martedì 6 marzo 2012

India, i marò finiscono in carcere

Il verdetto del giudice di Kollam: trasferimento con effetto immediato per gli italiani

Immobili. Sull'attenti, la divisa mimetica del battaglione San Marco in perfetto ordine. Basco e anfibi. A testa alta, persi in un nugolo di poliziotti armati, i marò hanno ascoltato, ieri poco dopo le 17 (ore indiana), nell'aula affollata della corte di Kollam, la sentenza del giudice che li ha spediti, con l'accusa di omicidio volontario, nel carcere centrale di Trivandrum, la capitale dello stato del Kerala. Un'ora di camera di consiglio, dopo l'arringa della difesa che ha inutilmente chiesto che non fosse una galera indiana il luogo dove continuare la detenzione che non sarà inferiore a tre mesi. Il giudice monocratico ha così accolto la tesi del sostituto procuratore che s'è limitato a leggere le norme che regolano la carcerazione. "Non ci sono alternative al carcere, nel proseguo del processo".

C'è solo un aspetto positivo, nella decisione di ieri: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non saranno destinati nei settori comuni a in uno speciale, di massima sicurezza, dove però potranno ricevere le visite dei diplomatici della delegazione italiana e altre condizioni meno dure, compreso il cibo, che sarò loro fornito dal consolato. "Andiamo avanti", ha detto Latorre prima di seguire, con Salvatore Girone, gli agenti della polizia di Kollam che li avevano prelevati, alle 15, dal Police Club dove avevano trascorso quattro giorni. L'intervento della difesa si era articolato in tre punti: il problema della giurisdizione, non ancora risolto dall'Alta Corte del Kerala; il processo sulle responsabilità dell'episodio, ancora in corso e con i risultati della perizia su armi proiettili rinviati per almeno 10 giorni; il clima anti-italiano che s'è creato dopo l'incidente di Kochi, con i media indiani a far gara nel definire i soldati "Banditi", "Rambo", "assassini europei". Un quadro che avrebbe reso incompatibile la sicurezza con la detenzione nella prigione di Trivandrum.

E poi appare assurdo che i soldati di una nazione straniera, che ha pieno diritto di tutelare le navi mercantili, sia pure incappati in un tragico errore (anche se mancano ancora le prove) siano trattati alla stregua di criminali comuni. Ad assistere i marò, il console generale Giampaolo Cutillo, mentre il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, era a Dheli, impegnato in una serie di incontri con le autorità centrali indiane. Tra i diplomatici, gli ufficiali della Marina Militare e il collegio dei legali, nessuno nasconde una certa delusione per la sentenza del giudice indiano che, comunque, ha accolto in parte le richieste italiane; i marò non saranno a contatto con gli altri detenuti e la decisione finale di dove sistemarli spetterà agli organi di polizia che potranno, almeno in teoria, prendere in esame altre destinazioni oltre al carcere di Trivandrum.

massimo numa

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