Da tana della «tigre» a laboratorio dei mestieri: una metamorfosi difficile e lenta ma che potrebbe portare alla rinascita di uno dei più grandi beni strappato alla Sacra corona unita in provincia di Lecce. Un passo importante è stato compiuto negli ultimi giorni con la presentazione in Prefettura del progetto presentato dal Comune di Salve: l’obiettivo è ottenere dai fondi del Pon sicurezza i due milioni di euro con i quali il Comune potrà ristrutturare gli oltre 7mila metri cubi che il clan Scarlino riuscì a realizzare grazie all’usura.
La grande fabbrica tessile confiscata alla criminalità organizzata spunta tra gli oleandri della statale che da Ugento porta a Leuca, all’altezza della zona industriale di Salve. Attraverso i rami di un fico spoglio che si è impadronito della facciata si legge ancora la scritta tracciata vent’anni fa per specificare chi fosse il nuovo padrone dell’azienda: Scarlino Luciana, la figlia di Giuseppe, il boss di Taurisano noto come «Pippi Calamita».
La sua società si chiamava «Tigre srl» e aveva preso il posto di quella dell’imprenditore di Presicce Ivano Paiano, la «Marta confezioni srl», che nei due capannoni di Salve fabbricava bambole di stoffa per conto terzi: un’attività esposta alle fluttuazioni del mercato e degli ordini.
La storia? Eccola. Quando Paiano si trova in difficoltà si rivolge alla sua banca: il funzionario, stando alle ricostruzioni degli inquirenti, da un lato gli nega il prestito ma dall’altro lo mette in contatto con il clan Scarlino. Saranno i 29 milioni di lire prestati direttamente da «Pippi Calamita» a rovinare Paiano, che nell’arco di pochi anni dovrà firmare assegni per 60 milioni e infine cedere la sua attività alla figlia del boss e alla sua «Tigre srl».
Un’usura da capogiro, sancita definitivamente il 12 marzo 1997 dalla corte d’Appello di Lecce che comminò 33 anni di carcere a sei componenti della famiglia Scarlino, dal capobastone Giuseppe alla figlia Luciana. Avranno una storia più tortuosa i capannoni passati da Paiano al clan, confiscati definitivamente solo nel 2001 e assegnati al Comune di Salve sette anni dopo, il 24 luglio 2008. Nel frattempo l’abbandono manda in rovina un’attività economica nella quale lavorano non meno di cinquanta persone, tra operai e impiegati, e gli oltre mille metri quadri di copertura in amianto dei due capannoni si sfarinano lentamente, trasformando la fabbrica sulla statale 274 in una bomba ecologica.
Proprio da qui parte il progetto del Comune di Salve: la sostituzione del tetto in amianto della fabbrica con nuovi tetti in regola con la normativa ambientale è il primo passo (e uno dei più costosi) del progetto discusso il 14 febbraio dal sindaco Vincenzo Passaseo assieme a Beatrice Mariano, il capo di gabinetto del prefetto Mario Tafaro. L’idea è di fare del grande immobile un «centro laboratoriale polifunzionale dei mestieri»: in pratica i ragazzi a rischio (di età compresa tra i 14 e i 21 anni) segnalati dai servizi sociali comunali della zona e dal tribunale dei minori troveranno nell’ex fabbrica del capoclan di Taurisano un luogo dove apprendere abilità artigianali: dall’arte della ceramica a quella della cartapesta, dal verde alla grafica, fino all’edilizia tipica, effettuando per quest’ultima esercitazioni pratiche nella «pajara» diroccata che sorge all’interno dei circa 4mila metri quadri di parco che circonda l’immobile.
Il progetto prevede anche la cucina e la sala mensa, quattro camere che possono ospitare complessivamente dieci persone, un’area relax e biblioteca, un’area ricreativa con angolo bar, ma anche una grande sala conferenze, evidentemente pensata anche per essere a disposizione della comunità di Salve per iniziative e manifestazioni. Per finire con le spese necessarie per gli impianti idrico, fognante, elettrico, di riscaldamento, elettrico e antincendio, ormai inservibili dopo vent’anni di abbandono. Totale del finanziamento richiesto: due milioni di euro, la cifra ritenuta necessaria per trasformare il frutto dell’usura in una struttura di recupero al servizio di un’intera comunità.
di DANILO LUPO
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