Finanziamenti più alti con carcere duro per scoraggiare la collaborazione con la giustizia
Una percentuale di ogni attività estorsiva doveva tassativamente finire in quella che chiamavano la "cassa del mezzogiorno". In questo modo la camorra finanziava gli stipendi agli affiliati e ai familiari dei detenuti, con un occhio di riguardo nei confronti di chi era in regime di 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Lo ha scoperto la DDA di Napoli, che ha arrestato cinque persone.
Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dalla squadra mobile di Caserta nei confronti di cinque affiliati alla fazione degli "Schiavone" del clan dei Casalesi. Gli esattori, Cristofaro Dell'Aversano, che gestiva il forziere del clan, e quello che è risultato essere il suo assistente, l'operaio incensurato Alfonso Cirillo, svolgevano anche e soprattutto il compito di mantenere intatto il vincolo associativo che lega il camorrista al suo gruppo militante. Il rischio, infatti, è che non corrispondendo lo "stipendio", il camorrista detenuto possa ritenere interrotto il vincolo con il clan e, quindi, sentirsi legittimato a collaborare con la giustizia.
Le indagini - che hanno portato all'arresto di tre donne, mogli di altrettanti detenuti - hanno evidenziato anche la nuova strategia dei Casalesi secondo cui, chiunque disponesse di ricchezze visibili, come coloro che costruivano per la propria famiglia una nuova abitazione, doveva pagare il pizzo agli emissari del clan, anche se imparentati con un affiliato.
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