FOGGIA - Michele Mansueto, detto «Lilino», 57 anni anni compiuti il primo febbraio, nome storico della mafia foggiana che ha retto negli anni Ottanta primi anni Novanta tanto da essere condannato a 7 anni nel maxi-processo Panunzio, è stato ucciso a pistolettate in un agguato alle 19.50 in via XXV Aprile angolo via Castiglione. Era in auto, un fuoristrada, quando due killer in moto l’hanno affiancato, fatto fuoco con una pistola calibro 9, inseguendolo per una trentina di metri e finendolo. Qualcuno - rimasto ignoto al di là di sospetti mai supportati da prove - ci aveva già provato ad ammazzarlo nel portone di casa in via Capitanata la notte del 23 giugno del ‘90, nell’ambito della seconda delle cinque guerre di mafia della ultraventennale storia della «Società»: in quella occasione Mansueto reagì ai due killer nascosti nell’atrio, si scagliò contro di loro, riuscì a strappare la pistola e nella colluttazione rimase ferito da un proiettile all’addome, ma se la cavò. Ieri sera non ha avuto scampo.
Nessun dubbio che il 13° omicidio dell’anno in Capitanata, l’ottavo in città in sei mesi, sia riconducibile all’ambito mafioso visto lo spessore della vittima, anche se l’ultimo arresto di Mansueto risale al 28 giugno 2004 nel blitz Poseidon, che poi si concluse con la sua assoluzione dalle accuse di mafia e droga. La voce che Lilino Mansueto - sposato e con tre figli - gestisse la cassa della «Società», come viene chiamata la criminalità organizzata, è soltanto una voce visto che negli ultimi blitz il suo nome non era mai comparso. Ufficialmente non aveva un lavoro, la voce è che gestisse alcuni bar del centro. E spesso lo si vedeva proprio tra corso Giannone e piazza Cavour, inconfondibile anche per quel viso sfregiato in seguito ad un incidente stradale avvenuto nell’89 quando si schiantò con l’auto contro un muro in viale Fortore e fu inizialmente ricoverato in prognosi riservata.
In questa primissima fase delle indagini condotte dalla squadra mobile (sul posto sono intervenuti anche volanti e carabinieri), prim’ancora che ipotizzare una chiave di lettura dell’agguato ai danni di un nome storico della criminalità organizzata, si punta a ricostruire la dinamica dell’omicidio. Pur se la strada era trafficata al momento non ci sarebbero testimoni. Michele Mansueto, che da tempo non era più sorvegliato speciale e per questo gli era stata restituita la patente, era alla guida di un fiammante fuoristrada «Dodge» grigio e percorreva via XXV Aprile per poi immettersi su via della Repubblica. Ad affiancarlo è stato una moto (lo si ipotizza perchè la strada è stretta e non c’è spazio per un’altra macchina, più che sulla scorta di testimonianze), con due killer che hanno cominciato a sparare all’altezza di un locale, infrangendo il finestrino posteriore sinistro del «Suv». Mansueto ha proseguito la sua corsa per 30 metri prima di perdere conoscenza e finire contro il marciapiedi all’altezza dell’incrocio con via Castiglione. Gli agenti della «scientifica» hanno repertato sul luogo dell’agguato una decina di proiettili e bossoli esplosi verosimilmente da una calibro 9: alcuni bossoli sono stati rinvenuti anche all’interno del fuoristrada, il che potrebbe voler dire che il sicario ha esploso il colpo di grazia. L’ipotesi che in auto con Mansueto ci fosse un’altra persona non trova conferme, anche perchè il primo poliziotto della «volante» intervenuto sul posto ha trovato gli sportelli chiusi dall’interno. «Era in stato di incoscienza, non parlava e nemmeno si lamentava, aveva il capo reclinato sulla destra» raccontano gli agenti. L’ambulanza del «118» l’ha trasportato in pronto soccorso, ma vi è giunto ormai morto: i proiettili l’hanno raggiunto a collo e spalla.
In via VVX Aprile sono confluite pattuglie di polizia e carabinieri e decine di curiosi, che al cronista che chiedeva se avessero visto o sentito qualcosa rispondevano «siamo appena arrivati, non sappiamo nulla».
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