«Per lui era un simbolo sacro»
ROMA
È stato «un sacrificio offerto per il dono della pace» e la sua bara avvolta dal tricolore è «come una piccola ma preziosa reliquia»: Matteo Miotto «ha sempre creduto nella verità e nella forza interiore della compassione, nella fiducia e nell’amore, fino a dare la vita». Queste le parole dell’arcivescovo militare, monsignor Vincenzo Pelvi, per il caporal maggiore degli alpini ucciso da un cecchino l’ultimo dell’anno nel Gulistan, in Afghanistan.
E nel giorno in cui una piazza gremita e silente porta il suo saluto alla giovane vittima, impietosamente continua l’attacco agli alpini del contingente italiano, con l’esplosione di un Ied al passaggio di un convoglio di tre mezzi «di pace», quelli deputati alla ricostruzione e alla cooperazione civile-militare: nessun ferito, solo qualche danno ai veicoli.
Prima di tornare nel suo Veneto, dove domani sarà sepolto - come lui stesso aveva chiesto nel testamento - con i caduti di guerra, nell’area loro riservata nel cimitero di Thiene, Miotto ha ricevuto l’omaggio di Roma: il feretro ha fatto l’ingresso a Santa Maria degli Angeli salutato dal picchetto delle forze armate e dall’applauso di centinaia di persone che fino dalle 10 hanno affollato la chiesa, il sagrato e la vicina piazza della Repubblica. Su un cuscino la penna nera, simbolo degli alpini, una passione orgogliosamente ereditata dal nonno, Lo scriveva lui stesso in una lettera indirizzata alla sua cittadina, Thiene, per il giorno della Festa delle forze armate, il 4 novembre. Parlava di quell’amore e dei rischi della guerra: «Un messaggio - ha detto l’ordinario militare, celebrando il rito funebre - che inaspettatamente è diventato profeticamente testamento».
Ad ascoltare il prelato, la famiglia, il padre Francesco, la madre Anna, e la giovane fidanzata. Ma anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (che al momento del segno della pace è andato a salutare i familiari di Matteo) e i rappresentanti del governo, dei partiti e delle forze armate, e tante penne nere. A questi ultimi, ai militari, l’arcivescovo si rivolge nel ringraziarli «uno ad uno: il mondo intero ha bisogno di persone come voi, che ogni giorno donano qualcosa di eterno». Alla politica, invece, Pelvi chiede «impegno concreto e costante dei responsabili delle Nazioni»: siamo obbligati a «riconoscere la nostra responsabilità nel costruire una comunità internazionale in cui il diritto di tutte le nazioni sia rispettato e garantito».
A quelli che invocano di fuggire da terre così pericolose, Pelvi risponde che «anche Gesù ha preferito andare fino all’estremo», non ha cercato la morte ma neppure «ha voluto sfuggirla, perchè giudicava che la fedeltà ai suoi impegni fosse più importante della paura di morire». Proprio come Matteo - accostato «all’agnello di Dio» - la cui morte porta un messaggio: «Di fronte alla minacciose tensioni, alla discriminazioni, ai soprusi e alle intolleranze religiose» non si «ceda allo sconforto e alla rassegnazione». Neanche dopo i ripetuti attacchi al nostro contingente, che solo negli ultimi 12 mesi sono costati 13 vite. L’ultimo, per fortuna senza vittime, quello al convoglio composto dagli alpini del Provincial reconstruction team, che supporta il governo afgano nella ricostruzione e nel controllo delle aree più remote della provincia. Un ordigno è saltato al passaggio dei tre mezzi, tra i quali anche un’ambulanza, alle 18.45 (ora locale): l’esplosione è stata però ritardata da un dissuasore elettronico, un ’jammer’, di cui i mezzi sono dotati. I militari sono tutti rimasti illesi. Solo uno è stato trasportato in infermeria in stato di choc.
Nessun commento:
Posta un commento