mercoledì 22 settembre 2010

La banca del Papa tra scandali e profitti LA STORIA


La banca del Papa
tra scandali e profitti


Deve investire i beni del Vaticano: è celebre per i suoi scivoloni
MARCO TOSATTI
CITTA' DEL VATICANO
E’ l’organismo del Vaticano che ha sempre creato il maggior numero di problemi a quella che è stata definita una multinazionale dello spirito; proprio perché di spirituale sembra abbia ben poco. La sua nascita risale all’11 febbraio 1887, quando papa Pecci, Leone XIII, costituì la Commissione delle Opere Pie. Roma è capitale d’Italia da neanche vent’anni, le cicatrici della Breccia sono ancora aperte, la Santa Sede non si fida di amministrazioni finanziarie esterne… Pio X nel 1908 confermò bisogno ed esistenza della gestione autonoma dei soldi vaticani, sotto un nuovo nome: Commissione amministratrice delle Opere di Religione.

E’ l’epoca del «prigioniero del Vaticano»; il Pontefice non varca le Mura Leonine, e l’attività della Santa Sede è limitata. Ci vogliono i Patti Lateranensi firmati un altro 11 febbraio – 1929 – per riconoscere la Santa Sede come Stato indipendente. L’accordo riconobbe l’extraterritorialità del minuscolo stato e dei suoi organismi; e per rifondere la Chiesa di una serie di espropri iniziati in era napoleonica e terminati con la presa di Roma le versava 750 milioni di lire; inoltre la Santa Sede riceveva titoli di debito pubblico per un miliardo. Con questa «dote» ha inizio la storia moderna della finanza di Oltretevere.

Il banchiere laico Bernardino Nogara fu scelto da papa Ratti, Pio XI, come capo della neo-costituita Amministrazione speciale per le Opere di Religione, l’antenato più recente dello Ior. Nogara accettò, a due condizioni: gli investimenti dovevano essere slegati da considerazioni religiose o dottrinali e doveva poter operare in ogni parte del mondo. Nel periodo – poco più di dieci anni – che separò l’accordo Stato-Chiesa dall’inizio della Seconda Guerra mondiale Nogara investì i capitali vaticani nell’economia italiana: energia elettrica, comunicazioni telefoniche, credito bancario, ferrovie locali, produzione di macchine agricole, cemento, acqua e fibre tessili sintetiche.

Il 27 giugno 1942 un documento autografo di papa Pio XII segna la nascita dell’Istituto per le Opere di Religione; una banca vera e propria con lo scopo di far fruttare i capitali a disposizione. Siamo giunti al periodo di tormentato e discusso della Banca vaticana. Se la sua esistenza trova una giustificazione – almeno agli occhi del mondo ecclesiale – nella necessità di porre al riparo da speculazioni, partecipazioni finanziarie problematiche da un punto di vista etico e indiscrezioni sempre temute, d’altro canto la gestione dello Ior egli ultimi sessanta anni è stata marcata da scandali e infortuni clamorosi.

Il primo grande scandalo risale agli anni ’60. Nel 1962 lo Ior deteneva il 24,5% della Banca privata finanziaria di Michele Sindona, al quale, nel 1969, papa Paolo VI affidò una consulenza per la modernizzazione dello Ior. A Sindona fu venduta la Società Generale Immobiliare, della quale lo Ior mantenne una quota del 3%. Successivamente, furono numerosissime le partecipazioni comuni, comprese le movimentazioni di capitali in paradisi fiscali, fra Ior e Sindona. Le disavventure giudiziarie del finanziere siciliano, e la sua morte per avvelenamento gettarono un’ombra pesante anche sulla banca vaticana.

Ma il peggio doveva ancora venire. Nel 1971 l’arcivescovo statunitense Paul Marcinkus, che si era guadagnata la fiducia di papa Montini, Paolo VI, per l’energia e l’efficienza con cui organizzava i viaggi papali, fu nominato presidente dello Ior, dopo un breve corso di formazione bancaria negli Usa, il suo unico (e scarso) bagaglio professionale.

Nel 1972 lo Ior possedeva circa il 51% della Banca Cattolica del Veneto. Per volontà di Marcinkus, il 37% delle azioni vennero cedute al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, provocando la reazione dei vescovi veneti e dell’allora vescovo Albino Luciani (futuro papa Giovanni Paolo I) che, non essendone stati informati, chiusero per protesta i loro conti presso la Cattolica del Veneto.

Dieci anni più tardi, nel giugno del 1982 esplose il caso del Banco Ambrosiano. Il crac della banca di Roberto Calvi vide il coinvolgimento diretto dei vertici dello Ior, che si salvarono dall’arresto solo grazie all’extraterritorialità della Città del Vaticano. Lo Ior fu, tra il 1946 e il 1971, il maggior azionista del Banco Ambrosiano; ma i problemi diventarono gravissimi con l’arrivo di Calvi. Marcinkus firmò lettere di «patronage» – una sostanziale copertura – per le operazioni eseguite all’estero, su società fittizie o di comodo. Tutte società fantasma con sede in paradisi fiscali, la cui funzione era fare da schermo alla scomparsa di circa duemila miliardi di lire dalle casse dell’Ambrosiano.

Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, impose la liquidazione dell’Ambrosiano. Marcinkus fu indagato in Italia nel 1987 per concorso in bancarotta fraudolenta. La Banca Vaticana non ammise alcuna responsabilità per il fallimento del Banco Ambrosiano, una commissione mista (Agostino Gambino, Pellegrino Capaldo e Renato Dardozzi per il Vaticano, Filippo Chiomenti, Mario Cattaneo e Alberto Santa Maria per lo Stato Italiano) giunse – non all’unanimità – ad ammettere una responsabilità morale dello Ior nel crac. Il 25 maggio 1984, a Ginevra, lo Ior siglò un accordo con le banche creditrici dell’Ambrosiano, versando 406 milioni di dollari a titolo di «contributo volontario». E gli affari ricominciarono…

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