lunedì 28 febbraio 2011

Morto in un agguato dei taleban dopo una missione umanitaria

Afghanistan, il tenente Ranzani colpito con i quattro compagni Berlusconi: «E' un calvario»

 
ROMA

Si chiamava Massimo Ranzani, aveva 36 anni, era di Ferrara, faceva parte del 5° reggimento Alpini di Vipiteno: è stato ucciso oggi in Afghanistan, portando a 37 la triste quota dei militari italiani che hanno perso la vita nella missione internazionale di pace. A colpirlo è stato alle 12.45 ora locale a 25 chilometri a nord di Shindand, l’esplosione di un ordigno improvvisato, che ha coinvolto un veicolo blindato "Lince" della Task Force Center.

Altri quattro militari sono rimasti feriti, ma la loro vita non è in pericolo: sono ricoverati presso l’ospedale da campo «Role 2» di Shindand e le loro condizioni non destano ora preoccupazioni tra il personale sanitario. I quattro hanno riportato traumi e fratture primariamente agli arti inferiori, per due di loro si è reso neceassario un intervento. Per uno dei quattro militari è probqabnile sia necessario anche un intervento oculistico. La pattuglia rientrava da un’operazione di assistenza medica alla popolazione locale.

Il rientro in Italia della salma di Ranzani è previsto per mercoledì. Le esequie del militare dovrebbero essere celebrate giovedì, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, a Roma. Lo ha confermato, dopo le prime indicazione da fonti militari, il Comune di Occhiobello (Rovigo), ove Ranzani risiedeva, precisando che la notizia è arrivata dall’ambasciata d’Italia a Kabul. Il feretro del soldato italiano arriverà con volo militare in partenza da Herat domani presumibilmente alle 21 locali, con arrivo alle 9 circa di mercoledì a Roma-Ciampino.

Unanime il cordoglio per l’ennesima vittima italiana in Afghanistan. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, «appresa con profonda commozione la notizia del gravissimo attentato perpetrato a Shindand, in Afghanistan, contro il contingente italiano impegnato nella missione internazionale Isaf» ha subito espresso «i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti».

Analoghi messaggi sono stati inviati dai presidenti dei due rami del Parlamento. «Profondo dolore per un’altra vittima che cade immolandosi sull’altare della democrazia», ha dichiarato il presidente del Senato Renato Schifani, ribadendo che «l’Italia non può che rimanere in Afghanistan. Il nostro Paese continua a pagare degli alti prezzi, ma lo fa in piena coscienza e nella consapevolezza che la libertà è un bene da garantire anche al di fuori dei propri confini».

Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha rinnovato il suo «apprezzamento per il coraggio, la professionalità e lo spirito di sacrificio con cui i nostri militari svolgono la loro opera in quel tormentato Paese».

Sul fronte del governo, Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha parlato di «un calvario: ci chiediamo se gli sforzi che stiamo facendo per la democrazia in quel lontano Paese stiano andando in porto». Dal suo canto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha ribadito che «in Afghanistan, la nostra linea non cambia di fronte ad un evento luttuoso. Le scelte si fanno a prescindere da questo, tenendo certo conto del sacrificio che tali scelte comportano».

Quindi, ha ricordato la vittima: «Mi inchino alla memoria di questo ragazzo, che va ad aggiungersi dolorosamente ad una lista troppo lunga. Una lista che non possiamo e non vogliamo dimenticare». Quindi, ha spiegato la dinamica dell’attentato: spiegato la dinamica dell’attentato: «Il Lince colpito era il secondo di una colonna di 13 mezzi italiani, compresa un’ambulanza, ed è stato colpito da un ordigno rudimentale».

Il mezzo, informa La Russa, «era dotato di un dissuasore elettronico che impediva l’accensione dell’ordigno a distanza ed evidentemente è stato azionato a mano o con una frequenza non coperta». Anche da parte del ministro dell’Interno Roberto Maroni è arrivato il «cordoglio alla famiglia del tenente Massimo Ranzani, deceduto durante l’espletamento del proprio dovere in Afghanistan».

Con la morte del militare italiano, sale ora a 37 il numero dei nostri soldati vittime in Afghanistan dall’inizio della missione nel 2004 a oggi. Poco più di un mese fa, il 18 gennaio, era rimasto ucciso nell’avamposto di Bala Murghab il caporal maggiore Luca Sanna.

«Davanti a questa Via Crucis di innocenti - ha esclamato monsignor Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare per l’Italia - non abbiamo voglia di parlare ma dal di dentro, da credenti, dobbiamo vivere in modo da far uscire fuori la bellezza della fede che spinge i cristiani a lottare contro il male che non viene da Dio. La risposta da dare è donarsi con tutta l’esistenza perchè l’amore trionfi sull’egoismo».

Il rischio crescente di attacchi terroristici in Afghanistan era contenuto nella relazione dei nostri servizi segreti, trasmessa solo pochi giorni fa dal Dis, il dipartimento per l’informazione e la sicurezza, al Parlamento. «Il quadro della situazione è instabile - si avvertiva - e in particolare la province occidentali del Paese, sede del Regional Command West della missione Isaf, a guida italiana, saranno esposte al crescente rischio di attacchi, specie in relazione al riposizionamento in area di miliziani provenienti dalla regione meridionale, in esito alle operazioni di controinsorgenza avviate nel 2010 dalle forze di sicurezza afghane congiuntamente a reparti di Isaf».

«Quanto al modus operandi - si legge ancora nella relazione del Dis- è verosimile che nell’esecuzione di azioni ostili continuino ad essere privilegiate le tecniche di guerriglia, quali le imboscate e il posizionamento di Ied (Improvised Explosive Devices) lungo le rotabili interessate dal transito di forze internazionali e governative, nonchè l’impiego di razzi e mortai contro le basi militari di Isaf. Non sono da escludere, inoltre, rapimenti di personale occidentale impegnato a vario titolo nel processo di ricostruzione».

Proprio gli Ied sono i nemici più insidiosi della forze della coalizione, usati per una vera e propria strategia militare che colpisce a freddo, senza avvisaglie. Contrastare e prevenire gli attentati condotti con gli ordigni esplosivi improvvisati, è divenuta una priorità per le forze alleate in Afghanistan. Se ieri "artiglieria" significava esplodere un proiettile per colpire un obiettivo lontano che stava fermo, oggi il bersaglio si muove e l’ordigno sta lì ad aspettarlo, per scoppiare quando gli passerà vicino.

Gli Ied sono ordigni realizzati in maniera artigianale tramite l’impiego di parti di ordigni convenzionali, recuperati per via fortuita o di contrabbando il loro utilizzo, nonostante gli importanti progressi svolti da Isaf per contrastarne la minaccia, rappresenta una delle modalità di azione tra quelle utilizzate dagli insurgent. Le forze di sicurezza Isaf svolgono una continua attività per prevenire questo genere di minaccia, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di sicurezza e garantire uno sviluppo sociale ed economico in Afghanistan.

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