sabato 15 maggio 2010

Falcone, nuovi indagati per l'Addaura


Falcone, nuovi indagati per l'Addaura
E rispunta l'ombra dei servizi segreti


Svolta dopo 21 anni. Disposto
il prelievo del Dna dalla muta
usata per piazzare l'esplosivo
vicino alla villa del magistrato



PALERMO

Sembra il copione di un film western: da una parte i «buoni», dall’altra i «cattivi». Ma lo scenario non è la brulla prateria americana. È la selvaggia scogliera dell’Addaura a Palermo davanti alla quale si staglia la villa a mare di Giovanni Falcone. Dopo 21 anni -era il 20 giugno 1989- il colpo di scena. Con 5 nuovi indagati sono ripartite oggi le indagini sul fallito attentato.

«Buoni» e «cattivi» sono uomini dei servizi segreti e si fronteggiano per due cause diverse: i primi proteggono Falcone, gli altri vorrebbero eliminarlo. Il gruppo degli assalitori è costituito da uomini del clan Madonia che avevano piazzato una borsa piena di candelotti di tritolo sulla scala che conduce alla villa del magistrato. I «buoni» avrebbero intercettato l’operazione e disinnescato il micidiale ordigno. Falcone è salvo: la sua eliminazione, sempre con una superbomba sull’autostrada, è rinviata di tre anni.

Sono questi gli scenari che sta delineando l’inchiesta della Procura di Caltanissetta improvvisamente riaperta lungo un filone che incrocia l’ingombrante mistero di altri due eccidi: l’eliminazione del poliziotto Antonino Agostino, ucciso davanti casa con la moglie Ida Castellucci, e la scomparsa di Emanuele Piazza, collaboratore dei servizi segreti impegnato nella caccia ai latitanti di Cosa nostra. Dopo oltre 20 anni il procuratore Sergio Lari e i suoi collaboratori, l’aggiunto Nico Gozzo e il sostituto Nicolò Marino, hanno ordinato con un incidente probatorio un esame a cui nessuno aveva mai pensato: il prelievo delle tracce di Dna lasciate dagli attentatori nella muta, nelle pinne e negli occhiali abbandonati dai sommozzatori lungo la scogliera.

E per compiere questo accertamento hanno iscritto nel registro degli indagati cinque persone: il boss Salvino Madonia, il capomandamento della borgata di Vergine Maria Raffaele Galatolo e il nipote Angelo, il boss Gaetano Scotto e il collaboratore Angelo Fontana, che si sarebbe autoaccusato. Si indaga anche sul ruolo di un sesto personaggio, Pino Galatolo, che però è morto. Proprio lui avrebbe avuto il compito di procurare il telecomando da utilizzare per l’attentato. Madonia è il capo della cosca che controllava la parte occidentale della città ed è coinvolto nei grandi delitti di Palermo. Scotto è fratello di Pietro, il telefonista della strage Borsellino condannato per questo all’ergastolo. Le tracce di Dna che saranno recuperate dalle attrezzature dei sub saranno confrontate con il Dna dei cinque indagati, di Pino Galatolo e dei due collaboratori dei servizi Agostino, ucciso il 5 agosto 1989, e Piazza, scomparso il 15 marzo 1990. Piazza sarebbe stato tradito da una «talpa» e sarebbe stato strangolato.

Nel caso di Agostino si indaga sul ruolo di un poliziotto, Guido Paolilli, che la sera del delitto avrebbe partecipato a una perquisizione in casa della vittima. Ma il suo nome non figura nel rapporto degli investigatori. In una intercettazione ambientale Paolilli avrebbe detto che parte delle carte prelevate in casa di Agostino sarebbe stata distrutta. I depistaggi hanno in effetti frenato l’inchiesta sul fallito attentato dell’Addaura e solo a distanza di tanto tempo sono cominciati ad affiorare spezzoni di una verità a lungo occultata. Soprattutto quella di un collegamento tra uomini dei servizi di sicurezza e ambienti di Cosa nostra.

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