martedì 6 marzo 2012

Patenti facili a 2mila euro otto arresti nel Brindisino

BRINDISI - Patenti facili ottenute truccando gli esami grazie a diavolerie tecnologiche degne dell’agente 007.

Ma alla fine il trucco è stato scoperto e la pacchia è finita grazie all’operazione «Patenti 2.0», che ha visto finire nei guai alcuni titolari di scuole guida ed alcuni candidati decisamente poco inclini, per usare un’espressione eufemistica, allo studio e all’apprendimento.

Otto le persone arrestate tra Brindisi, Carovigno, Ostuni, Monopoli, Alberobello e Imola, tre delle quali titolari di scuole di guida, all’alba di ieri sono state prelevate presso le rispettive abitazioni dai militari della Guardia di Finanza (della Compagnia di Fasano e del Comando provinciale di Brindisi) per essere condotte in carcere. Mentre agli altri cinque arrestati - fra cui 4 candidati e il parente di uno di loro, tutti prestatisi a perpetrare l’inganno - è stata notificata la misura della custodia cautelare agli arresti domiciliari.

I titolari di scuole guida finiti in cella sono i carovignesi Giuseppe Lanzillotti, 37 anni, titolare della «Scuola guida Lanzillotti» di Carovigno; Giuseppe Flora, 37enne nato a Carovigno ma residente a Ostuni, titolare nella Città vianca dell’omonima autoscuola; e Giuseppe Caramia, 42enne di Alberobello, proprietario a Fasano della «Nuova autoscuola».

Ai domiciliari, invece, sono finiti Antonio Massaro, brindisino di 57 anni; Marco Borini, 21enne di Castel San Pietro (Bologna) Angelo Ferrari (parente del canditato Cristian), brindisino di 45 anni; Cristian Ferrari, anch’egli brindisino, di 19 anni; Giovanni Dorsi, 57enne di Castellana Grotte.

Sulla base del provvedimento di custodia cautelare - firmato dal giudice delle indagini preliminari Maurizio Saso del Tribunale di Brindisi su richiesta del sostituto procuratore titolare dell’inchiesta Pierpaolo Montinaro - i cinque indagati destinatari del provvedimento di custodia cautelare agli arresti domiciliari rispondono del reato di «induzione mediante inganno a formare atti pubblici idelogicamente falsi» (art. 48 e 479 del Codice penale) e di aver violato la legge 475/25 a causa della «presentazione, come propria, di opera altrui».

Decisamente più pesante la posizione dei tre titolari di scuole guida i quali, oltre che degli stessi reati contestati ai 5 finiti agli arresti domiciliari, dovranno rispondere di «associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la fede pubblica».

I candidati venivano presentati come privatisti, dalle rispettive scuole guida, agli esami di patente; e se volevano avere la certezza di superare la prova teorica, veniva proposto loro - stando alle accuse - di mettere al polso un orologio con incorporata anche una radio-trasmittente e di tenere addosso due cellulari, in due tasche distinte. Una volta distribuiti i quiz con le varie risposte tra cui scegliere quella giusta, il candidato leggeva, avvicinando la bocca all’orologio-trasmittente, la domanda e le possibili risposte comunicandole, così, a un suo complice appostato nei pressi della Motorizzazione civile, dove la prova aveva luogo. L’uomo appostato fuori, quindi, man mano che gli venivano lette le risposte, faceva squillare (in modalità vibrazione) il telefono della tasca destra o quello della sinistra, a seconda che la risposta appena fosse giusta o sbagliata.

Un sistema piuttosto ingegnoso ma infallibile, che durante le indagini - protrattesi dal luglio 2010 all’aprile 2011, con l’ausilio di pedinamenti e intercettazioni telefoniche - è stato riscontrato dagli investigatori in ben 5 casi. Solo uno dei 5 candidati coinvolti nell’inchiesta non riuscì a conseguire la patente, ma per suoi limiti che neanche lo tratagemma tecnologico riuscì a colmare. E per questo motivo - come illustrato ieri mattina in Procura nel corso di una conferenza stampa presieduta dal procuratore Marco Di Napoli - solo 4 dei 5 finiti ai domiciliati hanno avuto le patenti sequestrare: il quinto era stato bocciato malgrado gli «aiuti tecnologici».

Naturalmente «vincere facile» aveva un prezzo che, nel caso della candidata di Fasano Giuseppina Lomartire, era stato quantificato in 2000 euro. Una proposta che la candidata finse di accettare, denunciandola subito dopo alla Compagnia fasanese della Guardia di Finanza e facendo così scattare le indagini.

Antonio Negro

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