, Antonio La Scala -: sarà agevole dimostrare che siamo di fronte ad un’ipotesi di concorso in riciclaggio per un unico episodio e con una persona mai conosciuta. Dispiace vedere il nome di Degennaro affiancato alla parola mafia».
[g.l - m.s.]
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