lunedì 28 febbraio 2011

«Gheddafi ultima chiamata deve lasciare la Libia»

Sanzioni Onu: embargo e blocco beni

Formato dall'opposizione il Consiglio nazionale libico. L'Unhcr: uno tsunami di migranti al confine con la Tunisia
 
 
ROMA - Barack Obama chiede esplicitamente al colonnello Muammar Gheddafi di lasciare il potere «per il bene del suo Paese». Nello stesso tempo, anche le Nazioni unite si mobilitano formalmente contro il rais. Il consiglio di Sicurezza ha approvato all'unanimità sanzioni contro il suo regime e i membri della sua famiglia. Mentre a Tripoli si teme lo scoppio di una guerra civile, la Casa Bianca e il Palazzo di Vetro rompono gli indugi e, di concerto con l'Unione europea, sanciscono nei fatti l'isolamento internazionale del dittatore libico. Approvato anche il deferimento alla Corte dell'Aja di Gheddafi.


Ancora scontri ad al-Zawiyah. Violenti combattimenti si sono registrati la scorsa notte nella città occidentale di al-Zawiyah: la città è ancora in mano ai ribelli ma nella periferia sono presenti le truppe fedeli a Gheddafi. Secondo il quotidiano arabo "al-Quds al-Arabi" «le forze fedeli a Gheddafi hanno sferrato un duro attacco provocando il ferimento di molte persone. A sparare erano soldati mercenari che hanno usato le armi pesanti per bombardare la città». Dall'inizio della rivolta sarebbero una cinquantina le persone uccise in quella zona.

Tsunami di migranti al confine con la Tunisia. Lo dice la portavoce dell'Unhcr, Liz Eyster, che in un'intervista con la Bbc parla di circa 50mila persone provenienti dalla Libia. Tra questi circa la metà sono egiziani. La priorità al momento è provvedere per ognuno a cibo ed accoglienza e per questo sono in arrivo 10mila tende e cibo altamente proteico. Il passo successivo è spostare la gente dalle frontiera e per questo si stanno organizzando navi e aerei, ha detto ancora la portavoce di Unhcr. (La portavoce dell'Unhcr ha affermato che l«Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni) sta provvedendo ad organizzare navi per trasportare i cittadini egiziani, mentre circa 130 somali si imbarcheranno su un volo charter che li porterà in Somalia. Liz Eyster ha inoltre elogiato le autorità locali per gli sforzi effettuati nel fornire soccorso al flusso di persone proveniente dalla Libia.

Quanto sta avvenendo è colpa degli «stranieri e di al Qaeda», ha ribadito Gheddafi in una intervista alla tv serba. Il colonnello ha confermato che intende restare in Libia. La situazione a Tripoli è tranquilla e l'Onu non può verificarlo, ha detto Gheddafi, condannando il Consiglio di sicurezza per le sanzioni e la possibilità di una inchiesta per crimini di guerra nei suoi confronti. La risoluzione è nulla e «non ha alcun valore. E' strano che al Consiglio di sicurezza non vedano le manifestazioni in mio favore».

L'opposizione a Bengasi ha anunciato di aver formato un Consiglio nazionale libico precisando che non si stratta di un governo ad interim e descrivendolo come espressione della rivoluzione. Un portavoce ha detto che non c'è spazio per alcun negoziato con il governo di Gheddafi. In una conferenza stampa, convocata dopo una riunione per discutere della formazione del Consiglio che possa sostenere il movimento per far cadere il regime di Gheddafi, gli oppositori hanno detto che quello definito dall'ex ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalil come governo ad interim è «la sua visione personale». Nel Tribunale di Bengasi si sono insediati i comitati che gestiscono la città dopo la liberazione.

La risoluzione Onu prevede sanzioni dirette contro Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di «congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui». Oltre all'embargo sulle forniture di armi, la bozza prevede un deferimento alla Corte penale internazionale dell'Aja, competente per giudicare i crimini di guerra contro l'umanità. Secondo i Quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell'eccidio in qualità di «comandante delle Forze Armate», vanno colpiti anche due suoi cugini, Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di «operazione contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche», e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, «coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell'Europa».

Presi di mira anche il capo delle Forze Armate, il colonnello Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa, generale Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo, Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell'intelligence e dei comitati rivoluzionari. Infine, come ha indicato l'ambasciatrice degli Stati Uniti, Susan Rice, la risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale se necessario.

Prima che il consiglio di Sicurezza definisse gli ultimi dettagli, Ban Ki Moon ha chiamato Silvio Berlusconi. Ban «ha discusso le opzioni disponibili per risolvere la crisi e ha chiesto il continuo appoggio dell'Italia e un suo ruolo attivo per un'azione decisiva». Un ruolo assicurato da Berlusconi che, dal canto suo - informa una nota di Palazzo Chigi - «ha sottolineato il ruolo centrale dell'Onu nel promuovere una reazione efficace della comunità internazionale, sottolineando l'impegno dell'Italia a cooperare in tutti i fori multilaterali per una soluzione rapida e pacifica della crisi». Con Ban il premier ha inoltre «condiviso la necessità di porre termine alle violenze sui civili e alle violazioni del diritto umanitario e internazionale e quella di garantire un futuro di stabilità e integrità della Libia». E proprio per ottenere questa «azione decisiva», per porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del consiglio di Sicurezza, in linea con la Ue, trovano l'accordo per imporre un embargo sulle armi, il blocco dei beni del Colonnello e dei suoi familiari, oltre al divieto di viaggiare nell'Unione europea.

La situazione in Libia è a un «punto di non ritorno», è «inevitabile» che Gheddafi se ne vada. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Non avevamo mai visto situazioni in cui il capo di un regime dà ordine di uccidere i suoi stessi fratelli e le sue stesse sorelle, assoldando addirittura dei mercenari. Siamo arrivati a un punto di non ritorno».

Ashton: repressione Gheddafi avrà conseguenze. La repressione in Libia compiuta da Gheddafi avrà conseguenze, ha detto oggi l'alto rappresentante per la politica estera della Ue, Catherine Ashton, chiedendo di nuovo la fine immediata delle violenze. «Gheddafi e le autorità libiche sanno che le loro azioni inaccettabili e scandalose avranno conseguenze - si legge in un comunicato della Ashton - Le violazioni dei diritti umani devono cessare immediatamente». L'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue sottolinea poi la necessità che i responsabili degli attacchi contri i civili siano assicurati alla giustizia: «L'impunità contro i crimini commessi non sarà tollerata».

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