lunedì 23 agosto 2010

La marijuana a km zero dei clan


La marijuana a km zero dei clan

La cannabis viene coltivata sui terreni demaniali: il clima del Sud è favorevole e si guadagna di più

ANDREA SALVATI

NAPOLI

Sarà per il microclima, o perché in queste zone è più facile camuffarle. Sta di fatto che le piantagioni di cannabis indica stanno diventando l’oro verde del Meridione, il nuovo business in grado di portare continuamente denaro nelle casse delle organizzazioni criminali. Anche perché il mercato italiano è di quelli che non conosce crisi: stando ai dati del Viminale, nel 2009 si è registrato un incremento dei sequestri di marijuana pari al +211,75%, segno che la domanda è in forte aumento.

Per questo mafia, camorra e ’ndrangheta hanno deciso di coltivarsela in casa per ridurre i costi della filiera e massimizzare i profitti. Un po’ come succede negli Stati Uniti dove, secondo i rapporti dell’Fbi, i trafficanti messicani hanno pensato bene di costruire vere e proprie fattorie nei parchi nazionali del West per coltivare milioni di piante di cannabis da cui ricavare hashish e marijuana. In Italia, invece, si preferiscono i terreni demaniali, così da minimizzare «il rischio d’impresa». Per importare droga dall’estero, infatti, occorre investire soldi in uomini e mezzi che possono andare persi in caso di operazione delle forze dell’ordine. Coltivando la cannabis su terreni demaniali invece, l’unico rischio è quello di perdere il raccolto.

La scena diventa sempre più frequente: un elicottero sorvola una montagna e scopre, in un anfratto, protetta da alberi o camuffata con teli mimetici, la piantagione di cannabis, con piante alte fino a quattro metri. Un’azione che ricorda tanto le operazioni delle forze speciali americane nelle piantagioni dei narcos colombiani. Stando agli esperti delle forze dell’ordine, le piantagioni migliori sarebbero quelle siciliane, tra Palermo e Trapani.

Soprattutto nella stagione estiva, proprio in quella zona della Sicilia si formerebbe la giusta combinazione tra sole e umidità per ottenere la crescita migliore delle piante. Non è un caso che la Sicilia ha il primato (triste) di maggior produttore europeo di cannabis indica. Ma anche i terreni campani, calabresi e pugliesi si prestano a questo tipo di coltivazione, garantendo comunque un prodotto di tutto rispetto, tanto che ormai in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia è stato sequestrato ben l’86,29% del totale delle piantagioni di cannabis individuate in tutta Italia. Per esempio il 17 luglio a Partinico, nel Palermitano, sono state individuate due piantagioni di cannabis estese per oltre 10mila metri quadrati: due agricoltori avevano deciso di riconvertire le loro coltivazioni perché con pomodori e olive non guadagnavano abbastanza.

In Campania a inizio mese è stata scoperta una piantagione di marijuana tra i comuni di Montoro Inferiore e Montoro Superiore nell’Avellinese: la piantagione occupava un terreno demaniale grande quanto due campi di calcio. Due giorni fa sono state individuate dai carabinieri dodici piantagioni di cannabis indica - che contavano oltre mille piante, alcune alte tra i due e i quattro metri - su terreni demaniali tra Gragnano e Lettere nel Napoletano. Per individuare le coltivazioni, è stato necessario sorvolare la zona con gli elicotteri del settimo elinucleo di Pontecagnano. Nel solo 2009, stando ai dati del Viminale, sono state sequestrate 119.182 piante di cannabis e tali operazioni si sono svolte soprattutto in Calabria (con 41.876 piante sotto chiave) e in Campania (35.660), regioni che possono vantare condizioni geoclimatiche adatte a questo tipo di coltivazione.

Nei primi sette mesi del 2010 i sequestri di cannabis sono arrivati a 30.570, con 12.486 piante rinvenute nel solo mese di Giugno. Il record delle piante di cannabis sequestrate si è però avuto nel 2001, quando ne finirono al macero oltre tre milioni di esemplari.

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