PALERMO (1 novembre) - Un metro e settanta al massimo. Questa l'altezza dell'uomo sepolto nella bara di Salvatore Giuliano. Il dato, pur non sciogliendo ancora tutti i dubbi sull'identità del cadavere riesumato venerdì scorso e per alcuni di un sosia di Turiddu, getta ombre pesanti sulla vicenda e si scontra con i ricordi dei familiari del re di Montelepre, certi che il bandito indipendentista fosse alto più di un metro e ottanta.
Il medico legale, Livio Milone, incaricato dalla Procura di Palermo di effettuare l'esame del dna sui resti, unico test certo per stabilire chi sia stato sepolto per oltre 60 anni nel cimitero di Montelepre, ha stabilito l'altezza del corpo riesumato attraverso la misurazione delle ossa lunghe (femore, tibia, omero). Un metro e settanta, ha accertato il consulente. Dieci centimetri in più dell'altezza stabilita dai rilievi fatti subito dopo la riesumazione del cadavere; dieci in meno rispetto ai ricordi dei parenti di Turiddu. «Dalle tantissime fotografie in mio possesso - spiega il nipote, Giuseppe Sciortino - si evince con chiarezza che mio zio superava il metro e 70. Ad esempio, in una è accanto a uno dei suoi fratelli che era alto un metro e 77 ed è evidente che è di gran lunga più alto».
«Per non parlare - aggiunge - di quelle in cui è ritratto vicino a mia madre (la sorella, ndr), che era circa uno e 60. Lì la differenza è evidentissima». In un'altra foto, poi, «il re di Montelepre», pur essendo collocato più in basso rispetto ad altri personaggi, tra i quali il sergente dell'Oss Wilson Morris, è molto più alto. Ma per avere la certezza servono dati ufficiali: ed è su questo che si stanno concentrando le indagini dei pm di Palermo, che sul caso hanno aperto un fascicolo per omicidio e sostituzione di cadavere.
I magistrati hanno delegato alla Mobile le ricerche delle eventuali carte d'identità, delle misurazioni effettuate durante la visita di leva, insomma di tutto quanto possa contribuire a risalire a una misurazione certa. Il nipote del bandito conserva una carta di identità rilasciata quando lo zio aveva 15 anni. «Lì - racconta - viene indicata un'altezza di uno e 60, ma mia madre mi racconta che il fratello, dopo i 18 anni, sarebbe cresciuto di oltre 15 centimetri». La risposta decisiva, dunque, è lasciata al dna. Ammesso che l'esame si possa fare. Non è ancora chiaro inoltre se i resti riesumati siano utilizzabili per questo genere di accertamento, l'unico in grado di sciogliere il sospetto che nella bara della cappella 'Giulianò sia stato messo un sosia e che il vero bandito sia fuggito all'estero.
Il medico legale, Livio Milone, incaricato dalla Procura di Palermo di effettuare l'esame del dna sui resti, unico test certo per stabilire chi sia stato sepolto per oltre 60 anni nel cimitero di Montelepre, ha stabilito l'altezza del corpo riesumato attraverso la misurazione delle ossa lunghe (femore, tibia, omero). Un metro e settanta, ha accertato il consulente. Dieci centimetri in più dell'altezza stabilita dai rilievi fatti subito dopo la riesumazione del cadavere; dieci in meno rispetto ai ricordi dei parenti di Turiddu. «Dalle tantissime fotografie in mio possesso - spiega il nipote, Giuseppe Sciortino - si evince con chiarezza che mio zio superava il metro e 70. Ad esempio, in una è accanto a uno dei suoi fratelli che era alto un metro e 77 ed è evidente che è di gran lunga più alto».
«Per non parlare - aggiunge - di quelle in cui è ritratto vicino a mia madre (la sorella, ndr), che era circa uno e 60. Lì la differenza è evidentissima». In un'altra foto, poi, «il re di Montelepre», pur essendo collocato più in basso rispetto ad altri personaggi, tra i quali il sergente dell'Oss Wilson Morris, è molto più alto. Ma per avere la certezza servono dati ufficiali: ed è su questo che si stanno concentrando le indagini dei pm di Palermo, che sul caso hanno aperto un fascicolo per omicidio e sostituzione di cadavere.
I magistrati hanno delegato alla Mobile le ricerche delle eventuali carte d'identità, delle misurazioni effettuate durante la visita di leva, insomma di tutto quanto possa contribuire a risalire a una misurazione certa. Il nipote del bandito conserva una carta di identità rilasciata quando lo zio aveva 15 anni. «Lì - racconta - viene indicata un'altezza di uno e 60, ma mia madre mi racconta che il fratello, dopo i 18 anni, sarebbe cresciuto di oltre 15 centimetri». La risposta decisiva, dunque, è lasciata al dna. Ammesso che l'esame si possa fare. Non è ancora chiaro inoltre se i resti riesumati siano utilizzabili per questo genere di accertamento, l'unico in grado di sciogliere il sospetto che nella bara della cappella 'Giulianò sia stato messo un sosia e che il vero bandito sia fuggito all'estero.
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