lunedì 10 maggio 2010

Grandi lavori, si allarga l'inchiesta E spunta la mano di Cosa Nostra


Grandi lavori, si allarga l'inchiesta
E spunta la mano di Cosa Nostra


La mafia si infiltrava in aziende che partecipavano agli appalti consorziandosi con imprese

FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA


Si scava tra gli affarucci della «cricca» ed ecco che ti spunta la mafia. I carabinieri del Ros hanno trovato infatti le tracce della Onorata Società nei retroscena dei Grandi Appalti. Si prenda la Btp, specchiata impresa fiorentina di costruzioni che addirittura vince l’appalto per costruire la Scuola marescialli dell’Arma nel capoluogo toscano.

Ma ecco che cosa ti scoprono proprio i carabinieri: «Costituivano una Ati (associazione temporanea di imprese, ndr) tra la Btp e il Consorzio stabile Novus al fine di partecipare alle gare per le quali era stata fatta la promessa corruttiva». Fin qui, con la storia della corruzione, è lo sviluppo di quanto già si sa: il gruppo dei funzionari pubblici della Ferratella, Angelo Balducci e i suoi sodali, i soldi di Diego Anemone, le ordinanze di Protezione civile per saltare i controlli ordinari, le mene di Francesco De Vito Piscicelli... Ma attenzione a quel Consorzio stabile Novus. E’ da lì che s’alza l’odore di zolfo. Scrivono sempre i carabinieri: «La Btp, garantendo il possesso dei requisiti patrimoniali per partecipare a gare di ingente importo - e in particolare a quelle connesse alla manifestazione del G8 - consentiva a Consorzio stabile Novus, ove erano presenti significative presenze mafiose, di partecipare alle suddette gare».

Il senso di quanto scrivono gli investigatori è chiaro: la Btp è una grande impresa «pulita» di Firenze che si presta a fare da cavallo di Troia per i mafiosi, i quali addirittura s’infilano negli appalti più delicati dello Stato, ovvero la preparazione del G8 alla Maddalena. «In detto consorzio, il Di Nardo Antonio (un altro del gruppo della Ferratella, ndr) risultava referente di alcune delle imprese consorziate di origine siciliana e campana connotate dalla presenza, quali soci o amministratori, di soggetti già coinvolti in procedimenti penali per reati di associazione di stampo mafioso».

Quello che proprio non avrebbero mai potuto fare in prima persona, dunque, gli riusciva sotto lo schermo della Btp, l’impresa di cui è patron il costruttore fiorentino Riccardo Fusi. E che ci sia qualcosa di losco da approfondire, aggiungono i carabinieri, lo si desume da uno strano accordo tra i fiorentini e queste società in odore di mafia. «Imprese alle quali veniva garantito almeno il 3% dell’importo dell’appalto aggiudicato ancorché non fossero investite dalla materiale esecuzione dello stesso». Senza che nemmeno alzassero un dito, i soci occulti della Btp incassavano dunque il 3% dell’appalto. Perché? «Per il solo fatto di partecipare al consorzio».

Ma che poi alla Maddalena qualcosa non sia andato per il verso giusto, gli investigatori lo sospettano da tempo. C’è un ingegnere agrigentino, Riccardo Micciché, il cui telefono viene messo sotto intercettazione nel 2009. In quella fase, Micciché, 36 anni, è alla Maddalena come «rappresentante della struttura»; utilizza un telefonino intestato a un costruttore romano che sta facendo lavori in subappalto per conto di Diego Anemone; si sente quotidianamente con l’ingegnere Francesco Piermarini, cognato di Diego Bertolaso, anche lui impegnato in uguali lavori per il G8. Una carriera che sembra in irresistibile ascesa, la sua.

Il guaio è che il fratello di Micciché, Fabrizio, lavora in Sicilia ed è il responsabile tecnico della società Giusylenia srl. Di quest’ultima i carabinieri scrivono che è «inserita in un contesto criminale finalizzata alla gestione dei lavori pubblici» e «sotto il controllo di esponenti della Cosa nostra agrigentina», collegati in passato a Bernardo Provenzano e alla latitanza di Giovanni Brusca. C’è da sbalordire che Micciché, con questo ingombrante pedigree familiare, abbia lavorato al G8 e in funzioni tanto importanti. Questo accadeva nel 2009. A fine anno, poi, l’ingegnere Riccardo Micciché viene scelto - con il placet del ministro Sandro Bondi e del suo capogabinetto Salvo Nastasi - quale direttore del cantiere per il restauro degli Uffizi, a Firenze. Ma questa è un’altra storia.

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