martedì 23 novembre 2010

Trent'anni fa l'Irpinia: 3 mila morti e una terra ancora oggi straziata

I feriti furono 9000, 300.000 gli sfollati. Danneggiati 280 paesi, 36 rasi al suolo.
Oggi mancano 600 milioni per finire la ricostruzione. Napolitano:
"Cultura della prevenzione"

Tremila morti, novemila feriti, 300 mila senza tetto. E' la cifra della catastrofe del terremoto dell'Irpinia, trent'anni fa. Il 23 novembre del 1980, un devastante terremoto colpì la Basilicata e la Campania, in particolare l'Irpinia: mentre si moltiplicano polemiche per emergenze più o meno recenti, oggi quella terra ricorda quei momenti e l'apporto di tanti volontari, che ieri come oggi hanno aiutato una popolazione e un territorio a sopravvivere.

In una nota della Caritas che ricorda quel disastro si legge che «il pensiero va ai tanti, troppi disastri che hanno ferito l'Italia: dalle recenti alluvioni in Veneto, Toscana, Campania, Calabria alle frane nel Messinese, al terremoto in Abruzzo, solo per citare le più eclatanti».

Quel tragico 23 novembre del 1980, un terremoto sconvolse una vasta area tra Campania e Basilicata. L'area più colpita è nel cuore dell'Irpinia, in provincia di Avellino, ma danni gravi si registrano anche nelle province di Potenza, Napoli, Salerno. A trenta anni di distanza sono ancora aperte le crepe di quel minuto e 20 secondi che ha seminato morte e distruzione, ma che ha anche generato una straordinaria solidarietà. Dietro ai numeri spaventosi - circa 3.000 morti, 9.000 feriti, 300.000 senza tetto - altrettante storie interrotte. Vite devastate, lacerate, cambiate per sempre. I comuni danneggiati furono 280, i paesi rasi al suolo 36. Due le diocesi principalmente coinvolte (Avellino e Potenza), 29 quelle interessate. L`area colpita misura 27mila chilometri quadrati, tre volte quella del sisma in Friuli nel 1976.



Trent'anni dopo il «catastrofico terremoto del 23 novembre 1980» - che, in 90 secondi terribili, sconvolse e cambiò la vita di vaste aree dell'Irpinia e della Basilicata (in quest'ultima regione la ricostruzione è all'85 per cento e servono 600 milioni di euro per completarla) - è sempre più necessario «sviluppare la cultura della previsione e della prevenzione». È uno dei punti cardinali del messaggio che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano - ricordando la «profonda emozione» causata dal sisma - ha diffuso per l'anniversario del terremoto, mentre a Potenza ieri era in corso l'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università della Basilicata, «figlia» della legge 281 del 1981 sulla ricostruzione della aree danneggiate.

Il «filo» della previsione e della prevenzione si è annodato subito alle parole pronunciate da Franco Gabrielli, capo del Dipartimento della protezione civile e da Giuseppe Zamberletti, presidente della Commissione Grandi Rischi. Trent'anni dopo, anche loro due sono tornati in Basilicata: Gabrielli arrivò a Muro Lucano (Potenza) - uno dei centri più colpiti dal sisma - con un gruppo di studenti pisani (e vi tornò in occasione della Pasqua dell'anno successivo), per aiutare i lucani a rialzarsi. Zamberletti fu incaricato di coordinare i soccorsi alle popolazione terremotate ed è considerato il «padre» della protezione civile italiana. Proprio Zamberletti ricorda che l'istituzione dell'Università in Basilicata non va vista «come risarcimento a queste terre bensì come volano per lo sviluppo e per il domani dei giovani».

L'ex commissario usa un paragone militare per spiegare le 48 ore di ritardo degli aiuti, che all'epoca scatenarono forti polemiche: «Le grandi forze di soccorso erano al Centro-Nord, e io mi trovavo a comandare truppe in una guerra già iniziata, e senza alcun piano di battaglia, essendo stato nominato 24 ore dopo le terribili scosse». Quello, secondo Zamberletti, è l'esatto momento in cui è stata concepita la moderna Protezione Civile: «Tutti capirono che ciò che avevamo chiesto dopo il terremoto in Friuli era giusto, anche se non ce lo avevano concesso». Per i geologi quella tragedia è stata «un'occasione sprecata per pianificare un reale recupero ed una valorizzazione dei tessuti insediativi storici».

Francesco Peduto, presidente dell'ordine dei geologi della Campania, accusa: «Quali e quanti comuni si sono salvati dalle brutture della ricostruzione? Dobbiamo ricordare che alcuni portali in pietra di San Gregorio Magno sono stati rinvenuti addirittura negli Stati Uniti? Romagnano al Monte, nel salernitano, la Pompei del 2000, è stata completamente abbandonata per scelte politiche e non tecniche: il paese è stato ricostruito a qualche chilometro di distanza. Il centro nuovo sembra un quartiere periferico e desolato di una grande città. Il bellissimo borgo antico, sinora preservato perché nessuno ci aveva messo le mani, sta per essere trasformato a fini turistico - culturali, mentre gli abitanti di Romagnano hanno perso la loro storia, la loro cultura e non torneranno più».

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