sabato 2 aprile 2011

L'assassino "doppio" di casa nella Roma bene

Reves, fervente cattolico, mai un cedimento in vent'anni
ha prestato servizio in molte famiglie anche dopo l’omicidio

ROMA
Questa è la storia di una verità che per venti anni ha tenuto due uomini prigionieri di un destino rovesciato: il maledetto e l'irreprensibile, l'uomo che non riusciva a togliersi di dosso il marchio delle accuse e quello che invece passava da una famiglia bene all'altra senza il minimo sospetto anche se a tutti con grande correttezza precisava di essere il filippino entrato nella rosa degli indagati per l’omicidio della bella e sfortunata contessa dell’Olgiata.

Quando Winston Manuel finalmente scoppia in lacrime in una sala colloqui del carcere di Regina Coeli e confessa tutto, i ruoli si rovesciano di nuovo. Il maledetto ritrova la sua libertà. Si chiama Roberto Jacono, è il figlio della professoressa di inglese dei figli di Alberica Filo della Torre. All’epoca del delitto aveva trent’anni, soffriva di disturbi psichici, sembrò perfetto perché frequentava la villa della contessa. «Quelle accuse mi hanno portato piano piano verso il baratro - dice ora che è un uomo nuovo -. Per molti ero un assassino anche se non c'erano prove. Ho perso il lavoro, ero impiegato e da un giorno all’altro mi sono trovato per strada, trattato da criminale. Le persone che mi stavano intorno hanno cominciato ad allontanarsi, non ho più avuto un giorno di pace. Solo un’ossessione: provare che non avevo fatto niente».

L'irreprensibile è lui, invece, Manuel. Fino ad allora non si era comportato granché bene, nella villa. Lo ricordano come una persona di cui non fidarsi. Non rispettava gli impegni assunti, rivela la sua massaggiatrice. Ha un debito di un milione e mezzo di lire. È disperato quando uccide la contessa. Ma non è cattivo, per trovare il coraggio di ammazzare la donna beve un bicchiere di whisky, racconta durante la confessione. L'alcol gli dà la forza di lottare con la donna e ucciderla. Quando svanisce l’effetto si sente perduto, schiacciato da un peso più grosso di lui. Sa di non potercela fare a sostenerlo da solo. Ma è troppo irreprensibile nell’animo: quando ne parla alla prima moglie non gli crede, le sembra impossibile.

Manuel prova ad andare avanti con il suo peso, ma ha ragione a pensare di non essere in grado di reggerlo. Si ammala di encefalite. Costretto a vivere su una sedia a rotelle, torna nelle Filippine. Si cura, conosce un'altra donna, si sposa, inizia una nuova vita. Un altro avrebbe messo da parte tutto e l’avrebbe vissuta cancellando ogni traccia del passato. Lui no. Nel 1995 ha una figlia. Sono trascorsi quattro anni dal delitto. La chiama Alberica, come per risarcire il mondo per il suo gesto. Anche questo fa risuonare un campanello di allarme negli inquirenti. Era stato solo due mesi in servizio nella villa in sostituzione di un’altra persona, e poi aveva lavorato altrove: perché scegliere proprio quel nome?

Al ritorno in Italia riesce senza difficoltà a ritornare nel giro delle migliori famiglie romane. Lui e la moglie passano di casa in casa. Lavorano per alcuni anni per Luca di Montezemolo, poi vanno altrove. A tutti, prima di essere assunto, Manuel dice di essere uno degli imputati del delitto dell'Olgiata. Nessuno si lascia intimidire, tutti si fidano delle referenze, del passaparola e il passaparola conferma: è irreprensibile. «Ci portava la colazione a letto tutte le mattine, accudiva i nostri figli e ormai in lui avevamo una fiducia totale», racconta l'ultimo datore di lavoro, che aggiunge: «Anch'io in passato ho anticipato dei soldi a Winston ma li aveva sempre restituiti e in casa non è mai sparito nulla». Insomma, una personalità doppia che gli consente di «sembrare un’altra persona capace di fingere e tacere un delitto così atroce per 20 anni».

Un domestico modello e un fervente cattolico: prendeva parte alle iniziative delle associazioni religiose e andava a messa ogni domenica con la moglie. Ormai era cittadino italiano e si preparava a naturalizzare anche i figli cresciuti nelle Filippine ma pronti a raggiungerlo a Roma al termine degli studi. Quando vanno ad arrestarlo reagisce come se se l’aspettasse. Non protesta, prova a smentire ma in modo poco convinto. Si fa portare in carcere e se ne sta nella sua cella con lo sguardo assente a pregare. Non chiede della sua famiglia, attende l'interrogatorio di convalida e ai suoi avvocati lo rivela qualche ora prima: da una vita voleva confessare. Quando racconta tutto, nonostante le lacrime sembra sereno. Dopo la confessione agli inquirenti dice: «Sono pronto a scontare la pena così da poter iniziare un’esistenza normale». È in pace con sé stesso: la sua vita è tornata finalmente nel verso giusto. Non più l’irreprensibile, semplicemente Manuel, l’assassino di Alberica Filo della Torre.

FLAVIA AMABILE

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