martedì 10 maggio 2011

Fotovoltaico: business o bufala?

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una vera e propria corsa all’investimento sull’energia solare. Non si tratta né di azioni, né di commodity, ma di installazioni di centrali di energia alternativa. In Italia si è scatenata la caccia al business del pannello fotovoltaico. Mi sembrava quasi incredibile quanto stava accadendo. Tutti, ma proprio tutti hanno visto nell’operazione la nuova “gallina dalle uova d’oro”. E molte persone, senza nemmeno sapere bene cosa facevano, si sono informate su come par parte della partita. Bisognava dimostrare di non essere fessi e di essere quantomeno furbi e scaltri come il vicino di casa che ha tappezzato il campo (fino a qualche mese prima adibito a mansioni di pastorizia) di mostruosi cartelli grigiastri pieni di cellule di silicio.


Ma tutto questo è un vero business infallibile? E’ veramente la gallina dalle uova d’oro? Possibile che sia diventato così semplice fare soldi?

Ieri ho letto un articolo di Giorgio Ragazzi, professore dell’Università di Bergamo nonché ex economista del FMI e direttore esecutivo della Banca Mondiale dal 1980 al 1984. Che dite? Forse nono proprio uno sprovveduto. Ecco cosa ci racconta…
 
Si stima che nel 2010 siano stati avviati impianti fotovoltaici per almeno 7.500 MW, inclusi quelli “dichiarati finiti” entro l’anno, ma che verranno allacciati entro giugno 2011, con tariffe 2010. La nuova potenza è pari a sette volte il totale istallato in Italia sino a fine 2009, quattro volte il totale negli Stati Uniti, dieci volte quello in Francia.

QUANTO CI COSTA IL FOTOVOLTAICO
Ogni MW di potenza produce all’incirca 1.250 MWh l’anno (media nazionale) ogni MWh prodotto riceve dal Gse un incentivo che può stimarsi mediamente attorno a 380 euro per kw (tariffe 2010). Dunque, per le circa 9mila MW di potenza totale istallata con “tariffe 2010”,, il costo complessivo da pagarsi in bolletta potrebbe arrivare, a regime, a 4,3 miliardi l’anno (9.000 x 1.250 x 380) per i prossimi venti anni. Così, quasi alla chetichella, si è caricato sulle spalle degli italiani un debito di quasi 90 miliardi, il 5 per cento di tutto il debito pubblico, cui va aggiunto il debito per gli incentivi alle altre rinnovabili.

Con questi incentivi si sono attivati investimenti per circa 25 miliardi (stimando un costo complessivo di 3,2 milioni per MW), ma più della metà della cifra è stata spesa per l’acquisto di pannelli, in prevalenza importati perché la nostra industria non era certo attrezzata a far fronte a un picco di tale di domanda. Per il resto ne hanno beneficiato soprattutto gli installatori (settore a modesta tecnologia) oltre ai tanti mediatori, finanzieri, proprietari di terreni. Quanti altri e quanto più efficaci stimoli alla domanda si sarebbero potuti attuare con una spesa di 60 miliardi (valore attuale del debito di 90 miliardi contratto con i produttori di fotovoltaico). E questo mentre è in atto una forte stretta della spesa pubblica per risparmi modesti anche in settori prioritari come ricerca e università.

