Il verdetto della Corte europea: "Non si violano i diritti umani".La Gelmini: una grande vittoria
STRASBURGO
Il crocefisso può restare appeso nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Questo è quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, che con una sentenza definitiva della Grande Camera, votata da 15 giudici su 17, ha dichiarato che la presenza in classe di questo simbolo non lede nè il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, nè il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione.
Per il governo italiano e il fronte pro-crocefisso è una vittoria a tutto campo. Nel motivare la sua decisione la Corte afferma come il margine di manovra dello Stato in questioni che attengono alla religione e al mantenimento delle tradizioni sia molto ampio. Ma i quindici giudici che hanno votato a favore della piena assoluzione delle autorità italiane sono andati oltre. Nella sentenza si legge infatti come la Corte non abbia trovato prove che la presenza di un simbolo religioso in una classe scolastica possa influenzare gli alunni. E come nonostante la presenza del crocefisso (definito simbolo passivo) conferisca alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico, questo non sia sufficiente a indicare che sia in atto un processo di indottrinamento.
Si sottolinea infatti che nel giudicare gli effetti della maggiore visibilità data al cristianesimo nelle scuole si deve tener conto che nel curriculum didattico non esiste un corso obbligatorio di religione cristiana e che l’ambiente scolastico italiano è aperto ad altre religioni. Nessun commento dall’avvocato Nicolò Paoletti, difensore di Soile Lautsi, la cittadina italiana di origini finlandesi che aveva presentato ricorso alla Corte. Dichiarazioni euforiche, invece, di coloro che hanno strenuamente difeso l’importanza della presenza del crocifisso nelle scuole italiane. «È una pagina di speranza per tutta l’Europa», ha commentato monsignor Aldo Giordano appena il presidente della Corte di Strasburgo, Jean Paul Costa, è uscito dall’aula dopo la lettura della sentenza.
Il rappresentante della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha quindi sottolineato come la Corte abbia preso una posizione coraggiosa e abbia tenuto conto delle preoccupazioni che in questo momento gli europei esprimono nei riguardi delle loro tradizioni, dei loro valori e della loro identità. Gli ha fatto eco il vice ministro della giustizia russo, Georgy Matyushkin, che è intervenuto davanti alla Grande Camera in favore dell’Italia ed è volato appositamente da Mosca per assistere alla lettura della sentenza. Il minisro russo si è detto «molto soddisfatto per l’approccio della Corte». Ma anche il direttore dello European Centre for Law and Justice, Gregor Puppinck, ha definito la sentenza «un colpo che mette un freno alle tendenze laiciste della Corte di Strasburgo e che costituisce un cambiamento di paradigma». Lo European Centre for Law and Justice era una delle organizzazioni no profit che si erano costituite parte terza a favore dell’Italia nel procedimento.
Alla lettura della sentenza, che è avvenuta in un’aula piena di studenti e funzionari del Consiglio d’Europa, erano presenti anche l’ambasciatore italiano Sergio Busetto, oltre agli ambasciatori cipriota e greco e ai rappresentanti della diplomazia armena, lituana, e di San Marino. Tutti Paesi che assieme a Bulgaria, Romania, Malta e Principato di Monaco erano intervenuti a favore dell’Italia. La sentenza emessa oggi mette la parola fine al ricorso «Lautsi contro Italia». Un fascicolo che fu aperto dalla Corte nel 2006 e che nel 2009, con una sentenza in primo grado a favore delle tesi della ricorrente, suscitò una vera alzata di scudi contro la Corte. L’indignazione fu tale che il governo italiano ricorse immediatamente, chiedendo e ottenendo la revisione del caso da parte della Grande Camera. In questo suo appello, andato a buon fine, l’Italia ha potuto contare non solo sui dieci Paesi che «ufficialmente» si sono presentati come parti terze davanti alla Corte, ma anche sul contributo di diverse ong, di parlamentari italiani ed europei e del lavoro diplomatico condotto dal rappresentante della Santa Sede.
«Esprimo profonda soddisfazione per la sentenza della Corte di Strasburgo, un pronunciamento nel quale si riconosce la gran parte del popolo italiano. Si tratta di una grande vittoria per la difesa di un simbolo irrinunciabile della storia e dell’identità culturale del nostro Paese», ha dichiara il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. «Il Crocifisso sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale: il rispetto della dignità della persona umana e della sua libertà. È un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia nè alla laicità dello Stato, nè alla libertà religiosa. Oggi è un giorno importante per l’Europa e le sue istituzioni che finalmente, grazie a questa sentenza, si riavvicinano alle idee e alla sensibilità più profonda dei cittadini», ha consluso il ministro.
Nessun commento:
Posta un commento