sabato 13 ottobre 2012

Dai taralli al vino, tutte le frodi alimentari made in Italy



Producevano i tipici taralli pugliesi utilizzando crusca per cavalli. L'ennesima frode alimentare scoperta ieri dagli uomini del nucleo agro-alimentare del Corpo Forestale di Bari, che hanno sequestrato 2700 confezioni di taralli prodotti dalla "Fiore di Puglia S.p.A.", tra le più importanti aziende della zona nella produzione di prodotti tipici. Talmente famosa da essere la fornitrice ufficiale di grandi catene di supermercati come Auchan, Carrefour, In's Mercato, Md Discount ed Autogrill. Oltre a vantare il marchio "Dop" e comparire nell'Atlante dei prodotti tipici agroalimentari della regione, che garantiva all'azienda anche una fiorente esportazione in Giappone, Russia, Cina e America.

La scoperta del prodotto "tarocco" è avvenuta per caso: la Forestale si era infatti recata nello stabile per accertare la correttezza dei dati stampati sulle etichette dei prodotti da forno. Durante l'ispezione, però, gli agenti hanno individuato i sacchi di mangime per cavalli, invasi da parassiti. Da lì, il sequestro della merce - già inscatolata e pronta per la commercializzazione - in attesa che le analisi dell'Arpa di Bari accertino eventuali altre tossicità presenti nel prodotto. Nel frattempo è stato denunciato il titolare della ditta, accusato di vendita di sostanze alimentari "non genuine", commercio di sostanze alimentari nocive e la violazione dell'articolo 5 della legge 283 del 1962 lettere A, B e D sulla conservazione dei prodotti alimentari che vieta di impiegare materie prime di qualità inferiore.

Quella della frode alimentare in Italia è una vecchia storia. Tutto cominciò - mediaticamente parlando - nel 1986 con lo scandalo del vino al metanolo, prodotto dalla ditta Ciravegna, nel cunese. L'abuso di metanolo nel vino, inserito per aumentarne la gradazione alcolica, provocò intossicazioni, cecità ed altri danni gravissimi ai suoi consumatori, oltre alla morte di 23 persone.
Dieci anni dopo, a finire sotto la lente degli investigatori, il mascarpone "Giglio", del Gruppo Parmalat, sospettato di contenere il batterio Clostridium botulinum, meglio noto come "botulino", portatore di forti intossicazioni e il botulismo, appunto, una malattia paralizzante anche mortale.

Negli anni successivi, sempre più numerosi i casi di prodotti "adulterati": dal vino all'olio, passando per pasta e riso, conserve di pomodoro e latticini. Tra questi, la famigerata "mozzarella blu", servita qualche mese fa in una mensa scolastica a Milano. In questo caso, la strana colorazione dipende da un batterio, fortunatamente innocuo, che si forma a causa della cattiva conservazione del prodotto. Ma i Nas - Nucleo Antisofisticazione - hanno scoperto durante i loro numerosi controlli nella penisola che la mozzarella risulta essere uno degli alimenti più contraffatti: molti i casi in cui il latte di bufala - che dovrebbe essere l'ingrediente principale al 50% - viene sostituito con latte in polvere o, peggio ancora, con latte di mucca sbiancato con calce e soda.
Problemi anche con un altro prodotto del made in Italy: l'olio. Spacciato dalle aziende come olio extravergine, in realtà quattro bottiglie su cinque vendute in Italia sono frutto di mix di oli italiani con altri stranieri, nonostante il marchio ne garantisca la nazionalità. Problemi di trasparenza e misteri sulla provenienza delle olive, nonostante dal 2009 sia obbligatorio indicarla per legge in etichetta, in base al Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009.

A garantire la regolarità e la qualità di cibi e bevande ci pensano il Ministero della Salute, le Regioni, le Province autonome, le Asl e i Nas dei Carabinieri che, attraverso un lavoro coordinato, ogni anno presentano un Piano Nazionale Integrato dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle piante. Oltre ai dati, presentati lo scorso luglio in conferenza stampa congiunta, quello che emerge è una insufficiente attività di controllo, che porta ad una discrepanza di dati tra il Servizio sanitario nazionale (che parla di un 10% di non conformità rilevate) e i Nas (35% del totale). Questo perchè le modalità di controllo dei due sono differenti - i primi effettuano controlli a tappeto, i secondo solo dopo segnalazione - ed evidenziano la necessità, per il consumatore in primis, di intensificare i controlli nel settore della sicurezza alimentare.

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