Chi è responsabile di questa dissennata politica? Occorre risalire al decreto del 19 febbraio 2007 a firma Pier Luigi Bersani e Alfonso Pecoraro Scanio che ha determinato il decollo del settore introducendo tariffe particolarmente elevate. In vero, quel decreto stabiliva un limite massimo di 1200 MW di potenza incentivabile, ma poi lo vanificava dicendo che avrebbero avuto comunque diritto alle tariffe incentivanti anche tutti gli impianti entrati in esercizio nei quattordici mesi successivi al raggiungimento dei 1200 MW: in pratica si lasciava mano libera all’installazione di potenze molto superiori, senza alcun limite. Negli ultimi due anni il costo d’investimento si è dimezzato, ma il governo Berlusconi, invece di ridurre gli incentivi, è intervenuto con due leggi (41 e 129/10) finendo per riconoscere le tariffe Bersani-Pecoraro Scanio anche a tutti gli impianti “dichiarati terminati” nel 2010 e allacciati entro giugno 2011. Il disastro nasce dal legiferare quella che è in sostanza spesa pubblica senza porvi alcun limite, grazie al fatto che il costo è scaricato in bolletta invece di essere contabilizzato sul bilancio dello Stato.

LE CONSEGUENZE SUL FUTURO
Il costo per la collettività ha assunto dimensioni tali che una forte stretta sulle nuove installazioni è diventata inevitabile e infatti sono state appena varate dal Consiglio dei ministri nuove norme che riducono gli incentivi. Molti dei posti di lavoro creati nel settore andranno persi, dopo poco più di un anno. Per un paio di decenni potremo investire ben poco nel fotovoltaico, e quindi avremo assai meno benefici dalle innovazioni tecnologiche rispetto ad altri paesi europei, che più saggiamente hanno deciso di “spalmare” incentivi e investimenti sull’arco di più anni. Peccato, perché l’innovazione tecnologica è molto rapida e tra pochi anni i costi del fotovoltaico potrebbero avvicinarsi a quelli dell’eolico.

Il vantaggio “ecologico” del boom di investimenti sarà limitato: il peso del fotovoltaico sulla produzione elettrica totale salirà dallo 0,5 per cento nel 2010 al 3,5-4 per cento quando tutti gli impianti “2010” entreranno in funzione. Però, poiché i consumi complessivi di elettricità sono in diminuzione da vari anni, si determinerà un esubero di potenza con disattivazione di produzioni molto più efficienti. Si verificheranno anche rilevanti squilibri nelle reti di distribuzione, data l’alta variabilità della produzione fotovoltaica. Già oggi si verifica che Terna debba interrompere il ritiro di energia di punta dagli impianti eolici, che continuano a essere remunerati anche quando non possono immettere energia in rete.

L’incidenza degli “oneri di sistema” sul costo medio dell’energia per il consumatore tipico (al netto delle imposte) è salito tra il primo e il secondo trimestre 2011 dal 10,9 al 13,7 per cento (dati dell’Autorità per l’energia), percentuale destinata ad aumentare esponenzialmente quando entrerà a regime la nuova produzione fotovoltaica. Si tratta in realtà di un’imposta “occulta” che pesa assai più sui poveri che sui ricchi.

E l’incidenza di questi oneri è assai più elevata se la si rapporta, correttamente, ai soli costi di produzione, escludendo i costi commerciali, di dispacciamento e distribuzione. La produzione totale lorda di energia elettrica in Italia ammonta a 300mila GWh; il prezzo all’ingrosso dell’energia termica è di circa 65mila euro al GWh, quindi il valore di tutta l’energia prodotta, a quel prezzo, sarebbe all’incirca 20 miliardi. Per gli incentivi al fotovoltaico si sono spesi 820 milioni nel 2010, si prevede di spendere quasi 3 miliardi nel 2011 e, a regime, si arriverà a oltre 4 miliardi l’anno. Sommando gli incentivi delle altre “rinnovabili” e gli altri “oneri di sistema” si potrebbe arrivare a un carico complessivo vicino a 8 miliardi: non siamo lontani dall’aumentare del 50 per cento il costo della produzione termica efficiente. Con ovvi riflessi sul tenore di vita delle famiglie e la competitività del paese.

Pareri che sicuramente meritano un bel po’ di attenzione, proprio perché alla fine questo business rischia di essere non solo una bufala ma un costo dissennato sulla collettività. Ma questi conti, ditemi la verità, qualcuno se li era fatti?

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