lunedì 22 novembre 2010

Trattativa Stato-mafia, favore a Sandokan si rileggono gli atti giudiziari di 17 anni fa

di Rosaria Capacchione


CASERTA (22 novembre) - Magari è soltanto un caso, una semplice coincidenza. Ma a distanza di diciassette anni, mentre si indaga sulla trattativa tra Stato e mafia che seguì le stragi di Capaci e di via D’Amelio, viene il sospetto che la scarcerazione anticipata di Francesco Schiavone detto Sandokan , a quell’epoca solo una delle teste del clan dei Casalesi, sia stata uno dei tasselli dello stesso disegno.



C’era anche lui tra quanti, nel 1993, firmarono l’appello - pubblicato l’11 agosto - al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per la revoca del 41 bis. Non rientrò, però, tra quanti subito dopo beneficiarono del provedimento di clemenza deciso dal Guardasigilli Giovanni Conso. A Schiavone andò molto meglio: il 15 ottobre, venti giorni prima del rientro nelle celle ordinarie del carcere dell’Ucciardone dei mafiosi siciliani, lasciò il carcere di Secondigliano dove era temporaneamente detenuto in attesa di partecipare a un processo.

Lo aveva deciso il giudice di sorveglianza di Sassari, competente a decidere sulle istanze presentate dai detenuti dell’Asinara, il supercarcere nel quale il boss di Casal di Principe stava scontando una condanna definitiva a cinque anni di reclusione per associazione camorristica. Il fine pena era previsto per il mese di ottobre del 1995, due anni dopo. Il giudice del tribunale sardo aveva accolto una richiesta di liberazione anticipata presentata alla metà di settembre dal difensore di Schiavone. Era stato chiesto di scomputare i giorni di buona condotta, tre mesi per ogni anno di detenzione, abbuono che il Tribunale di Napoli aveva sempre negato in virtù dei precedenti specifici del condannato, tutti per reati associativi e di sangue. Il giudice di Sassari, invece, ritenne fondata l’istanza e concesse il nulla osta. Il regalo vero, però, fu quello che seguì.

La decisione del Tribunale di Sassari fu comunicata all’ufficio matricola del carcere di Secondigliano la mattina del 15 ottobre, un sabato, e immediatamente messa in esecuzione. Lo stesso fax fu trasmesso agli uffici di polizia due giorni dopo, il 17 ottobre. Alla Squadra mobile di Caserta, che aveva lo aveva in carico, fu impossibile quindi notificare il provvedimento di sorveglianza speciale - con l’obbligo di dimora per due anni nel comune di residenza - prevista dalla stessa sentenza di condanna. Francesco Schiavone sparì nel nulla.

Con il blitz dell’operazione Spartacus, il 5 dicembre del 1995, diventò uno dei più importanti e pericolosi latitanti italiani, ricercato per vari omicidi e per essere uno dei promotori dell’associazione camorristica nata dalle ceneri del clan Bardellino. Ne fu segnalata la presenza tra l’Agro aversano e Castelvolturno, nei mari della Grecia, in crociera sullo yacht Anfra II intestato a Dante Passarelli, imprenditore dello zucchero, proprietario dello stabilimento Ipam, di società di catering e di centinaia di appartamenti.

In quel periodo concepì anche le due ultime figlie, Angelica e Chiara, le sole femmine dopo cinque maschi, entrambe nate in una clinica napoletana nella cui nursery, presidiata giorno e notte da polizia e carabinieri, lui non andò a vederle. Fu arrestato l’11 luglio del 1998, nel bunker sotterraneo scavato nelle grotte di tufo di una casa di via Salerno, a Casal di Principe.

Il processo Spartacus, nel quale è stato condannato all’ergastolo con sentenza diventata definitiva il 30 ottobre scorso, era iniziato dieci giorni prima nell’aula bunker di via Cappuccini, una casamatta di cemento armato all’estrema periferia di Santa Maria Capua Vetere, di fronte all’ingresso del cimitero di Capua. Lui, Schiavone, ha partecipato a tutte le udienze presienzando virtualmente dal sito dedicato collegato in videoconferenza con la Corte di Assise

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